Natura innata del linguaggio secondo Noam Chomsky

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Natura innata del linguaggio secondo Noam Chomsky Artemij Keidan 28 novembre 2017

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Innatismo: una contraddizione in termini?

Negli ultimi anni l’innatismo di Chomsky è diventato oggetto di sempre maggiori critiche da parte di studiosi diversi, non solo linguisti. Rimando gli interessati alla ricca bibliogra ia in tal senso raccolta, recentemente, da Behme & Evans (2015: 151). Un buon riassunto del problema è , da ultimo, Dąbrowska (2015); altri autori di cui consiglierei la lettura sono G. Sampson, G. Pullum, E. Lombardi Vallauri (si vedano i riferimenti in bibliogra ia). Ma oltre a riassumere le posizioni degli altri autori, vorrei anche discutere in questa sede una contraddizione, insita nell’argomento di Chomsky, che inora sembra essere passata inosservata.

1.1

Acquisizione del linguaggio, povertà dello stimolo e innatismo

Il principale problema connesso con l’ipotesi dell’innatismo del linguaggio consiste nella quasi totale assenza di una sua de inizione rigorosa, esplicita e condivisa. L’idea risale al debutto di Chomsky, il suo libro del 1957 Sintactic Structures, e soprattutto alla monogra ia successiva, Aspects of the Theory of Syntax (1965). L’Argomento della Povertà dello Stimolo (APS) fu reso — più o meno — esplicito solo in Chomsky (1980). Si veda Pullum & Scholz (2002) per una storia e analisi empirica dell’APS, nonché la monogra ia di Clark & Lappin (2011). Quindi per prima cosa riassumerò l’argomentazione di Chomsky in una serie di punti. Si noti che su ognuno dei punti Chomsky è stato più o meno vago e ha avuto vari ripensamenti, per cui capire cosa pensi veramente non è sempre facile. 1. La componente più importante del linguaggio umano è la sintassi, ossia le regole che governano la costruzione di frasi a partire da parole e gruppi di parole. La semantica — il signi icato delle parole — è vista solo come una conseguenza della sintassi, non un fattore determinante nella costruzione frasale. 2. La sintassi è ricorsiva: unendo insieme due sintagmi otteniamo un altro sintagma, e non un’entità di rango superiore. In particolare, le frasi possono 1

essere riutilizzate per costruire altre frasi. (Per fare un confronto: unendo insieme dei fonemi otteniamo i morfemi, ossia entità di rango superiore ai fonemi; unendo insieme i morfemi otteniamo le parole, che sono sempre di rango superiore ai morfemi). 3. La ricorsività è potenzialmente in inita (con la cardinalità di ℕ). Non c’è alcuna regola che stabilisca un limite teorico ai cicli ricorsivi. Quindi le frasi formulabili in una lingua possono avere lunghezza e complessità illimitate. 4. Tutti i parlanti di una certa lingua sono in grado di giudicare la cosiddetta grammaticalità di una sequenza di parole (in questa lingua). Sanno cioè distinguere una frase corretta da una agrammaticale. 5. Questa capacità non è limitata né da caratteristiche individuali del parlante (come età o istruzione), né dal fatto che le frasi sono illimitate quanto a lunghezza e complessità : i parlanti convergono verso la medesima grammatica. Si noti che questo non implica che il parlante qualsiasi debba automaticamente capire il senso delle frasi la cui grammaticalità sta giudicando. 6. I problemi che affronta il linguista sono due: (a) Come è fatto il meccanismo che rende possibile il giudizio di grammaticalità su un input potenzialmente in inito? (b) Come avviene l’apprendimento di tale meccanismo da parte del bambino che impara a parlare? 7. La risposta alla domanda (6b) è che il parlante, ovviamente, non memorizza le frasi corrette come un mero elenco (perché tale elenco sarebbe, se non in inito, comunque cosı̀ enorme da non poter entrare nella memoria di nessuno). Ciò che il parlante fa è utilizzare un algoritmo che permette di calcolare la grammaticalità di una frase qualsiasi a partire da una serie inita di regole generative (che generano alcune strutture a partire da altre) e trasformazionali (che spostano le strutture generate da un punto a un altro della frase). 8. L’apprendimento di questo algoritmo, o grammatica, può avvenire in due modi (o, al limite, da una commistione dei medesimi): (a) dallo stimolo esterno (ossia ascoltando e le frasi prodotte dagli altri parlanti e generalizzando le informazioni cosı̀ ottenute), (b) oppure da una conoscenza innata. 9. L’apprendimento della grammatica dallo stimolo esterno è escluso perché tale stimolo sarebbe povero: nella comunicazione madre- iglio, durante l’apprendimento della lingua materna, la qualità e la quantità degli enunciati che sente il bambino è assai bassa. Inoltre è presente solo lo stimolo positivo, ma non quello negativo: il genitore parla al bambino con frasi corrette, ma non gli spiega come evitare quelle agrammaticali. 2

10. Ergo: la grammatica, ovvero la sua componente più fondamentale e condivisa da tutte le lingue del mondo, chiamata quindi grammatica universale (GU), è innata nell’essere umano, cioè codi icata nel suo corredo genetico e localizzata nel cervello al pari di un organo. Riassunto breve: l’input esterno non è suf iciente al bambino per acquisire la grammatica di un linguaggio potenzialmente in inito, quindi la grammatica deve essere innata. L’APS è presentato da Chomsky non come un fatto empirico, ma come un teorema dimostrato logicamente, in cui l’implicazione inale consegue correttamente dalle premesse. Per fare questo, egli presenta le premesse come delle verità autoevidenti, mentre in realtà sarebbero in gran parte empiriche. Praticamente ognuno dei punti qui elencati, in formulazioni più o meno analoghe, è stato oggetto di feroci critiche da parte di studiosi che studiano le tematiche ivi evocate in modo empirico (dagli psicologi dell’infanzia ai matematici specializzati in intelligenza arti iciale). In questa sede illustrerò una curiosa contraddizione che, inora, non è stata discussa nella bibliogra ia sull’argomento.

1.2

Linguaggio in inito

«An elementary fact about the language faculty is that it is a system of discrete ininity» (Chomsky 2009: 25). In che senso il linguaggio è in inito? Vediamolo prendendo come esempio il fenomeno dell’embedding delle relative, cioè frasi relative dentro altre frasi relative. Partiamo da una frase con l’embedding singolo, di questo tipo: Una ragazza, che Giovanni non aveva mai visto prima, è entrata nella stanza. E possibile aggiungervi una seconda relativa, ottenendo un doppio embedding: Una ragazza, che Giovanni, il quale notoriamente aveva una buona memoria, non aveva mai visto prima, è entrata nella stanza. Si noti che la lettura di questo secondo enunciato è già abbastanza faticosa. Frasi con triplo embedding di relative sono quasi impossibili da maneggiare, e infatti sono talmente rare da considerarsi inesistenti (cfr. i dati in Levinson 2014). In generale, esempi di frasi che superino una certa lunghezza sono noti solo dai testi letterari, quindi non sono rappresentativi della facoltà di linguaggio vera e propria, ma piuttosto del suo uso artistico: dal monologo interiore di Molly Bloom (che però non è esattamente una frase grammaticalmente corretta), alla frase di 1077 parole, che occupa ben sei pagine, nel romanzo Der Tod des Vergil di H. Broch (caso menzionato in Karlsson 2010: 46). La dif icoltà (se non l’impossibilità ) del parlante di giudicare la grammaticalità delle frasi con troppi embedding non è negata da Chomsky, benché questo metta in cattiva luce l’uso di interrogare l’intuizione dei parlanti come metodo dell’indagine linguistica. Vediamo un esempio inglese: 3

The rat the cat the dog chased killed ate the malt. Cioè , tradotto in italiano: Il topo, che è stato ammazzato dal gatto, che è stato inseguito dal cane, ha mangiato il malto. Chomsky & Miller (1963: 286) dicono che questa frase è «[…] surely confusing and improbable but it is perfectly grammatical and has a clear and unambiguous meaning». La giusti icazione di Chomsky è che, mentre la cosiddetta competenza linguistica è potenzialmente in inita, l’esecuzione, cioè la messa in pratica della competenza, è sempre imperfetta e limitata, a causa della limitatezza della memoria a breve termine, nonché di altre condizioni non imputabili alla competenza linguistica. Viene da qui il concetto di accettabilità (Chomsky 1965: 11): una frase grammaticalmente corretta può essere più o meno accettabile, ma l’accettabilità è totalmente slegata dalla grammaticalità . Frasi grammaticalmente corrette possono essere non accettabili, cosı̀ come frasi agrammaticali, nella pratica, possono diventare accettabili. Facendo quindi astrazione dalle condizioni di memoria imperfetta, siamo invitati a constatare che non esistono impedimenti formali alla creazione di frasi sempre nuove e di complessità illimitata. Questo è giusti icato da Chomsky con il buon senso e l’intuizione: «the core property of discrete in inity is intuitively familiar to every language user» (Hauser, Chomsky & Fitch 2002: 1571). Si noti, però , che non abbiamo in realtà alcuna dimostrazione formale di questa in initezza, né una reale necessità di postularla, vedi la discussione in Pullum & Scholz (2010). Però accettiamola come un assioma, per ora. Riassumendo: i parlanti riescono sempre a processare una frase qualsiasi, anche una che non hanno mai sentito prima, quindi il numero di frasi possibili è potenzialmente in inito. Quindi l’in initezza è indotta partendo da un corpus di enunciati che è sempre inito.

1.3

Acquisizione della grammatica

Chomsky sostiene che l’input linguistico ricevuto dal bambino in fase di acquisizione del linguaggio sia povero, nonché di bassa qualità , privo di feedback, di reinforcement e di informazione negativa (altri dettagli in Pullum & Scholz 2002: 12–13). Cioè , l’adulto non insegna la grammatica della propria lingua al bambino in modo esplicito e completo. Si limita a fornirgli alcune frasi grammaticali, ma non gli dà nessun’informazione su ciò che non è grammaticale. Eppure il bambino riesce ad acquisire la grammatica completa e perfetta di una lingua potenzialmente in inita, lo fa abbastanza velocemente, indipendentemente dalle condizioni storiche, sociali o culturali. In altre parole, lo stimolo è povero, ma il bambino impara con successo una grammatica che permette la formulazione di un numero in inito di frasi di lunghezza in inita.

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1.4

La contraddizione

Esiste quindi un corpus di enunciati effettivamente eseguiti dai parlanti. Tali enunciati sono limitati, anzi abbastanza corti e spesso difettosi (cioè contenenti imperfezioni ed errori dovuti a brusche interruzioni dell’eloquio, dimenticanze, ripensamenti ecc.). Cosa fa Chomsky con questo corpus? Lo usa per fare due affermazioni: 1. Il corpus è ricco abbastanza da essere rappresentativo di un linguaggio in inito; da esso si può “indurre” l’esistenza di un insieme in inito di frasi. 2. Il corpus è troppo povero per poter costituire l’input suf iciente per l’acquisizione di un linguaggio in inito. Cioè , gli stessi dati empirici sono usati sia come prova che qualcosa è in inito, sia come prova che qualcosa è inito. Le stesse frasi sono considerate, allo stesso momento, sia “praticamente in inite” sia “troppo inite”. Unire in uno stesso ragionamento due affermazioni opposte genera, a mio avviso, una forte tensione concettuale, se non una vera e propria contraddizione. Tornando all’APS esposto sopra, i punti in contraddizione sarebbero il (3) e il (9). Di che tipo di contraddizione si tratta? Se l’APS fosse stato un ragionamento logico puramente formale non ci sarebbe stato alcun problema. Se, ad esempio, le proposizioni (3) e (9) parlassero di un certo sottoinsieme dei numeri naturali aventi una certa proprietà (ad esempio, i numeri di Fibonacci), allora sarebbe stato corretto dire che (a) tale sottoinsieme è in inito, e (b) la mera elencazione inita di tali numeri non è mai suf iciente per indurre tutto il sottoinsieme. Questo perché i numeri di Fibonacci sono in initi per de inizione, mentre l’input è inito, anch’esso, per de inizione. Infatti, per insegnare l’insieme di Fibonacci non elenchiamo i numeri ma ci serviamo di una de inizione ricorsiva (che è quello che Chomsky propone di fare per le frasi del linguaggio). Tuttavia, l’APS di Chomsky non parla di numeri ma di fenomeni naturali, rilevati empiricamente: enunciati giudicati grammaticali dai parlanti di una lingua. Non è , quindi, una questione logico-insiemistica, ma piuttosto un’affermazione empirica. Le proposizioni empiriche non sono vere o false in assoluto, ma solo approssimabili all’essere vere/false nella misura in cui i dati empirici ce lo impongono. Da questo punto di vista, le proposizioni (3) e (9) del mio elenco sembrano, a prima vista, entrambe convincentemente vere. Tuttavia, i dati usati per sostenerle sono praticamente gli stessi, ossia quelli rappresentati dal corpus delle frasi effettivamente pronunciate. Eppure, le due affermazioni estrapolano i dati per fare due generalizzazioni opposte: una induce l’in inito, l’altra lo nega. I dati sono quindi usati in modo incoerente. Questo, a mio avviso, rende impossibile, per le proposizioni (3) e (9), di avere lo stesso grado di accettabilità empirica, cioè lo stesso grado di approssimazione al vero. La dimostrazione di Chomsky della natura innata del linguaggio si basa quindi sull’accettazione di un ragionamento fallato. Non si tratta di una falsità assoluta, perché tutto dipende dalla nostra tolleranza per il grado di accuratezza con cui vengono trattati i dati. Tuttavia si tratta di un problema reale, che non può essere ignorato in una discussione sull’innatezza del linguaggio. 5

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Conseguenze

Le proposizioni (3) e (9) non sono le uniche ad essere criticabili. Praticamente ognuna delle premesse dell’APS di Chomsky si basa non su una necessità logica, né sull’analisi dei dati, ma piuttosto sull’intuizione dello studioso. Sull’argomento esiste un lungo e inconciliabile dibattito che dura oramai da decenni (si veda Pullum & Scholz 2002; Sampson 2007b). Ma cosa succederebbe se rinunciassimo all’APS? In particolare, quanto pericoloso per la linguistica moderna sarebbe affermare che: • la sintassi non è la parte più importante della grammatica, e non è autonoma dalla semantica; • la ricorsività non è la caratteristica principale e universale della sintassi e non è in inita; • i parlanti non convergono verso la stessa grammatica; • lo stimolo non è povero; • l’apprendimento esterno può portare alla generalizzazione di una grammatica suf icientemente ef iciente; • lo scopo del linguista non è riprodurre il meccanismo mentale che distingue frasi corrette da quelle agrammaticali. Personalmente condivido l’opinione di quei linguisti, oramai forse la maggioranza, i quali pensano che, accettando queste retti iche, nulla di veramente terribile succederà nella scienza del linguaggio. Di seguito propongo alcuni ragionamenti su alcuni dei punti qui elencati.

2.1

Ricorsività

2.1.1 De inizione di ricorsività Cosa sia esattamente la ricorsività non è mai detto in modo esplicito da Chomsky. Le sue idee in proposito cambiano nel tempo. Nelle ultime fasi del suo pensiero, secondo alcuni osservatori (ad esempio Bickerton 2009), la ricorsività è stata soppiantata dal concetto di iterazione. Di solito, per illustrare la ricorsività si utilizzano esempi del seguente tipo. Data una frase qualsiasi S, posso sempre comporre una frase più complessa premettendo l’espressione io so che: Giovanni si è sposato. Io so che Giovanni si è sposato. Io so che io so che Giovanni si è sposato. Secondo Chomsky, questo tipo di strutture, tendenti all’in inito, è descrivibile solo tramite un approccio di tipo generativo. Invece altri, tra cui Pullum & Scholz (2010), spiegano in modo convincente che un approccio ricorsivo di tipo generativo non implica necessariamente strutture in inite, e che le strutture sintattiche citate da Chomsky si potrebbero descrivere in modo più semplice tramite grammatiche non ricorsive. 6

2.1.2 Induzione matematica? Chomsky, invece, sostiene che non ci sia nessuna regola grammaticale a impedire che uno stesso procedimento grammaticale, ad esempio l’inserimento di una relativa, si esegua in initamente in modo ricorsivo. Ma come facciamo a esserne certi? Ad esempio, come facciamo a essere certi che non esista un numero 𝑥 tale per cui la frasi con un numero di cicli ricorsivi maggiore di 𝑥 siano vietate dalla GU? Se 𝑥 è molto grande, semplicemente è impossibile fare la veri ica. Chomsky sostiene che il numero massimo di cicli ricorsivi non esista, ma ammette anche che le frasi di solito non vanno oltre due livelli di ricorsività (𝑥 ≤ 2) perché questo sembrerebbe il massimo gestibile dalla nostra memoria a breve termine, cioè dalla nostra performance linguistica. I casi con 𝑥 > 2 vengono inclusi per “induzione”. Attenzione però : non si tratta di induzione matematica, in cui, effettivamente, per qualsiasi predicato 𝒫 e per qualsiasi 𝑥 ∈ ℕ è valida la seguente implicazione: 𝒫(0) ∧ (𝒫(𝑥) ⇒ 𝒫(𝑥 + 1)) ⇒ ∀𝑥𝒫(𝑥) Cioè , se un’affermazione è valida per lo 0, e, essendo valida per 𝑥 è sempre valida anche per il suo successore, allora è valida per tutti i numeri naturali (o altri oggetti matematici, come avviene, ad esempio, nell’induzione trans inita). Qui, trattandosi di un fenomeno naturale, non abbiamo la certezza che sia sempre vero 𝒫(𝑥) ⇒ 𝒫(𝑥 + 1) Non solo questo è incerto, ma anzi è esattamente ciò che si vuole dimostrare, ragion per cui la presunta dimostrazione è affetta da circolarità . Chomsky proietta la sua teoria su un fenomeno naturale. Egli dice che la grammatica è come il sistema di numerazione decimale: un meccanismo ricorsivo e illimitato. Tuttavia, i numeri sono oggetti culturali (siano essi “scoperti” o “inventati” dalla mente dell’uomo), mentre il linguaggio, sia esso innato o meno, risiede a un livello di coscienza molto più profondo rispetto a quello dei numeri. Ciò che abbiamo postulato per i numeri non è automaticamente valido anche per la grammatica. 2.1.3 Competenza ed esecuzione: che cosa è davvero innato? Prendiamo la distinzione di Chomsky (1965) tra la performance e la competence: la prima sarebbe inita e limitata, mentre la seconda innata e illimitata. Perché mai dobbiamo considerare innata solo la competence? Perché non immaginare che anche la performance sia stata programmata dalla natura e quindi faccia parte della GU? Prendiamo qualsiasi altra attività innata, ad esempio, la camminata. Da un certo punto di vista si può dire che l’uomo può camminare in initamente: in astratto nulla lo impedirebbe. Non esisterebbe, cioè , il numero massimo di passi che che un essere umano riesce a fare. Ma cosa ha previsto veramente la natura? Ha previsto un meccanismo che può , per de inizione, compiere solo camminate inite, di minore o maggiore lunghezza, intervallate dalle fasi di stanchezza e riposo: camminata ⇒ stanchezza ⇒ riposo/nutrizione ⇒ camminata

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Stanchezza, nutrizione e riposo non sono degli accidenti contestuali e irrilevanti, ma fanno pienamente parte del nostro corredo genetico. 2.1.4 Altre manifestazioni della ricorsività Il fatto che la performance possa essere stata limitata appositamente dall’evoluzione è dimostrato indirettamente anche da un altro fatto. In un articolo molto interessante di Levinson (2014) si osserva uno sorprendente parallelismo tra la ricorsività grammaticale e lo scambio dialogico. Quando ci scambiamo dei messaggi, spesso si creano strutture “a incasso”, molto simili alle frasi complesse con vari livelli di subordinate. Immaginiamo una scena come questa: A: “Un etto di crudo, per favore.” B: “Parma o San Daniele?” A: “San Daniele, ma solo se c’è poco grasso.” B: “Il taglio che mi è rimasto è abbastanza morbido.” A: “Allora meglio il Parma.” B: “Prego, tenga.” Quando il salumiere e il compratore si scambiano le domande e le risposte, ognuno di loro tiene nella mente la struttura gerarchica dello scambio informativo: dalla domanda generale si va verso quelle più particolari, e poi si risale verso il livello iniziale. La cosa interessante è che il livello di embedding ammesso nei dialoghi è molto più grande di quello ammesso nella struttura di una frase complessa, vedi i dati di Levinson (2014). Questo sembrerebbe suggerire che la mente umana è ben capace di gestire strutture con embedding multiplo anche molto profondo, e che tale capacità sia stata limitata appositamente nel caso della ricorsività grammaticale. E quindi, la limitatezza della performance non è accidentale e quindi inessenziale, ma fa parte del corredo biologico, al pari della GU. 2.1.5 Lingue senza ricorsività Non possiamo non menzionare un recente caso abbastanza noto, ma sempre clamoroso: una lingua senza ricorsività . Si tratta del pirahã, la lingua di una tribù amazzonica, scoperta e descritta da D. Everett (2005). Oltre a tante altre caratteristiche che lo rendono particolarmente insolito, il pirahã non conosce la possibilità di aggiungere frasi subordinate a frasi principali. Cioè , il numero massimo di cicli ricorsivi in questa lingua è pari a zero (o, secondo altri pareri, a 1, ma mai più di 1). Ora, i linguisti seguaci di Chomsky hanno spesso affermato che il dogma della ricorsività in inita potrà essere ridiscusso solo nel momento in cui si scoprisse una lingua senza ricorsività . Quando un tale esempio è stato inalmente trovato, la loro reazione, dopo un primo momento di sbigottimento e incredulità , è consistita nel dire che la ricorsività è sı̀ presente a livello di bagaglio innato universale, ma non è necessariamente utilizzata da tutte le lingue del mondo. Di per sé potrebbe anche essere una tesi accettabile, se non fosse che sia stata creata ad hoc per uscire da una situazione imbarazzante.

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Tra l’altro, a ben vedere, il caso del pirahã non è neanche cosı̀ isolato. Di fatto, la vera ricorsività sintattica, con frasi ipotattiche lunghe e complesse, e con una struttura logica sempre ben chiara, sono attestate solo in lingue supportate da una cultura scienti ica e letteraria sviluppata. Lingue dei popoli “primitivi”, o semplicemente dei parlanti non ben scolarizzati, spesso ignorano la ricorsività oppure ne usano le manifestazioni meno complesse, vedi la rassegna di casi famosi in Pullum & Scholz (2010: 18) e Sampson (2007a).

2.2

Intuizione di grammaticalità

2.2.1 Intuizione Alla base del metodo di indagine scienti ica sul linguaggio, secondo Chomsky, vi è il ricorso all’intuizione del parlante. Solitamente si tratta, in realtà , dell’introspezione del linguista medesimo che indaga la propria prima lingua; in altri casi vengono intervistati i parlanti nativi di una certa lingua sotto esame. Secondo Chomsky, l’intuizione di grammaticalità è , per cosı̀ dire, onnipotente e universale: un parlante qualsiasi riesce a dare un giudizio di grammaticalità a una frase qualsiasi. Questa posizione è stata oggetto di numerose critiche. Per cominciare, i parlanti di estrazione sociale bassa non distinguono la nongrammaticalità dalla non-accettabilità , ovvero ciò che è grammaticalmente ammesso da ciò che potrebbe essere detto in un certo contesto ottenendo il risultato voluto (infatti, anche un grugnito risulta accettabile, in certe condizioni). Di fatto, i parlanti non colti, interrogati dal linguista circa la grammaticalità di determinate frasi, spesso non capiscono neanche la domanda (cfr. Riemer 2009: 614, nota 4). Quindi di solito, per distinguere tra grammaticalità e accettabilità , il linguista “guida” il parlante verso la risposta giusta. E come se sapesse già in anticipo la risposta giusta, per poi costringere il parlante a diriggere il proprio giudizio in tal senso. L’intuizione quindi è correlata alla coscienza metalinguistica, ossia al livello di istruzione dell’individuo. Come si dimostra in Dąbrowska (2010), cfr. già Spencer (1973), i giudizi di grammaticalità differiscono in modo signi icativo tra parlanti semplici e parlanti con formazione da linguista. Inoltre, il ricorso all’intuizione dà risultati diversi secondo lo studioso che lo applica. Riemer (2009) discute un’intera collezione di frasi inglesi che sono giudicate non grammaticali in una serie di pubblicazioni di linguisti generativisti, ma sono invece percepiti come grammaticali da altri parlanti inglesi. Ad esempio: There seems to be many people in the room. L’obiezione dei chomskyani sarebbe che in casi come questo semplicemente siamo di fronte alla variazione linguistica: ciò che non era grammaticale prima lo diventa a un certo punto, almeno per alcuni parlanti. Quindi, semplicemente, non è la stessa grammatica. Però è chiaro che con questo escamotage l’intuizione diventa totalmente inservibile come strumento di indagine.

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2.2.2 Parlante ideale C’è sempre stata molta vaghezza su cosa sia esattamente la grammaticalità . Sotto la spinta delle critiche, Chomsky introdusse il concetto di parlante ideale, ossia un essere immaginario la cui intuizione coincide perfettamente con le strutture grammaticali postulate dal generativismo, ed è esente dai limiti e dai difetti della performance. Si noti a margine che questo parlante ideale è , curiosamente, un po’ nevrotico: «You can’t go a minute without talking to yourself. It takes an incredible act of will not to talk to yourself» (Chomsky 2012: 11). Le caratteristiche del parlante ideale sono: • Non avere alcun limite in fase di esecuzione. • Non essere in luenzato da connotazioni stilistiche e stereotipi della grammatica prescrittiva (come quando a scuola si insegnano le regole che impongono l’uso del congiuntivo in determinate costruzioni frasali italiane). • Non essere in luenzato dalla semantica della frase (ossia, dalla sensatezza o l’insensatezza delle frasi la cui grammaticalità viene giudicata). • Capire istantaneamente la struttura logica degli enunciati. Queste caratteristiche, appunto, sono idealizzazioni che non si incontrano mai nei parlanti reali. Prendiamo l’ultima. Chomsky presuppone che il cervello riesca a captare la struttura logica dell’enunciato senza alcuno sforzo, come una capacità innata appunto. Tuttavia, invito il lettore a cronometrare il tempo che gli è necessario per capire la differenza tra le due interpretazioni logiche possibili del seguente enunciato inglese: Every man loves a woman. Cioè : ‘ogni uomo ama una qualche donna’ / ‘una certa donna è amata da tutti gli uomini’ Sembra, invece, molto più ragionevole considerare l’analisi logica dell’enunciato come una conquista culturale, anziché un fenomeno naturale (si veda la discussione in Sampson 2007a: 26–27). Sappiamo, infatti, quanto la logica formale appaia astrusa e innaturale alla maggior parte degli studenti che vi si accostano per la prima volta. Il parlante ideale è talmente poco probabile che alcuni critici un po’ “radicali” di Chomsky sono stati portati a rinunciare al concetto di grammaticalità tout court (ad esempio, Sampson 1987 e Sampson 2007a). Secondo questo punto di vista, la grammaticalità è una questione di abitudine: ci sembrano grammaticali frasi che siamo abituati a sentire, mentre una frase apparentemente non grammaticale può facilmente diventare grammaticale se la si usa ripetutamente. Altri propongono una de inizione di compromesso, suggerendo una nozione composita, in cui cooccorrono i seguenti fattori (vedi Pullum 2007: 14): 10

• intuizione del parlante medio (di solito coincidente con il linguista stesso); • prescrizioni della grammatica scolastica; • misurazione statistica degli usi effettivi. Ossia, noi giudichiamo grammaticali quelle frasi che la nostra intuizione classi ica come tali, ma l’intuizione è soggetta all’in lusso della scolarizzazione, e inoltre differisce da parlante a parlante ed è quindi rilevabile statisticamente analizzando un corpus di testi. 2.2.3 Grammaticalità locale e universale Non solo non è chiaro cosa sia la grammaticalità in generale, ma non è nemmeno sempre ovvio il con ine tra quella universale (l’unica a essere propriamente innata), e quella “locale”, cioè limitata alla lingua storico-naturale nota al parlante. Come fa l’intuizione a distinguere tra ciò che è vietato dalla GU, e ciò che è vietato dalla grammatica di una lingua speci ica? Eppure Chomsky apparentemente usa quest’ultima per illustrare il concetto di povertà dello stimolo. Cosı̀, l’auxiliary fronting, citato in da Chomsky (1957), è un fenomeno tipico dell’inglese, che può anche essere assente in altre lingue. Come prova dell’APS è controproducente: dimostra, semmai, che l’apprendente può ben apprendere un fenomeno grammaticale complesso non innato (perché speci ico di una singola lingua). Per un altro esempio simile rimando a Sampson (2007b: §3.c); cfr. anche Johansson (1991: 7). D’altro canto, nessun vero universale linguistico, ciò fenomeno grammaticale di origine innata e quindi presente in tutte le lingue del mondo, è stato mai davvero osservato. Per ogni candidato a tale ruolo si trova subito la smentita, ossia qualche lingua, più o meno “esotica”, in cui tale fenomeno non è attestato. Rimando gli interessati all’articolo di Evans & Levinson (2009), più le repliche dei loro oppositori, nella stessa pubblicazione. 2.2.4 Agrammaticalità Se è già dif icile capire cosa sia la grammaticalità , è ancora meno ovvio cosa sia la agrammaticalità . Presentando le sue idee Chomsky fa spesso esempi del seguente tipo. Prendiamo una frase relativa inglese: The man who is happy is singing. Se dobbiamo trasformarla in una domanda — sostiene Chomsky — non possiamo utilizzare una regola grammaticale che dica “Prendi il primo verbo che incontri e portalo all’inizio di frase”, perché in questo modo genereremmo una frase non grammaticale: *Is the man who happy is singing? Infatti, le grammatiche ammettono solo regole del tipo “Prendi il verbo della frase principale e portalo all’inizio”. Con questa formulazione otteniamo il risultato atteso: 11

Is the man who is happy singing? Quindi — è la conclusione di Chomsky — la grammatica che abbiamo nella mente opera con strutture sintattiche complesse (che stanno alla base della teoria chomskyana), e non con mere sequenze di parole, e questo non può essere appreso dall’esperienza. Infatti, neanche i bambini in fase di apprendimento fanno errori come quello discusso qui. Tuttavia, per cominciare, è stato osservato che i bambini effettivamente fanno errori che vanno contro la struttura sintattica (vedi Ambridge, Rowland & Pine 2008). Ma è tutto il ragionamento che è , per cosı̀ dire, “caricaturale”, ossia non presenta in modo realistico ciò che effettivamente accade nella comunicazione linguistica. In parole povere, secondo Chomsky, il parlante deve sceglie tra due opzioni: dovendo costruire una frase di domanda grammaticalmente corretta, uso la regola sbagliata (“prendi il primo verbo che trovi” ecc.) oppure quella strutturalmente determinata (“prendi il verbo principale” ecc.)? Invece, il parlante non si trova mai di fronte a una scelta del genere. Quando deve fare una domanda, il suo scopo non è “formulare una frase grammaticalmente corretta”, ma è “ottenere delle informazioni”. Di conseguenza, la vera regola che, molto probabilmente, sta nella nostra testa sarebbe qualcosa di simile a: “prendi il verbo informativamente saliente e portalo all’inizio”. Che poi il verbo più saliente sia il verbo principale della frase è una conseguenza della struttura informativa, non una precondizione. Quindi la agrammaticalità , come la presenta Chomsky, presuppone già in partenza l’esistenza della grammaticalità , e quindi non può essere usata come prova per quest’ultima. Cioè , la agrammaticalità non si manifesta mai in natura, ma è una congettura dei linguisti; per i parlanti non rappresenta alcun problema reale. La visione alternativa al generativismo non è un caos irrazionale, in cui si immaginano parlanti che costruiscono frasi mettendo le parole in ordine casuale, ma un razionalissimo approccio di tipo funzionalista. E grammaticale ciò che è funzionale, non il contrario.

2.3

Chomsky e la biologia

2.3.1 Aspetti genetici Chomsky ha da sempre una particolare predilezione per la biologia: «in ultima analisi, lo studio del linguaggio fa parte della biologia umana» (Chomsky 1979: 357). Anche negli ultimi anni è tornato a sottolineare che vede il proprio approccio al linguaggio come primariamente “biolinguistico”. Va però detto che l’idea che la grammatica sia innata e codi icata nei geni solo perché è molto complessa, è alquanto strana. Addirittura, il sistema dei numeri naturali è vagheggiato da Chomsky come innato. Il che fa sorridere, se pensiamo a quanti millenni ci siano voluti all’umanità per comprendere il concetto dell’insieme ℕ (nonché le dif icoltà ivi connesse sperimentate dagli alunni delle scuole di ogni grado). E poi, perché solo ℕ? La povertà dello stimolo non vige forse anche, e a maggior ragione, per i numeri reali o i numeri complessi? Dobbiamo forse considerarli tutti innati? 12

Piuttosto che immaginare improbabili scenari genetici, la conclusione alternativa molto più logica sarebbe stata, in dagli anni ‘50, quella di rinunciare alla ricorsività in inita della sintassi, e quindi all’argomento della povertà dello stimolo, oppure considerare la grammatica ricorsiva in inita solo come un’idealizzazione di un linguaggio intrinsecamente inito. Perché , come molti riconoscono, la teoria generativista in sé è più interessante dei suoi postulati bio- iloso ici. Tuttavia, come sappiamo, è andata diversamente. Il problema è che il linguaggio ha molto poco di biologico nel senso genetico del termine. L’impressione è che Chomsky ne sia cosciente e che cerchi degli improbabili escamotage per salvare le apparenze e non rinunciare all’innatismo a lui tanto caro. Syntactic Structures usciva a soli quattro anni di distanza dalla scoperta del DNA e molti decenni prima della decifrazione del genoma umano. Era quindi forse un peccato minore utilizzare il concetto di “genetico” in quelle circostanze. Però , più gli anni passavano e meno accettabile diventava questa affermazione, neppure come metafora. Dire oggi che un certo carattere è genetico implica la necessità di dimostrare quale preciso gene, o insieme di geni, è responsabile di tale carattere. O, come minimo, bisognerebbe predisporre delle prove empiriche di innatezza (osservazioni sui gemelli, correlazione con disturbi genetici, ecc.). Ebbene, nessun gene del linguaggio è stato mai trovato. Per un periodo si è creduto che il gene chiamato FOXP2 fosse un buon candidato a tale ruolo. Tuttavia, quest’ipotesi è stata oggi perlopiù rigettata, da Chomsky in primis (cfr. Fitch, Hauser & Chomsky 2005: 190). Oltre al gene in sé , il linguaggio non presenta nessuna delle caratteristiche tipiche che un carattere innato di solito ha (vedi Lombardi Vallauri 2004: §3). Infatti, non presenta difetti genetici dovuti dalla mutazione (come il daltonismo per la visione); di conseguenza, non presenta variabilità genetica dovuta alla selezione naturale delle mutazioni (come il colore della pelle). In generale, un carattere che sia veramente innato di solito non si presenta mai identico in tutti gli individui, ma, appunto, è soggetto alla variabilità . Viceversa, per esplicita ammissione di Chomsky, la GU è uguale per tutti gli individui (le differenze tra le lingue concrete ovviamente non appartengono alla GU). Alcune presunte prove della natura biologica del linguaggio si spiegano più facilmente in altri modi. Ad esempio, l’argomento della velocità di apprendimento: il bambino impara a parlare con una velocità che si pensa impossibile senza un corredo di conoscenze innate. Però , se facciamo i conti più attentamente, vediamo che il bambino passa molto tempo a “studiare” la lingua materna; la studia con il metodo della totale full-immersion, senza poter comunicare in altri modi; e con tutto ciò , comincia a balbettare frasi di una o due parole solo dopo due anni di tempo. Invece, uno studente della facoltà di lingue, che studia una lingua straniera solo un numero limitato di ore al giorno per tre anni, alla laurea spesso riesce a parlare la lingua studiata abbastanza bene (vedi su questo Sampson 2005). Anche la famosa dipendenza dall’età , ossia la presunta incapacità degli adulti di imparare una lingua con la stessa maestria di un bambino, è da riconsiderare. Intervengono qui molti fattori sociali e di altro tipo, ad esempio la capacità di farsi capire in modi non linguistici, la non necessità di padroneggiare la lingua straniera 13

in modo perfetto per comunicare con successo, ecc. Un adulto che fosse capitato in un ambiente linguisticamente del tutto impenetrabile e culturalmente incommensurabile — ad esempio, l’antropologo durante una ricerca sul campo in Amazzonia — impara bene la lingua locale, completamente da zero e spesso con ottimi risultati. Semplicemente perché non ha altra scelta, se vuole sopravvivere. 2.3.2 Aspetti evolutivi In ine, non va dimenticato che l’idea della grammatica che genera frasi in inite è incompatibile con l’evoluzione. L’evoluzione procede per gradi, aggiungendo una modi ica per volta. Ma è impossibile arrivare gradualmente all’in inito. Conscio di questo, Chomsky ha da sempre sostenuto che il gene del linguaggio sarebbe comparso non per selezione naturale, ma grazie a un’unica mutazione fortuita avvenuta in un unico individuo, da cui discenderebbero tutti gli essere umani oggi viventi. Notare che, almeno inizialmente, tale individuo non avrebbe potuto parlare con nessuno, perché era l’unico portatore della mutazione, e questo rappresenta una grossa dif icoltà perché è noto che in assenza di stimolo esterno il linguaggio non fa la sua comparsa nel parlante. Cioè , quand’anche innato, il linguaggio ha bisogno di essere attivato dall’esterno per formarsi completamente. Cosa pensano i biologi genetisti di quest’idea di Chomsky lo riassume bene Behme (2014: 7): From a biological perspective, the saltational account is so outlandish that it has been virtually unanimously rejected by researchers who disagree with each other on many other aspects of language evolution […]. Evolutionary biologists call speculations ‘in which a freak mutation just happens to produce a radically different and serendipitously better equipped organism’ (Deacon 1997: 35) ‘hopeful monster’ theories, and emphasize their close resemblance to Intelligent Design or divine creation stories. L’antidarwinismo di Chomsky non è neanche un segreto. Egli stesso candidamente lo ammetteva quando sosteneva che, per quanto riguarda lo studio dei fenomeni mentali, la spiegazione evolutiva sarebbe un semplice deus ex machina (Chomsky 1988: 158). Solo in tempi recenti ha cercato di “fare pace” con la biologia evolutiva.

3

Evoluzione storica della teoria generativista

Il generativismo di Chomsky ha attraversato varie fasi. Assunti e postulati venivano cambiati spesso con una rapidità impressionante. Ciò che prima si considerava assolutamente imprescindibile e auto-evidente, veniva poi abolito o contraddetto negli sviluppi successivi della teoria, vedi un elenco di esempi in Behme (2014: 689). L’idea dell’innatismo è sopravvissuta a tutte le varie evoluzioni della teoria, anche se qualche cambiamento c’è stato anche qui. Vale quindi la pena ripassare velocemente tale evoluzione. Per altri dettagli si rimanda il lettore a numerosi testi che trattano la storia di questa disciplina, ad esempio: Ludlow (2011: Cap. 1) e 14

Newmeyer (1996). Per una storia anche sociale del generativismo si veda Lasnik & Lohndal (2013).

3.1

Prima fase

Le prime fasi, chiamate “Standard” ed “Extended Standard theory”, presentavano una GU con un numero abbastanza alto di regole che erano piuttosto anglocentriche, nel senso che fenomeni grammaticali propri dell’inglese venivano attribuiti alla GU. L’inglese inizialmente fu l’unica lingua d’esempio usata da Chomsky, anche dichiaratamente (vedi Chomsky 1965: 3; cfr. Lasnik & Lohndal 2013: 49). Questo atteggiamento non era dovuto all’ignoranza di lingue diverse dall’inglese, ma a una presa di principio: la GU è universale, quindi una lingua qualsiasi ne è un rappresentante af idabile. L’anglocentrismo comunque non è stato mai cancellato del tutto neanche nelle fasi successive della teoria. In questa fase Chomsky propose il concetto di “autonomia della sintassi”: la semantica, cioè il signi icato delle parole e delle frasi, il contesto d’uso, ecc., non hanno — a suo parere — alcuna rilevanza nel processamento dell’input linguistico. Questo porta a un curioso ragionamento circolare, su cui rimando a Lombardi Vallauri (2012: 239): Primato della sintassi ⇒ Trascurare semantica e contesto ⇒ Concepire l’acquisizione come guidata dalla sola sintassi ⇒ Credere che dallo stimolo manchi informazione necessaria ⇒ Postulare che lo stimolo sia nella GU innata ⇒ La sintassi è promossa a modulo nel cervello ⇒ La sintassi è più importante della semantica. Insomma, ignorare tutto salvo la sintassi porta a concludere che la sintassi sia la sola cosa importante.

3.2

Seconda fase

Negli anni ’80 e l’inizio del decennio successivo, con “Government and Binding” (successivamente “Principles and Parameters”), il generativismo cercò di diventare più coerente con i fatti grammaticali di lingue diverse dall’inglese. Questo comportò una parziale rinuncia al principio dell’autonomia della sintassi introducendo constraints semantici nella GU. Parallelamente si osservò una crescita esponenziale dell’astrattezza della teoria, che si allontanava sempre di più dall’osservabilità diretta. La pratica del generativismo consisteva sempre più nella manipolazione di oggetti o molto astratti o concreti ma non visibili (come le tracce, il PRO, ecc.). L’accettazione di entità non visibili permette di “vedere” nelle grammatiche non inglesi qualcosa di tipicamente inglese. Prendiamo un esempio riportato da Boeckx (2006), un divulgatore del generativismo. Come è noto, quando vogliamo formulare una domanda in inglese dobbiamo portare all’inizio di frase la parola interrogativa (tipo what, where, who, how ecc.), per esempio: What did John buy?

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Il generativismo afferma che questa frase deriva, per trasformazione, da una struttura soggiacente del tipo: Did John buy what? Cioè , la trasformazione consiste nel fatto che l’elemento interrogativo what viene spostato dalla sua posizione sintatticamente attesa — in quanto è l’oggetto diretto del verbo — alla posizione iniziale. Ora, questo succede regolarmente in inglese, ma non necessariamente in altre lingue. Però si sostiene che tale trasformazione farebbe parte della GU. Prendiamo la corrispettiva frase in cinese: Zhāngsān mǎi le shénme? Traducendo parola per parola è : ‘Zhangsan comprò cosa?’ Quindi l’elemento interrogativo (shenme ‘che cosa’) non viene spostato all’inizio di frase. Invece, secondo il generativismo «[…] Chinese question words front to the beginning of the sentence as they do in English, but that this fronting is not pronounced» (Boeckx 2006: 44). Ora, il lettore non specialista potrebbe sospettare che ci sia qualche modo tecnico per spiegare questa bizzarria (una cosa c’è ma non si vede!). In realtà non c’è alcuna spiegazione tecnica, è proprio quello che sembra: postulazione di un fenomeno invisibile senza alcuna conferma empirica.

3.3

Terza fase (e oltre)

Il generativismo della fase di “Government and Binding” appariva, ed era, eccessivamente complesso. Pertanto nel 1995 Chomsky pubblica una nuova versione della sua teoria, che non chiama neanche più “teoria” ma “programma” (un irrilevante gioco terminologico, cfr. Behme 2014: 676, nota 6). Lo scopo è rendere la GU più semplice ed economica. Si tratta del “Minimalist Program”. In questa versione Chomsky incorpora una serie di principi elaborati dai suoi “nemici storici”, ossia i linguisti funzionalisti: si ammette che, almeno in parte, il linguaggio è determinato dalla funzione che svolge nella comunicazione, nonché dall’esperienza del parlante. Inoltre abdica a una parte rilevante dei postulati di una volta, tra cui la famosa “struttura profonda”. Si sacri icano quasi del tutto anche gli universali linguistici, vedi Culicover (1999: 138). La svolta è talmente radicale che, almeno nei primi anni, non pochi linguisti generativisti rimasero fedeli al framework precedente e non accettarono più il salto generazionale della teoria solo in virtù del principio dell’autorità (come invece avevano sempre fatto in passato). In anni ancora più recenti si può osservare un’inaspettata mossa di Chomsky verso la biologia evolutiva, che prima aveva disprezzato. In questa fase, contrassegnata più da libri-intervista autocelebrativi che da lavori scienti ici, pur rimanendo nel solco del “Minimalist Program”, Chomsky usa spesso il termine biolinguistica per indicare il proprio approccio allo studio del linguaggio. La recente conversione di Chomsky a posizioni più evoluzioniste — dovuta, secondo Bickerton (2009: 532), all’alleanza proprio con Hauser — comporta la rinuncia ad ulteriori pezzi della teoria precedente. Si ammette che il linguaggio, almeno in parte (Faculty of Language in Broad sense, FLB), si sia evoluto sotto la 16

pressione di fattori ambientali, mentre solo un suo nucleo estremamente ristretta (Faculty of Language in Narrow sense, FLN) sarebbe dovuto a fattori innati. Secondo Bickerton (2009: §7) una delle tacite rinunce è stata addirittura la ricorsività stessa: al suo posto subentra il concetto di iterazione, molto meno impegnativo da un punto di vista logico. Chomsky e colleghi hanno scritto di recente: «Ultimately, we think it is likely that some bona ide components of FLN — mechanisms that are uniquely human and unique to language — will be isolated and will withstand concerted attempts to reject them by empirical research» (Fitch, Hauser & Chomsky 2005: 206). Si ipotizza addirittura che «if future empirical progress demonstrates that FLN represents an empty set, so be it» (Fitch, Hauser & Chomsky 2005: 203). Questa apertura è una tacita ammissione che inora l’argomentazione a favore dell’innatismo non è stata convincente.

4 4.1

Problemi di logica e metodologia Teorema di Gold

Nella discussione da cui questo articolo trae origine a un certo punto mi veniva tirato in ballo il risultato di Mark Gold (1967) sulla cosidddtta learnability dal punto di vista della logica formale. Questo ci spinge a spendere qualche parole circa il Teorema di Gold (TdG) e la sua rilevanza per il problema dell’innatismo; per ulteriori dettagli tecnici si rimanda a si consiglia la lettura di Johnson (2004), in cui si spiega in termini accessibili il senso del TdG (senza sacri icare il rigore formale), e successivamente si fa luce sulla sua reale portata per gli studi “cognitivi”, che includono la linguistica. Il teorema è spesso travisato dagli umanisti, che lo citano senza averlo letto e/o capito. Ad esempio cosı̀: «A version of the problem has been formalized by Gold […]. No known “general learning mechanism” can acquire a natural language solely on the basis of positive or negative evidence» (Hauser, Chomsky & Fitch 2002: 1577). Questa dicitura, per cominciare, non riassume bene il TdG (per altri esempi simili vedi Johnson 2004: §3). Gold si pone il problema della formalizzazione logica del processo di apprendimento di linguaggi di tipi diversi. Lo scopo inale è scoprire se esistono delle condizioni in cui l’apprendimento non sia possibile. Per trovare tali condizioni egli prova a modi icare i seguenti parametri: tipo di linguaggio appreso, tipo di stimolo jtilizzato, strategia di apprendimento. Il risultato di Gold consiste nel dire che, assumendo come strategia di apprendimento la cosiddetta identi icazione nel limite (cfr. Gold 1967: 449), e considerando un input esclusivamente positivo, si dimostra l’esistenza di numerose classi di linguaggi che nessun apprendente potrà mai imparare. Il che è ben diverso dalla “traduzione” che ne dà Chomsky e associati. Ad esempio, Gold (1967: 450) dice esplicitamente che «identi iability (learnability) is a property of classes of languages, not of individual languages», quindi il suo risultato non riguarda «a natural language», come sostiene Chomsky.

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Gold (1967: §4) stesso si chiede quali siano le conseguenze del TdG sugli studi psicologici dell’acquisizione del linguaggio nei bambini e ne ipotizza tre: 1) il bambino non impara la grammatica della lingua dei genitori in modo perfetto; oppure 2) lo stimolo negativo esiste, sebbene in forme che sfuggono all’attenzione dei linguisti, ad esempio come risposta comportamentale; oppure 3) l’assenza di stimolo fa le veci dello stimolo negativo: tutto ciò che il bambino non sente sarà da lui considerato agrammaticale. Come vediamo, l’innatismo non è nemmeno menzionato da Gold tra le conseguenze più probabili del TdG. Per un periodo il TdG ebbe un impatto molto forte sugli studi di psicolinguistica, ma poi è passato di moda (non cosı̀ nella logica, nell’informatica e nella teoria del machine learning dove, invece, ha generato un intero ilone di studi). Dal punto di vista degli studi della mente, il modello del learning considerato da Gold è eccessivamente irrealistico. In particolare, il suo concetto di identi icazione nel limite è estremamente dissimile dal modo in cui avviene l’acquisizione del linguaggio nei bambini. Semplicemente, TdG non è applicabile in modo produttivo al linguaggio naturale. Insomma, non si può che condividere le parole di uno studioso in luente che recentemente ebbe a dire: «In fact, Gold’s theorem […] [does] not seem to have empirical relevance for linguistics, at least that I can see». Chi è lo studioso? E Noam Chomsky (2004: 176); cfr. anche la discussione in Johnson (2004: 580–582). Si noti che questo giudizio negativo è dovuto a un possibile fraintendimento del testo di Gold da parte di Chomsky (vedi Johnson 2004: 583). Chomsky gli rimprovera di non essersi occupato della cosiddetta strong — anziché weak — generative capacity, ossia la capacità di una grammatica di generare anche la struttura sintattica di una frase, oltre che la semplice sequenza lineare di parole nell’ordine giusto (vedi Chomsky & Miller 1963). Ma Gold, in effetti, de inisce due diverse funzioni, chiamandole tester e generator; quest’ultima assomiglia molto a ciò che Chomsky vorrebbe trovare. E in generale, il TdG è suf icientemente astratto per poter trattare anche la strong generative capacity delle grammatiche.

4.2

Proposta alternativa: acquisizione probabilistica

Se, da un lato, dobbiamo effettivamente riconoscere a Chomsky il merito di aver formulato il problema dell’apprendimento, è anche vero che le prime soluzioni realmente funzionanti sono arrivate altrove, ossia nell’ambito dell’apprendimento statistico-probabilistico. L’dea è che il linguaggio si apprende “dall’esterno”, tramite un continuo scambio di frasi (di complessità sempre maggiore) tra l’infante e il genitore, e che alla ine l’infante è portato a convergere verso la grammatica dei suoi genitori con un’approssimazione accettabile. Il famoso stimolo, a ben guardare, si scopre non cosı̀ povero e neanche sprovvisto di giudizi negativi, solo che questi arrivano in forma indiretta, anziché come istruzioni esplicite. Questo modello è , per cominciare, molto più verosimile e realistico rispetto all’innatismo. L’apprendimento tramite tentativi ed errori caratterizza l’essere umano in tutte le sue attività . Inoltre, questo è un approccio che funziona nel senso che permette l’applicazione tecnologica. La maggioranza dei moderni sistemi di intelligenza arti iciale, machine learning, traduzione automatica, ricerca testuale in ge18

nerale (vedi qui), e la ricerca semantica in particolare, si basano proprio su questo principio. Uno studio recente di Zuidema (2003) dimostra che il circuito dell’apprendimento potrebbe essere riformulato in forme ancora più simili all’apprendimento naturale. Secondo Zuidema, una cosa non considerata da Gold è il fatto che l’apprendimento è ciclico: l’input linguistico del bambino che apprende una linguatarget fu, a sua volta, il target degli apprendenti della generazione precedente. In altre parole, l’input è già reso fortemente speci ico da generazioni di apprendenti. Zuidema ha creato un algoritmo funzionante che impara una grammatica in modo ciclico. Vi si osserva come a ogni iterazione la qualità dell’apprendimento aumenta per stabilizzarsi da una certa generazione in poi. Quindi, mentre gli algoritmi basati sull’apprendimento statistico hanno dimostrato la propria ef icacia ingegneristica, l’approccio innatista non solo non ha prodotto la descrizione completa né della GU, né di una singola lingua nella sua interezza, ma non ha nemmeno elaborato un modello dettagliato di apprendimento basato sulla GU innata, si veda la monogra ia di Clark & Lappin (2011). Di solito i generativisti si limitano a una retorica piuttosto ingenua: «Much of the efforts of innatists […] are spent on showing examples of subtle grammatical judgements and asking rhetorically “How can a poor child possibly learn this grammatical rule from the available evidence?” and concluding “It must be innate!”» (Johansson 1991: 7).

4.3

Metodo “galileiano”

Un difetto tipico della linguistica di Chomsky è la tendenza a trascurare i dati per “far tornare” la teoria. In un certo senso, l’antiempirismo è insito nel metodo stesso del generativismo. Soprattutto negli anni recenti la tendenza è quella di manipolare arbitrariamente strutture e categorie per de inizione non visibili e non testabili empiricamente. Facciamo un esempio. Fin dagli esordi il generativismo era basato su due concetti base: i costituenti sintattici (ad esempio, il sintagma nominale), e le trasformazioni (ossia, lo spostamento dei sintagmi da una parte all’altra all’interno della frase). Ora, i costituenti sono empiricamente testabili. I test consistono proprio nella manipolazione sintattica dei medesimi; è considerato un costituente quel gruppo di parole che rimane integro durante una trasformazione sintattica. Quindi le trasformazioni rappresentano il contesto che de inisce il costituente/sintagma. Ma qual è il test per dire che una certa trasformazione effettivamente esiste? Nessuno, se non la sua utilità alla teoria. Di fatto, le trasformazioni sono basate spesso sul principio di autorità , in quanto enunciate da Chomsky. E questo è anche più grave dell’anglocentrismo: rende la teoria totalmente infalsi icabile (e infatti il numero e il tipo di trasformazioni cambia di anno in anno, con una velocità impressionante). Conscio di ciò , Chomsky ha dichiarato di aderire a un nuovo metodo scienti ico, che chiama Galileian style. Ossia: le misurazioni dei dati che riusciamo a fare sono imperfette e non sempre ci danno i risultati attesi, ma questo non pregiudica la teoria perché essa è più interessante dei dati (che prima o poi torneranno, basta che raf iniamo la misurazione). Per un’analisi del metodo e dei precedenti galileiani si veda Botha (1982). Qui citeremo le parole di Chomsky (2002: 99): 19

«the Galilean style […] is the recognition that it is the abstract systems that you are constructing that are really the truth; the array of phenomena is some distortion of the truth [and] it often makes good sense to disregard phenomena and search for principles». Ci sono buoni argomenti per dubitare che tale metodo sia effettivamente ascrivibile a Galileo: «Fischer (1992) argues convincingly that the Galilean Method has been seriously misrepresented by Paul Feyerabend. It seems that Chomsky’s ‘Galilean style’ is based not on Galileo’s work but on Feyerabend’s misinterpretation of that work» (Behme 2014: 688, nota 19). Quando poi Chomsky cerca di esempli icare l’applicabilità del suo metodo “galileiano”, dice testualmente: «[…] l’economia politica marxista, con le sue astrazioni di vasta portata, ne è un chiaro esempio» (Chomsky 1979: 353). In generale, le disquisizioni sul metodo hanno spesso il retrogusto di un escamotage per salvare la faccia. Il metodo della ricerca deve trasparire dalla ricerca stessa, deve essere non opinabile e comunque condiviso dalla comunità scienti ica. Soprattutto, non dovrebbe sembrare infalsi icabile.

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Cosa rimarrà di Chomsky

La mia critica è rivolta soprattutto agli aspetti iloso ici del pensiero di Chomsky. Però , la linguistica di Chomsky è molto migliore della sua iloso ia. I risultati puramente tecnici sono spesso — benché non sempre — brillanti. La sua Gerarchia delle grammatiche formali è , ancora oggi, un contributo fondamentale per l’informatica teorica. Se dovessimo elencare i principali meriti scienti ici di Chomsky come autore dovremmo aggiungere anche alcuni risultati raggiunti da altri autori ma grazie al suo framework teorico, il generativismo. Di seguito ne elenchiamo alcuni, tanto per dare un’idea: 1. In generale, l’aver rivolto l’attenzione degli studiosi verso lo studio formale delle strutture sintattiche. Ma la portata rivoluzionaria di ciò non va comunque esagerata: non è vero che Chomsky ha risollevato la linguistica da una palude, né che ha avuto per primo l’idea di studiare la sintassi. 2. Aver esplorato effettivamente molto a fondo la sintassi della lingua inglese. 3. Più in particolare, aver osservato alcuni fenomeni complessi che prima non erano noti, e forse non sarebbero stati scoperti senza il formalismo generativista: (a) Classi icazione dei verbi intransitivi in inaccusativi e inergativi. (b) Regole sulla estraibilità di certi costituenti e la non estraibilità di altri dalle frasi relative (le “isole” sintattiche). (c) Vincoli sulla posizione delle pro-forme rispetto all’antecedente, in dipendenza dal cosiddetto “c-comando”.

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4. Tra i meriti di Chomsky come linguista descrittivista è famosa, ad esempio, la precisa ed esaustiva formalizzazione del funzionamento dei verbi ausiliari in inglese, vedi Chomsky (1957: §5.3). Boeckx (2006: 35) sostiene che questo risultato, già di per sé , convinse molti linguisti a “convertirsi” al generativismo. Si può comunque obiettare che alcuni di questi fenomeni non sono dei veri fenomeni, ma dipendono dalla postulazione di certi principi generativisti, di cui sono una conseguenza. Ad esempio, per credere nelle “restrizioni di estraibilità ” bisogna prima convincersi dell’esistenza dell’“estrazione” in quanto fenomeno sintattico (cosa non scontata). L’impressione generale è che la iloso ia innatista semplicemente non serva a niente, nel lavoro pratico del linguista generativista. Cioè le varie scoperte elencate sopra potevano essere state fatte anche in assenza di tale assunto. Una speranza disattesa è quella riposta da molti nella natura formalista del generativismo, la sua apparenza simil-matematica. Purtroppo non è nulla di sostanziale. La matematica non viene usata come strumento di veri ica nel generativismo: non ci sono dimostrazioni di teoremi nel senso proprio del termine. Chomsky (2006: 112, nota 12) dice: «In general, a set of rules that recursively de ine an in inite set of objects may be said to generate this set. Thus a set of axioms and rules of inference for arithmetic may be said to generate a set of proofs and a set of theorems of arithmetic». Tuttavia, il giusto paragone per la sua grammatica generativa non sono gli assiomi di un sistema assiomatico-deduttivo, ma piuttosto la de inizione di un linguaggio formale. Qualche volta nell’ambito generativista si adopera il termine teorema (ad esempio, il “PRO theorem”, proposto e poi disconosciuto dallo stesso Chomsky), ma è dif icile parlare di un teorema dimostrato, perché a mancare è proprio la procedura di dimostrazione (cfr. Sadock 2012: 71). In generale, mi permetterei di osservare che il lavoro di Chomsky sarebbe andato incontro a molte meno critiche e sarebbe stato molto più utile se: 1. avesse proposto l’idea del linguaggio in inito solo come idealizzazione scienti ica, non come una realtà biologica; cosı̀, per misurare la lunghezza della strada sotto casa utilizziamo la geometria euclidea, con la sua linea retta in inita, però non ci sogniamo di dire che tale strada è una linea in inita; 2. avesse rinunciato all’universalismo della propria teoria ammettendo di descrivere la grammatica della lingua inglese, non la presunta grammatica universale; in assenza di questa ammissione una buona parte dei suoi risultati continua a essere smentita dai dati non inglesi; 3. avesse rinunciato a legare la propria teoria linguistica a presupposti biologici (genetici, isiologici, evoluzionistici ecc.): sbagliare qui è in troppo facile mentre il vantaggio per l’analisi linguistica in senso stretto è quasi inesistente.

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