NATURALIS PHILOSOPHIA E DIVINA PHILOSOPHIA NEL CAMOERACENSIS ACROTISMUS DI GIORDANO BRUNO

June 13, 2017 | Autor: Barbara Amato | Categoria: Giordano Bruno
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III

VERITÀ E DISSIMULAZIONE L’INFINITO DI GIORDANO BRUNO TRA CACCIA FILOSOFICA E RIFORMA RELIGIOSA

a cura di Massimiliano Traversino Opera pubblicata con il contributo della Fondazione Parco Letterario Giordano Bruno - Nola

IV Proprietà letteraria riservata. I diritti di traduzione in qualsiasi forma, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, della presente opera sono riservati alla Editrice Domenicana Italiana s.r.l., come per legge per tutti i paesi.

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Progetto grafico e redazione di Giuseppe Piccinno.

ISBN 978-88-98264-50-6

V

Sommario

M. Traversino, Presentazione .............................................

IX

PARTE PRIMA Percorsi del pensiero bruniano: cosmologia, antropologia, etica, magia, cristianesimo A. Bönker-Vallon, Mondi uguali, popoli diversi. Annotazioni sul nesso tra cosmologia e antropologia in Giordano Bruno ..............................................................................

3

M. A. Granada, Giordano Bruno. De immenso, I, 1-3, con alcune riflessioni su Bruno e Schopenhauer ..................

17

M. Campanini, Giordano Bruno e Averroè: tematiche a confronto ........................................................................

45

M. Cambi, Magia e lullismo nel pensiero di Giordano Bruno ..............................................................................

63

T. Leinkauf, The concept of “vinculum” and the problem of “contact” and activity between two kinds of being: material and immaterial, finite and infinite, natural and metaphysical ..................................................................

85

A. Schütz, Parallel deaths: suggestions for a Christian contextualization of a teacher of “anti-Christianism”... 125 M. Traversino, Dogma trinitario e infinito universo in Giordano Bruno: spunti dal De docta ignorantia di Cusano ........................................................................... 155

VI

Sommario

PARTE SECONDA Elementi della semantica bruniana della natura: fisica e metafisica, teologia civile e teologia negativa, immanenza e trascendenza P. R. Blum, Giordano Bruno: l’Aristotele dissimulato .......

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A. Bönker-Vallon, Angeli come stelle. Angelologia e fisica eretica nel pensiero di Giordano Bruno ......................... 193 J.-F. Malherbe, Un approccio “congetturale” al pensiero di Giordano Bruno ......................................................... 209 B. Amato, Naturalis philosophia e divina philosophia nel Camoeracensis Acrotismus di Giordano Bruno ............. 223 A. Montano, Giordano Bruno. Tra “teologia civile” e “teologia negativa” ....................................................... 247 D. Knox, Immanenza e trascendenza nel dialogo II del De la causa, principio et uno ............................................... 277 PARTE TERZA Religione, politica e diritto nel tardo Cinquecento di Bruno e oltre D. Panizza, Il cosmopolitismo e le sue aporìe in Alberico Gentili ............................................................................ 295 E. Blum, Religione e politica nel pensiero di Giordano Bruno .............................................................................. 309 P. Prodi, Giordano Bruno e il papato .................................

331

B. Sirks, Gentili and the Tudor view on regal power .........

343

G. Garnett, La Francogallia di François Hotman: la storia come diritto consuetudinario ......................................... 359 R. Giacomelli, L’immagine dell’Anticristo. Diffusione e metamorfosi di un topos negli scritti degli esuli italiani del Cinquecento ............................................................. 381

Sommario

VII

M. Traversino, Sovranità in controluce. Bruno, Gentili e il dibattito cinquecentesco sulla condizione dei nativi americani ....................................................................... 411 Gli Autori ............................................................................

507

Indice dei nomi ...................................................................

515

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NATURALIS PHILOSOPHIA E DIVINA PHILOSOPHIA NEL CAMOERACENSIS ACROTISMUS DI GIORDANO BRUNO * Barbara Amato

La relazione intende affrontare il tema del convegno, Verità e dissimulazione, mediante l’analisi del rapporto tra fisica (naturalis philosophia) e metafisica (divina philosophia) delineato nel Camoeracensis acrotismus1 di Giordano Bruno. La prospettiva assunta al riguardo dal Nolano comporta una revisione totale dell’ordine delle scienze teoretiche codificato da Aristotele e riproposto, secondo diverse letture, dalla Scolastica. Rispetto a quest’ultima il testo bruniano trova ulteriori motivi di * Il saggio che qui si pubblica approfondisce alcune questioni già segnalate nel libro G. Bruno, Acrotismo cameracense. Le spiegazioni degli articoli di fisica contro i peripatetici, a cura di B. Amato, Fabrizio Serra Editore, Pisa-Roma 2009 («Bruniana & Campanelliana», Supplementi, 27 - Testi, 7), contenente la traduzione italiana dell’opera bruniana Camoeracensis acrotismus. Nelle note che seguono il volume sarà indicato con la sigla BAC. Lo sviluppo dei temi esposti nella presente relazione costituirà parte del commento dell’edizione critica dello stesso testo, la cui pubblicazione è prevista entro il 2015. 1 J. Bruni Nolani Camoeracensis acrotismus seu rationes articulorum physicorum adversus Peripateticos Parisiis propositorum, etc., in Id., Opera latine conscripta, a cura di F. Fiorentino [F. Tocco, H. Vitelli, V. Imbriani, C. M. Tallarigo], 3 voll., 8 parti, Morano [Le Monnier], Neapoli [Florentiae] 1879-1891 (rist. anast. Stuttgart-Bad Cannstatt 1962), I,i (Neapoli 1879), pp. 53-190. Nelle note che seguono il testo sarà citato con la sigla BCA.

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contrapposizione nel formulare — seppur implicitamente — il rapporto tra filosofia e teologia secondo termini nuovi, che attribuiscono alla ragione piuttosto che alla fede il primato sulla verità. La radicalità delle tesi sostenute nell’opera induce l’autore a presentarle mediante atteggiamenti di cautela che si traducono talvolta in veri e propri espedienti dissimulatori per poter “dire l’indicibile”, anticipando in qualche misura la strategia del Nolano al processo per eresia. Il saggio si compone di due parti. Nella prima mi soffermerò sulla sezione introduttiva del Camoeracensis acrotismus, evidenziando le avvertenze, gli atteggiamenti mimetici e i topoi desunti dalla tradizione cristiana, mediante i quali Bruno erige attorno alle sue tesi una linea di difesa, atta a prevenire prevedibili accuse di eterodossia con l’assicurazione di limitare la validità delle sue argomentazioni entro una sfera prettamente scientifico-filosofica. Nella parte successiva analizzerò il secondo articolo dell’opera, che tratta specificamente del rapporto tra fisica e metafisica. Mediante il confronto con il testo di Aristotele e con i commentari di Averroè e Tommaso d’Aquino, si intende mostrare come la critica di Bruno ai «peripatetici» implichi inevitabilmente una nuova visione del rapporto filosofia-teologia, che esclude sia l’ipotesi di una doppia verità sia la possibilità di una conciliazione ragione-rivelazione e finisce per estendere la validità del proprio discorso al di là del puro ambito scientifico, riconoscendo il lume naturale quale unico criterio di verità e di guida morale dell’uomo. 1. L’EXCUBITOR E LE EPISTOLE DEDICATORIE: ARTIFICI DISSIMULATORI PER DIRE L’INDICIBILE Nel Camoeracensis acrotismus, pubblicato a Wittenberg nel 1588, Giordano Bruno rielabora la lezione di filosofia naturale che aveva proposto due anni prima presso il Collège de Cambrai dell’Università di Parigi. In

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essa egli aveva espresso in modo inequivocabile i principi di una nuova fisica, radicalmente antiaristotelica, suscitando il dissenso unanime della platea intervenuta. In seguito a questa vicenda Bruno avrebbe lasciato definitivamente la Francia per dirigersi in Germania2. L’opera si presenta come una discussione specialistica sulla Fisica e sul De coelo di Aristotele, i cui capisaldi vengono scardinati con dimostrazioni rigorosamente tecniche. Riappaiono dunque, in una sorta di commentario in negativo, tutte le argomentazioni contro i fondamenti della filosofia naturale aristotelica che il Nolano aveva già esposto nei dialoghi italiani e che avrebbe in seguito sviluppato nei poemi francofortesi. Per la prima volta in latino e al cospetto di un pubblico di addetti ai lavori, Bruno enuclea tutti gli errori della fisica e della cosmologia peripatetiche, con una ridefinizione puntuale delle nozioni scientifiche che li sorreggevano. La materia, l’infinito, il continuo, il movimento, lo spazio, il tempo, la perfezione dell’universo, le leggi celesti, la gravità dei corpi ricevono dall’analisi bruniana una valenza radicalmente diversa, divenendo gli elementi costitutivi di un nuovo ordine fisico e cosmico. Sebbene la sede scelta per la conferenza, il Collège de Cambrai, che allora ospitava i lecteurs royaux, fosse un auditorio più tollerante di quello dei filosofi della Sorbona, il Nolano ritenne opportuno prevenire eventuali reazioni mediante formule ed espedienti cautelativi. Innanzitutto, nel dibattimento non sarà lo stesso Bruno a pronunciare gli argomenti contra la dottrina aristotelica, ma il suo discepolo Jean Hennequin, sotto il cui nome venne stampato per l’occasione anche l’opuscolo contenente le tesi oggetto della discussione, i Centum et viginti articuli de natura et mundo adversus Peripateticos3. Il Nolano assumerà piuttosto il ruolo di moderatore 2 Per le notizie storico-biografiche concernenti il dibattito parigino e la composizione dell’opera mi sia permesso di rimandare a BAC e alla bibliografia in esso citata. 3 Si veda l’edizione critica del testo, corredata dalla traduzione italiana: G. Bruno, Centoventi articoli sulla natura e sull’universo contro i Peri-

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in quella che viene presentata come una «exercitatio»4, quasi un esame per il suo allievo che dovrà poi far fronte agli argomenti pro sollevati dai presenti. Bruno funge dunque da scudo («clypeo»5), pronto ad intervenire qualora il suo studente si trovi in difficoltà. In secondo luogo, lo stesso Hennequin sia nei Centum et viginti articuli, sia nel Camoeracensis acrotismus dichiara preliminarmente che, proponendo la discussione di queste tesi al mondo accademico, il Nolano non intende proclamare in modo perentorio e irrevocabile alcuna cosa che possa invalidare la fede e la religione universali («nihil quod ad universalem fidem atque religionem infirmandam faciat, dicturus et assertive unquam definiturus»6), né erigere un determinato genere di filosofia da anteporre alla verità conforme al lume naturale («ad certum philosophiae genus pro ea, quae secundum humanam rationem est, veritate anteponendum statuendumque»7), ma sollecitare piuttosto gli illustri professori di filosofia a riflettere su quanto sia solida, o — al contrario — confusa, quella dottrina così ampiamente divulgata dalla bocca di tanti celeberrimi peripatetici («quanta sit adeo vulgatae atque in ore plurimorum celeberrimae Peripateticorum disciplinae firmitas, vel infirmitas, elucescat»8). Bruno-Hennequin nell’orazione apologetica iniziale («Excubitor»9) invita pertanto gli uditori a mostrarsi giudici imparziali delle due opposte concezioni filosofiche, a non farsi condizionare dal consenso universale per il dogma aristotelico, a liberarsi dai pregiudizi e dalla forpatetici (Centum et viginti articuli de natura et mundo adversus Peripateticos), a cura di E. Canone, trad. it. di C. Monti, Fabrizio Serra Editore, Pisa-Roma 2007 («Bruniana & Campanelliana», Supplementi, 19 - Testi, 5). 4 BCA, p. 82. 5 Ibid. 6 Ibid. 7 Ibid. 8 Ibid. 9 «Excubitor seu Ioh. Hennequini apologetica declamatio habita in auditorio regio parisiensis academiae in fest. Pentec. anno 1586 pro Nolani articulis», ibid., pp. 58-71.

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za dell’abitudine che li vincola alla sola dottrina in cui sono stati «allievati e nodriti»10 e a sospendere il giudizio, almeno finché non avranno ascoltato le ragioni della parte contraria, così da produrre infine una sentenza equa e ben ponderata. E, qualora nel corso della disputa riuscissero a confutare gli argomenti della nolana filosofia con dimostrazioni razionali — prosegue Hennequin —, si accetterà la sconfitta e si propenderà per la dottrina più conforme alla verità: permettetemi di tenere ancora sospeso il giudizio fino a che non sia confutato con altri più numerosi argomenti e ragioni ritenuti validi dal collegio dei filosofi, cosicché con maggior certezza sia infine eventualmente trascinato nell’opinione che preferite.11

In queste pagine iniziali del Camoeracensis acrotismus, sia nelle lettere dedicatorie — rivolte rispettivamente ai filosofi francesi12, al re di Francia Enrico III13 e al rettore dell’Università parigina Jean Filesac14 —, sia nell’orazione preliminare, Bruno anticipa la strategia dissimulatoria che diverrà il fulcro della sua linea difensiva nel processo per eresia. Da un lato la parvenza di un’esercitazione accademica, che, provocando la platea e il lettore con argomenti rivoluzionari e apparentemente assurdi, sembra voler mettere alla prova — e semmai confermare — la filosofia in auge. Dall’altro, l’excusatio iniziale, con cui Hennequin tutela le tesi del suo maestro contro prevedibili accuse di eresia e antiscientificità, tradisce la consapevolezza di divulgare un pensiero inconciliabile non solo con la scienza aristotelica, ma anche con i dogmi della religione. Da una parte, dunque, si intende rivendicare il diritto di esprimere liberamente il proprio 10 G. Bruno, De gli eroici furori, a cura di E. Canone, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2011, p. 19. 11 BAC, p. 50. Cf. BCA, p. 64. 12 Ibid., p. 55. 13 Ibid., pp. 55-56. 14 Ibid., pp. 56-58.

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pensiero; dall’altra, poiché si è coscienti del messaggio sovversivo che si sta per enunciare, lo si contiene in una discussione tecnica che, in quanto circoscritta ad una sfera puramente filosofica, lascia intendere di non intaccare l’ambito della fede. In questi termini Bruno rassicura il rettore dell’accademia parigina: «cuicumque liceat philosophice in philosophia libere opinari»15. Sarà questo il leitmotiv delle deposizioni del Nolano di fronte ai giudici inquisitori, fin dai primi costituti veneti, dove egli ammetterà di aver scritto «molte cose, quali saranno contrarie alla fede catholica», ma ribadendo di averle sostenute esclusivamente sul piano filosofico, secondo il solo «lume naturale» e di non essersi mai arrogato l’autorità di professare intenzionalmente nulla di antitetico al dogma cattolico16. Una dichiarazione, questa, che come evidenzia Firpo «riassume ed illumina tutta la sua futura condotta nel processo, dalla iniziale impostazione delle difese, fino alla suprema ostinazione che lo trasse al rogo»17. L’adozione di misure cautelative nel render pubbliche tesi eterodosse appariva, d’altro canto, una consuetudine doverosa in un periodo dominato dall’aristotelismo e dalla reazione cattolica ad ogni minima avvisaglia di eresia. In molti luoghi, il Camoeracensis acrotismus sembra ricalcare gli stessi atteggiamenti di prudenza Ibid., p. 57. L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, a cura di D. Quaglioni, Salerno, Roma 1993, Doc. 13 (Terzo costituto), pp. 166-167: «La materia de tutti questi libri, parlando in generale, è materia filosofica... nelli quali tutti io sempre ho diffinito filosoficamente et secondo li principii et lume naturale, non havendo riguardo principal a quel che secondo la fede deve essere tenuto; et credo che in essi non si ritrova cosa per la quale possa esser giudicato, che de professo più tosto voglia impugnar la religione che essaltar la filosofia, quantonque molte cose impie fondate nel lume mio naturale possa haver esplicato»; ibid., Doc. 14 (Quarto costituto), p. 172: «Io credo che nelle mie opere si troveranno scritte molte cose, quali saranno contrarie alla fede catholica, et che parimente nelli raggionamenti haverò detto cose ch’haveranno potuto apportar scandalo; ma però io non ho detto né scritte queste cose ex professo, né per impugnar direttamente la fede catholica, ma fondandomi solamente nelle raggioni filosofiche». 17 Ibid., p. 22. 15 16

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adoperati — già in epoca pre-tridentina — da Copernico nella sua Prefazione al De revolutionibus orbium caelestium18. In primo luogo, come Copernico, Bruno sa di proporre un discorso rivoluzionario, che può risultare «absurdissimum»19 e, pertanto, confessa di aver indugiato a lungo prima di decidere di pubblicarlo: Ego plane (auditores) videns, et ex animo videns, longe lateque sophisticae philosophiae tenebras titulo et existimatione lucis contra veritatis fulgorem ita grassantes, atque praesumptuosissime triumphantes... diu haerere, meque continere coactus sum, ne opus tam (primo tamen aspectu) arduum in caussa adeo neglecta suscipienda adorirer, quo pro viribus laborarem e cathedra sapientiae extructum aedificium, tam bene ornatam, adeoque strenue munitam Aristotelis similiumque authoritatem deturbare velle, eque fundo caliginis veluti sordescentem eruere veritatem.20 

In secondo luogo, come l’astronomo polacco, il Nolano mitiga l’impatto dirompente della sua fisica, appellandosi ad una tradizione filosofica più antica dell’aristotelismo, la cosmologia pitagorica, chiamata ad accreditare un rinnovamento epocale dell’insegnamento di tale disciplina21. Come Copernico, infine, l’autore del Camoeracensis acrotismus delimita il suo ragionamento entro un ambito 18 Cf. BAC, Introduzione, p. 14, dove si evidenzia il legame dell’opera bruniana con il testo di Copernico, a cominciare dalla suggestione che il Nolano potrebbe aver ricevuto, nella scelta del titolo del suo trattato, dal termine «ἀκρόαμα» con cui l’astronomo polacco, nella lettera dedicatoria al pontefice Paolo III, definisce la tesi eliocentrica che sta per presentare. 19 BCA, p. 59. 20 Ibid., pp. 59-60. Cf. N. Copernico, De revolutionibus orbium caelestium, a cura di A. Koyré, trad. di C. Vivanti, Einaudi, Torino 1975, Praef., p. 8: «Itaque cum mecum ipse cogitarem, quam absurdum ἀκρόαμα existimaturi essent illi, qui multorum seculorum iudiciis hanc opinionem confirmatam norunt, quod Terra immobilis in medio caeli tamquam centrum illius posita sit, si ego contra assererem Terram moveri, diu mecum haesi, an meos commentarios in eius motus demonstrationem conscriptos in lucem darem». 21 Ibid., p. 18. Cf. BCA, p. 64.

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prettamente tecnico, riservato agli esperti («naturae rerum peritiores»22), dal quale sono esclusi il volgo ignorante, i sofisti23, i ciarloni («ματαιολόγοι»24), i «ciarlatani»25 o illusionisti della ragione, che illegittimamente allignano tra i filosofi «come i fuchi tra le api»26. «Mathemata mathematicis scribuntur»27, afferma Copernico: l’accesso alla verità è privilegio degli specialisti, poiché in mano agli incompetenti finirebbe per esser fraintesa, disprezzata28, «rigettata fuori a fischi»29, anziché essere «apprezzata ed abbracciata»30. Tuttavia, questi argomenti che Copernico utilizza con lo scopo di attutire l’impatto di una teoria astronomica rivoluzionaria, nella sincera convinzione che essa possa essere recepita non solo dai «docti mathematici»31 del tempo, ma dalla stessa Chiesa — come dimostra la dedica della Prefazione a Paolo III —, in Bruno diventano espedienti per dissimulare una posizione consapevolmente eretica. Nel terzo costituto veneto egli stesso ammetterà di aver insegnato a Parigi «cosa contra la religione catholica christiana, benché indirettamente»32. 22 Ibid., p. 61. Cf. N. Copernico, op. cit., Praef., p. 20: «ingeniosi atque docti mathematici». 23 BCA, pp. 59, 71. 24 N. Copernico, op. cit., Praef., p. 22. 25 BAC, p. 50. Cf. BCA, p. 66: «praestigiatorum». 26 N. Copernico, op. cit., Praef., p. 11. 27 Ibid., p. 22. 28 Ibid., p. 10. 29 BAC, p. 47. Cf. BCA, p. 59: «exsibiletur». 30 BAC, p. 45. Cf. BCA, p. 58: «Si vero (quod magis sperarim) per haec exsurgentis philosophiae primordia, aliquid quod posteritas commendare et amplecti possit atque debeat, aperiatur, ipsum sane erit hac vestra principe universitate dignissimum». 31 N. Copernico, op. cit., Praef., p. 20. 32 L. Firpo, op. cit., Doc. 13 (Terzo costituto), p. 167: «Direttamente non ho insegnato cosa contra la religione catholica christiana, benché indirettamente, come è stato giudicato in Parisi; dove pur me fu permesso trattare certe disputationi sotto il titolo de Centovinti articuli contra li Peripatetici et altri volgari filosofi, stampati con permissione de superiori, come fusse lecito trattarne secondo la via de’ principii naturali, non preiudicando alla verità secondo il lume della fede». Vedi anche supra, n. 16. Cf. M. Traversino, Il processo a Giordano Bruno, «Divus Thomas» 3 (2013), pp. 243245.

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Se Copernico, nel 1543, poteva ancora a buon diritto credere di non contraddire la religione e le Sacre Scritture e persino di offrire con la sua teoria dei moti planetari un utile servizio alla Chiesa cattolica, in vista della riforma del calendario ecclesiastico33, Bruno già dal 1586, con i suoi Centum et viginti articuli parigini, estremamente più radicali dell’eliocentrismo copernicano, sa di proporre una lezione incompatibile con il credo cattolico. La delimitazione di campo tra filosofia e teologia, costantemente ribadita nell’Excubitor — così come in altri testi bruniani34 —, si rivela una pura finzione, nella misura in cui essa collide con l’ammissione di un’unica verità, inderogabilmente rispondente a criteri razionali, poiché «mai può esser divina la verità che si sottrae al senso e al giudizio puramente naturale e umano»35. Nello stesso luogo in cui il Nolano nega di voler trascendere i limiti del puro discorso filosofico, entro i quali «non si è tenuti a credere senza capire e non senza ragione occorre assentire o aderire», afferma, altresì, che in nessun modo possiamo esprimere il nostro assenso, se «il lume della nostra scienza e della nostra coscienza» non lo consentono36. Il riferimento al «lume della coscienza», oltre che a quello della scienza, sottintende che il ‘credere’ di cui qui si parla, non si esaurisce in un’adesione puramente teoretica ad una dottrina, ma implica anche un coinvolgimento etico che travalica i confini di una mera indagine razionale sulla natura. Infatti, sia le cautele di Bruno sia l’insuccesso del certamen parigino non furono determinati semplicemente Cf. N. Copernico, op. cit., Praef., p. 23, n. 19. Uno dei luoghi più pregnanti in proposito lo si legge in G. Bruno, De la causa, principio et uno, texte établi par G. Aquilecchia, introd. de M. Ciliberto, trad. de L. Hersant, in G. Bruno, Oeuvres complètes (in corso d’edizione), Les Belles Lettres, Paris 1996, III, pp. 103-109. 35 BAC, p. 47. Cf. BCA, p. 59. 36 Rispetto alla mia precedente traduzione (BAC, p. 50) ho apportato lievi modifiche che mi sembra rendano più efficacemente il testo latino. Cf. BCA, p. 65: «Volens ergo fallitur qui temere credit ubi temere credere non cogitur, ubi non sine ratione adstipulandum subscribendumve, ubi scientiae nostrae, nostrae conscientiae lumen non suffragatur». 33 34

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dalle implicazioni di carattere cosmologico — pur scandalose — che, svolgendo fino in fondo la rivoluzione copernicana, inducevano a varcare i confini di un cosmo chiuso e a librarsi in un universo infinito, con la conseguente relativizzazione di tutti i fenomeni naturali. La nuova concezione della physis offerta da Bruno nel trattato di Wittenberg comportava una revisione della metafisica orientata in una direzione totalmente divergente da quella aristotelico-scolastica, con conseguenze difficilmente accettabili da parte dell’uditorio accademico parigino. Essa metteva in discussione i rapporti tra fisica e metafisica, filosofia e teologia, ragione e fede codificati dai diversi protagonisti della Scolastica, con un intento non solo speculativo, ma anche morale. A partire da una nuova nozione di “natura”, Bruno stava proponendo ai professori parigini, insieme ad uno sconvolgimento totale delle leggi fisiche del cosmo aristotelico, una completa revisione dell’ontologia e dell’antropologia tradizionali. Con i suoi ottanta articoli contro la fisica e la cosmologia aristoteliche, il Camoeracensis acrotismus intendeva offrire altrettante ragioni per abbandonare una visione della realtà e dell’uomo familiare e rassicurante («constans, amicum, atque domesticum»37), e tuttavia falsa, gretta e «volgare»38, a favore di «una filosofia più sensata»39 e vera, sebbene a prima vista «assurdissima». Lo squarcio delle “sfere cristalline” generato dalla «nolana filosofia» rivelava all’uomo di scienza la via per liberarsi finalmente «dal terrore di un’infinita mortalità, di un’ira fatale, di un plumbeo giudizio, di una salvezza del tutto incerta, di un amore parziale, di eterne Erinni»40 e trovare un fon Ibid., p. 59. Cf. BAC, p. 46. BCA, pp. 61, 82. 39 BAC, p. 43. Cf. BCA, p. 55: «Iordanus Brunus Nolanus parisiensibus et aliis e generosissimo Galliarum regno philosophis sensatioris philosophiae dogmatum amicis, et defensoribus. S.». 40 BAC, p. 51. Cf. BCA, p. 67: «ex illo infinitae mortalitatis, fatalis irae, plumbei judicii, incertissimae salutis, partialis amoris, Erinnyum aeternarum... horrore solutus». Cf. M. A. Granada, Cosmología y polémica religiosa en los escritos de 1588, in Id., Giordano Bruno. Universo infinito, unión con Dios, perfección del hombre, Herder, Barcellona 2002, p. 148. 37 38

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damento razionale e naturale del proprio pensiero e della propria esistenza. Se nei dialoghi italiani, soprattutto quelli di argomento etico, Bruno aveva insistito sul valore civile che la religione cattolica sa esercitare sulle masse, sugli «uomini ignoranti» e «scelerati»41, che per domare la loro intemperanza hanno bisogno di credere in una giustizia suprema, dispensatrice di premi e castighi, e dunque sulla necessità di non divulgare la verità a chi è incapace di intenderla, al Collège de Cambrai crede finalmente di aver trovato quell’élite di uomini «contemplativi»42, con cui poter parlare liberamente confidando che quanto dirà non fornirà un alibi a comportamenti amorali. Ancora nell’Excubitor si legge infatti: «qui, dunque, dove è concesso di pensare liberamente, ci si può dedicare all’attività contemplativa in lungo e in largo»43. Mentre le opere italiane segnalavano i rischi civili e morali che sarebbero derivati dal rendere accessibile al volgo la verità, il Camoeracensis acrotismus denuncia in modo perfettamente speculare la “volgarizzazione” della comunità accademica europea («universis Europae Academiis»44), colpevole di diffondere in modo acritico e dogmatico la dottrina aristotelica. Anziché condurre uno studio rigoroso sulla verità, l’università si limita a ripetere un’antica opinione con le stesse modalità con cui si diffonde una voce popolare, che acquista forza persuasiva dall’assiduità della sua trasmissione. Da centro di elaborazione scientifica del sapere, l’accademia è divenuta agli occhi di Bruno il foro della «vulgaris Granada legge questo brano del Camoeracensis acrotismus come una delle più esplicite dichiarazioni bruniane contro la teologia e l’escatologia cristiane. 41 G. Bruno, Spaccio della bestia trionfante, texte établi par G. Aquilecchia, notes de M. P. Ellero, introd. de N. Ordine, trad. de J. Balsamo, in Id., Oeuvres complètes, cit., 1999, V, p. 233. 42 Id., De l’infinito, universo e mondi, texte établi par G. Aquilecchia, notes de J. Seidengart, introd. de M. A. Granada, trad. de J.-P. Cavaillé, in Id., Oeuvres complètes, cit., 1995, IV, p. 95. 43 BAC, p. 50. Cf. BCA, p. 66. 44 Ibid., p. 82.

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philosophia»45, il luogo di amplificazione di una vox populi, scadendo al rango di una piazza popolare animata da «molte contese, molte confusioni, molte dispute, innumerevoli discordie, nulla di ordinato, nulla di chiaro, nulla di sicuro»46. L’obiettivo che Bruno si propone con il Camoeracensis acrotismus è quello di combattere la degenerazione cui è incorsa da tempo la società scientifica internazionale, di risvegliare coloro che per natura sono dotati di un «ingegno più acuto»47 dal torpore in cui sono caduti ad opera di illusionisti della ragione e «profeti deliranti»48. Bruno dunque si investe del ruolo dell’Excubitor, della vedetta della verità, che apre «gli occhi del senso e dell’intelletto»49 di chi si è assopito, preda dell’incantesimo di false credenze, e lo riporta alla realtà. La natura infatti è capace di «farsi intendere da sé»50, se osservata e analizzata con una ragione autonoma. Tolta la «caligine»51 che per troppo tempo ha sepolto la verità e disintossicatisi dal «veleno»52 della vulgaris philosophia che «per tanti secoli e in tante regioni ha dominato così magnificamente sulle scienze da tutte le tribune»53, si potrà dunque vedere la natura in sé stessa e non più riflessa nei mille specchi deformanti costruiti dai peripatetici54. La vulgaris philosophia che si vuole combattere non coincide infatti semplicemente con la dottrina dello Stagirita, ma comprende tutte le amplificazioni con cui essa si è diffusa nel corso del tempo, le quali hanno allontanato sempre di più l’uomo dalla verità. Le stesse interpretazioni scolastiche sembrano non aver compreso neppure ciò che vi era di valido nell’aristotelismo, contaminando Ibid., pp. 61, 82. BAC, p. 50. Cf. BCA, p. 64. 47 Cf. la dedica preliminare ai filosofi francesi: BAC, p. 43 (BCA, p. 55). 48 BAC, p. 51. Cf. BCA, p. 66: «somniantium divinatorum». 49 BAC, p. 50. 50 Ibid., p. 48. Cf. BCA, p. 62. 51 BAC, p. 47. Cf. BCA, p. 60. 52 BAC, p. 46. Cf. BCA, p. 58. 53 BAC, pp. 49-50. Cf. BCA, p. 64. 54 BAC, p. 48. Cf. BCA, p. 62. 45 46

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con ulteriori errori la dottrina originale. Nei primi articoli del Camoeracensis acrotismus, Bruno si dichiara persino interprete fedele e difensore dei principi epistemologici della filosofia aristotelica contro le differenti deviazioni dei peripatetici55. La vulgaris filosofia è dunque il coacervo di una miriade di opinioni sviluppatesi da un ceppo comune, ma poi dispersesi in innumerevoli ramificazioni, spesso contraddittorie fra loro, con il risultato che «ad eccezione della comune denominazione, professione e scuola di provenienza, non vi è nulla di conforme»56. Non può esservi «indizio di falsità e cecità... maggiore di questa situazione in cui... tutti contraddicono tutti, ognuno è da solo, nessuno approva nessun altro in nessun modo e perciò tutti sono stolti di fronte al giudizio di tutti, tranne che di fronte al proprio»57. Il falso ha molteplici facce, mentre la verità è una, poiché è il frutto di una ragione emendata da tutti gli idòla che la condizionano. Pensare liberamente («libere opinari») significa infatti per Bruno affrancarsi dalle false dottrine inculcateci da «ignoranti ciarlatani» e osare aprire finalmente «gli occhi del senso e dell’intelletto», poiché essi sono doni del «dio benefico e della natura» e pertanto non possono ingannarci. La nostra «facoltà discernente e contemplativa» è infatti «la divinità che abita in noi» e, di conseguenza, quanto essa ci farà scoprire non potrà mai essere ingannevole poiché la verità non può esser contraria alla verità, la vera luce non può opporsi alla vera luce58. BAC, Introduzione, pp. 16-21. Ibid., p. 50. Cf. BCA, pp. 64-65. 57 BAC, p. 50. Cf. BCA, p. 65. 58 BAC, pp. 50-51: «Qui, dunque, dove è concesso di pensare liberamente, ci si può dedicare all’attività contemplativa in lungo e in largo, affinché non sembri che gli occhi del senso e dell’intelletto ci siano stati donati invano; occhi che chiudiamo secondo il capriccio di stolti ciarlatani e di ignoranti, e che, ingrati al dio benefico e alla natura, ci caviamo e gettiamo via, come se questi doni non potessero sussistere insieme ad altri doni degli stessi numi e come se la verità potesse opporsi ed esser contraria alla verità, la vera luce alla vera luce. Paventando persino noi stessi, fuggiamo quella facoltà discernente e contemplativa, che discende dalla sostanza ed essenza della nostra natura. Memori della divinità che abita in noi e della luce che risiede nella roccaforte del nostro animo, rivolgiamo, dunque, l’attenzione 55

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Mutuando il linguaggio della teologia cristiana, Bruno sembra qui riproporre il rapporto di complementarietà o di analogia tra verità di fede e verità di ragione concepito da padri e dottori della Chiesa. In realtà, l’equiparazione tra «dio benefico» e «natura» («beneficum deum et naturam»59) fa trasparire un distacco dalla tradizione, i cui termini vengono adoperati per dissimulare un contenuto del tutto opposto alla dottrina cattolica. Riprendendo e sviluppando il paradigma interpretativo di Firpo, secondo il quale il contegno processuale di Bruno fu orientato, «di fronte alle accuse disciplinari o teologiche», a «negare il negabile»60, pur di ricusare qualsiasi ritrattazione in ambito filosofico —, è plausiblie ipotizzare che il ricorso a formule e categorie convenzionali sia un espediente, forse non del tutto conscio e intenzionale, per poter “dire l’indicibile”, ossia che alla ragione umana competa il ruolo di arbitro supremo della verità e alla filosofia il primato sulla teologia. 2. L’ARTICOLO II: NATURALIS PHILOSOPHIA E DIVINA PHILOSOPHIA La linea interpretativa fin qui seguita trova conferma nel prosieguo dell’opera. Lo stesso espediente — ovvero l’assunzione di categorie tradizionali per veicolare contenuti inediti — è, infatti, sistematicamente utilizzato nel Camoeracensis acrotismus, soprattutto nei luoghi in cui il tema in questione non intacca soltanto l’insegnamento peripatetico, ma anche l’«universalis religio». Uno degli da questa parte, dove, se esaminiamo la cosa più da vicino..., ci accorgeremo senza dubbio di aver conseguito quella conoscenza della quale non si trova nulla di più bello, nulla di più degno, nulla di più affine alla verità o di più consono ai proclami della natura, né di più fermo contro i sofismi ingannevoli e la credulità di profeti deliranti». Cf. BCA, p. 66. 59 Ibid. L’iniziale minuscola di «deum» è riscontrabile in tutti gli esemplari cinquecentini che ho collazionato per tradurre il testo. Cf. BAC, Nota al testo, p. 37. 60 L. Firpo, op. cit., p. 109. Cf. infra, n. 88.

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esempi più significativi al riguardo lo si legge nel secondo articolo del Camoeracensis acrotismus61, laddove, in riferimento al proemio della Fisica di Aristotele, si ridefinisce il rapporto tra la fisica e la metafisica, tra naturalis e divina philosophia. Questo è uno dei casi in cui Bruno si presenta come autentico esegeta della filosofia aristotelica contro i travisamenti dei peripatetici. A detta del Nolano, essi non avrebbero compreso le vere intenzioni del Maestro, il quale, affermando nel proemio della Fisica che occorre procedere da ciò che è più intelligibile per noi verso ciò che è più intelligibile in sé, intendeva esprimere l’ordine che «habet contemplatio naturae, per naturalem philosophiam, quae physica dicitur, ad contemplationem naturae per divinam philosophiam, quae metaphysica nominatur»62. L’accusa è generica. Tuttavia, è innegabile il riferimento del testo bruniano ad almeno due fondamentali commentari alla fisica aristotelica: quello di Averroè, che, come ho mostrato altrove63, è il principale testo di riferimento del Camoeracensis acrotismus e quello di Tommaso, il quale, a prima vista, esprime una posizione molto vicina a quella di Bruno64. Averroè intendeva l’affermazione aristotelica come esplicitazione del metodo proprio della fisica che procede dagli effetti alle cause, da ciò che per la nostra conoscenza è più evidente, ma ontologicamente posteriore BCA, pp. 93-96. Ibid., p. 94. 63 BAC, Introduzione, p. 17 e n. 4. A partire dall’art. XLII, l’Acrotismus rinvia ai commentari di Averroè alla Fisica e al De coelo, riportandone il numero corrispondente dell’edizione giuntina, Aristotelis De Physico auditu libri octo. Cum Averrois... commentariis, in Id., Opera cum Averrois commentariis, Venetiis, apud Junctas 1562-1574, 12 voll. (rist. anast. Frankfurt a. M., Minerva, 1962), IV, 1562; Id., De coelo libri quattuor, in Opera, cit., V, 1562. Si veda, ad es., BCA, p. 151: «Nunquam physico propositio vera est, continuum (quodcunque sit illud) ex indivisibilibus non componi; sicut et quod indivisibile moveri nequeat. (vide 32, 86.)». Cf. Aristotelis De physico auditu, cit., comm. 32, ff. 265v I-267r D [VI 4, 234b 10-20], e comm. 86, ff. 301r E-v K [VI 10, 240b 8-20]. 64 Cf. T. Dagron, Unité de l’être et dialectique. L’idée de philosophie naturelle chez Giordano Bruno, Vrin, Paris 1999, pp. 146-151. 61 62

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a ciò che è meno evidente, ma ontologicamente primo. Questo procedimento si contrappone al modello deduttivo delle dimostrazioni matematiche, in cui ciò che è noto per noi coincide con ciò che è più conoscibile in sé e dunque si procede sempre per via deduttiva65. Con questa linea di interpretazione Averroè legge anche quello che segue e così, quando Aristotele afferma che «sunt autem primum nobis dilucida, ac manifesta confusa magis: posterius autem ex his nota fiunt elementa, & principia ijs, qui dividunt haec»66, intende che in fisica sono conosciuti in primo luogo «mixta, s[eu] composita», e da essi si risale agli elementi, ai princìpi e alle cause67. Di conseguenza, la fisica, seguendo la via induttiva del senso ci rende noti dapprima gli individui, come interi («universa»), nella loro indistinta molteplicità, e in un secondo momento gli elementi semplici che li costituiscono. L’interpretazione averroista attribuisce alla fisica la facoltà di risalire dalla conoscenza empirica degli effetti alla dimostrazione del motore primo, che coincide con il soggetto della metafisica. A quest’ultima compete poi il compito di perfezionare la dimostrazione quia della fisica con la dimostrazione propter quid, discendendo secondo l’ordine naturale, dal motore primo agli effetti68. La lettura del filosofo arabo non può esser condivisa pienamente da Bruno, non rispondendo a quanto egli ha già asserito nel primo articolo del Camoeracensis acrotismus, dedicato all’oggetto della fisica. Quest’ultima, in quanto scienza, è, secondo gli stessi principi epistemologici degli Analitici posteriori, conoscenza delle cause, e non degli effetti. Gli enti naturali che appaiono ai sensi sono realtà transeunti, soggette al divenire e pertanto attinenti all’indagine empirica propria di una naturalis historia; non alla scienza, che studia l’universale e il necessario, ossia la natura, quale principio indiveniente Aristotelis De Physico auditu, cit., ff. 6v K-7r B, comm. 2. Ibid., f. 7r B. 67 Ibid., f. 7r C-D, comm. 3. 68 Cf. T. Dagron, op. cit., pp. 146-148, 151. 65 66

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degli enti naturali. A differenza di Averroè, Bruno nega alla fisica un metodo empirico e le riconosce piuttosto il procedimento deduttivo proprio delle altre scienze teoretiche69. La posizione di Tommaso sembra per un verso convergere con quella di Bruno. Egli infatti critica la lettura di Averroè poiché, a suo parere, nel proemio della Fisica, Aristotele non intende ancora illustrare il procedimento euristico proprio della scienza della natura — che esporrà nel secondo libro —, ma esprime la necessità comune a ogni scienza di delimitare preliminarmente il proprio ambito d’indagine70. Dunque, il procedere dal più noto per noi e meno noto per natura al meno noto per noi e più noto per natura non sta qui a significare il metodo induttivo della fisica, ma esprime una norma epistemologica generale che delinea una precisa gerarchia del sapere. All’inizio del suo commentario Tommaso aveva infatti presentato una classificazione gerarchica delle scienze teoretiche, desunta dal VI libro della Metafisica71. In base ad essa, fisica, matematica e metafisica si distinguerebbero per la diversità delle sostanze considerate: la fisica o filosofia naturale verte «de naturalibus»72, ossia su oggetti che sono legati alla materia sensibile, sia nell’essere, sia nella definizione73; la matematica si oc Cf. BAC, Introduzione, pp. 16-21. Sancti Thomae Aquinatis In octo libros Physicorum Aristotelis expositio, cura et studio M. Maggiolo, Marietti, Torino-Roma 1954, l. I, lec. 1, comm. 8, p. 5: «Sciendum autem quod Commentator aliter exponit. Dicit enim quod ibi, Innata autem est etc., vult ostendere Philosophus modum demonstrationis huius scientiae, quia scilicet demonstrat per effectus et posteriora secundum naturam: ut sic quod ibi dicitur, intelligatur de processu in demonstrando, et non in determinando... Unde patet quod eius expositio non est conveniens, quia non coniungit totum ad unam intentionem; et quia hic non intendit Philosophus ostendere modum demonstrationis huius scientiae, hoc enim faciet in secundo libro secundum ordinem determinandi». 71 Ibid., l. I, lec. 1, comm. 2-3, p. 3. Cf. Metaph., VI, 1, 1025b 12-30. Vedi anche ibid., XII, 1, 1069a 27-b 2. 72 Sancti Thomae Aquinatis, op. cit., l. I, lec. 1, comm. 3, p. 3. 73 Ibid.: «de his vero quae dependent a materia non solum secundum esse sed etiam secundum rationem, est Naturalis, quae Physica dicitur». 69 70

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cupa di oggetti non separabili dalla materia nell’essere, bensì nella definizione74; la filosofia prima, o metafisica, si occupa invece di oggetti che non dipendono affatto dalla materia, né nell’essere né nella definizione, o perché non si trovano mai nella materia «ut Deus et aliae substantiae separatae»75, o perché generalmente non si trovano nella materia, «ut substantia, potentia et actus, et ipsum ens»76. È chiaro allora che Tommaso legge nel proemio della Fisica una distinzione gerarchica di ambiti del sapere che attribuisce alla filosofia naturale lo studio degli enti sensibili, intelligibili solo in potenza e dotati di minore entità; uno studio che produce certamente una conoscenza dei principi, ma confusa e indeterminata, in quanto inseparabile dall’elemento materiale. Alla metafisica, cui pertiene lo studio delle sostanze separate, spetterà il compito supremo di rendere chiari e distinti questi principi e di giungere quindi ad una conoscenza «completa in actu»77. L’interpretazione bruniana del passo aristotelico riprende alcuni aspetti della lettura tomista: ibi [scil.: Aristoteles] notat ordinem quem habet contemplatio naturae, per naturalem philosophiam, quae physica dicitur, ad contemplationem naturae per divinam philosophiam, quae metaphysica nominatur. Quid enim? Non ne a natura quemadmodum composita, utpote secundum quod huiusmodi, nempe ut est principium rerum naturalium, ad eandem absolute capiendam...? Nonne a principio, causa et elemento rerum naturalium, ad absolute capiendum principium, causam, et elementum, post habitam eiusdem distinctionem et multiplicem rationem ex quinto Metaphysicorum et aliis? Nonne a materia et forma, actu et potentia huiuscemodi, ad materiam et formam, potentiam et actum absolute...? ...Non ne... a consideratione motus, ut sequitur naturam, estque subiective in naturalibus universis, ad considerationem eiusdem absolu74 Ibid.: «de his vero quae dependent a materia sensibili secundum esse sed non secundum rationem, est Mathematica». 75 Ibid., l. I, lec. 1, comm. 2-3, p. 3. 76 Ibid. 77 Ibid., l. I, lec. 1, comm. 7, p. 5.

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tiorem, distinctiorem, simpliciorem, ut videlicet entis passio, atque specierum eius differentiam constituens...? Nunquid non a consideratione circa substantiam mobilem in physicis, ad considerationem circa substantiam absolute, simpliciterque capiendam progreditur...?78

Anche per Bruno la distinzione aristotelica tra un prius gnoseologico e un prius ontologico trova la sua chiave di lettura nel rapporto fisica-metafisica: la via connaturata alla conoscenza umana, che, secondo Aristotele, procederebbe da ciò che è per natura meno noto a ciò che è più noto, da una conoscenza confusa e generica a una distinta e specifica, va interpretata anche per Bruno come una delimitazione preliminare tra fisica e metafisica, e non averroristicamente come esplicitazione del metodo dimostrativo proprio della scienza naturale79. Tuttavia, in Bruno la distinzione tra i due ordini di conoscenza assume un significato totalmente diverso dall’interpretazione tomista. Infatti fisica e metafisica non si distinguono in base all’oggetto studiato, poiché entrambe sono definite «contemplatio naturae». Dunque la differenza tra le due scienze non è più data dal grado di nobiltà dei loro rispettivi oggetti, ma si baserà semplicemente sulla diversa prospettiva di studio adottata da ciascuna di esse: unde ab universalibus, confusis, hoc est universis, totis, confusis, contractis, compactis, indistinctis, veluti commixtis, ad particularia, partes, simplicia, distincta, absoluta, pura, immixta, a consideratione videlicet et contemplatione per modum contractionis et impuritatis, ad contemplationem absoluti, solius, nudi, atque puri.80

Riducendo la distinzione tra fisica e metafisica ad un differente «ordo cognoscendi», la lettura bruniana rove BCA, pp. 94-95. Cf. BAC, p. 71. Su questo punto non concordo con T. Dagron, op. cit., pp. 168-171, che identifica la lettura bruniana con quella averroistica. 80 BCA, pp. 93-94. Cf. BAC, p. 71. 78 79

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scia completamente l’impianto epistemologico di Tommaso che fondava la gerarchia dei saperi sulla differenza ontologica dei loro rispettivi oggetti di studio81. L’indagine fisica si prospetterebbe in Bruno come una propedeutica alla metafisica, o meglio, come un primo livello d’indagine naturale che avrebbe il suo pieno completamento nella metafisica. Entrambe le discipline, pur da prospettive differenti, tratterebbero dunque il medesimo oggetto, la natura, ma, mentre la fisica assumerebbe un punto di vista relativo, cogliendo la natura nella «modalità della contrazione e commistione»82, la metafisica adotterebbe invece una visione assoluta, studiando lo stesso oggetto a prescindere dalla sua relazione ad altro. Bruno demolisce in questo modo la gerarchia dei saperi stabilita da Tommaso, avvicinandosi, con i distinguo già evidenziati, alla posizione averroistica. Dopo aver infatti elevato lo statuto epistemologico della fisica, svincolando il suo oggetto dalla dipendenza dagli enti sensibili, viene a sottrarre alla metafisica la possibilità di indagare sostanze trascendenti, separate nell’essere e nell’essenza dalla natura, le quali, nell’interpretazione di Tommaso, costituivano l’oggetto specifico della metafisica. La separatezza degli oggetti della metafisica dalle sostanze della physis affermata da Aristotele viene letta, in questo luogo del Camoeracensis acrotismus, non come trascendenza ontologica, ma come distinzione logica e gnoseologica, colta da una visione intellettuale più «pura» rispetto a quella del fisico. L’attributo “divino” che Bruno attribuisce alla filosofia prima non deriva dunque dalla sovrannaturalità dell’oggetto che essa contempla, ma dalla sua capacità di superare la prospettiva fisica stu81 Cf. T. Dagron, op. cit., p. 168: «La physique et la métaphysique ne sont donc pas deux sciences différentes, qui seraient définies par des sujets différents. Seul diffère la ratio cognoscendi»; p. 170: «L’architectonique scolastique du savoir repose en effet sur une division entre différentes sciences. Ici ces deux voies ne sont pas des sciences distinctes: elles ont un unique “sujet”, la nature, et constituent ensemble une seule science». 82 BAC, p. 71. Cf. BCA, p. 94: «per modum contractionis et impuritatis».

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diando i princìpi della natura, non più «secundum quid», ma «absolute», elevando il suo sguardo alla considerazione dell’essere nella sua massima universalità («circa universaliter ens») e definendo i termini in tutti i loro possibili significati: «termini enim confuse in physicis accepti, in sua significata significatorumque species distinguuntur in Metaphysicis»83. In queste pagine del Camoeracensis acrotismus sembra prender forma il progetto della Summa terminorum metaphysicorum, in cui Bruno raccoglierà non solo i termini del V libro della Metafisica di Aristotele, il cosiddetto “libro delle definizioni”, ma anche concetti propri della fisica, quali ad esempio la materia, il moto, il luogo, il tempo, la causa finale e la causa strumentale. Dunque, nei suoi presupposti epistemologici la metafisica aristotelica è, secondo Bruno, un’ontologia immanentista, che nessuno dei peripatetici ha compreso fino in fondo e che lo stesso Aristotele ha poi tradito ponendo come principio supremo della natura la forma anziché la materia, come invece avrebbe dovuto: «naturae nomine dignior est materia»84, afferma l’articolo decimo del Camoeracensis acrotismus. Ciò implica che — come verrà esplicitato negli articoli successivi — la natura non è teleologicamente ordinata dalle forme, ma è piuttosto la necessaria esplicazione dell’infinita potenza che inerisce alla materia85. Il trattato di Wittenberg, oltre a mostrare le contraddizioni della filosofia dello Stagirita, spezza la continuità tra Aristotele e la Scolastica, rompendo il rapporto di analogicità che quest’ultima, in particolare nella concezione tomista, aveva stabilito tra metafisica e teologia, tra il lume naturale e il lume della rivelazione. La metafisica non è più la conoscenza razionale delle sostanze separate che soltanto la fede ci farebbe concepire nella loro suprema verità, poiché, come si è visto, essa si risolve nella Ibid., p. 96. Cf. BAC, p. 72. BCA, p. 72. 85 Cf. BAC, Introduzione, pp. 28-32. 83

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considerazione in sé e per sé dei principi rinvenuti dalla fisica; principi immanenti e non trascendenti la natura. 3. CONCLUSIONE L’analisi fin qui condotta ci mostra le modalità con cui Bruno assume e manipola i termini dell’ontologia tradizionale fino al punto di esprimere mediante gli stessi una filosofia antitetica a quella da cui sono attinti. Ritornando al testo esaminato precedentemente86, si può dunque desumere che Bruno, nell’affermare che la verità non può essere contraria alla verità, la vera luce alla vera luce, non intenda affatto ricalcare quella conciliazione ragione-fede proposta da una parte della scolastica, poiché un’ontologia immanentista che non ammette scarto tra libertà e necessità, tra volontà e potenza divine, non può fungere da ancilla theologiae87. Certamente non della christiana theologia88. Cf. supra, p. 235 e n. 58. Cf. M. A. Granada, Il rifiuto della distinzione tra potentia absoluta e potentia ordinata di Dio e l’affermazione dell’universo infinito in Giordano Bruno, «Rivista di storia della filosofia», 3 (1994), pp. 495-532; Id., «Blasphemia vero est facere Deum alium a Deo». La polemica di Bruno con l’aristotelismo a proposito della potenza di Dio, in E. Canone (ed.), Letture bruniane I-II del Lessico Intellettuale Europeo. 1996-1997, Fabrizio Serra Editore, Pisa-Roma 2002, pp. 151-188. 88 Sull’uso polisemico del termine “teologia” nel vocabolario bruniano si veda l’accurata ricognizione di P. Secchi, Teologia, in Enciclopedia bruniana e campanelliana, vol. II («Bruniana & Campanelliana», Supplementi, 28 - Enciclopedie e lessici, 2), Fabrizio Serra Editore, Pisa-Roma 2010, pp. 154-168. La distinzione tra la «vera teologia» e la teologia cristiana, evidenziata da Secchi, consente di approfondire la lettura di Firpo del contegno processuale di Bruno (cf. supra, p. 236). Il rifiuto del Nolano di riconoscere i suoi libri come eretici e inconciliabili con la verità rivelata può esser concepito come ferma e sincera convinzione dell’inquisito, se assunto come tentativo di ricostruire il senso delle Sacre Scritture secondo i principi della propria filosofia, ovvero secondo criteri naturali e razionali, condivisibili — a parere di Bruno — dagli uomini dotti che compongono il tribunale, con l’implicita riduzione delle sovrastrutture dogmatiche a mere «favole», necessarie invece per istruire moralmente gli ignoranti. 86 87

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L’unico discorso sul divino pronunciabile dall’uomo è quello che vede nella natura l’infinito effetto dell’infinita causa, quale explicatio dell’infinita potenza divina: Di qui siamo mossi a svelare l’infinito effetto dell’infinita causa e siamo condotti per mano alla contemplazione della divinità non come fosse al di fuori, separata e lontana da noi, ma in noi stessi, in quanto posta tutta intera ovunque, poiché essa è senza dubbio più intima a noi di quanto noi possiamo esserlo a noi stessi, dato che essa è in verità l’essere che costituisce la sostanza ed il centro essenzialissimo di tutte le essenze e del tutto.89

Quale sia l’essenza della causa infinita rimane a noi sconosciuto e tuttavia, se — come sopra si è rilevato — la verità divina non può essere in contrasto con la verità razionale, il principio ultimo della realtà non può coincidere con il Dio della teologia cattolica — né del cristianesimo riformato —, ma assumerà piuttosto le caratteristiche del Dio dei «pitagorici» concepito come «l’infinito spirito che penetra, abbraccia e vivifica ogni cosa»90. Una teologia che voglia definirsi «vera»91 non può prescindere da queste prerogative, alle quali si conformano piuttosto certe «asserzioni pitagoriche e platoniche»92, la filosofia presocratica93, la sapienza degli egizi94 e dei cal BAC, p. 52. Cf. BCA, pp. 68-69. BAC, p. 125. Cf. BCA, p. 177. La nozione di “spirito” che il Nolano attribuisce ai pitagorici è in realtà di ascendenza stoica. Cf. M. A. Granada, Giordano Bruno et la Stoa. Une présence non reconnue de thèmes stoïciens?, in Le Stoicisme aux XVIe et XVIIe siècle. Actes du Colloque cerphi (4-5 juin 1993), a cura di J. Lagrée, Université de Caen, Caen 1994, pp. 53-80; BAC, Introduzione, pp. 27-28. 91 G. Bruno, La cena delle Ceneri, texte établi par G. Aquilecchia, notes de G. Aquilecchia, introd. de Y. Hersant, in Id., Oeuvres complètes, cit., 1994, II, p. 15. 92 BAC, pp. 61-63. Cf. BCA, pp. 80-81. 93 In particolare, oltre ai già menzionati pitagorici, vengono esplicitamente citati gli eleati (BCA, pp. 81, 72, 96-98), Anassagora (ibid., pp. 73, 102, 120, 154, 175), Democrito (ibid., p. 102), Empedocle (ibid., pp. 102, 175) e Talete (ibid., p. 182). 94 BAC, p. 124. Cf. BCA, p. 176. 89 90

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dei95 e la stessa Bibbia se interpretata in modo «sensato» e non mediante il ricorso al sovrannaturale96. La teologia può esser considerata conciliabile con la filosofia, solo se si conforma alla verità di ragione. La ragione umana e la filosofia divengono così in Bruno il metro per distinguere la vera teologia, destinata ai dotti, da una vulgaris theologia, necessaria agli ignoranti «che denno esser governati».

BAC, p. 49, 125. Cf. BCA, pp. 64, 177. Bruno concepisce il suo pensiero in continuità con la testimonianza di «alcuni profeti» (BAC, p. 49, cf. BCA, p. 64: «divinorum quorundam») e «teologi» (BAC, p. 129, cf. BCA, p. 182: «Theologorum»), considerati alla stregua di filosofi o sapienti, come i caldei, i pitagorici e Talete. 95 96

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