Niccolò V committente. Tra dignitas ecclesiae e magnificentia principis, 2015

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Niccolò V committente tra dignitas ecclesiae e magnificentia principis di Gerardo de Simone Il 6 marzo 1447, alla morte di papa Eugenio IV, il suo successore sul soglio di Pietro fu trovato a sorpresa in un outsider di lignaggio non nobile, Tommaso Parentucelli da Sarzana, cardinale da appena quattro mesi (1). All'indomani dell'elezione, il pontefice scelse come proprio stemma le chiavi di Pietro, sormontate dalla tiara: certo per supplire al suo manchevole blasone personale, ma anche in ideale continuità con i predecessori Innocenzo III (1198-1216), che per primo associò le chiavi petrine all'Ecclesia Romana (nel perduto mosaico absidale della basilica vaticana), e Bonifacio VIII (1294-1303), primo papa a farsi ritrarre con chiavi e tiara e ad adottare tali attributi nel proprio stemma (2). La potestas clavium è il segno del primato petrino, perno ideologico del pontificato niccolino. Nella concezione ‘assolutistica’ del papato Niccolò si rifece a papa Caetani, ponendo le fondamenta del ‘cesaropapismo’ dei papi che seguiranno; Parentucelli avviò la costruzione della Chiesa come stato territoriale, e ridefinì la figura del papa come sovrano (3). Inizialmente, Niccolò ispirò ad un programma di moderazione, di riconciliazione e di universalismo la propria strategia, per superare la crisi politica ed ecclesiastica degli anni di Eugenio IV (1431-1447) (4): confermò i privilegi al re di Napoli Alfonso d’Aragona, fu riconosciuto dall'imperatore Federico III e dai principi elettori tedeschi (1448). In questo modo indebolì

il concilio di Basilea, che si spostò a Losanna, per concludersi il 7 aprile 1449 con l’abdicazione dell'antipapa Felice V di Savoia. Anche sul fronte interno Niccolò si sforzò di risolvere le conflittualità che avevano costretto il suo predecessore a lasciare l'Urbe per nove anni (dal 1434 al 1443). Nella prima fase del suo pontificato, Niccolò proseguì la campagna di decorazione del Palazzo Vaticano intrapresa da Eugenio IV: sia per Eugenio che per Niccolò fu fondamentale la conoscenza delle novità del primo Rinascimento fiorentino, che stimolarono i loro progetti di committenza artistica e architettonica. Papa Condulmer aveva convocato sul finire del 1445 il più grande pittore italiano vivente, il domenicano Fra Giovanni da Fiesole, meglio noto come il Beato Angelico, affidandogli la decorazione con Storie di Cristo della cappella del Sacramento, già abbellita nel 1432-33 con il Tabernacolo del Sacramento di Donatello. La seconda commissione di Eugenio IV all’Angelico, nel 1447, riguardò la cappella maggiore della basilica di San Pietro, probabilmente gli spazi tra le finestre al di sotto del catino absidale occupato dal mosaico innocenziano della Traditio legis (5). Due furono pure le commissioni monumentali di papa Parentucelli al pittore fiesolano. Della prima, la Cappella Niccolina, diremo a breve; ad essa contiguo ma perduto è invece lo Studiolo papale, decorato nel

Su Niccolò V cfr. Vasoli 1968, Bonatti, Manfredi 2000, Miglio 2000, Manetti 2005. (2) Paravicini Bagliani 2005. (3) Caravale 1978; Tafuri 1984. (4) Fubini 1977; su Eugenio IV cfr. Gill 1959. (5) Sui quattro cicli decorativi. dell'Angelico in Vaticano cfr. Gilbert 1975; de Simone 2009. (1)

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Beato Angelico, Ordinazione diaconale di san Lorenzo, 1448, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani, Cappella Niccolina 1

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Beato Angelico, Lorenzo riceve i tesori della Chiesa da Sisto II e Lorenzo distribuisce i tesori ai poveri, 1448, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani, Cappella Niccolina 2

La Cappella di Nicola V. Dipinta a fresco dal Beato Angelico in Vaticano, incisione in L’Album. Giornale letterario e di belle arti, Roma 1853 3

Liebenwein 1992. (7) Calvesi 2001. (8) Un'ampia documentazione iconografica della cappella è in Buranelli 2001. (9) Castelfranchi Vegas 1989. (10) Gill 1959; Boschetto 2012. (11) Salatino 1992. (12) O’Malley 1981. (13) de Simone 2013. (6)

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1449, prototipo degli studioli di corte umanistici (6). L’ambiente era riccamente decorato con tarsie lignee e dorature. Si può supporre che l’Angelico in un ambiente del genere dipingesse non, o non solo, affreschi ma tavole, magari ritratti di uomini dotti o illustri, come avverrà nello Studiolo di Federico da Montefeltro a Urbino. È stato ipotizzato che i “molti ritratti di naturale" di cui Vasari riferisce a proposito della cappella del Sacramento, "di persone segnalate di que’ tempi” - che in parte conosciamo dalle copie eseguite da Paolo Giovio per la sua villa-Museo sul lago di Como -, siano in realtà da riferire allo Studiolo (7). Unica delle commissioni vaticane dell’Angelico ad essersi conservata, la Cappella Niccolina costituisce uno dei cicli capitali della pittura del Quattrocento, in cui

la celebrazione della Chiesa delle origini si propone come modello esemplare per la Chiesa contemporanea. Situata al secondo piano della Torre di Innocenzo III, presenta nella fascia inferiore una cortina di ‘velari’ con stemmi niccolini. Le storie soprastanti si snodano su due registri: in basso, entro riquadri rettangolari le Storie di san Lorenzo, in alto, entro lunettoni, le Storie di santo Stefano. Queste ultime sono accoppiate, mostrando due episodi per ogni lunetta: Stefano ordinato diacono da san Pietro e Stefano distribuisce le elemosine nella prima; la Predicazione di Stefano e la Disputa nel sinedrio nella seconda; l’Espulsione di Stefano dalla città e la Lapidazione nella terza, tagliata’ da un possente braccio di mura ispirato a quelle Aureliane (8). La prima delle Storie di Lorenzo, l'Ordinazione diaconale, si trova invece isolata tra due finestre 1 : soggetto privo di tradizione iconografica, è una celebrazione ineguagliata del cerimoniale liturgico della Chiesa Romana, con la solenne investitura del giovane diacono che riceve dal pontefice il calice e la patena, strumenti del ministero sacerdotale e del sacramento eucaristico. Sulla parete nord sono abbinate due storie: Lorenzo riceve i tesori della Chiesa da Sisto II 2 e Lorenzo distribuisce i tesori ai poveri. Sulla parete est infine si succedono tre episodi: Lorenzo davanti al prefetto Decio, Lorenzo converte Lucillo e il Martirio di Lorenzo. A entrambi i protomartiri sono così dedicate sei storie. Le vicende parallele dei due santi offrono un paradigma di esemplarità espresso in toni solenni e articolato secondo alcuni valori cardine: il primato papale e la diakonìa/servizio (nelle due Ordinazioni); la caritas (nelle rispettive Distribuzioni di elemosine) e la predicazione del Vangelo (nella Predicazione di Stefano e nella Conversione di Lucillo); il martirio, testimonianza estrema di fede e di imitatio Christi (9). Nelle vele della volta campeggiano i quattro Evangelisti. Nei sottarchi d’ingresso e d’altare sono effigiati otto Padri e Dottori della Chiesa, incorniciati da elaborate

edicole architettoniche: Ambrogio e Agostino, Bonaventura e Tommaso d’Aquino, Leone Magno e Gregorio Magno, Giovanni Crisostomo e Atanasio. L’immissione dei due Padri greci ha una valenza unionista (pochi anni prima, nel 1438-39, il Concilio di Ferrara-Firenze aveva sancito la riunificazione, presto destinata a rivelarsi effimera, tra ortodossi e cattolici) (10): al loro tempo Atanasio e Giovanni Crisostomo riconobbero l’autorità del pontefice romano. Quanto ai due pontefici Leone e Gregorio, il primo (440-461) lottò per affermare il primato petrino e la supremazia romana. Inoltre nel Sermo 85, pronunciato nella liturgia del 10 agosto, formulò il parallelo Stefano-Lorenzo: «Quam clarificata est Jerosolyma Stephano, tam illustris fieret Roma Laurentio» ("quanto è resa gloriosa Gerusalemme da Stefano, tanto è resa illustre Roma da Lorenzo"). Gregorio Magno (590-604) fu il fondatore della Chiesa come Stato dotato di autonomia politica e territoriale; analogamente Niccolò V si impegnò in una costruzione statuale solida dopo le vicissitudini avignonesi e scismatiche. Inoltre Gregorio distinse due forme di martirio, quello pubblico, cruento, e quello segreto, interiore. Il martirio ‘bianco’ è una nozione essenziale alla concezione del papato di Niccolò V: alla sua elezione Poggio Bracciolini proclamò il governo della Chiesa un gravame che implica ‘servizio’ e ‘sacrificio’, una sorta di ‘martirio’ (11). Venendo ai Padri latini, Agostino (354-430), uno degli autori più amati da Niccolò V, dedicò vari sermoni a Stefano e Lorenzo, affermando il parallelo tra ministerium e martyrium, tra sacrificio liturgico e sacrificio reale. Il paradigma del servitium, incarnato dal diaconato e configurato come imitatio Christi, costituisce un tema portante della decorazione della Niccolina: le storie dei protomartiri iniziano con l’ordinazione liturgica e si concludono col martirio. Agostino impersonava inoltre per gli umanisti l’oratore cristiano ideale: l’eloquenza è celebrata nella Niccolina ed è una

delle virtù più elogiate in Niccolò V. Quanto a Tommaso d’Aquino, il Parentucelli ne portava il nome di battesimo e era stato eletto papa il 6 marzo, alla vigilia della festività dell’Aquinate: in suo onore istituì una celebrazione annuale in Santa Maria sopra Minerva (12) . Il pensiero tomista era una colonna portante della teoria del primato papale: per Tommaso l’autorità del pontefice discende direttamente da Cristo. Sulla parete d’altare non vi è più traccia del “Deposto di Croce” ricordato da Vasari, il cui aspetto originario è parzialmente tramandato da un’incisione del 1853 riproducente l’interno della cappella 3 . Al di sotto dell’ampia epigrafe che celebra il restauro di Pio VII (1821) si intravede il nudo esile e adagiato al suolo di Cristo nella posa della tavola angelichiana di Washington e dello scomparto con lo stesso soggetto dell'Armadio degli Argenti (13). Secondo una visione ispirata alla moderazione ed all’equilibrio, la potestas papae, impersonata da Pietro e da Sisto II nelle due Ordinazioni e dai Padri Leone e Gregorio Magno, è bilanciata dal paradigma del servizio diaconale, incarnato da Stefano e Lorenzo, realizzantesi nella carità (le Distribuzioni di elemosine), nella predicazione (di Stefano e di Lorenzo nel convertire Lucillo) e infine nel martirio. La decorazione della cappella infatti ebbe luogo nel 1448, quando il Concilio di Basilea non era stato ancora sciolto (lo sarebbe stato l’anno dopo) e il pontefice era stato eletto da appena un anno: un atteggiamento di equità e di prudenza gli parve preferibile. Se dunque sul piano letterale papa Parentucelli si identificava con i pontefici ritratti nella cappella, e in modo esplicito con Sisto II (257-258), effigiato con le fattezze del pontefice regnante (figg. 1 - 2 ], su un piano più indiretto si immedesimava con le virtù esemplari e l’imitatio Christi dei diaconi Stefano e Lorenzo, proiettando sul papato e sulla Chiesa di Roma un alone di umiltà, di spirito di sacrificio, di ‘servizio’ per la comunità dei fedeli.

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a sin: Beato Angelico, Stefano che distribuisce le elemosine (part.), 1448, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani, Cappella Niccolina; a d: Sarcofago di età antonina (part.), II sec. d.C., Roma, San Lorenzo fuori le mura, Sepolcro Fieschi

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Verrone d’Agnolo Belfradelli (su disegno di Leon Battista Alberti), Pavimento marmoreo, 14450-51, Roma, Palazzi Vaticani, Cappella Niccolina Beato Angelico (qui attr.), Lorenzo da Pisa, Dialogus Humilitatis ad Nicolaum pp. Quintum, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 961, f. 2v 6

Colella 1999. Krautheimer 1993. (16) Ibidem, pp. 266-267. (17) Baxandall 1994, p. 180. (18) Dressen 2008, pp. 292-294. (19) Onofri 1982. (20) de Simone 2009, p. 138. (21) Pasut 2000 e 2010. (22) Staderini 2008, pp. 29-69 e 303-329. (23) F. Pasut, scheda 1, in Toscano, Capitelli 2002, pp. 142-144. Sulla bottega dell'Angelico cfr. De Simone 2015 (24) Ibidem, pp. 170-173 Andrea del Castagno (attr.), decorazione (14)

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Le storie dei due martiri si trovano abbinate inoltre in due importanti cicli romani tardoduecenteschi. Gli affreschi del Sancta Sanctorum lateranense, ricostruito e decorato da Niccolò III (1277-80) includono la Lapidazione di Stefano e il Martirio di Lorenzo, dai quali l’Angelico attinse alcuni motivi. Più in generale il Sancta Sanctorum, la cappella più sacra del palazzo Laterano, fu il modello principe della Cappella Niccolina, dalla dedicazione a Lorenzo alla configurazione architettonico-decorativa, a conferma del trasferimento al Vaticano delle funzioni fino ad allora pertinenti al Laterano messo in atto da Niccolò V (14). Il secondo ciclo tardoduecentesco che combina Storie di Stefano e di Lorenzo è quello affrescato nel portico di San Lorenzo fuori le mura; nell'affresco angelichiano con

Stefano che distribuisce le elemosine il gruppo costituito da Stefano, dalla donna velata che riceve l’elemosina e dal bambino questuante ai loro piedi ricalca la scena nuziale scolpita sul fronte del sarcofago Fieschi, di età paleocristiana (III secolo d. C.) e pure conservato nella basilica del Verano 4 a-b. L’amore pagano diventa così caritas cristiana, con una ‘traduzione’ intellettualmente raffinata. Notevole è poi nella cappella Niccolina l’evidenza assegnata alle architetture: Krautheimer ha ipotizzato che i tre interni chiesastici raffigurati nelle due Ordinazioni e nel Lorenzo distribuisce i tesori della Chiesa rappresentino delle “variazioni su un medesimo tema: la basilica costantiniana di San Pietro”, con “la navata centrale delimitata da file di colonne, sormontate da un sempli-

ce architrave o da una ricca trabeazione, e terminante in un transetto” con “al centro un'abside circolare” (15). Secondo lo studioso Leon Battista Alberti operò come consulente del pittore per tali soluzioni architettoniche, specie nel primo affresco (16). Le Storie dei martiri Stefano e Lorenzo appaiono conformi ai canoni di «copia et varietas […] et corporum et colorum» ("abbondanza e varietà […] di corpi e di colori"), di gravitas e dignitas propri dell’historia teorizzata nel De pictura di Alberti (17). Il ruolo di Leon Battista Alberti nella Niccolina potrebbe cogliersi nell’ultimo elemento della cappella non ancora preso in esame: il pavimento 5 intarsiato a marmi bicromi, messo in opera dal fiorentino Varrone (o Verrone) d’Agnolo Belfradelli - già collaboratore di Filarete e medaglista, poi impegnato con vari incarichi nei pontificati successivi - cui sono attestati pagamenti nel 1451 (18). All’interno di un rombo inscritto in un rettangolo dal fregio decorato con un motivo di anfore all’antica (simili alle due più grandi inscritte nel rombo) è raffigurato un sole raggiante con l’indicazione dei mesi dell’anno e dei segni dello zodiaco; in direzione dell’altare sono i mesi di febbraio e marzo (e il segno dei Pesci), allusione alla data di inizio del pontificato. Il nome del pontefice regnante è ripetuto quattro volte nei cerchi risultanti dalla cornice del rombo. Nell’orazione funebre in morte del Parentucelli il cardinale francese Jean Jouffroy così loderà il papa: «velut sol inter sydera, sic inter doctos omnes doctissimus pontifex Nicolaus effulget […] hic alter Appollo presidens Musis et Musas incitans…» ("come il sole tra le stelle, così il pontefice Niccolò brilla più dotto tra tutti i dotti […] questo secondo Apollo che presiede alle Muse e le incita"); il Mons Vaticanus era identificato con il colle di Apollo, e proprio con Niccolò V si introdusse l’identificazione del pontefice con con il dio del Sole (19). Un sole molto simile a quello del pavimento niccolino orna il frontone della facciata albertiana di S.

Maria Novella, realizzata tra il 1458 il 1470 circa (20). Oltre che nelle imprese pittoriche, teste Vasari “Papa Nicola Quinto" incaricò l'Angelico di "miniar alcuni libri che sono bellissimi”. L'insieme dei codici miniati riconducibili alla committenza papale (21) vide impegnati i più talentuosi tra gli artefici gravitanti attorno al maestro, come Pesellino - autore con Zanobi Strozzi delle celebri miniature del Silio Italico oggi divise tra Venezia e San Pietroburgo, includenti un ritratto dello stesso pontefice (22) - e Benozzo Gozzoli - cui si devono la serie dei papi illustrante i Vaticinia pontificum, il ms. Harley 1340 del British Museum di Londra (23). Quanto all'immagine di dedica del Dialogus humilitatis di Lorenzo da Pisa 6 , a mio giudizio l'alta qualità, e la differenza evidente rispetto al realismo più prosaico e descrittivo di Benozzo (cui è stata attribuita), rende la paternità riferibile all'Angelico stesso (24). Dopo la partenza dell’Angelico (1449) Niccolò V convocò a Roma nei primi anni cinquanta sia pittori di gusto ancora tardogotico come Bartolomeo di Tommaso da Foligno e (presumibilmente) Salvador de Valencia, sia mediatori con l’avanguardia toscano-rinascimentale come il perugino Benedetto Bonfigli, sia più tardi (1455) il più alto erede del magistero angelichiano, Piero della Francesca, attivo poi anche per Pio II, che forse completò lo Studiolo papale iniziato dall'artista domenicano e decorò le future Stanze di Raffaello (un’eco di questi affreschi è stata rilevata da Federico Zeri nella chiesa di S. Pietro ad Anticoli Corrado): commissioni purtroppo perdute che riflettono le ‘oscillazioni’ di gusto del pontefice in linea con la composita e variegata cultura figurativa di quegli anni in Italia (25). ‘Anno d’oro’ del pontificato niccolino fu il 1450: l’Anno Santo del Giubileo - il 1453 ne sarà invece l’annus horribilis per la congiura del nobile romano filorepubblicano Stefano Porcari, e per la caduta di Costanti-

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Cfr. Toscano 1987, Calvesi 2001, Angelini 2014, pp. 228-232. Altri artisti attivi per papa Parentucelli furono Simone e Taddeo da Roma e Luca di Lorenzo d’Alemagna (Cavallaro 2008). (25)

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della Bibliotheca Graeca, 1454 c., Città del Vaticano, Palazzi Vaticani

Manfredi 2010. de Simone 2011, pp. 40-41. (28) Alberti 2010, lib. IX, p. 355. (29) Yuen 1970. (30) Morello 1998, p. 98 nota 20: "Caeterum Nicolaus ex veteribus et novis codicibus ornatissimam bibliothecam instruxit, in qua circiter tria millia librorum volumina condidit". (31) Manetti 2005, II.21, p. 56. (32) Vespasiano da Bisticci 1970, p. 316. (26)

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nopoli: due eventi che segnarono lo scorcio della vita del papa. Tutte le domeniche fu reiterata l’ostensione della Veronica; il 24 maggio fu canonizzato in San Pietro Bernardino da Siena, il grande predicatore francescano. Malgrado la tragica strage di pellegrini accalcati per il passaggio sul ponte di Castel Sant’Angelo il 19 dicembre (per commemorare le vittime il papa eresse due cappelle), il Giubileo si risolse in un grande successo sul piano religioso ed economico: gli enormi introiti gli consentirono di investire nelle due attività che più gli stavano a cuore: «in libri, et in murare» (Vespasiano da Bisticci). Niccolò assoldò ricercatori di codici e traduttori (dal greco in latino) per creare una biblioteca papale permanente (sul modello di quanto realizzato ad Avignone, e sviluppando le raccolte avviate da Martino V e Eugenio IV), confacente «pontificis et sedis apostolicae dignitati» ("alla dignità del pontefice e della sede apostolica"). Era il nucleo della futura Biblioteca Vaticana, di cui Niccolò può essere considerato il fondatore ‘ufficioso’, laddove quello ufficiale sarà Sisto IV nel 1475 (26) . Ad ospitare la biblioteca, riservata a dotti e curiali, destinò alcuni ampi locali al pianterreno del lato nord dei palazzi vaticani (il lato poi occupato ai piani superiori dagli Appartamenti Borgia e dalle Stanze di Raffaello). Sotto Sisto IV queste tre grandi stanze con volte a crociera saranno distinte in Bibliotheca Latina, Bibliotheca Graeca, e Bibliotheca secreta; e verrà aggiunta una quarta sala, la Bibliotheca pontificia. Niccolò fece decorare la futura Bibliotheca Graeca 7 , come dimostra il suo stemma al centro della volta: essa presenta una decorazione, purtroppo assai ridipinta, a finto colonnato con trabeazione e cassettonato in scorcio; al di sopra un fregio a festoni e bucrani, un cornicione ed una balaustra a pannelli marmorei. Benché una parte cospicua della critica preferisca assegnare l’apparato illusionistico agli anni di Sisto IV (cui risalgono ad evidentiam le aggiunte dei nastri svolazzanti e dei festoni

rovereschi), si osservi come la ‘ringhiera’ a specchiature e trafori quadrilobi, stridente con il porticato classico, mal si concilia con il più maturo e scaltrito classicismo di età sistina, ben esemplificato dalla fascia monocroma a cornucopie e palmette della decorazione ghirlandaiesca nell’adiacente Bibliotheca Latina, rammentando semmai l’analogo coronamento ‘gotico’ su pilastro e cornicione ‘classici’ dell’involucro architettonico che nella cappella Niccolina accoglie la Disputa di Stefano nel sinedrio (27). Come nella Niccolina, anche in relazione alla Bibliotheca Graeca è stato evocato il nome di Leon Battista Alberti, il quale nel De re aedificatoria a proposito della decorazione d’interni giudica che «nei rivestimenti delle pareti nessuna raffigurazione pittorica è più gradevole e ammirata di quella che rappresenta delle colonne lapidee»(28). Come autore degli affreschi, condivido l'attribuzione avanzata da Toby Yuen ad Andrea del Castagno, supportata da un pagamento del 16 ottobre 1454 «a mo Andreino da Firenze pint[ore]”» per opere eseguite nei palazzi vaticani, e dal pertinente raffronto della loggia prospettica dell’aula Graeca con la più nota decorazione castagnesca, il portico dipinto nella Sala degli Uomini illustri di villa Carducci a Legnaia (29). Alla Bibliotheca Graeca verisimilmente si riferiscono le lodi di Enea Silvio Piccolomini ("Nicolaus… ornatissimam bibliothecam instruxit") (30). L’inventario stilato alla morte del pontefice computa 824 codici latini e 414 greci. Giannozzo Manetti, autore della più nota biografia del pontefice - testo apologetico e di problematica interpretazione, redatto in 'simbiosi' con il biografato - paragona Niccolò, che fino in punto di morte sarebbe stato "circumvallatus libris" (codici commissionati e dedicati al pontefice, spesso splendidamente miniati), a Tolomeo Filadelfo, fondatore della mitica biblioteca di Alessandria (31). Di segno opposto il commento caustico del suo successore Callisto III, diffidente verso la cultura umanistica e integralmente

concentrato nel progetto di crociata, riportato da Vespasiano da Bisticci: «questo pazzo vedi in che egli ha consumato la roba della Chiesa di Dio?»(32). Venendo al "murare", nell'attività edilizia si misura appieno l'ambizione di 'magnificenza' principesca del pontefice, stimolato sia dalla volontà di restituire a Roma la grandezza monumentale e simbolica che si addice alla capitale della cristianità e alla sua storia antica - Vasoli lo ha definito «il ‘principe’ umanista che sognava di rinnovare lo splendore del ‘secolo di Augusto’» (33) -, sia da esempi contemporanei di mecenatismo architettonico, in particolare quello di Cosimo de' Medici a Firenze, che aveva eretto palazzi, chiese, conventi valendosi degli architetti del nuovo ordine rinascimentale quali Brunelleschi e Michelozzo (34). Con lo spostamento in città del Concilio dell'Unione nel 1439, Firenze - nota a Tommaso da Sarzana fin dagli anni giovanili, quando era stato istitutore nelle case di Rinaldo degli Albizi e di Palla Strozzi - divenne il centro del mondo, suscitando universale ammirazione: culmine della moderna architettura fu la cupola brunelleschiana di S. Maria del Fiore, consacrata nel 1436, "struttura sì grande, erta sopra é cieli, ampla da coprire con sua ombra tutti é popoli toscani" (35). I nuovi valori della liberalitas principis e della magnificentia coltivati da Cosimo il Vecchio, destinati ad influenzare i paradigmi di splendore cortese dei principi italiani ed europei, furono influenzati tanto dalla riscoperta umanistica di Aristotele quanto dalla predicazione domenicana di Antonino Pierozzi (36). Le linee programmatiche del piano urbanistico di papa Parentucelli, che restò in grandissima parte incompiuto ma ebbe una importanza seminale per i piani ideati dai futuri pontefici che plasmeranno la nuova Roma rinascimentale e barocca, ci sono restituite dall'orazione-testamento pronunciata sul letto di morte e trasmessa - ma meglio dovremmo dire retoricamente rie-

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laborata - da Giannozzo Manetti nella Vita di Niccolò V . Cinque i punti fondamentali del piano niccolino: il restauro delle chiese stazionali (includenti le principali basiliche); il rinnovamento del Borgo Vaticano (fu Niccolò a segnare il passaggio definitivo della sede del papa dal Laterano al Vaticano); il palazzo pontificio; la basilica di San Pietro. "Non per ambizione, non per pompa, non per inutile gloria, non per fama, non per il desiderio di trasmettere a lungo il nostro nome - qui si legge in filigrana il conflitto tra l'umanistica ambizione di gloria e la condanna cristiana della vanagloria - ma per la maggiore autorità della Chiesa di Roma, per la maggiore dignità della Sede Apostolica presso tutti i popoli cristiani, per una più solida difesa contro le consuete persecuzioni, concepimmo nella mente e nell’animo tanti edifici". Inoltre "l’obbedienza del vol-

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Giovanni Battista Piranesi, Veduta dell’interno di Santo Stefano Rotondo (restaurata da bernardo rossellino nel 1453), acquaforte, 1756 8

Vasoli 1968, p. 113. Kent 2005. (35) Alberti 1998, p. 3. (36) Fraser Jenkins 1970; Warnke 1995; Howard 2012. (37) Manetti 2005 (con bibliografia precedente); (33)

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Donato Bramante, progetto per la basilica di San Pietro in Vaticano disegnato sulla pianta dell'antica basilica e della tribuna di Niccolò V, 1505, Firenze, Uffizi, GDSU, 20A (38)

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Baldassarri 2008. per l'originale latino Manetti 2005, III.13, pp.122-124. (39) Modigliani 2010, pp. 157-158. (40) Danesi Squarzina 1989, pp. 93-100. (41) Fagiolo, Madonna 1985, pp. 93-97; Caglioti 1991 e 1992; Frommel 2006, pp. 7-42. (42) Tittoni 1994. (43) Burroughs 1982; Manetti 2005, II.35-37, pp. 77-81. (44) Frommel 2005.

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go, fondata sulle parole degli uomini dotti, è rafforzata e confermata dalla continua visione di grandi edifici e di monumenti imperituri… in tal modo il consenso è mantenuto ed aumentato risolvendosi in una straordinaria devozione" (38). Come ha scritto Anna Modigliani, la politica niccolina segna una cesura «tra la prima metà del Quattrocento, quando i papi privilegiano i temi imperiali della pace e del buon governo, mentre il lusso appare limitato alla sfera liturgica, e la seconda metà del secolo, quando l'ostentazione della ricchezza e dello sfarzo avviene anche e soprattutto in una dimensione terrena e paganeggiante» (39). Fin dal secondo anno di pontificato Niccolò aveva cominciato un'intensa attività edilizia, assoldando come chapomaestro del papa il tardogotico Antonio di Francesco da Firenze (40). Tuttavia fu solo dopo gli introiti del Giubileo che il pontefice potè intraprendere lavori di ampio respiro - tra cui il restauro delle antiche basiliche (ad esempio il Laterano, Santa Maria Maggiore, con l'aggiunta di un imponente palatium pontificio, e i sacelli a pianta centrale quali il Pantheon, San Teodoro, ad opera di Pietro da Varese, e Santo Stefano Rotondo, 8 ) nell'ottica di una sorta di rinascenza paleocristiana, uno dei cardini dell'ideologia papale. Alla fine del 1451 giunse a Roma uno degli architetti di punta del verbum novum rinascimentale, il fiorentino Bernardo Rossellino (41). Sul Campidoglio, sede del potere repubblicano e municipale, il papa rinnovò il Palazzo del Senatore - erigendo torri angolari ed una più alta al centro, e dotando la facciata di loggia porticata, scalone, finestre guelfe - e ricostruì il Palazzo dei Conservatori, restituendo centralità, sia pur ormai solo simbolica, alle magistrature cittadine (42). Nel Borgo Vaticano "tres late, et ample vie" avrebbero collegato l’area di Castel Sant’Angelo fortificato e ampliato da Niccolò V (inclusa la statua di san Michele posta sulla cima nel 1453) alla piazza prospiciente la basilica, che avrebbe assunto un aspet-

to allungato, porticato, con un obelisco al centro. Un secondo tridente viario avrebbe contraddistinto l’area dell’ansa del Tevere, il cuore di Roma, partendo dall’asse di ponte Sant’Angelo e piazza di San Celso fino al Campidoglio: l'arteria centrale era la via Papalis, storico tragitto delle più solenni processioni papali (come la possessio, la cavalcata trionfale di insediamento dal Vaticano al Laterano) (43). Niccolò V fu il primo papa ad osare intaccare il venerabile santuario petrino eretto da Costantino, progettando la distruzione e il rifacimento ex novo del coro, del transetto e del presbiterio 9 (44). La decisione fu dettata anche da necessità funzionali e liturgiche: le mura della navata erano inclinate (fu chiesta una consulenza a Leon Battista Alberti), il vecchio coro e transetto erano ormai troppo angusti ai fini cerimoniali (45). Tuttavia i lavori, diretti dal Rossellino tra il 1451 e il 1454, non andarono oltre l’erezione delle gigantesche fondamenta e del muro perimetrale. La crociera del transetto sarebbe stata coperta da un’ampia cupola con alla base una corona di finestre. Una testimonianza di Poggio Bracciolini informa che per la nuova tribuna furono prese a modello le Terme di Diocleziano (odierna basilica di S. Maria degli Angeli), anche in dettagli quali le volte a crociera e le colonne monolitiche, nel segno di una voluta emulazione della grandiosità antica (46). Passando al complesso dei palazzi vaticani, Niccolò restaurò e abbellì il nucleo medievale insediato a nord della basilica per primo da Eugenio III (1145-53), poi ampliato da Innocenzo III e soprattutto da Niccolò III (1277-80), intervenendo nelle ali meridionale (parallela alla basilica) ed orientale (in seguito ampliata verso il cortile di San Damaso con le logge bramantesche), ed edificò, sul lato settentrionale, una nuova ala su quella iniziata da Bonifacio VIII, destinata ad ospitare la biblioteca papale e ai piani superiori gli Appartamenti Borgia e le Stanze di Raffaello (in quella della Segnatura si può tuttora ammirare il pavimento cosmatesco

con stemma niccolino al centro) (47). L'edificio, iniziato da Antonio da Firenze, presentava all'esterno un aspetto ibrido, con merlatura guelfa e basamento a scarpa da rocca tardomedievale, e finestre crociate da palazzo rinascimentale. All'interno Manetti nomina «atria et triclinia ac cubicula et ambulatoria et porticus et capelle» (molti termini sono ripresi da Vitruvio). Un poderoso torrione 10 , eretto dal Rossellino nel 1452, testimonia delle preoccupazioni difensive del papa; previsto dell'altezza di cento cubiti, fu arrestato a trenta a seguito di un crollo nel 1454. Esso avrebbe fatto da perno da cui si sarebbero dipartiti tre lunghi tratti di mura (che in parte sopravvivono): uno in linea retta verso Castel Sant’Angelo, un altro, con due segmenti ad angolo ottuso, dal Vaticano al Belvedere, il terzo infine si sarebbe spinto sino alla basilica. Su quest’ultimo lato, dal tracciato diagonale, si sarebbe aperto il portale d’accesso ai palazzi, costituito da un arco trionfale serrato tra due torri gemelle, una tipologia all'antica attestata ad Avignone e poi ripresa a Napoli e a Urbino (48). Per intendere la fecondità seminale del progetto niccolino, la cui esatta ricostruzione non è pacifica, basti pensare: che la Loggia delle benedizioni ("cenaculum magnum anniversariis et ordinariis summi pontificis benedictionibus designatum") sarebbe stata eretta da Pio II - per molti aspetti emulo del Parentucelli -, sia pur spostata direttamente sulla piazza, sul fronte dell’atrio di San Pietro (49); che Paolo II volle «fare lavorare et fortificare quello palazo [Vaticano] su li principii et secondo li designi de papa Nicolao» (50); che la capella magna preannuncia la Cappella Sistina; che numerosi spunti sarebbero stati ripresi e sviluppati da Giulio II, con il più ampio, ormai maturamente classico respiro dello stile bramantesco (51).

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Bernardo Rossellino, Torrione di Niccolò V, 1452-54, Città del Vaticano 10

Caglioti 1992, p. 36; Modigliani 2013, pp. 93-95. (46) Modigliani 2009, pp. 544-545; Cantatore 2009, pp. 584-585. (47) Monciatti 2005, p. 91 sgg.; Fiore 2005, p. 305. (48) Frommel 2004; Manetti 2005, II.38, pp. 81-83. (49) Zander 2000; Angelini 2005. (50) Modigliani 2011. (51) Frommel 2004. (45)

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