Noël Carroll, \'Arte e memoria\'

June 12, 2017 | Autor: Marco Piasentier | Categoria: Philosophy, Aesthetics, Art History, Art Theory, Aesthetics and Ethics, Noël Carroll
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Arte e memoria1 Noël Carroll [Traduzione a cura di Diego Ferrante e Marco Piasentier]

Noel Carroll insegna attualmente presso la City University of New York e rappresenta una delle figure di maggior rilievo nel campo della filosofia dell’arte. Il suo lavoro si muove all’interno dell’approccio analitico, di cui offre un approccio alla riflessione e alle pratiche artistiche per individuarne quei concetti che la caratterizzano e ne contraddistinguono l’operatività. Lungo questa direttrice ha spesso problematizzato la resistenza della filosofia dell’arte nei confronti, per esempio, delle scienze cognitive o della psicologia evoluzionista, diffidenza o aperta ostilità che ha condotto molti studiosi a tematizzare il fenomeno artistico esclusivamente in termini culturali. Dal suo angolo prospettico, invece, è necessario integrare approcci provenienti da discipline diverse, mostrando come l’uno possa innervare gli altri: per Carroll, l’arte possiede un carattere universale e rappresenta un plesso che risponde a esigenze e compiti differenti, “l’arte è parte del tessuto delle nostre vite e può essere inteso solo quando è visto nell’interezza del suo contesto sociale, culturale e biologico”. Questa ipotesi è sostanziata, innanzitutto, attraverso due gesti critici, di distanziamento: da un lato, scinde il legame tra arte ed estetica, ovvero insiste sulla storiografia di una disciplina (sull'idea di uno sguardo “disinteressato”, e di un modello esplicativo formalista) definitasi solo a partire dalla fine del diciottesimo secolo sulla scorta dell’interpretazione della Critica del Giudizio di Kant; dall’altro, ritiene sia necessario allargare la definizione di arte a prodotti diversificati della cultura materiale e non avulsi dall’esperienza quotidiana (si prendano in considerazione, per esempio, i lavori di Carroll sul cinema e su un genere come l’horror considerato per larga tradizione minore). Questo doppio movimento, a suo avviso, permette di non ipostatizzare il concetto di arte e schiacciarlo in una posizione di isolamento: ciò non implica che ogni forma d’arte sia transculturale, ma che esistono caratteristiche, modelli, e compiti che ricorrono nelle varie culture e nelle varie epoche come risposta immediata rispetto alla funzione decorativa, rappresentativa, emotiva e simbolica di certi oggetti. È in questo senso che torna ad affiora la necessità di analizzare la relazione tra etica e arte, tra l'arte e la sua funziona sociale. Tra i testi di Carroll pubblicati nel corso degli anni si segnalano The Philosophy of Horror, or Paradoxes of the Heart (1990), The Philosophy of Motion Pictures (2007), On Criticism (Thinking in Action) (2008).

Senza ombra di dubbio, le discussioni su come commemorare gli eventi dell’11 settembre evidenziano la necessità di analizzare con scrupolo la questione dell’arte memoriale –quelle statue di eroi dimenticati che marciscono nei parchi pubblici e nelle piazze–. Forse questa noncuranza non è evidente in nessun altro campo di indagine come nella filosofia dell’arte, poiché l’arte memoriale è progettata espressamente per svolgere una funzione culturale, mentre nell’estetica moderna permane una forte 1

“Art and Recollection”,The Journal of Aesthetic Education, Volume 39, Number 2, Summer 2005: pp. 112.

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tendenza a negare il titolo di arte in senso proprio a quei lavori realizzati per finalità sociali. Tale arte non rientra nelle categorie di buona parte degli esperti di estetica. La causa di questo mancato riconoscimento va imputato alla teoria estetica dell’arte che, semplificando in modo approssimativo, ritiene che un’opera d’arte sia tale solo se fornisce o è progettata con l’intenzione di fornire esperienze apprezzabili di per sé, per il loro valore intrinseco.2 La teoria estetica dell’arte potrebbe essere identificata con una riflessione filosofica di quell’ala del modernismo chiamata estetismo. Nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo, è così che va la storia, gli artisti tentarono di opporsi all’assimilazione di ogni valore a quello utilitario o di funzione, in modo particolare a quello di mercato, tentando di realizzare opere che non avessero altro valore se non quello offerto dalla contemplazione del lavoro stesso, separato da qualsiasi utilità o utilizzo e, quindi, dalla funzione sociale che i lavori avrebbero potuto svolgere.3 I filosofi, quindi, come la civetta di Minerva, hanno spiegato le loro ali su questa tendenza artistica, difendendola con argomentazioni formidabili, fino a renderla una dei preconcetti più radicati nella filosofia dell’arte –o, quanto meno, l’assunzione standard di una gran parte di chi pratica detta filosofia. Forse, alcune prove di questo pregiudizio persistente, quasi automatico o inconscio, andrebbero rintracciate nelle denominazioni delle società accademiche del mondo anglofono specializzate nella filosofia dell’arte, nomi quali quelli di American Society for Aesthetics, British Society for Aesthetichs e così via. D’altronde, se l’arte propriamente detta è tale per l’esperienza estetica che fornisce – esperienza di un valore intrinseco, slegato da una sua utilità sociale– cosa ne resta dell’arte memoriale, quella tipologia d’arte dedita prima di tutto ad assolvere funzioni sociali, arte che non sarebbe tale se fosse valutata prima di tutto ed esclusivamente per il valore intrinseco dell’esperienza offerta? Rimarrebbe fuori dalla mappa teoretica della filosofia dell’arte, a meno che il filosofo non sia pronto a sostenere, contro la realtà dei fatti, che tali opere, in opposizione alle convinzioni di coloro che sono loro più vicini, fossero state intraprese dall’inizio con l’obiettivo principale di fornire un’esperienza estetica, nonostante possa apparire diversamente. Senza dubbio, il filosofo potrebbe anche negare che tale opera sia arte, relegandola alla categoria del kitsch. Un’osservazione probabilmente parallela al disagio del filosofo di fronte all’arte memoriale è che l’alto modernismo, di cui sostengo che la teoria estetica dell’arte sia un riflesso, per buona parte, non è riuscito storicamente a produrre arte di questo tipo degna di nota, con il Vietnam Memorial tra le poche eccezioni a questa generalizzazione. In sostanza, sia l’alto modernismo e sia la teoria estetica dell’arte sembrano costitutivamente inospitali nei confronti dell’arte commemorativa. Certo, rimuovere l’arte memoriale dall’ordine delle muse comporta un costo teoretico potenzialmente molto alto, dato che molte opere hanno avuto per tradizione una

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Per una presentazione rappresentativa di questa visione, si veda Monroe Beardsley, “An Aesthetic Definition of Art” in What Is Art?, Hugh Curtler (a cura di), New York, Haven Press, 1983. 3 Per le obiezioni filosofiche alla teoria estetica dell’arte, si veda Noël Carroll, Philosophy of Art: A Contemporary Introduction, Londra, Routledge, 1999, Capitolo 4.

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funzione memoriale o, almeno, una dimensione commemorativa significativa. 4 A questo riguardo, si sarebbe tentati di affermare che gran parte dell’arte tradizionale ha considerato la dimensione memoriale tra i suoi obiettivi essenziali, benché io non ritenga che questa asserzione così netta debba necessariamente esser vera per validare la mia tesi. È sufficiente che una larga scala dell’arte tradizionale sia memoriale affinché la mia argomentazione possa procedere. E ciò è innegabile. L’Iliade e il Mahabharata, tra gli esempi sconfinati offerti dalla letteratura epica, commemorano le battaglie fondative dei loro rispettivi popoli. La raffigurazione della crocifissione di Cristo, il tema di un numero indefinito di quadri e sculture cristiane, è fondamentalmente commemorativa nel suo proposito, così come le cattedrali, le chiese, e i monasteri, in cui sono ospitate molte di queste rappresentazioni, spesso derivando il loro nome dai santi o dalle vicende sacre nella cui memoria sono stati eretti. Mentre passeggiamo tra le chiese e i templi europei e asiatici nei nostri tour estivi della grande arte mondiale, buona parte delle opere che osserviamo è di natura memoriale. Ma la religione non ha un’esclusiva sui monumenti commemorativi. La politica adorna con frequenza rimarcabile le pareti o le mura di musei e edifici pubblici, oltre a popolare in lungo e largo viali e piazze, con rappresentazioni di grandi leader, legislatori, generali, padri fondatori, battaglie più o meno importanti, giuramenti e altri avvenimenti storici . La cosa non desta sorprese, dato che la Chiesa e lo Stato sono stati a lungo i sostenitori e i mecenati principali dell’arte. La poesia possiede diversi generi che si soffermano sul ricordo o la memoria: l’epitaffio, l’elegia, e, per un certo grado, l’eulogia. Ugualmente, molti romanzi del periodo moderno rievocano o ricordano le guerre passate. Per quanto riguarda il cinema, l’ex Unione Sovietica commissionò La fine di San Pietroburgo di Pudovkin e Ottobre di Ėjzenštejn per celebrare la rivoluzione del 1917, mentre La corazzata Potëmkin era un monumento in celluloide alla rivoluzione del 1905. In più, anche molta musica ha un carattere memoriale. È ovviamente il caso della musica composta per ricordare occasioni particolari, come matrimoni e funerali reali, oppure di quella che accompagna i riti religiosi, come la Passione; ma esiste altresì una musica che celebra avvenimenti storici, come la Messa dell’incoronazione di Mozart, la Messa ungherese per l’incoronazione di Liszt, e l’Overture 1812 di Tchaikovsky. Anche i ritratti dei cittadini più agiati furono commissionati per essere trasmessi e, quindi, per la posterità. In breve, è difficile negare che buona parte dell’arte, soprattutto di quella tradizionale, sia di natura memoriale, che sia stata pensata essenzialmente per ricordare il passato per propositi più vari, ovvero, propositi ulteriori dal generare esperienze estetiche con un valore intrinseco. Cosa se ne fa un teorico estetico dell’arte di questo dato di fatto “monumentale”? Può stringere i denti e ribattere che gli esempi presi in considerazione non sono arte, ma ciò renderebbe la teoria sospetta agli occhi dei più. Perdere l’Eneide, la Nike di Samotracia, l’Arazzo di Bayeux, e l’Arco di Trionfo tra le fila delle opere d’arte rappresenta un prezzo troppo alto per qualsiasi teoria. In alternativa, il teorico dell’estetica può sostenere che, sebbene i lavori in questione appaiano mirare 4

Nicholas Wolterstroff, “Why Analytic Philosophy of Art Cannot Handle Kissing, Touching, and Crying”, The Journal of Aesthetic and Art Criticism 61, n.1 (Inverno 2003), pp. 17-28.

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innanzitutto a soddisfare una funzione sociale, le cose non stanno davvero così. Gli artisti si limitavano a cogliere le opportunità offerte loro dalla Chiesa e altri mecenati per produrre opere intese per indurre esperienze estetiche, benché fingessero di assolvere un compito differente – glorificare il sacrificio di Cristo, le opere di bene del re, o il coraggio di un semplice soldato–. Non solo questa ipotesi appare fin troppo cinica, ma è difficile possa essere empiricamente realizzata. Il resoconto storico farebbe emergere come molti degli artisti più importanti intendessero prima di tutto glorificare Dio, e resterebbero sconcertati al pensiero che i loro lavori fossero presi come meri pretesti per produrre un’esperienza estetica. D’altra parte, i teorici dell’ipotesi estetica potrebbero ritenere che quanto scritto poc’anzi porti a fraintendere cosa si debba intendere con esperienza estetica in sé. Ciò non va pensata esclusivamente come risposta dell’immaginazione alle forme di un’opera d’arte. Piuttosto, se l’esperienza dell’amore di Cristo, generata dall’opera d’arte, è apprezzata per il suo valore intrinseco, allora si tratta di un’esperienza estetica. A ogni modo, ho il sentore che questa soluzione possa risultare equivoca, dato che la nozione di esperienza estetica –come esperienza apprezzata di per sé– fu introdotta tradizionalmente per segnalare un contrasto con l’utilità sociale o religiosa di un’opera. Sostenere che questa funzione, o l’esperienza di essa, possa essere valutata e apprezzata da sé, separatamente dal resto, fa svanire il contrasto. Di conseguenza, può apparire che i teorici dell’estetica abbiano posto rimedio ai danni inflitti dai miei esempi, ma al costo di aver rinunciato al punto caratterizzante della loro teoria. Bisogna ammettere, a questo punto, che i teorici estetici dell’arte, le cui fila oggigiorno sono in aumento,5 possano sentirsi un po’ esasperati da quanto ho sostenuto, avendo abbozzato un ritratto caricaturale. Potrebbero eccepire che la teoria estetica che ho iniziato a martellare appartiene al passato. Il teorico estetico contemporaneo è ben consapevole di queste obiezioni e, si potrebbe sostenere, ha corazzato la sua teoria per difendersene. Alcuni tra loro, come Alan Goldman6 e Malcom Budd,7 potrebbero replicare che il loro obiettivo non è di definire cosa sia l’arte. Si occupano solo di ciò che è apprezzabile nella grande arte o di ciò che ha un valore artistico in senso proprio. Ovvero, ritengono che prestare attenzione alla produzione di esperienze in sé rilevanti non porti a rintracciare ciò che siamo disposti a chiamare “arte”, né ad individuare tutti gli aspetti che consentono di apprezzare un’opera d’arte in maniera appropriata, anche se non per il suo valore artistico. Questa risposta, comunque, invita solo a ricalibrare alcune delle obiezioni precedenti. Senza dubbio, parte dell’arte memoriale è di alto valore, infatti possiede del pregio artistico, esattamente perché adempie così bene le funzioni sociali per cui è stata intesa. 5

Per esempio, James C. Anderson, “Aesthetic Concepts of Art”, in Theories of Art Today, Noël Carroll (a cura di), Madison, University of Wisconsis Press, 2000; Nick Zangwill, The Metaphysics of Beauty, Ithaca, Cornell University Press, 2001; Gary Iseminger, “The Aesthetic Function of Art”, in The Proceedings of the Twentieth World Congress of Philosophy: Philosophues of Religion, Art, and Creativity, Kevin L. Stoehr (a cura di), Bowling Green, Philosophy Documentation Center, 1999. 6 Alan Goldman, Aesthetic Value, Boulder, Westriew, 1995. 7 Malcolm Budd, Values of Art, Allen Lane, The Penguin Press, 1995.

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Gray Iseminger propone un’altra risposta sofisticata.8 A suo avviso, l’arte è estetica, espressione con cui intende che la funzione dell’arte, presumibilmente in quanto arte, è quella di offrire ciò che chiama transazioni estetiche. 9 Le transazioni estetiche appaiono grossomodo equivalenti a ciò che si indica tradizionalmente con esperienze estetiche, esperienze che possiedono un loro valore intrinseco, che si ritengono intrinsecamente buone. L’arte può avere altre funzioni, ma la sua funzione in quanto arte è di promuovere un’esperienza estetica. In questo senso, l’arte è essenzialmente estetica. Sebbene Iseminger non si spinga fino a questo punto, pare conseguirne che ciò che non possiede questa facoltà non opera come arte. Iseminger avanza due considerazioni a favore delle tesi per cui l’arte è fondamentalmente estetica: fornire transazioni estetiche è ciò che l’arte fa meglio di qualsiasi altra pratica, e fornire transazioni estetiche è ciò che l’arte fa meglio tra tutte le sue attività. Tali premesse, quindi, incoraggiano Iseminger, sulle orme del Principio dell’ermeneutica degli artefatti di Dennett, a inferire che l’arte è destinata a produrre transazioni estetiche.10 Nessuna di queste affermazioni mi sembra decisiva. Rimane indecidibile se sia la pratica artistica o la natura in quanto tale a offrire le esperienze estetiche più apprezzabili. Iseminger cerca di fare i conti con la questione affermando che la natura, nella misura in cui manca di un artefice, non produce un’esperienza estetica completa come quella offerta dall’arte. Ciononostante, non sono convinto che l’apprezzamento delle capacità di un artista sia ciò che la tradizione considera solitamente un’esperienza estetica. Da un lato, ciò sarebbe stato rifiutato da teorici dell’estetica come Monroe Beardsley, preoccupato della fallacia genetica, e, dall’altro, sembrerebbe configurarsi un modo corretto di considerare il contributo dell’artista valutabile da un punto di vista meramente strumentale, per la capacità di produrre nel pubblico le conseguenti esperienze estetiche. In ogni caso, è la seconda asserzione di Iseminger ad assumere un rilievo maggiore per la questione dell’arte memoriale –ovvero, che fra tutte le cose che l’arte produce, ciò che fa meglio è fornire transazioni estetiche–. In realtà, Iseminger oscilla tra posizioni più forti e altre più deboli. Talvolta sostiene che l’arte riesca abbastanza bene a fornire transazioni estetiche; altre volte, invece, afferma che è ciò che fa meglio o che fa meglio oggigiorno. La più debole tra le due posizioni non concerne lo statuto artistico dell’arte memoriale, poiché non esclude che l’arte in quanto tale realizzi con successo obiettivi svariati e abbia funzioni diversificate –senza scartare sia la memorializzazione sia il favorire transazioni estetiche. E su questo punto non penso ci sia spazio per obiezioni.11 La rivendicazione più ambiziosa, invece, pone le basi per la conclusione di Iseminger per cui l’arte in quanto tale è destinata a fornire transazioni estetiche ed è, per questa 8

Gary Iseminger, “The Aesthetic Function of Art”, in The Proceedings of the Twentieth World Congress of Philosophy: Philosophues of Religion, Art, and Creativity, Bowling Green, Philosophy Documentation Center, 1999, pp. 169-76. 9 Questa terminologia è contenuta in una lettera spedita il 5 Settembre 2002 all’autore da Iseminger. 10 Iseminger, “The Aesthetic Function of Art”. 11 Quanto meno se analizzi le esperienze estetiche come faccio io. Si veda Noël Carroll, “Aesthetic Experience Revisited”, British Journal of Aesthetics (Aprile 2002), pp. 145-68.

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ragione, essenzialmente estetica. Posto che ex hypothesi, tra tutte le funzioni che l’arte ha (o svolge oggigiorno), fornire un’esperienza estetica è ciò che fa meglio, si suppone sia legittimo inferire che sia questa la funzione dell’arte qua arte, ovvero, l’arte interpretata come naturale. Sebbene il ragionamento induttivo lasci spazi alla disputa, non starò qui a sollevare cavilli. Piuttosto, vorrei focalizzarmi sulla sua premessa, ovvero, che fornire un’esperienza estetica è, tra le sue funzioni, ciò che l’arte fa meglio. Poiché mi sembra che le funzioni svolte dall’arte memoriale quanto meno rivaleggino e verosimilmente oltrepassino la sua funzione estetica. Per sostanziare questa tesi, comunque, è necessario aggiungere qualcosa a quanto già detto. L’arte memoriale, certo, ha funzioni differenti. Ma una funzione pubblica dell’arte memoriale è commemorare il passato per il presente –richiamare alla memoria eventi e persone esemplari e tratteggiare il significato che hanno per la cultura attuale, contribuendo, quindi, alla definizione dell’identità culturale e indicando la direzione in cui la cultura dovrebbe procedere. L’arte memoriale trasmette l’ethos di una cultura. Onora chi è scomparso, sottolineandone le virtù, e invita a seguirne l’esempio. L’encomio che rivolge è inteso a incoraggiare le generazioni future.12 L’arte memoriale è una chiave importante per la continua ricostruzione dell’ordine sociale. Ricorda alle generazioni presenti il loro passato e le virtù e i valori che le hanno rese quello che sono, le incoraggia a persistere nella stessa direzione. L’arte in generale, in questo senso –e l’arte memoriale ne è un primo esempio–, è fondamentale per la riproduzione della cultura e della società. Educa le generazioni future all’ethos della loro cultura, al suo insieme di convinzioni e valori. Omero ha avuto questo ruolo, ed è il motivo per cui era chiamato l’educatore dei Greci. Inoltre, l’arte, tra cui l’arte memoriale, svolge eccezionalmente bene questa funzione sociale. Rivolgendosi simultaneamente, spesso piacevolmente –ma non sempre–, alla percezione, all’immaginazione, alla memoria, alle emozioni e alla facoltà cognitiva con immagini concrete –ovvero, coinvolgendo allo stesso tempo così tante funzioni di una persona– imprime profondamente l’ethos della cultura nei riceventi, quando appropriatamente predisposti. Combinando senso e sentimento, sensazione e informazione, l’arte rende accessibile l’ethos della cultura ai suoi cittadini, ed essendo codificato attraverso più facoltà la memoria potrà ritrovarlo perfettamente. Rende i valori percepibili o, nel caso della letteratura, li descrive in immagini evocative, forti, che restano fisse nella mente. Non è scontato che altre pratiche trasmettano l’ethos di una cultura con la stessa efficacia. L’arte è chiaramente avvantaggiata in questo aspetto, perché non si rivolge alla cognizione soltanto con informazioni astratte, ma raggiunge il suo pubblico tramite i sensi, i sentimenti, includendo di frequente sensazioni di piacere, le emozioni, la percezione, la memoria, e l’immaginazione. Dunque, l’ethos che trasmette è impresso in modo ridondante all’interno di diverse dimensioni dei suoi riceventi, accrescendo in tal modo le capacità di accesso e recupero. L’arte può educare l’intera persona 12

Certamente, parte dell’arte memoriale, come i memoriali dell’Olocausto, possono avere l’obiettivo di ricordare agli osservatori di episodi storici significativi ma dolorosi, e di ricordar loro le depravazioni che gli hanno dato origine e la necessità di combatterle. Forse non è necessario aggiungere, scoraggiando questi orrori è, a sua volta, parte essenziale del processo di inculturazione.

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coinvolgendo allo stesso tempo molte delle nostre energie, e in modi interrelati e mutualmente rafforzativi. Ciò la rende uno strumento immensamente rapido e probabilmente indispensabile per la trasmissione della cultura, uno strumento, quindi, che sospetto essere di gran lunga superiore, rispetto alle altre pratiche culturali.13 E non è nemmeno così evidente che l’arte svolga altre funzioni con la stessa efficacia di quest’ultima.14 Infatti, è difficile immaginare che la costosa –in termini di tempo e risorse– istituzione dell’arte sarebbe sopravvissuta attraverso le varie epoche e culture se non fosse stata in grado di svolgere con efficacia una funzione sociale cruciale quale la disseminazione dei valori e delle credenze di quelle società di cui ha costituito una pratica integrante.15 Tenendo conto di queste osservazioni, la visione dei teorici estetici dell’arte –per cui la funzione dell’arte è l’offrire un’esperienza estetica, valutata indipendente dall’utilità sociale– appare dubbia, dato che ciò che l’arte fa meglio, nei due sensi ammessi da Iseminger, è presumibilmente apprendere e rinforzare l’ethos dei gruppi sociali per promuoverne la coesione e continuazione. L’arte, tra le altre cose, si occupa della progressiva riproduzione dell’ordine sociale. Quantomeno, bisogna rilevare che i teorici estetici dell’arte hanno fallito nel mostrare perché il contributo dell’arte all’apprendimento e alla diffusione della cultura non sia la sua caratteristica principale. Non solo tra tutte le sue funzioni, ma anche come ciò che fa con efficacia maggiore di tutte le altre pratiche. I teorici estetici dell’arte sembrano presupporre quasi con sufficienza che le esperienze estetiche rappresentano il proprio dell’arte, senza nemmeno prendere in considerazione ipotesi alternative, come la diffusione di una data cultura. Inoltre, quando si soppesa il ruolo dell’arte per l’inculturazione, è difficile negarne la centralità. Non è questa la ragione per cui la pratica artistica raccoglie sostegno in ogni cultura conosciuta ed è parte integrante delle nostre istituzioni educative? Per certo, questo è il motivo per cui l’arte come pratica o genere è venuta all’esistenza. E il fatto che molta arte continui ad assolvere questa funzione spiega in modo sostanziale la sua longevità. Questa funzione dell’arte –connessa con l’inculturazione– appare evidente soprattutto nell’arte memoriale, in statue, monumenti, murali, cortei, processioni, dipinti, danze, canzoni, poemi, film, ecc. L’arte memoriale ai suoi spettatori permette di ricordare in modo vivido eventi e persone importanti e dell’impegno, dei valori, delle virtù, delle convinzioni per cui si sono impegnati. Celebrando il passato, e l’ethos che rappresentano, le opere d’arte memoriali tentano di facilitare la riproduzione del gruppo sociale pertinente, ispirando un sentimento di emulazione. Richiamano alla memoria il passato, e, attraverso il ricordo, incoraggiano una continua imitazione. Queste opere

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Nel sostenere che l’arte è estetica perché offre un’esperienza estetica meglio delle altre pratiche, Iseminger non considera la possibilità che potrebbero esserci altre funzioni, come quella di trasmettere l’ethos di una cultura, che l’arte soddisfa meglio di altre pratiche. Questo sembrerebbe essere un gap molto importante nella sua argomentazione. 14 In effetti, la stessa nozione di comparare l’efficacia di funzioni differenti dell’arte è difficile da rendere operativa. A ogni modo, siccome è qualcosa su cui la teoria estetica fa affidamento, ogni inadeguatezza di questa maniera di procedere dovrebbe essere contata come ostacoli dell’approccio estetico adesso in esame. 15 Storicamente parlando, le cose come l’arte commemorativa potrebbe sostenere a maggior ragione di implementare la funzione fondativa dell’arte, nella misura in cui i primi oggetti d’arte sono stati rinvenuti presso tumuli.

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ravvivano impegni e ideali forse dimenticati o trascurati (la cui piena solennità e rilevanza è spesso scordata) attraverso il suo appellarsi ai sensi e il tentativo di proiettarsi nel futuro per ispirare la posterità a restare fedele alla sua eredità.16 L’arte memoriale spesso esprime orgoglio nazionale, orgoglio per l’ethos nazionale, di cui agevola la prosecuzione. I monumenti commemorativi greci della battaglia di Maratona, per esempio, la celebravano come la vittoria della civiltà contro la barbarie, mentre le raffigurazioni cristiane della crocifissione richiamano alla memoria il sacrificio di Cristo, non solo per una forma di venerazione, ma per incoraggiare i fedeli a prenderlo a modello nel loro stile di vita. La poesia epitaffica inglese del diciassettesimo secolo, il cui scopo –per Samuel Johnson– era di educare “la gran parte dell’umanità”, 17 enfatizzava come cruciale l’importanza di condurre una vita secondo virtù quali l’onestà –anziché prediligere dei natali aristocratici–, così da facilitare l’emersione di valori umanisti attraverso il ricordo di ciò che rende la vita significativa, la cui rievocazione, a sua volta, era intesa per favorire l’emulazione.18 Il Pantheon di Parigi è una raccolta di modelli di virtù, intesi per rappresentare la cultura francese e invitare gli spettatori a portarne avanti la tradizione.19 Il Lincoln Memorial commemora non solo l’uomo, ma i valori per cui Lincoln si è battuto, e ricorda ai visitatori ciò a cui gli americani sono legati.20 La funzione dell’arte memoriale è di rappresentare l’importanza di ciò che rievoca, di ricordare il passato per alimentare un impegno nei cuori e nelle menti degli spettatori, cosicché possano seguire l’esempio delle virtù e degli ideali che l’opera d’arte custodisce. In questo modo, l’arte memoriale assolve uno dei compiti fondamentali dell’arte –ovvero, instillare l’ethos di una cultura nei suoi membri. In occasione dell’inaugurazione del memoriale alla Leys School a Cambridge, il duca di York si soffermò sul significato della statua di San Giorgio posta al centro dell’opera: “Si ergerà per sempre, un cardine della storia e della tradizione della scuola, sarà fonte di ispirazione per quegli ideali di cavalleria, abnegazione e patriottismo che sono essenziali per la condotta e il carattere più alti”.21 In altre parole, la funzione della scultura era di infondere virtù culturalmente preziose quali la cavalleria, l’abnegazione e il patriottismo. Dati gli eventi dell’undici settembre, i monumenti commemorativi assumono un interesse particolare. Questi, come i memoriali in generale, possono svolgere il compito dell’inculturazione promuovendo virtù precise, quali il senso del dovere e ideali che invitano all’abnegazione. Gli oltre trentottomila memoriali francesi dedicati alla prima guerra mondiale celebrano le virtù repubblicane. Anziché essere dei 16

Si veda Noël Carroll, “Aesthetics and the Educative Powers of Art”, in A Companion to the Philosophy of Education, Randall Curren (a cura di), Oxford, Blackwell Publishing, 2003. 17 Samuel Johnson, “An Essay on Epitaphs”, in Samuel Johnson, Donald Greene (a cura di), Oxford, Oxford University Press, 1984. 18 Joshua Scodel, The English Poetic Epitaph: Commeoration and Conflict from Johnson to Wordsworth, Ithaca, Cornell University Press, 1991, Capitolo 5. 19 Mona Ozouf, “The Pantheon: The École Normale of the Dead”, in Realms of memory: The Construction of the French Past: III Symbols, New York, Columbia University Press, 1998. 20 Infatti, si potrebbe sostenere che il Vietnam Memorial, data la sua celebrata apertura interpretativa, celebra in ultima istanza la tolleranza verso opinioni differenti, probabilmente una virtù centrale per una società come quella degli Stati Uniti, che concepisce se stessa come fondamentalmente pluralista. 21 Alan Borg, War Memorial from Antiquity to the Present (Londra: Leo Cooper, 1991). D’ora in avanti, mi riferirò a questo libro come WM.

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sepolcri per i generali, questi monumenti sono spesso dedicati a soldati comuni, per trasmettere, in questo modo, l’ideale repubblicano di uguaglianza. Temi ricorrenti includono anche l’obbedienza, la devozione al dovere, il sacrificio liberamente offerto e il senso di patria —tutte virtù ricordate per essere onorate e, al tempo stesso, emulate. Tali monumenti celebrano i caduti per il loro contributo nella difesa della libertà e della tolleranza. 22 Le virtù repubblicane, astratte e giuridiche, trovano una forma di espressione concreta e riconoscibile, rendendo, in questo modo, l’ethos comprensibile e di attrattiva per i visitatori. Ovviamente, l’ethos delle diverse culture può differire in maniera rilevante. Infatti, i memoriali tedeschi della prima guerra mondiale si distinguono da quelli francesi poiché enfatizzano la pietà protestante e la coscienza nazionale tedesca, 23 mentre quelli italiani utilizzano immaginari appartenenti al mondo dei gladiatori, al fine di celebrare la guerra come prova suprema di virilità e cameratismo.24 In ogni caso, il memoriale ha il compito di diffondere i valori culturalmente apprezzati dalla specifica società e ritenuti essenziali alla costruzione del suo futuro. Ad esempio, il memoriale canadese a Vimy Ridge, disegnato da Walter S. Allward, comprende figure simboliche che rappresentano Pace, Giustizia, Verità e Conoscenza. Il messaggio veicolato implicitamente è che questi valori hanno mosso chi ha sacrificato la propria vita, e i posteri, a loro volta, dovranno essere pronti a combattere per difenderli (WM, 99). Lungo una linea meno allegorica, il Royal Artillery Memorial, a Hyde Park Corner –in cui è ritratto un artigliere che trasuda determinazione e forza, mentre il capitano in comando trasmette un calmo vigore– raffigura le virtù ritenute più importanti e il tipo di eroismo reputato necessario per proteggere la civiltà inglese (WM, 121-22). Altri memoriali britannici, invece, celebrano un ottimismo vivace dinanzi alle avversità (WM, 1).25 Questo tipo d’iconografia illustrativa, inoltre, non appartiene solo al passato, come testimoniano quelli che potrebbero essere definiti memoriali mediatici ai poliziotti e ai pompieri del 9/11. Le loro gesta sono raccontate e ricordate sia per trasmettere determinati valori, e ideali, sia per ricordare semplicemente chi è caduto. Fino ad ora mi sono concertato diffusamente sulla funzione dell’arte memoriale —il ricordo del passato per riprodurre nel futuro l’ethos di una cultura. Ho enfatizzato questa dimensione perché mi sembra esemplificare una delle funzioni più rilevanti dell’arte, pace alle teorie estetiche. Ma l’arte commemorativa possiede altre funzioni. Molti antichi memoriali di guerra celebrano la forza con il fine di terrorizzare i nemici futuri ed esibiscono il potere del sovrano per rassicurare la popolazione riguardo alla sua capacità di difenderli. I bassorilievi nel palazzo a Ninive, che commemora la 22

Riguardo ai monumenti di guerra francesi si veda Antoine Prost, “Monuments of the Dead” in Realms of Memory: The Construction of the French Past: II Traditions, sotto la direzione di Pierre Nora, Edizione inglese a cura di Lawrence D. Kritzman, trad. Arthur Goldhammer, (New York: Columbia University Press, 1997) 23 George L. Mosse, Fallen Soldiers: Reshaping the Memory of the World Wars (Oxford: Oxford University Press, 1990), 35. 24 Ibid., 104. 25 Anche certi monumenti eretti in Inghilterra, Australia e Nuova Zelanda all’inizio della Prima Guerra Mondiale ricordano la chiamata alle armi, celebrando cittadini ordinari che si offrono di buon grado per la guerra, affermando, quindi, il carattere morale della nazione in un modo da evocare l’impegno verso la patria e spingere altre persone ad arruolarsi. A riguardo, si veda Jay Winter, Sites of Memory, Sites of Mourning: The Great War in Europe History (Cambridge: Cambridge University Press, 1995), 80.

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sconfitta degli Elamiti nella battaglia del fiume Ulai, iniziano con l’incisione: “Io sono Ashurbanipal, Re dell’Universo, Re dell’Assiria, Conquistatore dei miei nemici”, seguita da violente scene di guerra (WM, 25-26), con il chiaro obiettivo di spaventare gli emissari in visita e convincere gli Assiri dell’invincibilità del loro condottiero. In nessun caso vi è l’intenzione di fornire un’esperienza da valutare per il suo valore intrinseco. Un’altra funzione dei memoriali di guerra, soprattutto quelli moderni, è di infondere consolazione e sollievo.26 Il memoriale lenisce il lutto dei cari e dei connazionali che condividono il senso di perdita, ricordando loro che il caduto non è morto invano e il sincero senso di debito cui rimangono legati. Ciò offre agli amici e alle famiglie del defunto una via per “placare l’inasprimento e alleviare la disperazione”.27 I monumenti e le cerimonie commemorativi permettono di articolare il dolore per la perdita e di ricontestualizzare l’evento retrospettivamente; a coloro in lutto si offre modo di gestire le loro emozioni, di passare da uno stato di shock al suo superamento, in quanto permette di elaborare quanto accaduto.28 Grazie alla sua capacità di far chiarezza tra le emozioni, la tristezza diventa controllabile e tollerabile. 29 Inoltre, come per le altre funzioni socialmente utili del memoriale, sarebbe strano non categorizzare queste esperienze di consolazione e guarigione come non strumentalmente valutabili. Ovviamente, con l’enfatizzare, nei modi qui rapidamente esposti, l’utilità sociale dell’arte commemorativa per rimarcare che gran parte dell’arte ha una funzione sociale —e, sottolineando quanto appena esposto, si hanno degli elementi solidi per capire cosa l’arte sappia fare al suo meglio— non intendo suggerire che la funzione dell’arte in quanto tale vada ridotta esclusivamente alla trasmissione dell’ethos di una cultura. Questa è una funzione; promuovere l’esperienza estetica, opportunamente costruita, è un'altra delle sue funzioni.30 Ogni tipo di arte dovrebbe essere valutata sia in base al compito che assolve, sia in base a quanto bene lo assolve, sia in base all’importanza di tale funzione.31 L’arte memoriale ci ricorda che molte opere sono iscritte in pratiche culturali e rispondono a bisogni sociali. Per i filosofi dell’arte diventa allora incombente sviluppare quadri concettuali che siano teoreticamente sensibili all’arte in quanto parte di una pratica umana “interessata” e volta ad assolvere fini sociali. Se l’epoca dell’alto modernismo è finita e gli artisti sono ritornati all’impegno sociale, allora è forse giunto il momento di abbandonare la teoria estetica dell’arte in quanto riflesso dell’alto modernismo, e far si che i filosofi dell’arte ricomincino a interrogarsi sulla funzione sociale di almeno certe opere, ovvero di quelle forme d’arte il cui ruolo sociale è parte 26

Questo, ovviamente, non solo è una funzione di quelle opere che ricordano gli eventibellici; è anche la funzione di lavori come l’AIDS Quilt. 27 Jay Winter, Sites of Memory, Sites of Mourning: The great War in Europe History (Cambridge: Cambridge University press, 1995), p. 115-16. 28 Georgia Witkin, “9/11 Anniversary Observances Can Rekindle Hope,” USA Today, 14 August 2002, 13a. 29 Questa sembra essere la motivazione dietro il recente album di Bruce Springsteen “The Rise”. 30 Si veda Carroll, “Aesthetic Experience Revisited.” 31 Ciò non toglie che alcune opere commemorative possa essere cattive: un’opera può assolvere malamente alla sua funzione e assolvere a tale funzione può non avere alcun valore. Forse il Memoriale dei Martiri a Baghdad che commemora la guerra Iraq-Iran, non merita molta attenzione per entrambe le ragioni. Anche Daniel A. Kaufaman in “Normative Criticism and the Objective Value of Artworks” in The Journal of Aesthetics and Art Criticism, 60, no.2 (Spring 2002): 151, suggerisce di valutare un’opera d’arte tenendo conto anche del modo in cui esegue le funzioni che si era proposta all’inizio.

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integrante della loro identità. Abbiamo bisogno di sviluppare una teoria delle pratiche sociali dell’arte in quanto sono connesse a un più ampio spettro di fini e pratiche culturali.32 E l’arte memoriale sembra un buon punto di partenza. Inoltre, collegare l’arte a più pratiche sociali ha un rilievo anche nelle politiche educative. È difficile motivare la realizzazione di opere d’arte sotto l’egida delle teorie moderniste dell’estetica, come il formalismo. Le persone in generale, e gli studenti in particolare, sono esseri pratici. Connettere la realizzazione di opere d’arte a un fine sociale quale quello della memoria, ha il vantaggio di fornire all’immaginazione un problema concreto con cui confrontarsi. E questo incentiverà il desiderio artistico degli studenti più di quanto non possano fare mantra astratti riguardo al valore intrinseco dell’esperienza artistica. Riconnettere la produzione dell’arte con questioni sociali, rivitalizzerà l’interesse degli studenti mentre, al tempo stesso, sottolineare il contributo che l’arte può offrire alla società incoraggerà probabilmente investimenti più generosi nell’educazione artistica, più di quanto la retorica dell’arte per l’arte sia in grado di fare. Gli studiosi di estetica spesso lamentano una mancanza di rispetto nei loro riguardi, dato che il loro ambito è considerato marginale dal grande pubblico e dagli altri filosofi. È tempo di considerare la possibilità che la ragione di ciò risieda in loro stessi. Molti di loro hanno sostenuto la dottrina secondo la quale il valore dell’arte dipende da nessun altro parametro se non dall’esperienza estetica in sé. Forse chi non prende in seria considerazione l’estetica è stato indotto dagli stessi teorici estetici dell’arte, i quali ritengono che il valore dell’arte sia separato da ogni altro valore. Di conseguenza, ciò conduce a considerare l’arte e l’estetica come marginali. E perché questo dovrebbe sorprendere? Studiosi di estetica e artisti modernisti lasciano che l’arte rimanga nella sua discreta nicchia, celebrando valori a se stanti e svincolati da tutto il resto. Chi non prendono l’arte e l’estetica sul serio ha semplicemente preso gli studiosi modernisti di estetica alla lettera, finendo per credere che se l’arte non è connessa ad altro interesse all’infuri di se stessa, allora è di scarso o nullo interesse tanto per il grande pubblico che per i filosofi, i quali, occupandosi di morale e politica, non sono studiosi di estetica. Indubbiamente, questo non è quanto i modernisti e gli studiosi di estetica hanno sostenuto. In tutta sincerità, essi si aspettavano che assegnare all’arte e all’estetica un valore autonomo avrebbe condotto a una sorta di reverenza, anziché a un oblio nei confronti di tali discipline. Ma la loro stessa retorica separatista invita a un’attitudine che, nella migliore delle ipotesi, ha come suo esito l’indifferenza, se non ostilità e disdegno. Ricontestualizzare l’arte e l’estetica entro un più ampio quadro di pratiche sociali, quali la memoria, non sarà solo positivo per la società e l’arte, ma per gli stessi studiosi di estetica.33

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Una raccomandazione simile sulla direzione presa dalla filosofia dell’arte può essere trovata in Wolterstroff, “Why Analytic Philosophy of Art Cannot Handle Kissing, Touching, and Crying.” 33 L’autore desidera ringraziare Peter Kivy, Hugh Felix Carroll III, Laurie Beth Clark, Michael Peterson, e Gary Iseminger per il loro aiuto nella preparazione di questo saggio. Sebbene l’autore sia il solo responsabile per le sue manchevolezze. Questo saggio è stato presentato originariamente durante la sessione sull’arte memoriale all’incontro annuale della American Society for Aesthetics a Miami, Florida, nell’ottobre 2002.

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