Ordinamento statale e ordinamento sportivo. Tra pluralismo giuridico e diritto globale

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ORDINAMENTO STATALE E ORDINAMENTO SPORTIVO. TRA PLURALISMO GIURIDICO E DIRITTO GLOBALE  (1). Dir. amm., 2012, 03, 0299

Giuseppe Manfredi SOMMARIO: 1. Persona, gruppi, Stato. — 2. L'integrazione degli ordinamenti dei gruppi sociali. — 3. La peculiare evoluzione dell'ordinamento dei gruppi sportivi. — 4. Gli argomenti a favore della separatezza: la pretesa irriducibilità del fenomeno sportivo alle categorie del diritto statale. — 5. Segue: il pluralismo giuridico in funzione prescrittiva. — 6. Il parziale recepimento nel diritto statale delle tesi sulla separatezza dell'ordinamento sportivo: gli indirizzi della giurisprudenza e la legge n. 280/2003. — 7. La sentenza della Corte costituzionale n. 49/2011. — 8. Segue. — 9. La dimensione internazionale dello sport. — 10. Diritto globale dello sport ed effettività del diritto statale. — 11. Diritto globale e politica del diritto. 1. Persona, gruppi, Stato. Le questioni di diritto sportivo per lo più vengono affrontate avendo come principale riferimento le specificità del fenomeno sportivo e del diritto che se ne occupa. Che specificità siffatte esistano è innegabile: ma è innegabile pure che molto spesso esse vengono enfatizzate. Fra poco vedremo che questa tendenza all'enfatizzazione con ogni probabilità non è interamente casuale: ma anche a prescindere da ciò, è abbastanza scontato che qualsiasi forma di enfatizzazione non è un buon viatico per affrontare un problema, perché implica sempre una distorsione dei termini del problema medesimo. Ed è ovvio che ciò vale a maggior ragione quando si affronta quello che per il diritto sportivo è, per così dire, il problema dei problemi, ossia la questione dei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale. Mi pare dunque che il modo migliore per sfuggire al pericolo di enfatizzazioni e di distorsioni sia quello di inquadrare la questione in un contesto più ampio di quello oggetto del diritto sportivo. E dato che ciò che definiamo come ordinamento sportivo si risolve nel plesso delle norme emanate dal gruppo sociale che si occupa delle attività sportive, il contesto non può essere altro che quello dei rapporti tra gruppi sociali e Stato  (2): anzi, dei rapporti tra persona, gruppi e Stato, 1

dato che in Occidente a partire almeno dalla rivoluzione francese i rapporti tra lo Stato e le « associazioni parziali » di qualsiasi tipo generalmente sono condizionati dalla posizione del singolo che fa parte al contempo del primo e delle seconde  (3). In questo anche la Costituzione repubblicana non fa eccezione. Vero è, infatti, che l'art. 2 della Carta fondamentale, con una significativa discontinuità rispetto alle costituzioni dell'età liberale, sancisce il principio pluralistico, e, quindi, garantisce e tutela le formazioni sociali: è però altrettanto vero che in questa disposizione le formazioni sociali non vengono tutelate per un qualche valore a esse intrinseco, ma, piuttosto, perché sono funzionali alla tutela dei diritti inviolabili del singolo. Sicché, in sintesi, il principio pluralistico è strumentale all'attuazione del principio personalistico  (4). 2. L'integrazione degli ordinamenti dei gruppi sociali. Questi due principi, e il rapporto tra l'uno e l'altro che viene sancito dalla Costituzione, hanno una serie di corollari. Ne discende in primo luogo che, se la tutela dei gruppi è funzionale alla tutela dei diritti dei singoli, è abbastanza ovvio che l'appartenenza a un gruppo non può comportare una limitazione di detti diritti. Il che però a sua volta non è privo di risvolti problematici. Se, infatti, è lo Stato a dover intervenire nei gruppi per tutelare i diritti dei loro membri, si corre il rischio che le formazioni sociali ne vengano sopraffatte, e, quindi, che esse non possano neppure essere funzionali alla tutela dei diritti inviolabili del singolo  (5). Durante gli scorsi decenni sembra però essersi trovato un equilibrio abbastanza soddisfacente tra le esigenze di tutela dei singoli e dei gruppi nel regime delle associazioni non riconosciute. Come noto, l'associazione non riconosciuta è una figura che nel Codice Civile assume un rilievo marginale: ma che nell'esperienza repubblicana ha assunto un enorme rilievo concreto, dato che le formazioni sociali di maggior importanza nella vita sociale e politica del paese, i partiti e i sindacati, si sono date proprio questa veste. L'equilibrio che si è venuto a creare deriva dalla combinazione tra due fattori. Il primo è costituito da una sostanziale libertà delle associazioni di dettare da sé medesime le norme che regolano la loro esistenza, e i rapporti tra gli associati: ossia, se si vuole, di darsi un proprio ordinamento. 2

Questa libertà viene riconosciuta nel comma 1 dell'art. 36 del Codice Civile (« L'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati »), e può considerarsi senz'altro garantita dallo stesso principio pluralistico  (6) (a condizione ovviamente che non vengano lesi i diritti inviolabili di chi delle associazioni fa parte). Il secondo è invece rappresentato da un orientamento della Cassazione che origina dagli anni sessanta, per cui gli ordinamenti delle associazioni sono stati tradotti in termini comprensibili dall'angolo visuale del diritto statale, ossia come espressione dei rapporti contrattuali tra gli associati: in quanto tali azionabili davanti ai giudici statali, i quali così possono assicurare ai cittadini anche una tutela endoassociativa  (7). In sintesi: le associazioni non riconosciute godono di un'ampia autonomia, ma a esse non è riconosciuta alcuna autodichia (o autocrinia). Sicché, com'è stato rilevato da Pizzorusso, « ogni persona, anche nella sua veste di soggetto dell'ordinamento interno della formazione sociale, (può) far valere davanti ad un giudice i suoi diritti, compresi quelli che gli derivano dall'ordinamento della formazione sociale stessa », in considerazione de « il rapporto di integrazione che sussiste fra l'ordinamento giuridico statale e gli ordinamenti autonomi delle formazioni sociali operanti secundum o praeter legem nell'ambito dello Stato italiano ... »  (8). Peraltro mi sembra che qui l'espressione « integrazione » che viene impiegata da Pizzorusso sia più appropriata di quella di « assorbimento », con cui in genere viene indicato il processo tramite cui da secoli lo Stato ha proceduto a inglobare, e a trasformare in vere e proprie branche del diritto statale quelli che originariamente erano fenomeni normativi del tutto autonomi (ad esempio, l'ordinamento militare, il diritto della navigazione e lo stesso diritto commerciale  (9)). Infatti, a differenza di quanto era avvenuto nei vari casi di assorbimento, gli ordinamenti delle associazioni continuano a essere espressione di autonomia dei gruppi sociali di riferimento: ma sono collegati all'ordinamento dello Stato grazie all'opera della giurisdizione statale. Inoltre, se si considera che quella dell'associazione non riconosciuta è la forma generale e residuale che si danno le formazioni sociali, non pare neppure azzardato che a questo proposito si possa parlare di un modello generale di regime delle formazioni sociali. 3. La peculiare evoluzione dell'ordinamento dei gruppi sportivi. 3

Se a questo punto torniamo a considerare gli assetti dei gruppi sportivi, ci rendiamo conto che essi si sono evoluti in modo sensibilmente diverso. Questi gruppi infatti si sono dati un ordinamento che pretende di sfuggire all'integrazione con quello statale, e per presidiarlo hanno creato anche un articolato sistema di autodichia, la giustizia sportiva  (10). Il che è avvenuto anche (e, forse, soprattutto) grazie a un progetto consapevole, iniziato da un pluridecennale Presidente del C.O.N.I., Giulio Onesti, il quale a tal fine nel secondo dopoguerra aveva impiegato anche la Rivista di diritto sportivo: questo progetto consisteva nell'affermazione del cosiddetto primato del diritto sportivo sul diritto statale, ossia del principio per cui le attività sportive devono essere regolate solo, o, comunque, principalmente, dalle norme emanate dagli organismi sportivi, senza interferenze da parte delle fonti statali  (11). Peraltro non deve stupire che ciò sia avvenuto dopo che negli anni trenta del novecento i vertici delle organizzazioni sportive erano stati pubblicizzati (le Federazioni sportive per lo più sono state considerate enti pubblici sino a pochi anni fa; ed è tutto ra incontestata la natura di ente pubblico associativo del C.O.N.I.)  (12). Sin dall'epoca giolittiana la classe politica è stata consapevole dei vantaggi — in termini elettorali e di controllo sociale — che sono insiti in un rapporto privilegiato con la dirigenza dei gruppi sportivi, e, quindi, ha costantemente avuto un atteggiamento di particolare favore nei confronti delle aspirazioni espresse dai vertici del mondo sportivo  (13). D'altro canto un analogo atteggiamento di favore nei confronti dei vertici dei gruppi professionali ha fatto sì che pure nel diritto delle libere professioni si sia affermata non solo un'ampia autonomia, ma anche una serie di istituti che implicano alcune forme di sostanziale autodichia  (14). Come noto durante gli scorsi decenni ogni ordine e ogni collegio professionale ha potuto dotarsi di un corpus di norme deontologiche anche senza un'espressa autorizzazione del legislatore statale  (15). E le controversie sull'applicazione di queste norme per le professioni istituite prima dell'entrata in vigore della Costituzione sono state devolute ai Consigli nazionali delle rispettive professioni, considerati altrettante giurisdizioni speciali; mentre per le professioni istituite dopo l'entrata in vigore della Costituzione — dato che ex art. 102 Cost. non era possibile prevedere nuove giurisdizioni speciali — spesso sono state previste ipotesi di giurisdizione condizionata, laddove l'accesso alla giustizia statale è stato subordinato al previo esperimento di rimedi 4

amministrativi avanti ai Consigli nazionali (e talora si era previsto addirittura che i collegi giudicanti in ordine alle controversie disciplinari fossero integrati da membri nominati da parte dell'ordine di appartenenza del professionista ricorrente)  (16). 4. Gli argomenti a favore della separatezza: la pretesa irriducibilità del fenomeno sportivo alle categorie del diritto statale. Per sostenere le ragioni della necessaria separatezza dell'ordinamento sportivo dall'ordinamento statale sono stati elaborati svariati argomenti. Alla base di questi argomenti risiede la convinzione di una sorta di radicale alterità delle attività sportive rispetto alle altre attività umane: alterità la quale a sua volta comporterebbe l'irriducibilità del fenomeno sportivo alle categorie del diritto statale. E quest'ordine di idee in definitiva costituisce la fonte di quelle enfatizzazioni, e di quelle distorsioni, a cui s'è accennato più sopra. Spesso questa pretesa alterità è stata declinata in termini di valenza spirituale del fenomeno  (17). A chi non è avvezzo al lessico e alla concettuologia impiegati — soprattutto in passato — dai vertici delle organizzazioni sportive potrebbe forse sembrare un alessandrinismo, dato che conduce a una sorta di coincidenza degli opposti, un poco sorprendente, tra fisicità e, appunto, spiritualità. In realtà si tratta di una logica ricaduta della concezione decoubertiniana dello sport, che aveva declinato una delle varie concezioni ottocentesche del fenomeno, quella anglosassone, a carattere ludico e pedagogico, con finalità etiche e universalistiche che riflettevano un ethos diffuso nelle classi dirigenti occidentali tra la fine dell'ottocento e il primo decennio del novecento  (18). In prospettiva storica, nulla di nuovo: basti ricordare che in diritto romano non venivano considerate pecuniariamente valutabili le prestazioni corrispondenti all'esercizio di attività letterarie o artistiche  (19). Ma anche a questa stregua siffatta pretesa di irriducibile alterità, con tutto ciò che ne consegue, appare ben poco fondata. Sembra sufficiente considerare che esistono svariate attività umane la cui valenza spirituale è senz'altro pari, o anche superiore a quella delle attività sportive: ma che nondimeno sono pacificamente regolate dal diritto statale. In altri termini, non si vede perché la proprietà di una tela di El Greco o il diritto di autore su una poesia di Ungaretti, o, in generale, le posizioni 5

soggettive correlate alle attività di artisti, filosofi, letterati, scienziati, possano essere disciplinati dalle norme dello Stato, e, se del caso, azionati avanti i giudici statali, mentre non possono esserlo le posizioni soggettive di un calciatore, di un tennista o di un golfista. E a ben vedere la pretesa di alterità, etc., ormai non regge neppure ponendosi nell'angolo visuale delle stesse istituzioni sportive: almeno sin da quando, negli anni novanta, il Comitato olimpico internazionale ha ufficialmente consentito la partecipazione pure degli atleti professionisti — ossia di coloro che si occupano di sport come attività lavorativa, anziché per mero agonismo — alle Olimpiadi, che, come noto, in precedenza erano aperte ai soli sportivi dilettanti proprio in ossequio agli ideali decoubertiniani. Sicché anche i vertici delle organizzazioni sportive internazionali ormai ammettono apertamente che l'attività sportiva può essere svolta, oltre che per ragioni ideali, anche per ragioni squisitamente economiche, persino a livello olimpico. 5. Segue: il pluralismo giuridico in funzione prescrittiva. Ma i principali argomenti che da sempre vengono impiegati per sostenere il primato del diritto sportivo consistono in un uso a fini prescrittivi della teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici di Santi Romano. Questi argomenti vengono presentati in modi diversi, ma in sostanza si basano su un ragionamento che ha questo svolgimento: a) Romano ha dimostrato che ogni gruppo sociale può darsi un proprio ordinamento; b) anche quello dei gruppi sportivi è un ordinamento giuridico; c) perciò lo Stato non può ingerirsi (oppure, secondo la variante più diffusa: può ingerirsi solo limitatamente) nell'ordinamento sportivo. Ora, anche se talora viene avanzato qualche dubbio, a quasi un secolo di distanza dalla sua elaborazione la teoria di Romano è notoria, e può considerarsi senz'altro pacifica  (20): mi pare impensabile che oggi si possa tornare a sostenere seriamente la coincidenza tra Stato e diritto. Anche il punto b) pare abbastanza pacifico, grazie alle sistemazioni in termini di pluralismo giuridico delle norme emanate dai gruppi sportivi proposte sin dagli anni venti del novecento da Cesarini Sforza, e negli anni quaranta da Giannini, nelle Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi  (21). Piuttosto è il passaggio dalle premesse di cui ai punti a) e b) alla conclusione di cui al punto c) che risulta decisamente opinabile, e, anzi, costituisce un vero e proprio salto logico. 6

E ciò per una ragione abbastanza ovvia: le tesi di Romano si muovono sul piano della teoria generale del diritto, e, quindi, se prese di per sé sole, non possono in alcun modo avvalorare pretese di autonomia o di indipendenza di questo o di quel gruppo sociale. Peraltro l'impiego a fini prescrittivi pare una sorte abbastanza curiosa per una teoria che, come aveva già rilevato Orlando, rappresenta il frutto di una indagine « condotta da un punto di vista rigorosamente giuridico ... in guisa da sottrarsi completamente a qualsiasi influenza di natura filosofico-giuridica »  (22). Certo, le tesi romaniane hanno consentito per la prima volta di avvedersi che tutti i gruppi sociali sono anch'essi produttori di norme giuridiche al pari dello Stato, il quale, in definitiva, è null'altro che l'istituzione di un gruppo che storicamente ha avuto particolare successo: e, quindi, che tra l'uno e l'altro fenomeno anche dal punto di vista giuridico non esiste nessuna incommensurabilità. Il che può senz'altro preludere al riconoscimento dell'autonomia (o, magari, dell'indipendenza) dei gruppi, etc. (in concreto, il pluralismo giuridico rientrava senz'altro nel bagaglio culturale dei costituenti, e, quindi, ha rappresentato una delle fonti di ispirazione del principio pluralistico ex art. 2 Cost.). Ma da qui non si può certo passare tout court ad affermare che i gruppi sociali devono potersi dare norme che prevalgano su quelle statali, o che i gruppi devono avere una sorta di riserva di competenza normativa in questo o in quel settore: esemplificando, è come se dalla considerazione che il diritto soggettivo è figura di teoria generale si volesse inferire che Tizio o Caio devono essere titolari di un determinato diritto soggettivo. Non a caso anche Giannini nelle Prime osservazioni — che a tutt'oggi fornisce la sistemazione del fenomeno sportivo in termini di pluralismo giuridico al contempo più raffinata e più coerente con le tesi di Romano —, senz'altro non postula un'inferenza siffatta  (23). Mi sembra dunque abbastanza evidente che qui ci si trova di fronte a un uso del pluralismo giuridico che potremmo definire ideologico: e peraltro le vicende istituzionali del novecento dimostrano che gli impieghi ideologici di questa teoria possono condurre pure a conseguenze che sono diametralmente opposte a quelle pretese dai sostenitori del primato del diritto sportivo. Un'ampia corrente di pensiero ad esempio ritiene che le teorie romaniane siano state in certa misura funzionali a un'integrazione delle istituzioni e degli ordinamenti non statuali nello Stato, tramite la 7

« riconduzione degli ordinamenti all'unità dello Stato »  (24). Per completezza va detto che, fatte queste considerazioni, risulta abbastanza scontato che al fine di giustificare siffatta inferenza pure gli sforzi che talora vengono fatti per dimostrare che l'ordinamento sportivo sarebbe un ordinamento originario anziché un ordinamento derivato appaiono di scarsa utilità  (25). Anche nell'ottica romaniana è pacifico che il fatto che un ordinamento originariamente — mi si perdoni il bisticcio — abbia carattere originario non può certo impedire che in seguito si verifichi il suo assorbimento da parte di (o la sua integrazione in) un altro ordinamento. Se così non fosse, oggi non avremmo il codice dell'ordinamento militare ex d.lgs. n. 66/2010, il codice della navigazione, e neppure il libro quinto del codice civile: tutti plessi di norme statali che si ricollegano a fenomeni di assorbimento. E sempre se così non fosse non sarebbe possibile nessuna forma di tutela endoassociativa, perché in passato pure gli ordinamenti delle associazioni non riconosciute s'erano formati senza condizionamenti di sorta da parte del diritto statale, che sino all'inizio del novecento considerava i fenomeni associativi giuridicamente irrilevanti  (26). Ma forse il pericolo che ragionamenti siffatti si risolvano in un fuor d'opera lo si può apprezzare adeguatamente quando si ricorda che, poiché Romano aveva — giustamente — rilevato che anche « una società rivoluzionaria o un'associazione a delinquere » può essere un ordinamento giuridico originario  (27), talora ci si trova a disquisire se la mafia vada o meno considerata come un ordinamento, e su quali siano le conseguenze concrete di questa qualificazione  (28). Discussioni di questo genere finiscono però per essere decisamente oziose, perché è scontato che i gruppi dediti al crimine o alla sovversione erano stati richiamati da Romano — come da altri prima di lui — solo exempli gratia, senza nessuna pretesa di nobilitare fenomeni siffatti, o di legittimarli sul piano del diritto statale: e, quindi, è ovvio che su questo piano dalla qualificazione di detti gruppi come istituzioni con un proprio ordinamento originario non si può trarre la benché minima conseguenza  (29). 6. Il parziale recepimento nel diritto statale delle tesi sulla separatezza dell'ordinamento sportivo: gli indirizzi della giurisprudenza e la legge n. 280/2003. Durante gli ultimi decenni le tesi sulla separatezza dell'ordinamento sportivo sono riuscite a condizionare la stessa evoluzione 8

dell'ordinamento statale. La vicenda è abbastanza complessa  (30), ma volendo procedere per estrema sintesi può dirsi che ciò è avvenuto principalmente perché, quando la giurisprudenza statale ha affrontato il problema della qualificazione delle cosiddette norme tecnico-sportive, ossia delle norme che regolano lo svolgimento delle competizioni sportive, non ha trovato strumenti adeguati nelle categorie del diritto statale. Autori come Furno e Carnelutti a metà del novecento avevano infatti provato a ricostruire le competizioni con gli strumenti del diritto dei contratti: ma s'erano arresi di fronte alla constatazione che l'accordo di osservare determinate regole di gioco non ha natura patrimoniale  (31). Ecco dunque perché le Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 4399 del 1989 avevano affermato che « rispetto all'ap plicazione delle regole tecniche che determinano il risultato di una competizione agonistica » non è configurabile una posizione giuridica dei cittadini azionabile avanti alla giustizia statale, trattandosi di questione verso cui l'ordinamento statale ha un atteggiamento di indifferenza, e che pertanto lascia regolare dalle norme emanate dai gruppi sportivi: norme che, pur essendo « dotate di rilevanza nell'ambito dell'ordinamento che le ha espresse, sono insuscettibili di inquadramento giuridico nell'ambito dell'ordinamento generale ». In realtà la questione è tutt'altro che irrisolvibile anche restando nell'ottica del diritto statale, dato che pure le norme che regolano le gare possono rientrare nel contesto di una articolata pattuizione associativa, che nel suo complesso sottende senz'altro interessi meritevoli di tutela (oggi il problema può essere affrontato impiegando gli strumenti concettuali che vengono dalla riconduzione del diritto delle associazioni non riconosciute entro gli schemi del diritto statale: ossia strumenti che non erano disponibili quando della questione si erano occupati Carnelutti e Furno). Ed è ovvio poi che la valenza patrimoniale o meno degli accordi sullo svolgimento delle gare non assume nessun rilievo se si ricostruisce la relativa attività in chiave pubblicistica: come noto, anche dopo la privatizzazione delle Federazioni sportive operata dal d.lgs. n. 242 del 1999 si è riproposto il problema della qualificazione in termini pubblicistici o privatistici dell'attività di questi organismi, dato che l'art. 15 del decreto n. 242 fa riferimen to alla « valenza pubblicistica » di specifiche tipologie di attività delle Federazioni  (32). Ancor meno giustificato risulta poi l'orientamento del T.A.R. del Lazio 9

che sempre negli anni ottanta del novecento ha affermato che le sanzioni disciplinari irrogate dalle organizzazioni sportive sono rilevanti per il diritto statale, e, quindi, sindacabili avanti il G.A. solo quando comportano una « stabile alterazione » dello status di chi viene sanzionato. Anche a tutto voler concedere, infatti, non vi sono problemi di sorta a leggere secondo gli schemi del diritto statale sanzioni di qualsiasi genere  (33). Grazie a questi orientamenti giurisprudenziali, l'ordinamento sportivo è dunque venuto ad avere un assetto bifronte, perché è stato considerato in parte integrato nell'ordinamento statale, e in parte separato da esso. La parziale separatezza è stata poi confermata e rafforzata ex lege durante lo scorso decennio, quando un Governo soccorrevole nei confronti dei vertici dei gruppi sportivi ha emanato il decreto-legge n. 220 del 2003, convertito nella legge n. 280 del 2003 da un Parlamento altrettanto soccorrevole. Dato che durante l'estate del 2003 svariate squadre di calcio avevano contestato avanti ai giudici statali i risultati dei campionati che si erano appena conclusi, con il d.l. n. 220 per garantire la separatezza dell'ordinamento sportivo si era apprestato un formi dabile insieme di strumenti: le clausole di riserva alla giustizia sportiva delle controversie tecniche e di quelle disciplinari, la cosiddetta pregiudiziale sportiva (una forma di giurisdizione condizionata, per cui nelle controversie che non sono riservate alla giustizia sportiva, per poter adire il giudice statale occorre comunque previamente percorrere tutti i gradi della giustizia sportiva), la competenza esclusiva del T.A.R. del Lazio su tutte le controversie devolute al G.A. Se non si avesse dimestichezza con le peculiari dinamiche istituzionali del nostro paese, non mancherebbe di suscitare una certa perplessità che il relatore della legge di conversione del decreto avesse definito come un « vero e proprio disastro incombente sul mondo del calcio » una situazione che in ultima analisi si risolveva in un ricorso ai giudici dello Stato. In realtà è abbastanza scontato che questo intervento legislativo costituisce l'ennesima riprova del tradizionale favore della classe politica per la dirigenza delle organizzazioni sportive  (34). Vero è che spesso i tribunali amministrativi di questa o di quella regione erano stati sospettati di favoritismi a favore delle squadre locali: ma è altrettanto vero che per ovviare a inconvenienti di questo genere sarebbe stata ampiamente sufficiente la sola previsione della competenza 10

esclusiva del T.A.R. del Lazio sulle controversie sportive. Va poi segnalato che, mentre gli orientamenti giurisprudenziali affermatisi negli anni ottanta del novecento si limitavano a ragionare in termini di rilevanza di determinate situazioni soggettive per l'ordinamento statale (sicché la parziale separatezza delle norme emanate dagli organismi sportivi che ne derivava si atteggiava come una sorta di ricaduta inintenzionale), la legge n. 280 del 2003 riprende sì questa logica, ma al contempo enuncia espressamente anche l'intento di tutelare l'autonomia dell'ordinamento sportivo. Per la prima volta il legislatore statale configura dunque questa autonomia come un valore positivo, affermando nell'art. 1 che « la Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale ... ». 7. La sentenza della Corte costituzionale n. 49/2011. Come noto, la legge n. 280 è stata accolta con perplessità sia da ampia parte della dottrina  (35), sia dalla giurisprudenza, dato che implica un sensibile arretramento della tutela giurisdizionale nei confronti degli atti degli organismi sportivi rispetto agli assetti precedenti, che, pure, come s'è visto, non erano particolarmente garantistici. Il che aveva condotto anche a orientamenti giurisprudenziali divergenti: in particolare, perché il T.A.R. del Lazio aveva più volte proposto una lettura restrittiva della lett. b) del comma 1 dell'art. 2 della legge (che riserva al giudice sportivo la definizione delle questioni aventi ad oggetto « i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive »), mentre il Consiglio di Stato era fermo nell'interpretare questa clausola letteralmente  (36). Contrasto che ha condotto alla rimessione alla Consulta della questione di costituzionalità di questa disposizione con l'ordinanza 241 del 2010 del T.A.R. Lazio  (37). Con la sentenza n. 49 del 2011 la Corte ha preteso di risolvere la questione con una pronunzia interpretativa di rigetto. La Consulta infatti ha sì ammesso apertamente che le sanzioni disciplinari sportive incidono su diritti costituzionalmente tutelati, laddove ha osservato che « la possibilità, o meno, di essere affiliati ad una Federazione sportiva o tesserati presso di essa nonché la possibilità, o meno, di essere ammessi a svolgere attività agonistica disputando le gare ed i campionati organizzati dalle Federazioni sportive facenti capo al 11

CONI ... non è situazione che possa dirsi irrilevante per l'ordinamento giuridico generale e, come tale, non meritevole di tutela da parte di questo. Ciò in quanto è attraverso siffatta possibilità che trovano attuazione sia fondamentali diritti di libertà — fra tutti, sia quello di svolgimento della propria personalità, sia quello di associazione — che non meno significativi diritti connessi ai rapporti patrimoniali — ove si tenga conto della rilevanza economica che ha assunto il fenomeno sportivo, spesso praticato a livello professionistico ed organizzato su base imprenditoriale — tutti oggetto di considerazione anche a livello costituzionale ». Ciò nonostante la Corte ha ritenuto di poter evitare la declaratoria di incostituzionalità della clausola di riserva aderendo alla lettura dell'art. 2 che era stata proposta nella decisione 5782/2008 del Consiglio di Stato: ove si era affermato che, quando un atto degli organismi sportivi incide su posizioni giuridiche rilevanti per l'ordinamento giuridico statale, avanti al giudice statale non è ammissibile una domanda di annullamento dell'atto medesimo, ma solo la tutela risarcitoria « non operando alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere ». Secondo la Corte questo assetto individuerebbe « una diversificata modalità di tutela giurisdizionale », che rappresenta « un non irragionevole bilanciamento »: presumibilmente (anche se non viene detto esplicitamente) tra le esigenze di tutela del singolo e quelle di coesione del gruppo. 8. Segue. Ora, è incontestabile che la tutela meramente risarcitoria che viene configurata da questa pronunzia è pur sempre meglio della totale assenza di tutela che si evinceva dall'interpretazione letterale della clausola di cui alla lettera b) del comma 2 dell'art. 2 della legge del 2003. Nondimeno, la soluzione rinvenuta dalla Corte costituzionale risulta insoddisfacente sotto svariati profili — e su ciò mi pare che tra i primi commentatori della sentenza si registri un'ampia concordanza  (38). E ciò, per tacer d'altro, soprattutto perché la motivazione (tutt'altro che stringente) della sentenza non riesce a dar conto delle effettive ragioni per cui il « bilanciamento » tra le esigenze di tutela del singolo e (come s'è detto: presumibilmente) le esigenze di tutela del gruppo nel contesto dei gruppi sportivi può dare origine a un assetto radicalmente diverso rispetto a quelli che si verificano negli altri gruppi sociali. In altri termini, non è dato comprendere perché nei gruppi sportivi si debba avere diritto solo a una tutela endoassociativa dimidiata, mentre 12

ciò non accade in gruppi che nella vita sociale ed economica del paese assumono un rilievo incommensurabilmente maggiore: quali i gruppi che sono entificati nei sindacati e nei partiti politici, e persino i gruppi professionali, soprattutto dopo che i recenti indirizzi della giurisprudenza della Corte di Cassazione hanno attenuato il deficit di tutela giurisdizionale nei confronti delle sanzioni disciplinari irrogate dagli ordini e dai collegi  (39). I regimi di tutti questi gruppi costituiscono anzi altrettanti tertia comparationis i quali dimostrano che il peculiare assetto che la Corte ha voluto dare alla tutela endoassociativa nel settore sportivo in definitiva collide con il principio di uguaglianza. E, dunque, dato che il trattamento deteriore delle pretese di giustizia degli sportivi rispetto a quelle di altri soggetti dell'ordinamento risulta ingiustificato, collide pure con il principio personalistico ex art. 2 Cost. e con il diritto di azione ex art. 24 Cost.: e, ovviamente, se si accoglie la sistemazione pubblicistica dell'attività degli organismi sportivi, anche con l'art. 113 Cost. Basti considerare che alla stregua del ragionamento della Corte il legislatore potrebbe senz'altro consentire agli ordini professionali di radiare gli iscritti all'albo, e, quindi, di impedire loro di svolgere la professione, concedendo al professionista la sola tutela per equivalente. Si potrebbe dire che per questo aspetto la sentenza n. 49 in definitiva rappresenta l'estremo successo di quella operazione culturale intesa alla affermazione del primato del diritto sportivo, che, come s'è visto, era iniziata nell'immediato secondo dopoguerra. Infatti la Consulta non ha saputo vedere al di là delle distorsioni concettuali e delle vere e proprie illusioni ottiche che sono il prodotto di tale operazione, e, quindi, non è riuscita ad avvedersi che sul piano giuridico non vi sono ragioni effettive che possano giustificare un assetto della tutela endoassociativa nei gruppi sportivi così sensibilmente diverso da quelli degli altri gruppi sociali. 9. La dimensione internazionale dello sport. Nella parte motiva della sentenza si ricorda che la legge n. 280 afferma che l'ordinamento sportivo nazionale costituisce un'articolazione di quanto viene definito come « l'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale »: nondimeno, la questione di costituzionalità dell'art. 2 della legge viene esaminata e affrontata « prescindendo dalla dimensione internazionale del fenomeno ». 13

Anche in considerazione del fatto che questa « dimensione » in passato è stata utilizzata anch'essa in funzione prescrittiva dai fautori di privilegi del mondo sportivo, sembra opportuno approfondire il punto. Il fatto che nella sentenza n. 49 questo aspetto del fenomeno sportivo sia rimasto oggetto di un mero accenno, e non sia stato impiegato per giustificare le conclusioni a cui perviene la Consulta, non sembra casuale. Il concreto rilievo della « dimensione » in parola è ampiamente noto, e (grazie anche all'approfondito e stimolante studio che all'argomento di recente è stato dedicato da Lorenzo Casini  (40)) sono noti pure la complessità del sistema sportivo internazionale, e la trama, fitta e intricata, delle relazioni e dei contatti che esso intrattiene con gli Stati e con gli organismi internazionali: basti solo pensare all'Agenzia mondiale anti-doping (Ama, o Wada), che deriva dalla collaborazione tra il Comitato Olimpico Internazionale e diversi Stati nazionali, e il cui operato viene garantito dalla convenzione che è stata promossa dall'Unesco nel 2005  (41). Si tratta ovviamente di un argomento di estremo interesse (anche e soprattutto per quanto riguarda l'evoluzione del modo di operare dei pubblici poteri in ambito sovranazionale) ma per quanto rileva in questa sede la complessità di questo sistema e di questi rapporti non può costituire una distrazione, o uno schermo, per l'osservatore. Mi sembra infatti che ai nostri fini resti comunque tuttora valida la lezione di Giannini, che aveva rilevato il collegamento dell'ordinamento sportivo italiano con quello internazionale per la prima volta oltre sessant'anni fa, nelle già citate Prime osservazioni. Ma Giannini, da maestro del diritto qual'era, da questo collegamento non aveva certo inteso inferire una qualche giuridica esigenza di un trattamento peculiare per l'ordinamento sportivo, e, piuttosto, s'era sempre limitato a rilevare che l'atteggiamento per lo più astensionistico adottato dagli Stati nazionali nei confronti delle materie normate dalle organizzazioni sportive internazionali costituisce una vicenda di mero fatto  (42). La ragione di questa posizione — la quale peraltro (stranamente?) talora sembra essere stata equivocata dai sostenitori del primato del diritto sportivo — è presto detta. Il cosiddetto ordinamento sportivo internazionale in realtà non fa capo a un vero e proprio soggetto di diritto internazionale  (43), dato che il Comitato Olimpico Internazionale è null'altro che un'associazione privata di diritto svizzero  (44) — e non a caso anche Casini ha intitolato il lavoro 14

testé richiamato al diritto globale dello sport. E questo dato in nuce non è stato smentito neppure dalle sempre più fitte relazioni degli organismi sportivi con gli Stati e con le organizzazione sovranazionali: in sostanza, fatte ovviamente salve le debite eccezioni (quale quella dell'attività dell'Ama, di cui s'è appena detto), la regola generale è tuttora quella enunciata da Giannini. Ciò posto, va detto che, sulla base della nostra Costituzione, l'ordinamento italiano considera ordinamenti separati, rispetto ai quali è consentita anche una (parziale) rinuncia alla sovranità statuale, solo l'ordinamento internazionale, quello comunitario e quello canonico — e peraltro anche a fronte di questi tre ordina menti non è consentita alcuna rinuncia di sovranità che leda i principi inviolabili del nostro ordinamento: tra i quali rientrano senz'altro anche i diritti tutelati dall'art. 2 Cost.  (45). E poiché l'ordinamento sportivo internazionale, o globale, senz'altro non rientra nel novero di tali ordinamenti, pare scontato che la sua esistenza (ovvio: dal punto di vista del nostro ordinamento statale) non possa giustificare una qualche rinuncia di sovranità suscettibile di tradursi in un inadempimento al dovere di tutelare i diritti della persona: senza poi considerare che, come s'è appena detto, questo dovere probabilmente non verrebbe meno neppure a fronte dell'ordinamento internazionale vero e proprio, etc. A voler riprendere come termine di paragone uno degli esempi di fenomeni associativi impiegato da Cesarini Sforza ne Il diritto dei privati, si potrebbe dire che per il diritto statale vigente gli organismi sportivi in genere si vengono a trovare in una situazione in definitiva non diversa da quella di un'associazione non riconosciuta quale il Rotary Club, perché anche questa associazione ha un collegamento con l'organizzazione mondiale del Rotary International (fermo ovviamente restando che i due fenomeni di fatto hanno un rilievo sociale — e, mi sia permesso dirlo, sinanco economico — ben diverso)  (46). 10. Diritto globale dello sport ed effettività del diritto statale. V'è però da chiedersi se l'impostazione del problema che risale a Giannini oggi debba essere sottoposta a revisione in considerazione delle conseguenze giuridiche dei fenomeni che sono riconducibili alla nozione di globalizzazione. Nella dottrina odierna la questione viene affrontata in modi che, al di là delle convergenze, e delle somiglianze apparenti, sono molto diversi tra loro. 15

Un primo approccio è quello, alieno da suggestioni storiciste e deterministe, che nella dottrina giuspubblicistica odierna fa capo soprattutto a Cassese, e in sostanza esamina l'odierna progressiva affermazione di un ordine giuridico globale per il tramite dell'operato degli organismi internazionali  (47). Ora, numerosi dati confermano sia che questo nuovo ordine va affermandosi, sia che esso, pur essendo ben lungi dal soppiantare gli ordinamenti dei singoli Stati nazionali, tende a condizionarli in vari modi. Mi sembra però da un lato che a oggi si tratti di un processo in fieri, o, se si preferisce, di un work in progress, i cui esiti sono tutt'altro che certi e definiti. Per riprendere un'osservazione di Cassese, se è vero che « i seguaci del relativismo — quelli per cui ogni società ha il suo proprio diritto, prodotto dallo Stato — sottovalut(a)no la capacità dei sistemi giuridici di adattarsi, di convivere, e, convivendo, di cambiare », è altrettanto vero che « all'opposto, la piccola schiera dei seguaci dell'universalismo — quelli per cui la globalizzazione giuridica è ormai imperante — sopravvaluta l'unità e l'uniformità dell'ordinamento giuridico globale, nonché la sua capacità di imporsi agli ordini giuridici domestici »  (48). E, dall'altro lato, che l'adattamento degli ordinamenti statali al nuovo ordine giuridico globale passi tuttora attraverso mecca nismi giuridici interni dei singoli ordinamenti statali: ad esempio, per restare al nostro ordinamento, il meccanismo delle « norme interposte » che è stato elaborato dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007 per configurare le norme della CEDU — e, forse, in futuro, le norme di altri trattati internazionali — come parametro di legittimità delle leggi italiane nel giudizio di costituzionalità  (49). Sicché non pare che anche a questa stregua possa considerarsi concretamente realizzata una qualche sorta di stateless society, e che il nostro ordinamento statale, con i principi a cui è informato, possa considerarsi privo di effettività, intendendosi l'effettività in senso romaniano, ossia come concreta esistenza e concreta vitalità  (50). Ne discende dunque che pure in quest'ottica i profili di diritto globale dello sport non possono ostacolare l'attuazione dei principi costituzionali più sopra richiamati: né mi pare che a questo proposito lo studio di Casini — anch'esso avalutativo, e alieno da suggestioni storiciste — proponga una diversa soluzione. 11. Diritto globale e politica del diritto. Oltre a quello appena visto vi è però anche un altro approccio, che 16

potremmo definire di politica del diritto, che in sostanza auspica l'avvento di un ordine giuridico globale che soppianti definitivamente e integralmente il diritto statale, affinché si realizzi, per dirla con le parole di Grossi, la « riappropriazione del diritto da parte della società »  (51). Si tratta di una posizione che spesso è connotata da un'elevata tensione morale, in cui probabilmente confluiscono suggestioni di segno diverso, che vanno dall'antistatalismo, alimentato dalle ingiustizie degli Stati borghesi dell'ottocento e dagli orrori degli Stati totalitari del novecento, all'aspirazione a un diritto svincolato dall'autorità e dal potere, che veda protagonisti i giuristi anziché il legislatore, com'era nel diritto romano, nel diritto medievale, e com'è (in certa misura) nella common law  (52), sino alla concezione irenica del cosmopolitismo giuridico che riemerge periodicamente almeno sin dai tempi dell'illuminismo  (53). Non pare però che questo approccio possa orientare la soluzione dei problemi di diritto positivo, quale quello che qui viene esaminato — beninteso: intendendo il diritto positivo non necessariamente come il diritto statale, ma, piuttosto, come il diritto effettivamente vigente che oggi in concreto regola la vita della nostra società. E dunque non pare che esso possa giustificare una negazione dell'efficacia precettiva delle norme e dei principi della nostra Costituzione  (54). Detto questo, va ricordato che non è neppure del tutto scontato che la globalizzazione giuridica, laddove comporti il venire meno di ogni forma di diritto statale, ci conduca necessariamente e inevitabilmente verso un approdo utopico. È noto che non mancano svariate correnti di pensiero che considerano il venire meno di ogni forma di diritto statale come un'utopia in negativo, o, se si preferisce, come una distopia, in cui i poteri economici non avrebbero alcun limite e nessun contrappeso  (55). Per riprendere ancora una volta una considerazione di Grossi, se è vero che la globalizzazione può essere una « grossa occasione di maturazione e di aperture », è altrettanto vero che essa rappresenta al contempo anche un « grosso rischio (che consiste) nell'arroganza del potere economico, che non è minore di quella paventata del potere politico ... il rischio è la strumentalizzazione della dimensione giuridica al soddisfacimento di interessi economici, spesso concretantisi — in un clima di capitalismo sfrenato — nel raggiungimento con ogni mezzo e ad ogni costo del maggior profitto possibile »  (56). Certo, è innegabile che una buona dose di cautela, e persino di 17

diffidenza, nei confronti dello Stato, e, in generale, nei confronti di ogni forma di pubblico potere, sia un atteggiamento sempre opportuno. Probabilmente è vero che il potere è in una certa misura necessario  (57), ma è altrettanto vero che esso costituisce sempre una possibile fonte di arbìtri e di lesioni dei diritti della persona (e d'altro canto la storia del diritto amministrativo e, in genere, del diritto pubblico, consiste anche — e per alcuni soprattutto — nella ricerca di strumenti atti a limitare e a contenere i pubblici poteri, e ad affermare i diritti dei cittadini anche nei confronti di essi). Nondimeno, mi pare che i principi sanciti nella Costituzione italiana, e in generale nelle Costituzioni dei paesi occidentali, pur con tutte le insufficienze e le aporie che contraddistinguono il costituzionalismo  (58), costituiscano un patrimonio di garanzie a cui non si può rinunciare troppo frettolosamente. In disparte la considerazione che comunque l'odierno diritto globale dello sport pare lontanissimo dall'archetipo del « diritto che nasce dal basso, all'insegna della schietta spontaneità »  (59), che sembra auspicato da Grossi: come appunto dimostra lo studio di Casini, il sistema sportivo globale in realtà costituisce un'organizzazione imponente, ordinata in modo verticistico, dotata di un sistema gerarchico delle fonti del diritto che in certa misura è paragonabile a quello degli Stati sovrani (o di quelli che in passato venivano considerati tali), ma che è ben lungi dall'aver sviluppato un sistema di garanzie nei confronti del potere di efficacia analoga a quella dei sistemi sviluppati dagli Stati  (60). Sicché pure in una prospettiva assiologica non pare che vi siano ragioni atte a giustificare una qualche forma di immunità del diritto emanato dagli organismi sportivi rispetto ai principi della nostra Costituzione. (1) Lo scritto riprende e amplia i contenuti dell'intervento all'incontro I rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo, Firenze, 2.12.2011. (2) Si tratta di un approccio che anche riguardo ai gruppi sportivi è stato impiegato in particolare da G. ROSSI, Enti pubblici associativi. Aspetti del rapporto fra gruppi sociali e pubblico potere, Napoli, 1979, passim. (3) In argomento la letteratura è ovviamente vastissima, ma un inquadramento storico essenziale si rinviene in N. BOBBIO, Libertà fondamentali e formazioni sociali. Introduzione storica, in Pol. dir., 1975, pp. 431 e ss. (4) Sul punto la dottrina costituzionalistica pare concorde: v., tra gli altri, L. PALADIN, Diritto costituzionale, Padova, 1988, p. 566, E. TOSATO, Persona, società intermedie e Stato, Milano, 1989, pp. 225 e ss., E. ROSSI, Le formazioni sociali nella Costituzione italiana, Padova, 1989, pp. 190 e ss., e, riassuntivamente, V. CRISAFULLI, L. PALADIN, Commentario breve alla Costituzione, Padova, 1990, p. 115. (5) Volendo usare un'espressione cara a Lombardi Vallauri, si potrebbe dire che qui 18

emerge un problema di soluzione problematica. Il punto viene esposto con particolare chiarezza da V. ONIDA, Le Costituzioni. I principi fondamentali della Costituzione italiana, in G. AMATO, A. BARBERA, Manuale di diritto pubblico, Bologna, I, 1997, p. 103: « È chiaro che un intervento dello Stato a tutela del singolo può esigere o comportare una limitazione della libertà dell'organizzazione sociale o una interferenza nella sua vita interna; d'altra parte un'assenza di intervento potrebbe consentire una violazione dei diritti costituzionalmente garantiti delle persone ». (6) In proposito la giurisprudenza costituzionale non fornisce indicazioni del tutto univoche, ma spunti in tal senso si ricavano dalle sentenze che tra gli anni ottanta e gli anni novanta hanno dichiarato l'incostituzionalità delle norme che avevano disposto la pubblicizzazione delle Istituzioni di assistenza e beneficienza e delle Comunità israelitiche. Ad esempio, nella sentenza n. 396/1988, laddove si legge che « il principio del pluralismo che ispira nel suo complesso la Costituzione repubblicana e che, nel campo dell'assistenza, è garantito, quanto alle iniziative private, dall'ultimo comma dell'art. 38 », comporta l'illegittimità costituzionale della pubblicizzazione delle i.p.a.b. E nella sentenza n. 259/1990 si afferma l'illegittimità del R.D. 1731/1930 « perché ess(o) comporta l'assoggettamento di formazioni sociali, che si costituiscono sul sostrato di una confessione religiosa, alla penetrante ingerenza di organi dello Stato ». Per una valutazione di questi orientamenti v. L. FERRARA, Enti pubblici ed enti privati dopo il caso I.P.A.B.: verso una rivalutazione del criterio sostanziale di distinzione?, in Riv. trim. dir. pubbl., 1990, 446 e ss. (7) Questo orientamento è stato esaminato approfonditamente dalla migliore dottrina civilistica: v., per tutti, F. GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Commentario del Codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1976, passim, e cfr. almeno anche M. BASILE, L'intervento dei giudici nelle associazioni, Milano, 1975. (8) A. PIZZORUSSO, Persone fisiche, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, p. 213. (9) V., tra gli altri, N. BOBBIO, Teoria dell'ordinamento giuridico, Torino, 1960, pp. 194 e ss., e F. MODUGNO, Legge - Ordinamento giuridico - Pluralità degli ordinamenti. Saggi di teoria generale del diritto, Milano, 1985, passim. Sull'assorbimento dell'ordinamento militare è poi scontato il rinvio al noto saggio di V. BACHELET, Disciplina militare e ordinamento giuridico statale, Milano, 1962, mentre sull'assorbimento delle norme elaborate dalle classi mercantili si può vedere da ultimo F. GALGANO, Lex mercatoria, Bologna, 2001, p. 74. (10) In proposito resta tuttora attuale la generale sistemazione di F. P. LUISO, La giustizia sportiva, Milano, 1975, ma di recente la trattazione più ampia si deve a L. FERRARA, Giustizia sportiva, voce in Enc. dir. Annali, Milano, 2010, III, pp. 491 e ss. (11) Lo si enuncia in uno scritto dello stesso G. ONESTI, in Riv. dir. sportivo, 1962, pp. 124 ss.; v., in proposito, anche I. MARANI TORO, Giulio Onesti ed il diritto sportivo, ivi, 1981, pp. 417 ss. (12) Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul punto viene compendiato da G. MORBIDELLI, Gli enti dell'ordinamento sportivo, in V. CERULLI IRELLI, G. MORBIDELLI (a cura di), Ente pubblico ed enti pubblici, Torino, 1994, pp. 171 e ss. (13) Questo approccio ha dunque rappresentato una vera e propria costante della vita politica e istituzionale italiana, come dimostra l'approfondita indagine di F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane: storia e politica, Torino, 2006, passim. (14) V., in proposito, G. ROSSI, Enti pubblici associativi. Aspetti del rapporto fra gruppi sociali e pubblico potere, cit., passim. (15) Ed è sulla scia di questa ritenuta autonomia normativa che di recente gli ordini hanno preso a emanare senza alcuna autorizzazione legislativa anche norme che con la deontologia hanno a che fare poco o punto; da ultimo, addirittura norme sulle specializzazioni 19

professionali dei loro iscritti: è il caso del regolamento sulle specializzazioni professionali emanato dal Consiglio nazionale forense, che il T.A.R. Lazio nelle sentenze nn. 5151 e 5152 del 2011 ha dichiarato nullo proprio per violazione del principio di legalità. Sui poteri normativi esercitati dagli ordini professionali sia però permesso rinviare al mio L'attività normativa degli ordini professionali incontra il principio di legalità, in Foro amm. - T.A.R., 2011, pp. 3177 e ss. (16) Questi istituti, e i diversi aspetti per cui essi risultano scarsamente coerenti con i principi costituzionali, sono stati approfonditi da ultimo da M. RENNA, Professioni e procedimenti disciplinari, in www.giustamm.it, n. 9/2011. (17) V., ad esempio, i citati scritti di G. ONESTI e di I. MARANI TORO, e, soprattutto, B. ZAULI, Essenza del diritto sportivo, in Riv. dir. sportivo, 1962, pp. 229 e ss., e cfr. P. M. PIACENTINI, Sport, voce in G. GUARINO (a cura di), Dizionario amministrativo, Milano, 1983, pp. 1425 e ss. (18) V. in questo senso F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane: storia e politica, cit., pp. 1 e ss., il quale peraltro ricorda che nell'ottocento non mancavano pure concezioni ben diverse, quale quella svedese (ispirata a « preoccupazioni di carattere eugenetico e razzistico ») e quella tedesca (« legata a una impostazione che potremmo definire nazional-militare », siccome intesa ad addestrare i cittadini alla vita militare, e che nell'ottocento aveva avuto vastissima diffusione in tutta l'europa continentale). Sulle diverse valenze che storicamente ha assunto l'attività sportiva v. anche V. SANNONER, La Costituzione italiana e lo sport, in D. MASTRANGELO (a cura di), Aspetti giuspubblicistici dello sport, Bari, 1994, pp. 13 e s. (19) Lo ricorda ad esempio M. GIORGIANNI, L'obbligazione, Milano, I, 1951, p. 38. (20) Sulle influenze di questa, e di altre delle dottrine di Romano sono sempre attuali gli studi pubblicati in P. BISCARETTI DI RUFFIA (a cura di), Le dottrine giuridiche di oggi e l'insegnamento di Santi Romano, Milano, 1977. Da ultimo considerazioni in ordine all'influsso della teoria della pluralità degli ordinamenti sul diritto pubblico italiano si leggono in A. MASSERA, Il contributo originale della dottrina italiana al diritto amministrativo, in Dir. amm., 2010, pp. 761 e ss. (21) W. CESARINI SFORZA aveva proposto questa sistemazione già ne Il diritto dei privati, pubblicato per la prima volta in Riv. it. sc. giur., 1929, pp. 43 e ss. (di questo testo ho però utilizzato la terza edizione, Milano, 1963), e poi l'aveva ripresa in una nota pubblicata in Foro. it., 1933, I, pp. 1381 e ss., La teoria degli ordinamenti giuridici e il diritto sportivo. Lo scritto di M. S. GIANNINI è pubblicato in Riv. dir. sportivo, 1949, pp. 10 e ss. (22) V. E. ORLANDO, Recenti indirizzi circa i rapporti fra Diritto e Stato (Ordinamento giuridico — regola di diritto — istituzione), p. 17 dell'estratto dalla Rivista di diritto pubblico e la Giustizia amministrativa, 1926. (23) Un discorso a parte si dovrebbe fare per Cesarini Sforza, dato che questo a. aveva impiegato il diritto creato dai gruppi sportivi come esempio della nozione di diritto dei privati proposta nell'omonimo volume appena citato. Ma come si è visto nel § 2 del testo, le tesi di Cesarini Sforza non sembrano avere trovato riscontro nella successiva evoluzione dei rapporti tra l'ordinamento statale e quelli dei gruppi sociali; e ciò, nonostante che il testo dell'art. 36 cod. civ. con tutta probabilità fosse stato formulato in ottica di pluralismo giuridico: come rilevano G. VOLPE PUTZOLU, La tutela dell'associato in un sistema pluralistico, Milano, 1977, p. 7, e A. FUSARO, L'associazione non riconosciuta. Modelli normativi ed esperienze atipiche, Padova, 1991, pp. 79 e ss. (24) M. CORSALE, Pluralismo giuridico, voce in Enc. dir., Milano, 1983, XXXIII, p. 1016; cfr. in proposito, tra gli altri, anche G. D. FALCON, Gli “scritti minori” di Santi Romano, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, pp. 672 e ss., V. ANGIOLINI, Costituente e costituito nell'Italia repubblicana, Padova, 1995, p. 8, P. RESCIGNO, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1996, pp. 22 e s. 20

(25) Come noto, per ordinamento derivato in genere viene inteso quello che si trova in stato di subordinazione rispetto a un altro ordinamento, perché la sua esistenza è condizionata da quest'ultimo, mentre quello originario superiorem non recognoscit. (26) Lo ricorda ad esempio M. BASILE, L'intervento dei giudici nelle associazioni, cit., p. 138. (27) S. ROMANO, L'ordinamento giuridico, II° ed., Firenze, 1945, p. 160. (28) Di un dibattito sulla configurabilità o meno della mafia come ordinamento giuridico ci informa ad es. G. FIANDACA, La mafia come ordinamento giuridico. Utilità e limiti di un paradigma, in Foro it., 1995, V, pp. 21 e ss.: scritto in cui l'a. giunge appunto alla conclusione che la questione è priva di ricadute concrete di un qualsivoglia rilievo. Peraltro va ricordato che anche se in questi dibattiti per lo più vengono richiamate le tesi di Romano, l'esplicito riferimento alla mafia come fonte di una forma di diritto si rinviene in B. CROCE, in Filosofia della pratica. Economica ed etica, Bari, 1932, IV ed., pp. 313 e ss., insieme ad altri esempi « scelti tra i più strani e meglio atti a fare scandalo ». (29) Come rilevava appunto per primo S. ROMANO, op. loc. cit. Ovviamente non è ozioso l'impiego delle teorie romaniane per esaminare le associazioni illecite senza volerne trarre conseguenze sul piano del diritto statale — come mi segnalò qualche tempo fa Giorgio Cugurra, lo ha fatto in modo estremamente interessante ad esempio A. PIGLIARU, in La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico, Milano, 1959. (30) Ho cercato di descriverla in Pluralità degli ordinamenti e tutela giurisdizionale. I rapporti tra giustizia statale e giustizia sportiva, Torino, 2007, pp. 119 e ss. (31) C. FURNO, Note critiche in tema di giuochi, scommesse e arbitraggi sportivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, pp. 619 ss.; F. CARNELUTTI, Figura giuridica dell'arbitro sportivo, in Riv. dir. proc., 1953, pp. 20 e ss. (32) Questa disposizione può essere dunque interpretata nel senso che con essa il legislatore ha operato un conferimento di poteri pubblici a soggetti privati (fattispecie su cui v. in generale, da ultimo, F. DE LEONARDIS, Soggettività privata e azione amministrativa, Padova, 2000, e A. MALTONI, Il conferimento di potestà pubbliche ai privati, Torino, 2005), oppure una funzionalizzazione per principi, analoga ad esempio a quella che si riscontra nell'impiego pubblico privatizzato — così G. NAPOLITANO, Sport, voce in S. CASSESE (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, VI, p. 5683, e L. FERRARA, L'ordinamento sportivo e l'ordinamento statale si imparruccano di fronte alla Camera di conciliazione e arbitrato dello sport, in Foro amm.-CDS, 2005, pp. 1233 e ss. La questione è poi complicata dal fatto che il testo vigente dell'art. 15 del d.lgs. n. 242 demanda l'individuazione di queste attività allo statuto del Coni: ma sul punto mi sia permesso rinviare al mio Associazioni di tifosi sportivi e interessi legittimi, in Rass. dir. econ. sport, 2011, pp. 17 ss. (33) In disparte la considerazione che criteri quale quello della « stabile alterazione » sono in tutta evidenza connotati da una irrimediabile vaghezza: e non caso nella prassi giurisprudenziale la loro applicazione ha condotto ai risultati più diversi. (34) Per altro verso esso potrebbe considerarsi comunque consono all'ésprit du temps, dato che negli ultimi anni l'atteggiamento istituzionale nei confronti dei problemi della giustizia spesso ha condotto a misure deflative del contenzioso che finiscono col tradursi in autentici ostacoli all'esercizio del diritto di difesa: l'esempio più tipico può considerarsi la c.d. mediazione o mediaconciliazione obbligatoria, prevista per la più parte delle controversie civilistiche dal d.lgs. n. 28/2010, e che da ultimo è stata dichiarata costituzionalmente illegittima da Corte Cost. n. 272/2012; ma probabilmente perseguono implicitamente un intento deflativo anche le periodiche dimidiazioni del termine per ricorrere al G.A. in tema di contratti pubblici, e, sempre in questo settore, pure la fissazione del contributo unificato in misura enormemente superiore a quella prevista in ogni altro caso. Sicché, in buona sostanza, per garantire il diritto di agire in giudizio si finisce coll'impedire di agire in giudizio. 21

(35) Negli scorsi anni sui rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo alla luce del d.l. n. 220/2003 sono stati pubblicati numerosi studi, tra cui v. almeno L. FERRARA, L'ordinamento sportivo: meno e più della libertà privata, in Dir. pubbl., 2007, pp. 1 ss., e Giustizia sportiva, cit., G. CLEMENTE DI SAN LUCA, Dei limiti all'autonomia dell'ordinamento sportivo. Riflessioni intorno a calcio e diritto, in Dir. pubbl. 2007, pp. 33 e ss.; F. GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Milano, 2007, R. MORZENTI PELLEGRINI, L'evoluzione dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento statale, Milano, 2007, N. PAOLANTONIO, Ordinamento statale e ordinamento sportivo: spunti problematici, in Foro AMM., 2007, pp. 1152 ss., M. DELSIGNORE, Sanzioni sportive: considerazioni sulla giurisdizione da parte di un giudice privo della competenza funzionale, in Dir. proc. amm. 2008, pp. 1115 e ss., A. MASSERA, Sport e ordinamenti giuridici: tensioni e tendenze nel diritto vivente in una prospettiva multilaterale, in Dir. pubbl., 2008, pp. 113 e ss., T. E. FROSINI, L'ordinamento sportivo nell'ordinamento costituzionale, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, Napoli, 2009, pp. 235 e ss., i contributi di A. ROMANO TASSONE, L. FERRARA, C. FRANCHINI, M.R. SPASIANO, M.A. SANDULLI in AA.VV., Ordinamento sportivo e calcio professionistico: tra diritto ed economia, Milano, 2009, e, volendo, il mio Pluralità degli ordinamenti, cit. (36) Sulla vicenda v. L. MARZANO, La giurisdizione sulle sanzioni disciplinari sportive: il contrasto fra TAR e Consiglio di Stato approda alla Corte costituzionale, in Giur. merito, 2010, pp. 2567 ss. (37) Su cui v. L. MARZANO, La giurisdizione, cit. (38) Tra i primi commenti a questa sentenza: A. DE SILVESTRI, La Corte costituzionale azzoppa il diritto d'azione dei tesserati e delle affiliate, in www.giustiziasportiva.it, G. FACCI, Il risarcimento del danno come punto di bilanciamento tra il controverso principio dell'autonomia dell'ordinamento sportivo e l'art. 24 Cost., in Resp. Civ. prev., 2011, pp. 417 ss., F. PAVONI, La Corte costituzionale esclude il giudizio di annullamento sulle sanzioni disciplinari sportive, ivi, pp. 2003 ss., E. LUBRANO, La Corte costituzionale n. 49/2011: nascita della giurisdizione meramente risarcitoria o fine della giurisdizione amministrativa in materia disciplinare sportiva?, in Dir. econ. sport, 2011, pp. 63 e ss., A. BASILICO, L'autonomia dell'ordinamento sportivo e il diritto di agire in giudizio: una tutela dimezzata?, in Giorn. dir. amm., 2011, pp. 733 ss., A. DI TODARO, La tutela effettiva degli interessi tra giurisdizione sportiva e statale: la strana « fuga » della Corte dal piano sostanziale a quello per equivalente, in Giur. Cost., 2011, pp. 697 ss., I. PIAZZA, Ordinamento sportivo e tutela degli associati: limiti e prospettive del nuovo equilibrio individuato dalla Corte costituzionale, in Giur. it., 2012, pp. 187 e ss., nonché gli scritti di F. BLANDO, S. FANTINI, T.E. FROSINI, A. SCALA, M.R. SPASIANO, A. PALMIERI, A. BASILICO pubblicati nel primo numero della nuova serie della rivista di diritto sportivo, che può leggersi in www.coni.it, e, volendo, il mio Gruppi sportivi e tutela endoassociativa, in Giur. Cost., 2011, pp. 688 ss. (39) Durante lo scorso decennio la Cassazione ha abbandonato l'orientamento tradizionale sull'insindacabilità delle norme deontologiche, e, quindi, ha preso a considerare anch'esse come parametro del giudizio di legittimità: v., in proposito, da ultimo, S. STACCA, Le garanzie nei confronti del potere disciplinare degli ordini professionali, in Foro amm.-CDS, 2011, pp. 3070 e ss. (40) L. CASINI, Il diritto globale dello sport, Milano, 2010. (41) V. L. CASINI, Il diritto globale dello sport, cit., 81 e ss. (42) M. S. GIANNINI da ultimo l'aveva rilevato in Ancora sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1996, cit., p. 674. Giova ricordare che invece talora si sono giustificate le pretese di separatezza dell'ordinamento sportivo per il tramite di argomenti di mero fatto, quale l'opportunità di evitare ingerenze dello Stato nella vita degli organismi sportivi al fine 22

di evitare il disconoscimento degli organismi e degli atleti italiani da parte del Cio o delle Federazioni sportive internazionali: disconoscimento che ad esempio veniva usualmente paventato dalla Federazione internazionale calcistica in occasione degli interventi giudiziari statali nel settore sportivo di riferimento. Va però ricordata la lezione di L. MENGONI, L'argomentazione orientata alle conseguenze, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, pp. 1 e ss., secondo cui le argomentazioni orientate alle conseguenze non possono essere decisive nell'orientare l'interpretazione di un testo normativo: per tacer d'altro, perché tramite argomentazioni di questo genere si corre il rischio che le valutazioni di opportunità dell'interprete finiscano per sostituirsi a quelle del legislatore — nella dottrina amministrativistica v., in tal senso, A. TRAVI, Il metodo amministrativo e gli « altri saperi », in Dir. pubbl., 2003, pp. 865 e ss. Fermo quanto sopra, sia permesso svolgere (ovviamente, ad abundantiam) alcune considerazioni in punto di fatto: in primo luogo ricordando che queste minacce di disconoscimento talora appaiono strumentali, dato che in genere vengono formulate quando gli interventi statali, anche se solo limitatamente invasivi, risultano sgraditi agli organismi sportivi internazionali (e a quelli nazionali), mentre invece questi organismi non hanno alcuna reazione di fronte a interventi ben più invasivi, ma che risultano graditi alla dirigenza dei gruppi sportivi: quale appunto la legge n. 280 del 2003. In secondo luogo rappresentando che, anche ove si ritenga che i gruppi sportivi non hanno diritto a un trattamento che rispetto a quello delle altre formazioni sociali sia suscettibile di convertirsi in un privilegio odioso per i singoli sportivi, determinati tipi di interventi statali risulterebbero comunque illegittimi, per contrarietà al principio pluralistico ex art. 2 Cost. e a quello stesso di ragionevolezza ex art. 3 Cost.: ad esempio, sarebbero senz'altro illegittime discipline legislative che imponessero regole tecniche di gioco diverse da quelle sanciti dagli organismi sportivi internazionali. Sicché anche in punto di mero fatto gli argomenti di questo genere, basati sulle possibili ricadute o conseguenze e/o su valutazioni di opportunità, come si suol dire provano troppo. Senza poi considerare che, per vero, le minacce di disconoscimento da parte degli organismi sportivi internazionali vengono sin troppo drammatizzate, ché, a ben vedere, tutta una serie di interventi di Stati o di organismi sovranazionali pur molto incisivi non hanno portato a nessuna reazione: tipicamente, la nota sentenza della Corte di Giustizia CE c.d. Bosman del 15.12.1995 (su cui v., per tutti, M. CLARICH, La sentenza Bosman: verso il tramonto degli ordinamenti giuridici sportivi?, in Riv. dir. sportivo, 1996, pp. 393 e ss.), che alla stregua di certe opinioni avrebbe dovuto condurre al disconoscimento di tutte le squadre e di tutti gli atleti dei paesi europei. (43) M. S. GIANNINI, Ancora sugli ordinamenti giuridici sportivi, cit., p. 672. (44) Su questa configurazione del Cio peraltro concorda tuttora anche la dottrina internazionalistica: v., per tutti, R. SAPIENZA, Il Comitato internazionale Olimpico, in E. GREPPI, M. VELLANO (a cura di), Diritto internazionale dello sport, Torino, 2005, pp. 11 e ss. (45) In questo senso, per tutti, M. CARTABIA, Principi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995, spec. pp. 106 e ss., e, più di recente, S. CASSESE, I tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Roma, 2009, pp. 53 e ss. (46) Lo statuto del Rotary Club è stato impiegato da W. CESARINI SFORZA come esempio ne Il diritto dei privati, cit., p. 52, nt. 1. Peraltro numerosi altri ordinamenti infrastatuali hanno collegamenti transnazionali di vario genere (tipicamente, diversi tra i sindacati e tra i partiti politici — per restare ai giorni nostri, basti pensare ai collegamenti transnazionali tra i partiti socialisti e tra quelli popolari): nondimeno, questi collegamenti non sono stati stati addotti come argomenti a sostegno della legittimità di una qualche immunità o di una qualche situazione di privilegio di tali organismi. (47) In proposito di S. CASSESE v. almeno La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002, Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari, 2003, Oltre lo Stato, Roma-Bari, 2006, Il diritto globale. Giustizia 23

e democrazia oltre lo Stato, Torino, 2009. La nozione di diritto globale dell'a. non sembra interamente coincidente con altre nozioni contigue che di recente sono state proposte dalla dottrina, e, in particolare, con quella di « diritto sconfinato » che si deve a M. R. FERRARESE (di cui v. almeno Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Bologna, 2006, e Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, Bologna, 2000), dato che — come segnala questa stessa a. in Diritto globale e « dislocazioni » giuridiche. A partire da un volume di S. Cassese, in Pol. dir., 2011, pp. 379 e ss. — questa seconda nozione considera anche gli aspetti di diritto transnazionale che derivano dall'affermarsi di una nuova lex mercatoria sganciata da ogni collegamento anche con le autorità sovranazionali. (48) S. CASSESE, Universalità del diritto, Napoli, 2005, pp. 31 e s. (49) Così S. CASSESE, I tribunali di Babele, cit., pp. 63 e ss. (50) V., in proposito, P. PIOVANI, Effettività (principio di), voce in Enc. dir., Milano, 1965, XIV, spec. pp. 428 e ss., e cfr., da ultimo, M. D'ALBERTI, L'effettività e il diritto amministrativo, Napoli, 2011. (51) P. GROSSI, Il diritto tra potere e ordinamento, Napoli, 2005, p. 54. (52) L'aspirazione a un diritto svincolato da ogni fondamento autoritativo è notoriamente ricorrente, ma la prospettazione più compiuta di un sistema giuridico non autoritativo si rinviene forse in B. LEONI, La libertà e la legge, Macerata, 1994. (53) Su questo tipo di approccio alla globalizzazione, e sulle sue radici culturali, che risalgono almeno alle note tesi kantiane, v., in senso critico, D. ZOLO, Globalizzazione. Una mappa dei problemi, Roma-Bari, 2006, passim. (54) In definitiva l'approccio di cui si dice nel testo probabilmente costituisce l'ennesimo episodio di dialettiche che nel pensiero giuridico occidentale hanno origini risalenti, e che periodicamente si ripresentano in vesti parzialmente diverse, quali quella tra legge e giustizia, quella tra legge e interprete, o quella tra legalità e legittimità, etc.: questioni che, però, dovrebbero considerarsi superate da quando la nostra Carta fondamentale, al pari della più parte delle costituzioni contemporanee, ha voluto risolvere il problema incorporando al suo interno principi morali, e, quindi, operando « la stabilizzazione del punto di vista morale all'interno del diritto positivo » — L. MENGONI, Note sul rapporto tra diritto e morale, ora in Id., Scritti. I. Metodo e teoria giuridica, Milano, 2011, p. 29. D'altro canto pure autori che da sempre hanno un approccio critico nei confronti dello statalismo giuridico non dimenticano i pericoli di arbìtrio che erano insiti nelle tesi del cosiddetto diritto libero, quali quelle di H. U. KANTOROWICZ, La lotta per la scienza del diritto, Bologna, 1988, e di O. BULOW, Legge e ufficio del giudice, in Quad. fiorentini per la storia del pensiero giuridico, 2001, pp. 199 e ss.: v., ad es., P. RESCIGNO, Pluralità degli ordinamenti ed espansione della giuridicità, in P. ROSSI (a cura di), Fine del diritto?, Bologna, 2009, pp. 81 e ss. Per completezza non va però dimenticato che, ciò nonostante, negli ultimi anni la dialettica tra diritto e giustizia sembra essere ridivenuta attuale, sia per effetto di alcune tendenze giusrealistiche che sfociano nello scetticismo interpretativo (cfr. almeno gli studi pubblicati in J. DERRIDA, G. VATTIMO (a cura di), Diritto, giustizia, interpretazione, Roma-Bari, 1998, nonché G. MINDA, Teorie postmoderne del diritto, Bologna, 2001, e ivi anche la lucida presentazione di M. BARBERIS, Deconstructing Gary), sia perché da ultimo la stessa conciliazione tra diritto e morale operata dalle costituzioni contemporanee talora viene ritenuta non interamente soddisfacente — cfr. in proposito almeno F. VIOLA, Come la natura diventa norma, L. PATRUNO, L'oscuro fondamento del diritto di natura, entrambi in Dir. pubbl., 2011, pp. 147 e ss. e pp. 169 e ss., A. SIMONCINI, La teoria del diritto naturale e il disorientamento del giurista contemporaneo, prefazione a R.P. GEORGE, Il diritto naturale nell'età del pluralismo, Torino 2011, pp. 5 e ss. (55) Nella letteratura politologica v. in proposito almeno le considerazioni, ben poco 24

rassicuranti, di C. CROUCH, Postdemocrazia, Roma-Bari, 2004, e, in quella giuridica, i rilievi di E. BOCKENFORDE, Diritto e secolarizzazione. Dallo Stato moderno all'Europa unita, RomaBari, 2010, spec. pp. 204 e ss., e di D. ZOLO, Globalizzazione, cit. (56) P. GROSSI, Globalizzazione, diritto, scienza giuridica, ora in G. ALPA, (a cura di), Paolo Grossi, Roma- Bari, 2011, p. 208. (57) V., in questo senso, ad es., G. ROSSI, Potere amministrativo e interessi a soddisfazione necessaria. Crisi e nuove prospettive del diritto amministrativo, Torino, 2011, p. 5, dove si rileva che « la necessità del potere deriva dall'esistenza di interessi che il singolo non può soddisfare da solo... ». (58) Alle quali si è accennato nella nt. 54. (59) P. GROSSI, Il diritto tra potere e ordinamento, cit., p. 9. (60) Come esempi concreti mi sembra sufficiente ricordare che il vertice del sistema sportivo globale, il Cio, sceglie i suoi membri tramite la cooptazione; oppure — per tornare alla dimensione nazionale — l'assetto degli organi di giustizia sportiva disegnato dal vigente statuto della Figc: i membri di questi organi sono nominati dagli organi rappresentativi della

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