Ordinem vestrum: un pronunciamento fragile e resistente, in Frate Francesco 81 (2015) 477-504.

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FRATE FRANCESCO rivista di cultura francescana

Felice Accrocca Ordinem vestrum: un pronunciamento fragile e resistente

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Anno 81 - Nuova Serie - Novembre 2015 - n. 2

Ordinem vestrum: un pronunciamento fragile e resistente Felice Accrocca

Il Capitolo generale del 1239 segnò, per l’Ordine francescano, una tappa di non ritorno1. In quell’occasione, infatti, i ministri d’Oltralpe ottennero, con il decisivo appoggio di Gregorio IX, che si giungesse alla deposizione di frate Elia2, uomo fortemente legato a Francesco e ancora fermo, nella sostanza, al sistema di governo sancito dalla Regula non bullata. Fedele in ciò all’atteggiamento del suo fondatore e padre, il ministro generale si era mostrato contrario a varare costituzioni per normare la vita dell’Ordine: sono ben note, infatti, le affermazioni di Salimbene, secondo il quale con la caduta di Elia si poté agire con più libertà e fu fatta una «maxima multitudo» di costituzioni generali3. 1   Cito le fonti secondo i Fontes franciscani, a cura di E. Menestò, S. Brufani, G. Cremascoli, E. Paoli, L. Pellegrini, Stanislao da Campagnola, apparati di G. M. Boccali (Medioevo francescano. Testi 2), S. Maria degli Angeli-Assisi 1995, rispettando le partizioni interne (paragrafi e versetti) di questa stessa edizione; fanno eccezione: Legenda latina sanctae Clarae virginis Assisiensis, introduzione, testo restaurato, note e indici a cura di G. Boccali, con traduzione italiana a fronte di M. Bigaroni (Pubblicazioni della Biblioteca Francescana Chiesa Nuova – Assisi 11), S. Maria degli Angeli-Assisi 2001; Thomas de Celano, Memoriale. Editio critico-synoptica duarum redactionum ad fidem codicum manuscriptorum, curaverunt F. Accrocca, A. Horowski (Subsidia scientifica franciscalia 12), Roma 2011 (anche per la numerazione mi attengo a questa edizione, segnalando tra parentesi il numero della pericope corrispondente nella edizione curata dai padri di Quaracchi, poi ripresa nei Fontes franciscani). Affiancherò il riferimento alle Fonti francescane. Nuova edizione. Scritti e biografie di san Francesco d’Assisi. Cronache e altre testimonianze del primo secolo francescano. Scritti e biografie di santa Chiara d’Assisi. Testi normativi dell’Ordine Francescano Secolare, a cura di E. Caroli, Padova 2004 (= FF), seguendo il numero marginale progressivo in grassetto. Adotto le seguenti abbreviazioni: CAss = Compilatio Assisiensis; LegsC = Legenda sanctae Clarae virginis; Mem = Thomae de Celano Memoriale; Proc = Processo di canonizzazione di santa Chiara. 2   Rinvio in proposito a F. Accrocca, Frate Elia ministro generale, in Elia di Cortona tra realtà e mito. Atti dell’Incontro di studio (Cortona, 12-13 luglio 2013) (Figure e temi francescani. Atti degli Incontri di studio della Società internazionale di studi francescani e del Centro interuniversitario di studi francescani 2), Spoleto 2014, 61-90. 3   Salimbene de Adam, Cronica I, ed. G. Scalia (Corpus Christianorum. Continuatio Mediaevalis 125), Turnholti 1998, 149, rr. 6-7: «Quartus defectus fratris Helye fuit quod, toto tempore quod fuit minister, non fuerunt generales constitutiones in Ordine»;

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Dalla caduta di Elia alla Ordinem vestrum Le solerti ricerche di Cesare Cenci sono riuscite a documentare la sostanziale esattezza di queste informazioni, anche se non tutta la legislazione che Bonaventura ereditò dai suoi predecessori fu varata nel Capitolo del 1239. È vero, inoltre, che tra il 1239 e il 1241 Gregorio IX indirizzò diverse lettere ai frati Minori, concedendo loro un elevato numero di benefici, alcuni di notevole portata4. Tolto di mezzo Elia, quelli che erano stati causa della sua deposizione si sentirono maggiormente liberi di agire, coadiuvati dal sostegno papale: la legislazione sancì il nuovo indirizzo. I lacerti della documentazione giunta fino a noi consentono di capire che proprio la vicenda dell’antico sodale di Francesco aveva esercitato una notevole influenza sugli estensori delle prime costituzioni5: la prima parte – e la più consistente – della documentazione più antica tra quella prodotta anteriormente alla promulgazione delle Costituzioni di Narbona è infatti dedicata al funzionamento del Capitolo e al comportamento da tenere nei confronti del ministro generale6. Nei loro documenti legislativi i Minori recepirono anche interventi effettuati da Gregorio IX negli ultimi due anni del suo pontificato. Il 19 giugno 1241, con la lettera Gloriantibus vobis, il papa aveva infatti recepito la richiesta dei frati perché, in loro assenza, i ministri potessero delegare a uomini idonei la facoltà di ricevere nuovi membri nell’Ordine, per evitare che, a causa dell’impossibilità d’accoglierli immediatamente nella famiglia religiosa, anche uomini ben intenzionati finissero per desistere da tale proposito. Tuttavia, nel dispensare dal precetto della Regola, Gregorio IX mise in guardia i frati affinché invece, nel Capitolo in cui Elia venne deposto «facta est maxima multitudo constitutionum generalium, sed non erant ordinate; quas processu temporis ordinavit frater Bonaventura generalis minister, et parum addidit de suo, sed penitentias taxavit in aliquibus locis» ibidem 245, rr. 6-9. 4   Cfr. F. Accrocca, «Sancta plantatio Fratrum Minorum Ordinis». Gregorio IX e i Frati Minori dopo Francesco, in idem, L’identità complessa. Percorsi francescani fra Due e Trecento (Centro Studi Antoniani 53), Padova 2014, 117-123. 5   Parte della legislazione prenarbonense è stata ritrovata e pubblicata da C. Cenci, De Fratrum Minorum Constitutionibus Praenarbonensibus, in Archivum Franciscanum Historicum 83 (1990) 50-95; idem, Fragmenta priscarum Constitutionum praenarbonensium, in Archivum Franciscanum Historicum 96 (2003) 289-300; idem, Vestigia constitutionum praenarbonensium, in Archivum Franciscanum Historicum 97 (2004) 61-98; tali testi sono ora confluiti nel volume: Consitutiones Generales Ordinis Fratrum Minorum, I. (Saeculum XIII), cura et studio fratrum C. Cenci et G. Mailleux (Analecta Franciscana XIII – n.s. Documenta et studia 1), Grottaferrata 2007. 6   Cfr. Cenci, Fragmenta, in Archivum Franciscanum Historicum 96 (2003) 291-297, art. 1-33.

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evitassero un’accoglienza indiscriminata e si limitassero ad ammettere quanti avrebbero potuto essere utili all’Ordine edificando altri con l’esempio della loro conversione7. Tali indicazioni passarono nei testi legislativi che in quegli anni venivano pian piano articolandosi8. La lettera Gloriantibus vobis si rivela dunque come il terminus post quem per datare la prescrizione contenuta nei Fragmenta in merito all’accoglienza dei candidati. È difficile, infatti, che sia stato, al contrario, il papa a recepire il dettato delle costituzioni, poiché qualora i frati avessero già determinato una tale risoluzione in materia non ci sarebbe stato bisogno di nessuna sottolineatura da parte di Gregorio IX9. Si cercò quindi di contenere l’accesso dei laici nell’Ordine10 e si stabilì d’intervenire per correggere ogni eccesso nell’ostentazione di

  Bullarium Franciscanum, t. I, ed. J. H. Sbaraleae, Romae 1759 (d’ora in poi BF), 298 (n. 344): «Nos, devotionis vestrae precibus inclinati [...] vobis auctoritate praesentium concedimus facultatem, ita tamen, ut non passim admittantur converti volentes, sed illi soli qui et Ordini utiles et alii aedificari valeant suae conversionis exemplo». 8   Riporto, in sinossi, il testo delle Praenarbonenses e della lettera papale: 7

Gloriantibus vobis [...] non passim admittantur converti volentes, sed illi soli qui et Ordini utiles et alii aedificari valeant suae conversionis exemplo.

Fragmenta Praenarbonensium Nullus recipiatur in Ordine nostro nisi [...] sit talis clericus vel laicus, de cuius ingressu esset valde famosa et celebris edificatio in populo et clero [Cenci, Fragmenta, in Archivum Franciscanum Historicum 96 (2003) 298, art. 41].

9   Cenci, Fragmenta, in Archivum Franciscanum Historicum 96 (2003) 291, ritiene invece che le prescrizioni da lui rintracciate nel codice di Todi siano da datare tra il 1239 e il 1241. Gratien de Paris, Histoire de la fondation et de l’évolution de l’Ordre des Frères Mineurs au XIIIe siècle, bibliographie mise à jour par M. D’Alatri et S. Gieben (Bibliotheca seraphico-capuccina 29), Roma 1982, conosceva soltanto il testo delle Costituzioni di Narbona; egli, tuttavia, così si espresse in merito alla prescrizione corrispondente varata nel 1260: «C’est donc au Chapitre de 1239 qu’il faut faire remonter cette prescription des Consitutions de 1260» (153). 10   Cfr. Cenci, Fragmenta, in Archivum Franciscanum Historicum 96 (2003) 298, art. 41. È chiaro che nello stabilire che non si dovesse ricevere alcuno «nisi talis qui rexerit in artibus, vel qui ... [parole illeg.] aut rexerit in medicina, in decretis aut legibus, aut sit sollempnizatus responsor in theologia, seu valde famosus predicator, seu multum celebris et approbatus advocatus, vel qui in famosis civitatibus vel castellis laudabiliter in gramatica rexerit, vel sit talis clericus vel laycus, de cuius ingressu esset valde celebris et famosa edifficatio in populo et clero», si cercasse di arginare l’ingresso di uomini incolti. Particolari interessanti, in proposito, riferisce Salimbene. Secondo il cronista parmense il terzo difetto (Salimbene ne enumera una lunga serie) di frate Elia fu quello che «homines indignos promovit ad officia Ordinis. Faciebat enim laicos guardianos, custodes et ministros, quod absurdum erat valde, cum in Ordine esset copia bonorum clericorum» Salimbene de Adam, Cronica I, 148, rr. 10-13; «Nam illo tempore

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pitture, ornamenti, finestre, colonne e nelle misure degli edifici (lunghezza, larghezza, altezza) ancorché imposte dalle diverse consuetudini locali. I trasgressori dovevano essere ovunque severamente puniti dai visitatori dell’Ordine11. All’inizio degli anni quaranta, l’Ordine registra pertanto con disagio una situazione edilizia in aperto contrasto con la propria professione di povertà, nonostante che nella Quo elongati il papa avesse tentato di tranquillizzare gli animi affermando che i frati non dovevano avere «proprietà né in comune né individualmente»12, e quindi potevano occupare con serenità i luoghi perché questi non appartenevano loro. È evidente, da tutto ciò, come in pochi anni si giungesse a decisioni di notevole portata che caratterizzeranno profondamente la fisionomia dell’Ordine. Allo scossone causato dalla vicenda di frate Elia, allo scandalo seguito alla sua scomunica e al suo passaggio al partito imperiale, si assommò il peso di tali decisioni, che certo non ebbero unanime accoglienza. Tutto ciò, ovviamente, produsse gravi tensioni interne che dovettero crescere, anziché diminuire, durante il governo di Aimone di Faversham. Fu così che nel Capitolo generale del 1244 l’Ordine decise di nuovo di attingere al deposito della propria memoria e di confrontarsi con il suo fondatore. Una lettura anche cursoria del Bullarium consente di capire in qual modo, nei primi anni di governo, Innocenzo IV confermasse a più riprese le decisioni prese da Gregorio IX, in particolare le lettere emanate negli ultimi due anni del suo pontificato. Dal Bullarium risalta altresì come all’inizio degli anni quaranta venisse crescendo la rivalità tra i due Ordini mendicanti, quello dei Minori e quello dei Predicatori. Il 21 aprile 1244, con la lettera Quo vos, Innocenzo IV rimproverava infatti ai Minori di generare scandali dando accoglienza frequente a et layci sacerdotes precedebant» ibidem 150, rr. 21-22; «Et ideo, processu temporis, merito ad nichilum sunt redacti, quia eorum receptio quasi totaliter est prohibita, eo quod honorem impensu sibi minime cognoverunt, et quia Ordo fratrum Minorum tantam laicorum multitudinem non requirit» ibidem 150-151, rr. 33-1. Alla fine, Salimbene sbotta: «Semper enim insidiabatur nobis. Nam recordo ego, in conventu Pisano, quod voluerunt mittere ad capitulum quod, quando recipiebatur unus clericus, reciperetur similiter et unus laycus. Sed non fuerunt auditi nec etiam exauditi, quia disconveniens valde erat» ibidem 151, rr. 4-8. 11   Cenci, Fragmenta, in Archivum Franciscanum Historicum 96 (2003) 297, art. 34-35. 12   H. Grundmann, Die Bulle «Quo elongati» Papst Gregors IX, in Archivum Franciscanum Historicum 54 (1961) 5-25 (il testo della lettera è alle pagine 20-25): «Dicimus itaque, quod nec in communi nec in speciali debent proprietatem habere» (22, rr. 8284: FF 2734). Sul documento di Gregorio IX rinvio ora a F. Accrocca, Quo elongati: il tentativo di una doppia fedeltà, in Frate Francesco 81 (2015) 133-166.

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frati dell’Ordine dei Predicatori13. Ovviamente, non si trattò di un comportamento a senso unico e forse – non è da escluderlo – anche i Minori poterono lamentarsi con il pontefice di aver ricevuto egual trattamento dai loro cugini; fatto sta che, appena due mesi dopo, il 24 giugno 1244, Innocenzo IV diresse a entrambi un’identica lettera (Meminimus vobis) nella quale vietava loro di accogliere indiscriminatamente nei propri ranghi membri dell’altro Ordine e di ammettere qualcuno alla professione prima che avesse terminato l’anno di noviziato14. Che, lungi dal distendersi, i rapporti tra i due maggiori Ordini mendicanti andassero invece complicandosi, lo mostra con tutta evidenza una pagina del Memoriale di Tommaso da Celano. Dopo una prima redazione, che probabilmente suscitò le riserve dei frati, nel 1247 l’agiografo portò a compimento un’altra redazione dell’opera (redazione intermedia): ebbene, in quella che veniva tradizionalmente identificata come pericope numero 149 e che è presente soltanto nella stesura intermedia del Memoriale15, Tommaso, dopo aver riferito dell’incontro che Francesco e Domenico ebbero a Roma in casa del cardinale Ugo e averne descritto l’umile contegno e l’amore reciproco16, esclama con veemenza: «Cosa dite, figli di santi? Lo zelo e l’invidia provano che siete figli degeneri, e non meno l’ambizione degli onori dimostra che siete illegittimi. Vi mordete   BF I, 327 (n. 36): «Sane admirantes accepimus, quod vos non absque offensa rectitudinis, quae in vestris debet actibus haberi continue specialis, Fratres Predicatores et eorum Ordini obligatos frequenter ad vestrum recipitis, unitatem Spiritus in pacis vinculo non servantes». Sbaraglia mutua la data (21 aprile 1244) da Wadding (cfr. ibidem 328, nota b); la stessa viene comprovata anche dal Bullarium Ordinis Ff. Praedicatorum, t. I, edd. A. Brémond, T. Ripoll, Romae 1729 (d’ora in poi BOP), 141, num. 69, che produce un testo leggermente diverso: «[...] quae in vestris debet actibus haberi continue, specialiter Fratres Predicatores, [...]» (notare anche la diversa interpunzione, che contribuisce a dare al testo un senso differente); «[...] unitatem Spiritus in pacis vinculo non servatis». Le parole del pontefice apparivano dure, poiché – ciò che non risulta dalle edizioni dei Bollari – i frati contravvenivano espressamente all’esortazione dell’Apostolo. Scrivendo agli Efesini, Paolo li esortò infatti ad essere solleciti nel «servare unitatem Spiritus in vinculo pacis» (Eph 4,3); i frati si mostravano invece «unitatem Spiritus in pacis vinculo non servantes». 14   Cfr. BF I, 345-346 (n. 53); BOP I, 144, (n. 75). Si veda, su tale questione, anche la testimonianza di Tommaso da Eccleston: Tractatus fr. Thomae vulgo dicti de Eccleston De adventu fratrum minorum in Angliam, ed. A. G. Little (Collection d’Études et de Documents 7), Paris 1909, 100-102 (FF 2525). Da notare che l’incipit della lettera, nel quale il papa richiama una precedente lettera sull’argomento, è lo stesso in entrambe, il che postula che una lettera analoga alla lettera Quo vos, inviata il 21 aprile ai frati Minori, sia stata indirizzata anche ai frati Predicatori. 15   Sulle diverse redazioni del Memoriale rinvio a quanto si dice in proposito nell’introduzione alla nuova edizione dell’opera: Thomas de Celano, Memoriale, part. IX-XXV, CXXV-CXXIX. 16   Cfr. Mem 131.1-6 (Q 148: FF 733). 13

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e divorate a vicenda. Ma la guerra e le liti non provengono che dalle passioni»17. Espressioni che non ammettono possibilità di equivoci. Gregorio IX sul banco degli imputati In quel tornante delicato, dunque, Innocenzo IV intervenne di nuovo sulla Regola, il testo fondativo dell’Ordine. Fu sollecitato a ciò da esplicite richieste dei frati? Il testo della lettera papale non consente di dare una risposta sufficientemente documentata, poiché una notevole distanza la separa, al riguardo, dalla Quo elongati. Infatti, mentre Gregorio IX espose con meticolosità sia il contesto da cui scaturì il documento sia dubbi e domande poste dai frati alla Sede Apostolica sulle singole questioni, Innocenzo IV non disse nulla in proposito, limitandosi a riportare i passi della Regola e le sue determinazioni sui singoli punti18. In particolare, oltre a non dare ragione del proprio agire (Gregorio IX, di fatto, aveva in qualche modo giustificato la sua decisione), nell’arenga il pontefice non dedicò neppure una parola per descrivere la vocazione francescana (nella Quo elongati i frati erano stati presentati dediti alla contemplazione): si limita piuttosto a manifestare il suo affetto per l’Ordine, il desiderio di vederlo progredire spiritualmente e la sua determinazione nel prendersene cura. Sembra dunque che l’intervento papale sia stato originato unicamente dall’iniziativa di Innocenzo IV, o meglio, questo è ciò che il papa si preoccupa di manifestare, la “verità” che egli vuol divulgare. Le affermazioni che seguono, d’indubbia gravità, possono forse suggerire una ragione sufficiente a giustificare tali intenzioni. Afferma infatti: Vi sono nella vostra regola alcuni punti dubbi e oscuri che confondono il vostro animo per una certa perplessità e sono di impedimento all’intelletto per la loro complicata difficoltà. Il nostro predecessore papa Gregorio, di felice memoria, ne ha esposti alcuni e ne ha dato una chiarificazione non completa. Per questo noi, volendo rimuovere completamente da essi l’oscurità, chiarificandoli attraverso una perfetta interpretazione, e con la stessa sollecitudine eliminare del tutto dal   Mem 131.7, rr. 12-14 (Q 149): «Quid dicitis, filii sanctorum? Degeneres uos zelus et inuidia probat, nec minus illegitimos honorum ambitio. Inuicem mordetis et comeditis, nec bella et lites nisi ex concupiscentiis oriuntur» (FF 733). 18   Cfr. E. Pásztor, Francescanesimo e papato, in idem, Francesco e la «questione francescana», a cura di A. Marini, prefazione di G. G. Merlo (Medioevo Francescano. Saggi 5), S. Maria degli Angeli-Assisi 2000, 327-349: 333-334. Purtroppo manca ancora un’edizione affidabile di questo importante documento papale: alcuni saggi, in proposito, offrirò nelle pagine che seguono, rinviando però ad altra occasione il progetto di una nuova edizione della Ordinem vestrum. 17

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vostro cuore lo scrupolo dell’ambiguità con la certezza di un’esposizione più completa [...]19.

Il pronunciamento di Gregorio IX, dunque, non aveva eliminato le oscurità e la sua dichiarazione non aveva dissipato del tutto dubbi e incertezze, poiché egli solo semiplene era riuscito nello scopo. Innocenzo IV si proponeva perciò di rimuovere ogni difficoltà, immettendo nuova luce attraverso la chiarificazione di un’interpretazione perfetta. Fuori di ogni eufemismo, Gregorio IX finisce così sul banco degli imputati. Ma papa Fieschi, che certo mostra di condividere le perplessità cui poteva aver dato adito la Quo elongati con il suo tentativo di una doppia fedeltà20, in qual modo era venuto a conoscenza delle difficoltà concrete innescate da quel documento papale? Fu, la sua, un’acquisizione diretta, frutto principalmente di un ragionamento a tavolino, o giunsero ai suoi orecchi esplicite e ripetute lagnanze da parte dei frati (di alcuni settori dell’Ordine, almeno)? Chi era stato, in definitiva, a porre per primo Gregorio IX sul banco degli imputati, il papa regnante o i frati, capaci alla fine di convincere Innocenzo IV delle vischiosità innescate dal documento del suo predecessore? Forse – e più probabilmente – l’una e l’altra cosa. Peraltro, l’accenno del papa alle determinazioni prese dal Capitolo generale in merito all’espulsione di membri in precedenza accolti21, induce a credere che i frati erano intervenuti presso Innocenzo IV con esplicite sollecitazioni: è infatti ben più difficile pensare che egli stesso potesse tenersi così aggiornato da conoscere bene la legislazione di un singolo Ordine, che proprio in quegli anni veniva enucleandosi. Ma poteva il papa, tanto più un papa come Innocenzo IV, affermare pubblicamente che i sudditi avevano dovuto lagnarsi dell’oscurità del dettato pontificio e che egli, in definitiva, aveva dovuto dar loro ragione contro l’agire del suo diretto predecessore? Solo il papa, in definitiva, poteva giudicare il papa, ciò che nei decenni successivi 19   BF I, 400: «Hinc est quod cum quaedam dubia et oscura, quae in vestra regula continetur, animos vestros cuiusdam confusione implicitatis involvant et nodosae intricationis difficultate impediant intellectum; et felicis recordationis Gregorius papa praedecessor noster aliqua ex eis exposuerit et declaraverit semiplene: nos obscuritatem ab illis perfectae interpretationis declaratione omnino amovere volentes et ambiguitatis scrupulum cura ipsa de vestris cordibus plenioris expositionis certitudine penitus amputare, dicimus [...]» FF 2739/1. 20   Cfr. Accrocca, Quo elongati: il tentativo di una doppia fedeltà, in Frate Francesco 81 (2015) 133-166. 21   BF I, 400: «Sic vero ministri egressos ab Ordine, cum redierint, ad ipsum recipiant et eiciant, in certis casibus, secundum terminationem vestri Generalis Capituli, iam receptos» FF 2739/2.

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i teologi francescani non saranno più disposti a riconoscere nel tentativo – ironia della sorte – di limitare l’agire di Giovanni XXII, il quale si proponeva di scardinare alcuni presupposti teorici accolti da Niccolò III nella Exiit qui seminat (1279)22. È possibile, dunque, che lamentele e richieste siano giunte a Innocenzo IV da parte dei frati, ma che egli non abbia lasciato trasparire nulla di ciò nel suo intervento, limitandosi a presentarlo come il necessario chiarimento di questioni in parte irrisolte. Si tratterebbe, perciò, di un’illuminazione piena, del frutto di una «interpretazione perfetta», capace di cancellare dal cuore ogni scrupolo di ambiguità. Innocenzo IV neppure accenna alla questione del Testamentum di Francesco23; ciò stava probabilmente a significare che, da parte sua, il discorso non si prestava a fraintendimento alcuno ed era ormai chiuso in modo definitivo; tale silenzio poteva significare, altresì, l’assenza di polemiche a riguardo: la questione farà invece la sua comparsa nelle discussioni insorte tra gli Spirituali italiani e la Comunità dell’Ordine tra XIII e XIV secolo24. In polemica con la Comunità, gli Spirituali, per bocca di Angelo Clareno, finiranno per affermare che, distaccando il Testamentum dalla Regula, questa non può essere pienamente compresa, poiché senza il primo la seconda risulta priva della sua parte più importante, come la corona di stelle senza il capo della donna o una buona azione compiuta senza retta intenzione, per citare alcune delle immagini di cui egli si serve25.   Cfr. R. Lambertini, La povertà pensata. Evoluzione storica della definizione dell’identità minoritica da Bonaventura ad Ockham (Collana di storia medievale 1), Modena 2000; A. Tabarroni, «Paupertas Christi et apostolorum». L’ideale francescano in discussione (1322-1324) (Nuovi studi storici 5), Roma 1990. 23   Cfr. Gratien de Paris, Histoire de la fondation, 197; F. Elizondo, Bullae «Quo elongati» Gregorii IX et «Ordinem vestrum» Innocentii IV: de duabus primis regulae francicanae authenticis declarationibus, in Laurentianum 3 (1962) 349-394: 374; P. Etzi, Iuridica franciscana. Percorsi monografici di storia della legislazione dei tre Ordini francescani (Studi francescani 5), Padova 2005, 69. 24   Ubertino da Casale, nella Sanctitas vestra, ribatte le obiezioni degli avversari che lo accusavano di disobbedienza alle disposizioni emanate dalla Quo elongati, affermando che, se non vi era alcun dubbio circa l’impossibilità di Francesco di poter imporre ai frati l’osservanza del Testamentum, in quanto aveva ormai rinunciato al governo dell’Ordine, tuttavia egli «per modum precepti voluit nobis explicare intencionem suam, quam habuit in regula a spiritu sancto, et quam asserebat pro certo esse domini voluntatem, sicut expressis verbis asseruit» [in F. Ehrle, Zur Vorgheschichte des Concils von Vienne, in Archiv für Litteratur und Kirchen-Geschichte des Mittel­ alters 3 (1887) 54, rr. 9-11]. 25   Expositio super Regulam, Epilogus, 39: «Et testamentum sanctum suum a regula segregaverunt et non intellexerunt, quoniam regula sine testamento est sicut stellarum corona sine capite mulieris, et sicut sine amictu solis, et sicut panes propositionis 22

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Osservanza del Vangelo, accoglienza dei nuovi membri, preghiera liturgica La prima questione che il papa si propone di chiarire attiene all’osservanza del Vangelo comandata dalla Regola. Gregorio IX aveva stabilito che i frati non si dovessero ritenere obbligati a osservare altri consigli evangelici rispetto a quelli menzionati espressamente (obbedienza, povertà e castità) nel testo bollato da Onorio III; in maniera più chiarificativa, papa Fieschi determinò che i frati erano tenuti «soltanto a quei consigli evangelici che nella Regola sono espressi in modo precettivo e obbligante»26. Se poi Gregorio IX era intervenuto a chiarire questioni inerenti ai capitoli 4, 6, 7, 8, 9 e 11 della Regola, oltre ai punti affrontati dal suo predecessore, Innocenzo IV s’interressò anche di questioni nuove. Quanto all’accoglienza dei membri nell’Ordine, la Regola sanciva che i nuovi venuti dovevano essere inviati ai ministri provinciali, «ai quali soltanto e non ad altri» era «concessa licenza di ammettere i frati» (II, 1). Nella Quo elongati Gregorio IX aveva dato un’interpretazione restrittiva del precetto27, anche se il 19 giugno 1241 aveva finito per concedere che i ministri provinciali potessero delegare tale facoltà a persone idonee28. Dal proprio canto, come faceva notare già lo Sbaraglia29, Innocenzo IV riprese questo pronunciamento del suo predecessore, da lui stesso confermato il 3 gennaio 124530; tuttavia, mentre Gregorio IX si limitava a dire che si sarebbero dovuti accogliere solo quei membri che avrebbero potuto essere utili all’Ordine e avrebbero edificato altri con l’esempio della loro conversione, papa Fieschi aggiunse tra gli ele-

extra mensam sanctam, et sicut opus bonum sine intentione recta, et tanquam lictera sine expositione catholica et fideli, et tanquam sponsa absque ornato proprio et viro legitimo, et tanquam heres per inobedientiam benedictione et hereditate paterna se faciens indignum» Expositio super Regulam Fratrum Minorum di Frate Angelo Clareno, a cura di G. Boccali, con introduzione di F. Accrocca e traduzione italiana di M. Bigaroni (Pubblicazioni della Biblioteca Francescana Chiesa Nuova – Assisi 7), Assisi 1995, Epilogus, 39, p. 734. 26   BF I, 400: «Dicimus quod per eandem regulam quoad obeservationem Evangelii consilia tenemini, quae in ipsa regula preceptorie vel inhibitorie sunt expressa» FF 2739/2. 27   Cfr. Grundmann, Die Bulle «Quo elongati», in Archivum Franciscanum Historicum 54 (1961) 24, rr. 129-138 (FF 2737). 28   Vedi quanto detto sopra, nota 7 e testo corrispondente. Cfr. anche L. Pisanu, Innocenzo IV e i francescani (1243-1254) (Studi e testi francescani 41), Roma 1968, 244. 29   In BF I, 400, nota d. 30   Cfr. BF I, 352 (n. 72).

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menti necessari anche l’istruzione31, segno evidente – e causa, al tempo stesso32 – della crescita, in seno all’Ordine, del numero dei sacerdoti33. Quanto alla recita dell’Ufficio divino, nonostante la Regola (III, 1) imponesse ai frati di recitare «il divino ufficio, secondo il rito della santa Chiesa romana, eccetto il salterio», Innocenzo IV sancì che, qualora l’avessero recitato assieme ad altri, ciò poteva ritenersi sufficiente, né erano tenuti a recitarlo ancora in proprio. In tal senso, egli non faceva che riprendere le affermazioni di Gregorio IX34: questi, infatti, con la

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  Riporto in sinossi il testo dei due documenti:

Gregorio IX, Gloriantibus vobis [...] non passim admittantur converti volentes, sed illi soli qui et Ordini utiles et alii aedificari valeant suae conversionis exemplo (BF I, 298).

Innocenzo IV, Ordinem vestrum non tamen expedit converti volentes indifferenter admitti, sed illos tantum qui, suffragantibus eis literatura et aliis laudabilibus circumstantiis, possent utiles esse Ordini sibique per vitae meritum, et aliis proficere per exemplum (BF I, 400: FF 2739/2, corsivo mio).

32   Si vedano le stratificazioni della legislazione, sulla quale influirono anche i pronunciamenti papali: cfr. Cenci, Fragmenta, in Archivum Franciscanum Historicum 96 (2003) 298 (e testo parallelo); idem, De Fratrum Minorum Constitutionibus Praenarbonensibus, in Archivum Franciscanum Historicum 83 (1990) 75 (art. 30 e testo parallelo) e nota 13. 33   Cfr. Gratien de Paris, Histoire de la fondation, 198. 34   Cfr. ancora Gratien de Paris, Histoire de la fondation, 168, 197; Pisanu, Innocenzo IV e i francescani, 244. Qualche imprecisione, in proposito, presenta Pásztor, Francescanesimo e papato, 334. La Pio vestro collegio era stata reiterata anche da Innocenzo IV, il 20 giugno 1244 [BF I, 344 (n. 50)], che aveva introdotto delle novità rispetto al testo emesso da Gregorio IX:

Gregorio IX, Pio vestro collegio [...] nec non ut si aliqui vestrum divino intersunt officio cum aliis celebrantes, tunc eis illud sufficiat, et ad dicendum officium proprium minime teneantur, vobis auctoritate praesentium indulgemus (BF I, 296).

Innocenzo IV, Pio vestro collegio [...] nec non si cum itineris, vel ulterius rei causa extra conventus, seu loca vestra quemlibet, vel quoslibet vestrum contigerit degere, divinum officium fratres cum fratribus seu secularibus personis, vel quilibet separatim facere alio, quam romano ordine placuerit, id ad debitum, quod ratione regule prefate debetis per solvere, vobis sufficiat; neque iterum proprium dicere teneamini, tenore presentium, nunc et in perpetuum indulgemus (BF I, 344).

Come si vede, la lettera di Innocenzo IV tende a precisare le situazioni che portavano i frati fuori del convento, elencando una serie di possibilità non menzionate nella lettera di Gregorio IX. Tuttavia, come si vedrà (cfr. sotto, nota 36), nella Ordinem vestrum egli riprenderà non la formulazione propria, ma quella più generica che era stata data in precedenza da Gregorio IX.

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Ordinem vestrum: un pronunciamento fragile e resistente

lettera Pio vestro collegio del 7 giugno 124135, aveva decretato che i Minori dovessero recitare l’Ufficio secondo la riforma attuata poco tempo prima da frate Aimone di Faversham (e che papa Gregorio definiva sua), precisando comunque che, qualora si fossero trovati a celebrare l’Ufficio divino insieme ad altri religiosi, per loro ciò sarebbe bastato36. La dolente questione dell’uso del denaro Fino ad allora il papa, che pure aveva tenuto presente alcune disposizioni emanate da Gregorio IX, in qualche caso mutuandole letteralmente, non aveva però ancora utilizzato il dettato della Quo elongati, che costituiva il punto di riferimento obbligato, in quanto prima dichiarazione autentica sopra la Regola di san Francesco. Nelle questioni inerenti i capitoli 4 e 6 della Regola, vale a dire quelle nodali sull’uso del denaro e sulla proprietà – ambedue connesse al grande tema della povertà – Innocenzo IV utilizza invece a piene mani il pronunciamento di papa Gregorio ancorché marcandone le distanze, almeno in alcuni passaggi di capitale importanza37. Vediamo anzitutto il passaggio relativo al denaro. Afferma papa Fieschi: Benché nella stessa Regola sia proibito che “in nessun modo ricevano denari o pecunia38 personalmente o per mezzo di altri”, tuttavia, se essi vogliono comprare una cosa necessaria o utile, oppure fare il pagamento

  Cfr. BF I, 296 (n. 342).   Riporto in sinossi il pronunciamento di Gregorio IX e la ripresa testuale di Innocenzo IV: 35 36

Pio vestro collegio [...] nec non ut si aliqui vestrum divino intersunt officio cum aliis celebrantes, tunc eis illud sufficiat, et ad dicendum officium proprium minime teneantur, vobis auctoritate praesentium indulgemus (BF I, 296).

Ordinem vestrum [...] cum tamen divino intersunt officio cum aliis celebrantes, tunc eis illud sufficit, et ad dicendum officium proprium non tenentur (BF I, 400: FF 2739/3).

Cfr. anche Elizondo, Bullae «Quo elongati» Gregorii IX et «Ordinem vestrum» Innocentii IV, in Laurentianum 3 (1962) 369-370; Pisanu, Innocenzo IV e i francescani, 244. 37   Cfr. Pásztor, Francescanesimo e papato, 337-338. 38   Sul significato di pecunia, che non stava a indicare solo il denaro contante, ma anche tutte quelle cose che gli uomini solevano usare in luogo di esso, si vedano la definizione datane dai quattro maestri [Expositio quatuor magistrorum super Regulam Fratrum Minorum (1241-1242), Accedit eiusdem Regulae textus cum fontibus et locis parallelis, edidit p. L. Oliger (Storia e Letteratura 30), Roma 1950, 141, rr. 7-12; 142143, rr. 35-52] e le indicazioni offerte da Giovanni Boccali, in Expositio super Regulam Fratrum Minorum di Frate Angelo Clareno, 379, nota 59.

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per una compera già avvenuta, possono indicare o l’incaricato di colui dal quale viene venduta39 la cosa, o qualche altro a coloro che volessero far loro l’elemosina, a meno che preferiscano pagare loro40 stessi personalmente o per mezzo dei propri delegati. E l’incaricato così presentato dai frati, non è il loro, sebbene sia da loro presentato, ma piuttosto di colui per la cui autorità fa il versamento o di colui che lo riceve; e (se dopo il pagamento della compera, rimanga presso di lui qualche resto di tale elemosina) possono anche i frati ricorrere a lui lecitamente per le loro esigenze necessarie e utilità. Se poi per le altre esigenze e utilità dei frati venga nominato o presentato qualcuno, può egli conservare come padrone l’elemosina affidatagli, o depositarla presso un amico spirituale o familiare dei frati nominato da altri o presentato da loro, dal quale sia dispensata a tempo e luogo secondo le esigenze necessarie e utilità dei frati, come essi crederanno utile, o sia trasferita a un’altra persona o in altri luoghi: a costoro anche i frati potranno ricorrere con sicura coscienza per tali esigenze necessarie o utilità, specialmente se quelli siano stati negligenti o quelle loro necessità e disagi abbiano ignorato.

Proprio perché ripresa (in gran parte) testuale del dettato di Gregorio IX, le differenze tra i testi appaiono ancor più significative. Se attraverso l’intermediazione dei nuncii questi concedeva di acquistare ciò che si riteneva necessario oppure di pagare quanto fosse già stato acquisito, Innocenzo IV circoscriveva invece questa possibilità alle cose non solo indispensabili, ma anche utili. Gregorio IX affermava che malgrado il nuncius fosse da loro presentato, non si trattava di un incaricato dei frati, ma piuttosto di colui su cui mandato aveva fatto il versamento o di chi lo riceveva; invece papa Fieschi dichiarava che costui era l’incaricato di quegli per la cui «autorità» faceva il versamento o lo riceveva. Inoltre, mentre Gregorio IX imponeva agli incaricati di provvedere subito ai pagamenti, così che nulla rimanesse presso di loro, Innocenzo IV ammetteva la possibilità che agli incaricati restasse in custodia qualcosa delle elemosine ricevute. Ancora: Gregorio IX concedeva che, per ulteriori «imminenti necessità», l’incaricato potesse depositare l’elemosina a lui consegnata presso alcuni amici spirituali dei frati, perché questa potesse poi essere utilizzata per quelle stesse necessità a luogo e tempo opportuno.

  «A quo res venditur»: il ms. Perugia, Biblioteca Comunale Augusta, 1046, fol. 26rb presenta la lezione «a quo res emitur», che sembrerebbe preferibile alla luce del contesto e del fatto che identica lezione presenta il testo della Quo elongati, dal quale Innocenzo IV dipende. 40   «Nisi iidem per se»: così il ms. 1046 di Perugia, fol. 26rb, e il ms. Todi, Biblioteca Comunale, 64, fol. 86vb, in sintonia con il dettato della Quo elongati. L’errore («eidem») è già nelle edizioni cinquecentesche: attraverso queste passa nel Bullarium. 39

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Viceversa, secondo Innocenzo IV i frati potevano far ricorso ai nuncii per le loro necessità (non si parla più di «necessità imminenti») «o comodità», e il nuncius poteva egli stesso «conservare» l’elemosina affidatagli, oppure depositarla presso qualche amico spirituale nominato o meno dai frati, al quale anche loro avrebbero potuto far ricorso «con buona pace della coscienza», sempre per le loro necessità «o comodità», soprattutto se questi si fossero mostrati negligenti o avessero ignorato le loro necessità «o scomodità»41. Com’è stato giustamente ri41

  Riporto i testi in sinossi (cfr. già Pásztor, Francescanesimo e papato, 337-338):

Quo elongati Item cum in eadem regula sit inhibitum, ne fratres recipiant per se vel per alios denarium vel pecuniam ullo modo […]. Super quo duximus respondendum, quod si rem sibi necessariam velint fratres emere vel solutionem facere pro iam empta, possunt vel nuntium eius, a quo res emitur, vel aliquem alium volentibus sibi elymosinam facere, nisi iidem per se vel per proprios nuntios solvere maluerint, presentare; qui taliter presentatus a fratribus non est eorum nuntius, licet presentetur ab ipsis, sed illius potius, cuius mandato solutionem facit, seu recipientis eandem. Idem tamen nuntius solvere statim debet, ita quod de pecunia nichil remaneat penes eum. Si vero pro aliis imminentibus necessitatibus presentetur, elemosinam sibi commissam potest sicut et dominus apud spiritualem vel familiarem amicum fratrum deponere, per ipsum loco et tempore pro ipsorum necessitatibus sicut expedire viderit dispensandam. Ad quem etiam fratres pro huius­ modi necessitatibus poterunt habere recursum, maxime si negligens fuerit vel necessitates ignoraverit eorundem (Grundmann, Die bulle, 21, rr. 55-56; 22, rr. 63-76: FF 2733, in grassetto le parti omesse da Innocenzo IV).

Ordinem vestrum Et licet in eadem regula sit prohibitum, ne fratres recipiant, per se vel per alios, denarium vel pecuniam ullo modo, possunt tamen, si rem sibi necessariam aut utilem velint emere vel solutionem facere pro iam empta, vel nuncium eius, a quo res venditur, vel aliquem alium volentibus sibi eleemosynam facere, nisi iidem per se vel per proprios nuncios solvere maluerint, presentare; et taliter presentatus a fratribus non est eorum nuncius, licet presentetur ab ipsis, sed illius potius, cuius auctoritate solutionem facit, seu recipientis eandem. Et ad ipsum, si soluto empte rei pretio de huius­ modi ellemosyna remaneat aliquid apud eum, possunt etiam fratres pro suis necessitatibus, vel commodis, habere recursum. Si vero pro aliis fratrum necessitatibus, aut commodis, nominetur aliquis vel presentetur ab eis, potest ille commissam sibi elemosinam sicut dominus conservare, vel apud spiritualem vel familiarem amicum fratrum, nominatum vel non nominatum ab ipsis, deponere per eum loco et tempore pro ipsorum necessitatibus vel commodis, sicut fratres expedire viderint dispensandam, seu etiam ad personam vel loca transferendam. Ad quos etiam fratres pro huiusmodi necessitatibus seu commodis, sana conscientia recurrere poterunt, maxime si negligentes fuerint, vel necessitates aut incommoda ignoraverit eorundem (BF I, 400-401: FF 2739/4, in corsivo le espressioni corrette da Innocenzo IV).

Cfr. anche Elizondo, Bullae «Quo elongati» Gregorii IX et «Ordinem vestrum» Innocentii IV, in Laurentianum 3 (1962) 369-370.

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levato, «l’introduzione del concetto dell’utile e del comodo fu una specie di rivoluzione teorica e pratica sul concetto della povertà assoluta che indulgeva a compromessi soltanto in inderogabili necessità»42. L’ultima parte dedicata a risolvere le questioni collegate all’uso del denaro, tranne che per le espressioni iniziali, si presenta invece come una novità rispetto alla Quo elongati. Asserisce Innocenzo IV: Quelli poi così nominati o presentati dai frati, non sono incaricati o depositari loro, ma di coloro dai quali sono affidati la pecunia o i denari; né i frati ricevono personalmente o per interposta persona denari o pecunia, nominando o così presentando alcuni, sia ricorrendo a quelli nominati a questo scopo o così presentati, non essendo loro intenzione che di propria autorità siano conservati tali denari o pecunia o che siano esigiti da loro in nome di deposito, sebbene agli incaricati e ai depositari stessi siano affidati per le loro necessità o comodità43.

Come si vede, il pontefice mira qui a sgravare di peso la coscienza dei frati, i quali potevano agire con una certa libertà, senza drammi eccessivi, in ordine all’utilizzo del denaro per le proprie comodità. D’altronde, come è facile intuire e come ho avuto già occasione di mostrare44, con il passare degli anni nell’Ordine circolava sempre più denaro, il che dava adito a questioni crescenti di coscienza e a conseguenti tensioni tra i frati, non sempre e non tutti concordi sulle decisioni da prendere in merito. Come si è visto, fin dall’arenga del documento Innocenzo IV aveva dichiarato di esprimere una chiara predilezione per l’Ordine, del quale desiderava un «continuo progresso»; per questo affermava di volersi prender cura di tutto ciò da cui l’Ordine stesso poteva «ricevere sostegno per una conveniente floridezza». La rimozione degli scrupoli, che nascevano – a suo modo di vedere – dall’ambiguità del dettato di Gregorio IX, appariva perciò uno degli obiettivi principali della sua azione. Spinto dalla concezione altissima che aveva del proprio potere e da un carattere oltremodo deciso, intervenne

  Pisanu, Innocenzo IV e i francescani, 246.   In corsivo le affermazioni già presenti nella Quo elongati. BF I, 401: «Et taliter nominati, vel praesentati, a fratribus, non sunt eorum nuncii, seu depositarii, sed illorum a quibus eis pecunia vel denarii committuntur: nec fratres per se vel per interpositas personas denarios vel pecuniam recipiunt nominando aut praesentando sic aliquos, seu ad huiusmodi nominatos, vel praesentatos taliter recurrendo, cum non sit intentionis eorum, ut de ipsorum auctoritate huiusmodi denarii, vel pecunia conservetur, aut ab eis nomine depositi exigantur, licet nunciis vel depositariis ipsis committantur pro necessitate vel commodo eorundem» FF 2739/4. 44   Cfr. Accrocca, Quo elongati: il tentativo di una doppia fedeltà, in Frate Francesco 81 (2015) 150-153. 42 43

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quindi a sedare ogni possibile scrupolo e a rendere più agevole e meno incerto il cammino, optando per una posizione che certo non incontrava l’accoglienza favorevole di molti. La storia successiva, tuttavia, mostra che proprio tale decisione finì per acuire il dramma già in atto. Frati davvero fratelli: la cura degli infermi Un aspetto che veniva per la prima volta affrontato da Innocenzo IV era quello dell’attenzione e della cura da prestare ai frati infermi. Nulla si diceva in proposito nella Quo elongati; quindici anni dopo, però, il numero dei frati era notevolmente cresciuto ed era cresciuta pure – fatto da non sottovalutare – l’età di molti di loro, con tutti i problemi che ciò porta con sé. L’aumento del numero aveva prodotto nuovi insediamenti, con l’evidente difficoltà di ministri e custodi a tener dietro a tutte le questioni che tra i frati potevano sorgere. Ora la Regola (IV, 2-3) imponeva che, «per le necessità degli infermi e per vestire gli altri frati, i ministri e i custodi, ed essi soltanto, per mezzo di amici spirituali» dovessero prendersene «sollecita cura secondo i luoghi e i tempi e i paesi freddi», sempre tenendo salvo il principio di non ricevere «denari o pecunia». Nondimeno, in una custodia piuttosto grande, con un buon numero di conventi, poteva non essere per nulla facile star dietro a tutti; figuriamoci poi se i confini dovevano coincidere con quelli di un’intera provincia. In un rimpallo di responsabilità (e la storia insegna che bisogna sempre mettere in conto tali evenienze), sarebbe anche potuto accadere che un malato tornasse al Creatore prima che ci si decidesse a intervenire. Tale questione dovette pertanto essere tra quelle presentate al papa affinché si snellisse la procedura, ciò che Innocenzo IV si propose di fare dichiarando che «gli altri frati debbono con diligenza avere la medesima cura che in forza della regola spetta ai ministri e ai custodi, quando questi l’abbiano a loro affidata». Senza bisogno di forzarne le parole, si può dire che la decisione assume lo stesso sapore di uno dei tanti «inserimenti negativi»45 presenti soprattutto nel te  Studiando il testo della Regula non bullata, David Flood rilevò infatti la presenza di molti inserimenti negativi (così ebbe a definirli), introdotti spesso da un congiuntivo precettivo («caveant», si guardino bene i frati, stiano attenti). A suo avviso, tali incisi furono aggiunti in un secondo tempo, quando ormai i frati erano in grado di conoscere i pericoli che l’esperienza da essi fatta comportava: cfr. D. Flood, Die Regula non bullata der Minderbrüder (Franziskaniske Forschungen 19), Werl in W. 1967, 108-121; idem, La genesi della Regola, in D. Flood - W. van Dijk - T. Matura, La nascita di un carisma. (Una lettura della prima Regola di san Francesco) (Presenza di san Francesco 26), Milano 1976, 27-94. 45

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sto della Regula non bullata: ministri e custodi dovevano essersi più volte lamentati del disinteresse mostrato dai frati per la sorte degli infermi in ossequio al dettato della Regola che ne addossava la cura a loro soltanto. Sembra dunque abbastanza evidente che per risolvere il problema i ceti dirigenziali dell’Ordine abbiano sollecitato l’aiuto del papa, il quale intervenne con autorevolezza e decisione nell’intento d’indurre i frati – soprattutto coloro che erano stati espressamente incaricati da ministri e custodi – a una maggiore assunzione di responsabilità nei riguardi dei confratelli malati. La Regola – che comunque chiedeva a tutti di servire i malati «così come vorrebbero essere serviti essi stessi» (VI, 9) – pareva non bastare più e si avvertiva il bisogno di nuove determinazioni. Secondo quanto racconta frate Leone – e il suo è un racconto che merita fiducia46 – nel corso di un Capitolo generale a Santa Maria della Porziuncola, Francesco si era opposto a quei prelati dell’Ordine che avevano fatto pressione sul cardinale Ugo di Ostia perché lo convincessero a far riferimento a una delle Regole già approvate che insegnavano «sic et sic ordinate vivere»: la Regola era infatti per lui più che sufficiente a imprimere lo stile di vita che i frati avrebbero dovuto condurre. Ebbene, a poco più di vent’anni da quei fatti, i frati erano ancora una volta tornati a chiedere al papa – e non c’era più Francesco a fare opposizione – norme che imponessero loro «sic et sic ordinate vivere». D’altronde, recependo le indubbie testimonianze inviate dai Compagni al ministro generale Crescenzio da Jesi, nel 1247 Tommaso da Celano dichiarerà che Francesco mostrava una grande compassione per gli infermi e molta sollecitudine per le loro necessità. Se a volte la bontà dei secolari mandava a lui qualche elettuario, lo regalava agli altri ammalati, anche se egli ne aveva bisogno più di tutti. Faceva proprie le loro sofferenze e li consolava con parole di compassione, quando non poteva recare loro soccorso. Mangiava perfino nei giorni di digiuno, perché gli infermi non provassero rossore, e non si vergognava nei luoghi pubblici della città di questuare carne per un frate ammalato. Tuttavia ammoniva i sofferenti a sopportare pazientemente le privazioni e a non gridare allo scandalo, se non erano soddisfatti in tutto47.   Cfr. CAss 18 (FF 1564). La sostanziale bontà di questo racconto è stata dimostrata – con buoni argomenti – da G. Miccoli, La proposta cristiana di Francesco d’Assisi, in idem, Francesco d’Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana (Einaudi Paperbacks 217), Torino 1991, 33-97: 75-79; E. Prinzivalli, Francesco e il francescanesimo: consapevolezze storiografiche e prospettive, in Francesco d’Assisi fra Storia, Letteratura e Iconografia. Atti del Seminario (Rende, 8-9 maggio 1995), a cura di F. E. Consolino, Soveria Mannelli (CZ) 1996, 69-81: 76-78. 47   Mem 155, 1 (Q 175): « Multa sibi ad infirmos compassio, multa pro illorum necessitatibus sollicitudo. Si quando pietas secularium electuaria mittebat eidem, cum ipse plus 46

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L’agiografo proponeva in tal modo, nella persona del fondatore, un modello di riferimento valido per tutti, per i frati malati e per quelli sani, che dei malati avrebbero dovuto prendersi cura. Le proprietà dei frati Di grande interesse per comprendere l’evoluzione a cui l’Ordine andò soggetto nei quindici anni intercorsi tra la promulgazione delle due lettere papali (Quo elongati e Ordinem vestrum), appaiono le determinazioni inerenti il capitolo VI della Regola, che imponeva ai frati di non appropriarsi di nulla, «né casa, né luogo, né alcuna altra cosa» (VI, 1). Gregorio IX aveva sancito che i frati non dovessero avere alcuna proprietà, «né in comune né individualmente»; era consentito unicamente «l’uso degli utensili, dei libri e degli altri beni mobili» che fosse «loro lecito avere». Tale uso doveva essere esercitato «nel modo stabilito dal Ministro generale o dai ministri provinciali, rimanendo intatta la proprietà dei luoghi e delle case nelle mani» dei loro legittimi possessori. Né si dovevano «vendere i beni mobili, né commutarli fuori dell’Ordine o aliernarli» in alcun modo, a meno che di ciò non si avesse l’esplicita concessione da parte del cardinale protettore. Innocenzo IV ribadì il divieto di proprietà personale e comunitaria consentendo l’utilizzo non solo degli utensili, dei libri e dei beni mobili che fosse lecito possedere, ma anche delle case e dei luoghi. Pure nel ribadire il divieto di vendere o commutare il pontefice non menziona più soltanto i beni mobili, ma vi aggiunge di nuovo case e luoghi. Tali precisazioni consentono di capire come nei quindici anni trascorsi tra i due pronunciamenti papali si fosse accresciuto il numero degli insediamenti dell’Ordine, in definitiva, come fosse progredita la sua conventualizzazione. Il papa, inoltre, acconsentiva a che i frati, ottenuta la debita licenza dei loro superiori, potessero donare ad altri fuori dell’Ordine «beni mobili di poco valore o di poco prezzo». Innocenzo IV compiva poi un passo ulteriore rispetto alle determinazioni di Gregorio IX. Infatti, mentre per la Quo elongati la proprietà veniva mantenuta dai donatori, secondo la Ordinem vestrum «la proprietà e il dominio di tali beni sia immobili che mobili» «spettano alla

aliis indigeret, ceteris infirmantibus dabat. Omnium languentium in se transformabat affectus, uerba prebens compassionis, ubi subuentionis non poterat. Comedebat ipse diebus ieiunii, ne infirmi comedere uererentur; nec uerecundebatur per publica ciuitatum fratri infirmo carnes conquirere. Monebat tamen languidos patienter ferre defectus, nec consurgere in scandalum, cum non esset eis per omnia satisfactum» FF 761.

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Chiesa senza mediatori», esclusi quelli di cui «consti che i donatori o i traslatori si siano riservati espressamente la proprietà e il dominio»48. 48

  Riporto, ancora una volta, i testi in sinossi:

Quo elongati Preterea cum in ipsa Regula contineatur expresse, quod fratres nichil sibi approprient, nec domum nec rem aliquam [...]. Dicimus itaque, quod nec in communi nec in speciali debent proprietatem habere, sed utensilium et librorum et eorum mobilium, que licet habere, ordo usum habeat et fratres, secundum quod Generalis minister vel Provinciales disponendum duxerint, hiis utantur, salvo locorum et domorum dominio illis, ad quos noscitur pertinere. Nec vendi debent mobilia vel extra ordinem commutari aut alienari quoquomodo, nisi Ecclesie Romane Cardinalis, qui fuerit ordinis gubernator, Generali seu Provincialibus ministris auctoritatem super hoc prebuerit vel assensum (Grundmann, Die bulle, 22-23, rr. 77-78, 82-91: FF 2734, in grassetto le parti omesse da Innocenzo IV).

Ordinem vestrum Dicimus insuper, quod cum in ipsa contineatur expresse, quod fratres nichil sibi approprient, nec domum nec aliquam rem, nec in communi neque in speciali debent proprietatem habere, sed locorum et domorum, ac utensilium et librorum et eorum mobilium, que licet habere, Ordo usum habeat et fratres, secundum quod Generalis vel Provinciales ministri disponendum duxerint, hiis utantur. Nec vendi debent loca, domus, vel mobilia huiusmodi seu extra ordinem commutari aut alienari quoquomodo, a quibuscumque personis ad usum fratrum donata, vendita, permutata, seu quocumque modo concessa vel translata sunt, vel fuerint, nisi Apostolica Sedes, vel Ecclesie Romane Cardinalis, qui pro tempore fuerit Ordinis gubernator, Generali seu Provincialibus ministris au­ ctoritatem super hoc prebuerit vel assensum: cum tam immobilium quam mobilium huiusmodi jus, proprietas et dominium (illis solis exceptis in quibus expresse donatores seu translatores, sibi proprietatem et dominium reservasse constiterit) nullo medio ad Ecclesiam ipsam spectent; cui domus et loca predicta, cum ecclesiis ceterisque suis pertinentiis (quae omnia in jus et proprietatem beati Petri suscipimus) omnino tam in spiritualibus quam temporalibus immediate subesse noscuntur. De vilibus autem mobilibus vel parum valentibus, liceat fratribus pietatis seu devotionis intuitu, vel pro alia honesta et rationabili causa, obtenta prius super hoc superiorum suorum licentia, extra Ordinem elargiri (BF I, 400-401: FF 2739/6, in corsivo le espressioni corrette e le parti aggiunte da Innocenzo IV).

Nella citazione della Ordinem vestrum alcuni termini sono stati stampati in carattere grassetto in quanto si tratta di lezioni diverse da quelle testimoniate dallo Sbaraglia e dall’Eubel, i cui testi vengono comunemente utilizzati: la lezione «disponendum», in luogo di «dispensandum», è testimoniata concordemente non soltanto dallo Speculum minorum edizione di Venezia 1513, dal quale attinse il suo testo Sbaraglia, ma anche dai manoscritti di Perugia (fol. 26va) e di Todi (fol. 87rb); l’addizione «concessa», oltre

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Ordinem vestrum: un pronunciamento fragile e resistente

Nel momento in cui veniva a sancire una realtà di fatto, il papa finiva così per rafforzare e incentivare una linea evolutiva che pure non trovava tutti concordi. Al tempo stesso, egli offriva ai Minori la soluzione per motivare e affermare la loro superiorità in seno alle altre famiglie religiose: la proprietà dei beni nelle mani della Chiesa dava infatti modo di poter affermare che essi professavano la povertà altissima, vivendo così la pienezza della perfezione49. Dalla seconda metà del Duecento, infatti, il magistero bonaventuriano (su cui si sarebbe basata la linea ufficiale dell’Ordine) mirò a difendere la povertà quale via suprema di perfezione, il che consentì anche di motivare la pretesa supremazia spirituale dei Minori. Perdono dei peccati, questioni di governo e attività pastorale Innocenzo IV apportò delle novità anche nell’interpretazione delle norme relative al capitolo VII della Regola, che per gravi peccati pubblici imponeva il ricorso ai soli ministri provinciali. Mutuando le parole di Gregorio IX, papa Fieschi infatti ribadì che le determinazioni di quel capitolo riguardavano solo «i peccati pubblici e manifesti» e la richiesta ai ministri (nella Quo elongati la richiesta era invece rivolta al ministro generale) di costituire nelle singole provincie sacerdoti in numero necessario «tra i più maturi e discreti» per ascoltare i peccati privati dei frati, a meno che questi non preferissero confessarsi a ministri e custodi di passaggio per i loro luoghi. Tuttavia, la Ordinem vestrum compiva un passo in più, agevolando la procedura poiché concedeva ai ministri che «per evitare fatiche e pericolosi discorsi dei frati», anche per i peccati pubblici e manifesti potessero – qualora lo ritenessero «di utilità» – delegare la loro potestà «ai Custodi e ad altri discreti frati presbiteri»50. Sulla questione del numero dei custodi da inviare al Capitolo generale in vista dell’elezione di un nuovo ministro generale, Innocenzo IV che necessaria per la correttezza del dettato (bisognerebbe altrimenti togliere anche «vel»), è essa stessa testimoniata dallo Speculum minorum (1513) e dai manoscritti di Perugia (fol. 26va) e Todi (fol. 87rb); da quei manoscritti, oltre che dal testo della Quo elongati, è testimoniata anche la lezione «hiis» in luogo di «eis». 49   Tale questione è stata affrontata egregiamente da Roberto Lambertini, il quale, inserendosi in una tradizione di studi che conta nomi illustri – basti pensare, solo per citarne alcuni, a Congar e Miethke –, ha analizzato con finezza le opere dei maestri francescani e dei loro avversari dagli anni decisivi dello scoppio della controversia fino alla pubblicazione della Exiit qui seminat da parte di Niccolò III: cfr. R. Lambertini, Apologia e crescita dell’identità francescana (1255-1279) (Nuovi studi storici 4), Roma 1990; idem, La povertà pensata. 50   «Possunt tamen iidem ministri, pro fratrum laboribus et periculosis discursibus evitandis, si expedire viderint, custodibus et aliis discretis fratribus presbyteris super iis commettere vices suas» BF I, 401.

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rinnovò le decisioni già di Gregorio IX, determinando che i custodi delle singole province scegliessero uno tra loro al quale affidare i propri pareri; questi avrebbe accompagnato il ministro provinciale. Omise, però, di ripetere l’assicurazione del suo predecessore: «Quando voi avrete già stabilito ciò per vostro conto, noi riteniamo di approvare tale statuto», quasi a ribadire che unica fonte della legge era la sua persona, la sola capace di determinare e legiferare con autorità51. Anche la questione della predicazione, d’importanza decisiva in merito all’impegno pastorale che l’Ordine aveva finito per assumere in seno alla Chiesa, era stata affrontata, a più riprese, da Gregorio IX. Nel 1230 i frati avevano chiesto al papa se il ministro generale potesse affidare il «compito di esaminare, approvare e assegnare l’ufficio della predicazione ad alcune persone discrete». In quell’occasione il papa non si era sentito di mutare la lettera della Regola, ma adottò un’abile strategia che ne consentì l’effettivo superamento. Poco più di dieci anni dopo, il 12 dicembre 1240, cambiò però parere. Al fine di evitare pericoli e facilitare l’apostolato in vista della salvezza delle anime, con la lettera Prohibente regula concesse infatti che durante il Capitolo provinciale i singoli ministri con i loro definitori potessero esaminare i frati eruditi «in sacra pagina» e concedere loro la possibilità di predicare52. In tal modo, l’Ordine finiva nella sostanza per far

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  Riporto, ancora una volta, i testi in sinossi:

Quo elongati Insuper dubitantibus vobis, an pro eo, quod in Regula dicitur, ut dece[de]nte generali ministro a provincialibus ministris et custodibus in capitulo pentecostis fiat electio successoris, [...] taliter respondemus, ut singularum Provinciarum custodes unum ex se constituant, quem cum suo provinciali ministro pro ipsis ad capitulum dirigant, voces suas committentes eidem; quod etiam cum statueritis per vos ipsos, statutum huiusmodi duximus approbandum (H. Grundmann, Die Bulle «Quo elongati», 24, rr. 129-131.134-138: FF 2738, in corsivo la parte omessa da Innocenzo IV).

Ordinem vestrum Ad haec pro eo, quod in Regula dicitur, ut decedente generali ministro a provincialibus ministris et custodibus in capitulo pentecostis fiat electio successoris, dicimus quod singularum provinciarum custodes unum ex se constituant, quem cum suo provinciali ministro pro ipsis ad capitulum dirigant, voces suas committentes eidem (BF I, 401-402: FF 2739/8).

  «Prohibente Regula vestra nulli fratrum vestrorum est licitum praedicare populo, nisi a generali ministro vestri Ordinis examinatus ac approbatus fuerit, et sibi praedicationis officium ab ipso concessum. Verum, cum pium sit, ut pro dictorum fratrum laboribus ac periculosis discursibus evitandis, necnon quod animarum salus possit provenire facilius, Apostolicae Sedis circumspectio super prohibitione huiusmodi opportunae remedium provisionis apponat. Nos, devotionis vestrae precibus inclinati, ut singuli vestrum in suis provinciis cum diffinitoribus in provincialibus capitulis congregatis, fratres in sacra pagina eruditos exa52

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ritorno alla propria originaria disciplina, codificata nel capitolo XVII della Regula non bullata, secondo cui spettava al ministro provinciale concedere l’ufficio della predicazione. A sua volta Innocenzo IV, non molto tempo dopo la sua elezione, il 30 ottobre 1243, reiterò la Prohibente regula53, che finì poi per inserire nella Ordinem vestrum con un ulteriore ampliamento: di fronte all’eventuale assenza dei ministri, concesse infatti che la delega fosse estesa anche ai loro vicari54. Inoltre, riprese le asserzioni di Gregorio IX, il quale aveva dispensato dall’esame tutti coloro che, istruiti in una facoltà teologica, erano già esperti in materia di predicazione. Con tutta evidenza, l’Ordine era ormai sempre più impegnato nell’attività pastorale; agevolandone in tal modo l’operato, papa Fieschi contribuì a fissare in maniera sempre più marcata la metamorfosi della famiglia minoritica55. Una questione intricata e intrigante: l’accesso ai monasteri femminili L’ultimo punto affrontato dal pontefice verte sulle prescrizioni contenute nel capitolo XI della Regula bullata, dedicato ai rapporti con i monasteri femminili. Poiché la Regola vietava ai frati di «entrare nei monasteri delle monache, eccetto quelli ai quali dalla Sede Apostolica è stata concessa una licenza speciale» (XI, 2), Innocenzo IV

minare ac approbare, et eis officium praedicationis, Deum habendo prae oculis, committere valeant, vobis auctoritate praesentium concedimus facultatem» BF I, 287 (n. 325). 53   Cfr. BF I, 312 (n. 13). 54   Cfr. Pisanu, Innocenzo IV e i francescani, 249. Per facilitare il confronto, riporto i testi in sinossi: Prohibente regula Nos, devotionis vestrae precibus inclinati, ut singuli vestrum in suis provinciis cum diffinitoribus in provincialibus Capitulis congregatis fratres in sacra pagina eruditos examinare ac approbare et eis officium praedicationis, Deum habendo prae oculis, committere valeant, vobis auctoritate praesentium concedimus facultatem (BF I, 287).

Ordinem vestrum Potest idem Minister vices suas Ministris provincialibus et eorum vicariis committere in hac parte: ita tamen, ut ipsi provinciales, vel iidem vicariis in ipsorum provincialium absentia, una cum diffinitoribus in provincialibus Capitulis fratres suarum provinciarum, qui examinatione indigere degunt, examinent, approbent eisque huiusmodi officium, prout secundum Deum viderint expedire, concedant (BF I, 402: in corsivo, le novità apportate da Innocenzo IV).

  Il termine metamorfosi viene utilizzato in tutta la sua pregnanza da G. G. Merlo, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati Minori e del francescanesimo sino agli inizi del XVI secolo, Padova 2003, 57-200. 55

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proibì l’ingresso «solo nei monasteri delle monache recluse dell’Ordine di San Damiano», nei quali a nessuno era lecito accedere se non a coloro ai quali era stata concessa dalla Sede Apostolica una speciale facoltà56. È necessario soffermarsi a riflettere su tale prescrizione, alla quale non mi sembra sia stata prestata, finora, tutta l’attenzione che merita, forse anche perché la questione non è di facile soluzione57. Essa, peraltro, consente forse di gettare nuova luce sull’esperienza di Chiara e del monastero assisiate. Credo che per intendere bene la portata di tale decisione sia necessario fare un passo indietro e tornare alle determinazioni di Gregorio IX: quest’ultimo, in risposta al quesito posto dai frati, i quali chiedevano se il divieto dovesse intendersi «in generale di tutti i monasteri» oppure solo di quelli delle povere monache recluse, aveva chiarito che il divieto andava riferito a qualsiasi monastero. È ben conosciuta, al riguardo, la dura reazione di Chiara58, la cui veemenza – ha ragione Marco Guida nel sottolinearlo59 – pone tuttavia degli interrogativi.

  BF I, 402: «Dicimus ingressum in monasteria tantum modo monialium inclusarum Ordinis Sancti Damiani prohibitum fore ipsis, ad quae nemini licet ingredi, nisi ei a Sede Apostolica facultas super hoc specialiter tribuatur». 57   Pásztor, Francescanesimo e papato, 334 affermava che la questione «meriterebbe un’attenzione particolare», ma la studiosa nell’occasione non entrò nel merito; neppure vi si soffermano le clarisse della Federazione di Umbria-Sardegna nel loro ottimo lavoro: Federazione S. Chiara di Assisi delle Clarisse di Umbria-Sardegna, Chiara di Assisi. Una vita prende forma. Iter storico (Secundum perfectionem sancti Evangelii. La forma di vita dell’Ordine delle Sorelle povere 2), Padova 2005 (cfr. 92-94, 96, nota 26). Lo stesso si dica per Pisanu, Innocenzo IV e i francescani, 249-250; Elizondo, Bullae «Quo elongati» Gregorii IX et «Ordinem vestrum» Innocentii IV, in Laurentianum 3 (1962) 373, 375, 384. Nell’affrontare tale questione mi è stato molto utile il confronto avuto con Marco Guida. 58   Cfr. Accrocca, Quo elongati: il tentativo di una doppia fedeltà, in Frate Francesco 81 (2015) 162-165. 59   M. Guida, Le relazioni con le sorelle, in La Regola di frate Francesco. Eredità e sfida, a cura di P. Maranesi, F. Accrocca (Franciscalia 1), Padova 2012, 557-589: 578. L’autore si chiede: «Perché, dunque, la comunità di San Damiano reagì a questa interpretazione solo nel 1230 e in risposta alla lettera papale? Ciò vuol dire che Chiara e la sua comunità non erano parte dei monasteri delle Povere monache recluse o che per loro non si applicava tale norma? Se così fosse, resta ancor più inspiegabile il motivo della reazione: perché mandar via i frati questuanti se potevano accedere alle zone dei monasteri cui già erano ammessi i secolari? Oppure la spiegazione sta nel fatto che con la Quo elongati – dichiarando in modo esplicito cosa debba intendersi per monastero – si vietava definitivamente ai frati l’accesso al chiostro, alla casa e ai laboratori interni a San Damiano, privilegio di cui il processo di canonizzazione e la Legenda clariana danno poche ma significative testimonianze?» ibidem 589. 56

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Ora, io credo che la decisione precedentemente presa dai frati, di applicare la prescrizione della Regola ai monasteri delle Povere monache recluse, riconoscesse al monastero di San Damiano una posizione particolare. Peraltro, come riferiva lo stesso pontefice, una simile prescrizione si riteneva fosse stata «dichiarata dai ministri provinciali in un Capitolo generale per mezzo di una costituzione particolare del tempo stesso della Regola, vivente ancora il beato Francesco...»60: ora, poiché non si può mettere in dubbio la presenza di Francesco a San Damiano negli ultimi anni della sua esistenza61, si può ragionevolmente supporre che quel monastero non rientrasse tra quelli ai quali i ministri provinciali avevano stabilito di dover applicare il precetto della Regola. L’interpretazione dei frati nel 1230 non doveva tuttavia esser più così unanime, se essi stessi posero la questione al papa. Nondimeno, nel momento in cui Gregorio IX sancì che il divieto espresso nella Regola andava riferito a «qualunque monastero», si finì inequivocabilmente per includervi anche San Damiano, ciò che Chiara non era disposta facilmente ad accettare. Non solo: dal momento che l’autore della Legenda sanctae Clarae assicura che Gregorio IX, informato della reazione della badessa di San Damiano, rimise la questione nelle mani del ministro generale62 e considerato che è difficile dubitare degli avvenimenti – anche perché l’autore della Legenda scriveva 60   «Denique quia continetur in regula supradicta, quod fratres non ingrediantur monasteria monialium preter illos, quibus a sede apostolica concessa fuerit licentia specialis, quamquam hoc de monasteriis pauperum monialium inclusarum fratres hactenus intelligendum esse crediderint, cum earum sedes apostolica curam habeat specialem et intellectus huiusmodi per constitutionem quandam tempore date Regule vivente adhuc beato Francisco per provinciales ministros fuisse credatur in Generali Capitulo declaratus [...]» Grundmann, Die Bulle «Quo elongati», in Archivum Franciscanum Historicum 54 (1961) 24, rr. 139-146: FF 2739. 61   Cfr. CAss 83-85 (FF 1613-1617); Mem 179 (Q 207: FF 796). Come mi fa notare Marco Guida, istruttivo a riguardo è anche l’episodio di frate Stefano, che Chiara avrebbe guarito dalla pazzia concedendogli di riposare nel luogo in cui lei era solita pregare (Proc II,15: FF 2958; III, 12: FF 2978; LegsC 22: FF 3219), quindi in un luogo interno alla comunità. L’episodio in questione viene riferito da due delle sorelle più anziane, entrate a San Damiano pochi mesi dopo Chiara (Benvenuta da Perugia) o quattro anni circa dopo di lei (Filippa di Leonardo di Gislerio): è possibile dunque che esso sia avvenuto nei primi anni dell’esperienza di San Damiano, forse tra il 1216 e il 1219 (anno in cui Francesco, che inviò il frate a Chiara, partì per le terre d’Oltremare), vista che nessuna delle sorelle entrate in anni successivi ne fece parola, tuttavia la cosa non è probante e l’accaduto potrebbe datarsi anche negli anni 1220-1226. 62   Legenda 24, 10: «Quod cum audiret papa Gregorius statim prohibitum illud in generalis ministri manibus relaxavit» Legenda latina sanctae Clarae virginis Assisiensis, 180. Sull’episodio, cfr. M. Guida, Una leggenda in cerca d’autore: la Vita di santa Chiara d’Assisi. Studio delle fonti e sinossi intertestuale, préface de J. Dalarun (Subsidia Hagiographica 90), Bruxelles 2010, 172-175.

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per mandato di Alessandro IV, colui che al tempo dell’accaduto era cardinale protettore e ben conosceva la realtà dei fatti –, il pontefice avrebbe sostanzialmente finito per tornare sui propri passi, assestandosi sulle decisioni prese dai ministri prima del 1226 nel menzionato Capitolo generale. Il fatto che nel suo pronunciamento Gregorio IX parlasse di Povere monache recluse indica che nel 1230 non si era ancora diffusa la denominazione di Ordine di S. Damiano, divenuta invece prevalente negli anni successivi per indicare i monasteri confluiti nel nuovo Ordine posto in essere da Ugo di Ostia-Gregorio IX63. Al contrario, Innocenzo IV, nomina espressamente l’Ordine di San Damiano, sebbene senza far cenno alla deroga che Chiara avrebbe ricevuta, motivo per cui – visto che da un certo momento in poi il monastero assisiate fece ufficialmente parte dell’Ordine – sembra che il divieto così rinnovato toccasse anche San Damiano. Nei fatti, pare però che la comunità di Chiara abbia continuato a vivere secondo la dispensa concessa da papa Gregorio, poiché è difficile mettere in dubbio quanto attesta la Legenda sanctae Clarae, e cioè che negli ultimi giorni di vita della Santa si videro accorrere al suo capezzale dei frati, tra cui gli antichi compagni di Francesco (Leone, Angelo, Rinaldo, Ginepro)64, che entrarono nel monastero senza tener conto di eventuali divieti! Inoltre, sebbene l’argomento ex silentio non possa di per se stesso ritenersi probante, è necessario chiedersi perché Chiara, che reagì così fortemente alla presa di posizione di Gregorio IX, non si oppose alla Ordinem vestrum. Forse perché la comunità di San Damiano continuò di fatto ad usufruire, nelle relazioni tra fratres e sorores, della dispensa concessa da Gregorio IX? In tal caso, si avrebbe un’ulteriore conferma che l’appartenenza del monastero assisiate all’Ordine di San Damiano era più nominale che di sostanza. La situazione si presenta dunque, ai nostri occhi, complessa, non esente da possibili equivoci. Si potrebbe tuttavia dire che se nel dichiarare che l’ingresso dei frati veniva «proibito solo nei monasteri delle monache recluse dell’Ordine di San Damiano», Innocenzo IV segnava un punto di discontinuità rispetto alla Quo elongati, finiva per porsi in continuità con le decisioni prese da Gregorio IX dopo la dura reazione di Chiara, allorché rimise la questione nelle mani del ministro generale. 63   Sono di riferimento, a questo proposito, gli studi di Maria Pia Alberzoni, per cui rinvio a F. Accrocca, Chiara d’Assisi: nuovi contributi, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia 63 (2009) 520-527. 64   Cfr. LegsC 29 (FF 3247-3250).

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Nel frattempo, i rapporti dei frati con i monasteri dell’Ordine di San Damiano vennero moltiplicandosi e complicandosi anche per questioni amministrative, ciò che finì per causare l’effettivo fallimento della Regola per le monache redatta da Innocenzo IV nel 124765. Questa è però un’altra storia e richiederebbe un’attenzione notevole, il che esula, per ora, dai nostri compiti e dalle nostre prospettive. Opposizioni alla Ordinem vestrum La Ordinem vestrum indubbiamente non pacificò gli animi, già turbati, dei frati. Secondo Tommaso da Eccleston, Giovanni di Kethene «sostenne con tenacia il ministro d’Inghilterra, frate Guglielmo da Nottingham, di santa memoria, assieme a frate Gregorio de Bosellis nel capitolo generale di Genova e, contro quasi l’intero capitolo generale, vinsero la causa secondo la quale si doveva abolire interamente il privilegio concesso dal signor papa di ricevere pecunia tramite i procuratori, e venisse sospesa l’esposizione della regola secondo il signor Innocenzo in quelle cose in cui è più permissiva di quella Gregoriana»66. Indipendemente dal fatto se ci troviamo di fronte a un errore del cronista o invece a un guasto prodotto dalla tradizione testuale («Januensi» in luogo di «Methensi»), resta il fatto che il Capitolo generale di Narbona ratificò la decisione presa nel 1254 a Metz di sospendere la lettera Ordinem vestrum in quei punti in cui essa finiva per discostarsi dalla Quo elongati67. Inoltre, come proponevo ormai anni or sono68, fu proprio l’emanazione della Odinem vestrum a convincere i Compagni di Francesco del fatto che fosse necessario rispondere alla richiesta del ministro generale. Nel 1244, infatti, il Capitolo generale riunito a Genova ave  Pagine interessanti, in proposito, in Federazione S. Chiara di Assisi delle ClarisUmbria-Sardegna, Chiara di Assisi. Una vita prende forma, 92-103. 66   Tractatus fr. Thomae vulgo dicti de Eccleston De adventu fratrum minorum in Angliam, 52 (FF 2478): «Ipse quoque, quod dignum memoria duxi, in capitulo generali Januensi bonae memoriae fratri Willelmo de Notingham, ministro Angliae, una cum fratre Gregorio de Bosellis, constanter astitit; ubi fere contra totum capitulum generale causam feliciter obtinuerunt, ut privilegium indultum a domino papa de recipienda pecunia per procuratores penitus destrueretur, et expositio regulae secundum dominum Innocentium, quantum ad ea in quibus laxior est quam Gregoriana, suspenderetur». 67   F. M. Delorme, «Diffinitiones» Capituli Generalis O.F.M. Narbonensis (1260), in Archivum Franciscanum Historicum 3 (1910) 503, num. 13: «Declaratio domini Innocentii maneat suspensa, sicut fuit in capitulo Methensi; et inhibemus districte, ne aliquis utatur ea in hiis in quibus declarationi domini Gregorii contradicat». Cfr. Gratien de Paris, Histoire de la fondation, 243-244; Pásztor, Francescanesimo e papato, 339. 68   La prima volta nelle FF, ed. 2004, alla pagina 357. 65

se di

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va preso la decisione d’integrare la Vita beati Francisci di Tommaso da Celano: Crescenzio da Iesi – in una lettera circolare il cui testo è, purtroppo, andato perduto – si rivolse allora a tutti coloro che avevano conosciuto Francesco perché inviassero le loro personali testimonianze, in modo che potessero colmarsi le lacune segnalate. Com’è noto, Leone, Rufino e Angelo, risposero soltanto nell’agosto del 1246: un lasso di tempo indubbiamente eccessivo, che non può essere spiegato se non in modo intenzionale, anche perché appare sempre più come un dato assodato il fatto che in occasione della canonizzazione di Francesco essi non avevano reso testimonianza69. Ebbene, proprio le determinazioni della Ordinem vestrum, quelle soprattutto relative all’uso del denaro e dei beni mobili e immobili, dovettero invece convincerli che era quanto mai necessario portare a conoscenza di tutti quello che era stato il pensiero di Francesco. Il materiale reperito nell’indagine promossa da Crescenzio da Iesi venne consegnato a Tommaso da Celano affinché integrasse così il testo della Vita da lui stesso scritta quasi vent’anni prima. Anche se nessuno può contestargli il titolo di autore, è pur vero che l’agiografo non lavorò da solo: in passi fondamentali, infatti, i socii del Santo compaiono in prima persona, quasi coautori del testo assieme a Tommaso e garanti del suo lavoro. Con tutta evidenza, credo sia per questo che le tensioni scaturite a seguito della Ordinem vestrum si riflettono chiaramente nel Memoriale di Tommaso. Nella seconda parte dell’opera, ad esempio, il diverso spazio assegnato dall’agiografo alle virtù consente di capire quali fossero i principali punti di discussione tra i frati: anzitutto viene data grande rilevanza allo spirito di profezia di Francesco70, alla povertà71 e all’atteggiamento assunto verso i poveri72; più volte Tommaso accenna al matrimonio del Santo con la povertà73. È interessante notare in che modo, iniziando a parlare della virtù della povertà, l’agiografo divida la sua materia proprio seguendo la disposizione della Ordinem vestrum. Come abbiamo visto, per Innocenzo IV i frati potevano infatti disporre legittimamente dei 69   Persuasiva in proposito l’analisi di R. Paciocco, «Sublimia negotia». Le canonizzazioni dei santi nella Curia papale e il nuovo Ordine dei frati minori, postfazione di A. Vauchez (Centro Studi Antoniani 22), Padova 1996, 120-127. 70   Cfr. Mem 20-46 (Q 27-54: FF 614-640). 71   Cfr. Mem 47-72 (Q 55-82: FF 641-669). 72   Cfr. Mem 73-82 (Q 83-93: FF 670-680). 73   Cfr. Mem 47.1 (Q 55: FF 641); Mem 62.7 (Q 70: FF 657); Mem 64.1 (Q 72: FF 660); Mem 72.4 (Q 82: FF 669); Mem 73.7 (Q 84: FF 671). È vero, peraltro, che già nella sua prima opera Tommaso aveva parlato del matrimonio di Francesco con madonna povertà: VbF 35, 2 (FF 379).

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«luoghi, delle case, degli utensili, dei libri e di quei beni immobili che è lecito possedere» pur senza averne la proprietà: dal proprio canto, Tommaso parla dapprima della povertà delle case74, poi della povertà delle suppellettili75; di seguito ricorda il monito di Francesco contro la «curiositatem librorum»76, accennando anche alla povertà dei letti77. Il pontefice parlava di case: Tommaso sottolinea che Francesco voleva capanne, non case di pietra78, e aborriva le abitazioni lussuose79. Il Memoriale può quindi essere letto, in controluce, come una risposta alla Ordinem vestrum. È vero, inoltre, che appena qualche anno dopo l’opera di Tommaso, nel commentare la Regola francescana – vide giusto, ormai cinquant’anni fa, Jacques Paul80 – Ugo di Digne si mostrava tutto proteso a prendere le distanze dagli interventi pontifici e, soprattutto, dalla Ordinem vestrum. Un esito non del tutto scontato Questi pochi dati bastano a dirci la difficoltà con cui l’Ordine recepì l’intervento di Innocenzo IV, fino al suo effettivo rifiuto al Capitolo generale di Metz nel 1254. Con tutta probabilità, proprio tale rifiuto fu la causa scatenante che indusse papa Fieschi a pubblicare la Etsi animarum (22 novembre 1254), lettera estremamente severa con i membri degli Ordini mendicanti81, a sua volta capace di produrre nei frati una reazione altrettanto dura nei confronti del pontefice82. Il terremoto del 1254 affonderebbe dunque le sue radici non nelle polemiche che videro protagonista Gerardo da Borgo San Donnino e l’uso disinvolto che egli fece delle opere autentiche dell’abate Gioacchino da Fiore, ma nel pronunciamento papale del 1245. Nonostante   Cfr. Mem 48-51 (Q 56-59: FF 642-645).   Cfr. Mem 52-53 (Q 60-61: FF 646-647). 76   Cfr. Mem 54.2 (Q 62: FF 648). 77   Cfr. Mem 55-56 (Q 63-64: FF 649-650). 78   Cfr. Mem 48 (Q 56: FF 642). 79   Cfr. Mem 52 (Q 60: FF 646). Sul Memoriale, rinvio a quanto ho scritto in: Un santo di carta. Le fonti biografiche di san Francesco d’Assisi (Biblioteca di Frate Francesco 13), Milano 2013, 173-291. 80   Cfr. J. Paul, Le Commentaire de Hugues de Digne sur la Règle franciscaine, in Revue d’Histoire de l’Église de France 61 (1965) 231-241; le considerazioni di Paul vengono riprese da Pásztor, Francescanesimo e papato, 339. 81   Cfr. Accrocca, Un santo di carta, 335-338. 82   Cfr. Tractatus fr. Thomae vulgo dicti de Eccleston De adventu fratrum minorum in Angliam, 117-120 (FF 2558-2560); Salimbene de Adam, Cronica II, a. 1250-1287, edidit G. Scalia (Corpus Christianorum. Continuatio Mediaevalis 125A), Turnholti 1999, 634-635, rr. 21-6 (FF 2635-2637). 74 75

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ciò, la Ordinem vestrum – da subito invisa a buona parte dei frati – fornì all’Ordine il fondamento teorico per motivare la pretesa della propria superiorità spirituale in seno alla compagine ecclesiale, ciò che nessuno dei frati ardì mettere in dubbio, almeno per i successivi ottant’anni. Sarà il Clareno, nel pieno della discussione sulla povertà, a mettere in discussione una simile convinzione, svelando che la povertà minoritica non era ormai altro che una finzione giuridica, un nome senza sostanza83.

83   Cfr. F. Accrocca, Un ribelle tranquillo. Angelo Clareno e gli Spirituali francescani fra Due e Trecento (Collana Viator 8), S. Maria degli Angeli-Assisi 2009, 312.

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