Parca Maurtia e (Parca?) Morta

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LECTORIBUS ET AMICIS

Con questo numero “Alessandria. Rivista di glottologia”, nel convincimento del primato del ‘fare’, rispetto a quello dell’‘apparire’, sceglie – certo, un po’ a malincuore – un corpo di stampa non più omogeneo in tutte le sue parti. È soltanto un piccolo accorgimento di natura formale che, senza incidere più di tanto sulla leggibilità, consentirà un respiro – diciamo così – meno affannoso al gruppo che “Alessandria” ha voluto e che ostinatamente intende continuare a portare avanti. Come i nostri Lettori e Amici ben noteranno sfogliandola, “Alessandria” si presenta con una distinzione di formato e di impaginazione tra le sezioni Saggi e Varia da un canto e Recensioni e Mnhvmh" cavrin dall’altro. Le ultime due infatti, sono composte in un corpo minore e impaginate su due colonne rispetto alle prime che subiscono soltanto una leggera riduzione del carattere e una maggiore estensione della riga. Questa scelta, che consente un risparmio significativo senza – speriamo! – incidere sul decoro formale della Rivista, non comporta ovviamente alcuna graduatoria di importanza; continuerà infatti, ad essere uno strumento degno di accogliere nelle sue pagine i contributi di studiosi affermati e di giovani ricercatori, uniti tutti da un unico ideale: continuare a credere che la glottologia meriti un posto di riguardo in ogni indagine mirata all’analisi del dato linguistico. È semplicemente una scelta di fruibilità funzionale che ci auguriamo non sgradita ai Lettori e agli Amici. Ad obdurandum! Renato Gendre

ΔAlexavndreia – Alessandria Rivista di glottologia Direttore Renato Gendre Comitato scientifico Mario Enrietti José Luis García Ramón Mario Negri Diego Poli Giovanna Rocca Comitato redazionale Marta Muscariello (Segretaria) Erika Notti Giulia Sarullo

Tutti i contributi inviati alla rivista, secondo le modalità indicate nelle Norme Redazionali, sono sottoposti a una procedura di peer review che ne garantisce la validità scientifica. Abbonamento In Italia: Istituzioni € 80,00 Privati € 50,00 Per l’estero:

Istituzioni € l00,00 Privati: € 70,00

I Soci dell’Associazione Culturale ‘Alessandria’ riceveranno la rivista in omaggio.

Registrato presso il Tribunale di Alessandria al nr. 646 (27 luglio 2010). Direttore responsabile: Lorenzo Massobrio

ΔAlexavndreia Alessandria 8 – 2014

Rivista di glottologia

Edizioni dell’Orso Alessandria

Nell’autunno del 2006 Gianni Abbate, Mario Enrietti, Renato Gendre, Mario Negri hanno costituito l’Associazione Culturale ‘Alessandria’, con sede presso il Liceo Classico ‘Balbo’ di Casale Monferrato (AL). La pubblicazione di questa rivista è uno degli scopi statutari dell’Associazione

Si ringrazia: il Lions Club Villanova d’Asti

© 2015 Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l. via Rattazzi, 47 15121 Alessandria Tel. 0131.252349 Fax 0131.257567 e-mail: [email protected] http: //www.ediorso.it Realizzazione informatica di Arun Maltese ([email protected]) È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.1941

ISSN 2279-7033 ISBN 978-88-6274-653-3

Indice

Renato Gendre

Lectoribus et amicis

p.

I

DONO PER MARIO NEGRI Giovanna Rocca

In limine

3

Donatella Antelmi

La “svolta retorica” e le scienze del linguaggio

5

Giovanna Bagnasco Gianni, Considerazioni sulla rilettura Giulio Mauro Facchetti di CIE5992

27

Marta Muscariello

Il suono della voce secondo Guglielmo Bilancioni

57

Erika Notti

Riflessioni intorno all’iscrizione in lineare A THE Zb 2

87

Luca Panieri

Sull’origine del preterito dei verbi deboli germanici

113

Giovanna Rocca

Una lamina aurea dalla collezione Schøyen (MS 5236)

125

Francesca Santulli

Le indagini linguistiche del commissario Montalbano: dialetto, lingua, varietà

137

Giulia Sarullo

Parca Maurtia e (Parca?) Morta

159

Martina Treu

Una moltitudine di nessuno. L’Odissea e il Mediterraneo in scena

181

304

INDICE

VARIA Giuliano Bonfante

Nota [su *ekwos]

205

Mario Enrietti

A proposito di Γ. Κ. Γιαννάκης, Ιστορική γλωσσολογία και φιλολογία, Αριστοτελείο Πανεπιστήμιο Θεσσαλονίκης, Tessalonica 2011, pp. 298.

206

Mario Enrietti

Noterella slava

211

Mario Negri

Marginalia filologico-epistemologiche

217

RECENSIONI a cura di R. Gendre M ICHELE L OPORCARO , L ORENZA P ESCIA , R OMANO BROGGINI, PAOLA VECCHIO (a cura di), Carlo Salvioni, Scritti linguistici, 229 • SALVATORE CLAUDIO SGROI, Per una grammatica «laica». Esercizi di analisi linguistica dalla parte del parlante, 230 • FILOLOGIA GERMANICA – GERMANIC PHILOLOGY, 1 (2009): Lingua e Cultura dei Goti / Language and Culture of the Goths; 2 (2010): I Germani e l’Italia / The Early Germanic People and Italy, 231 • DARETE FRIGIO, La storia della distruzione di Troia (a cura di Giovanni Garbugino), 232 • G IOVANNI VENERONI, Dizionario imperiale, 233 • SILVANA FERRERI (a cura di), Linguistica educativa e Lessico e lessicologia, 233 • Il lessico della classicità nella letteratura europea moderna, 236 • CHRISTOPHER B. KREBS, Un libro molto pericoloso. La Germania di Tacito dall’Impero romano al Terzo Reich, 237 • MARIJA GIMBUTAS, La civiltà della dea. Il mondo dell’antica Europa, 237 • Il Romanzo di Alessandro, a cura di RICHARD STONEMAN e TRISTANO GARGIULO […], 238 • GREGORIO DI NAZIANZIO, Epitaffi e epigrammi (a cura di Lucio Coco), 239 • M ARCO BATTAGLIA, I germani. Genesi di una cultura europea –

INDICE

305

MARCELLO GARZANITI, Gli slavi. Storia, culture e lingue dalle origini ai nostri giorni, 239 • GIAMPAOLO SALVI, Le parti del discorso, 240 • GORGIA, Testimonianze e frammenti (a cura di Roberta Ioli), 241 • FLEGONTE DI TRALLE, Il libro delle meraviglie e tutti i frammenti (a cura di Tommaso Braccini e Massimo Scorsone), 242 • GALENO, Nuovi scritti autobiografici (a cura di Mario Vegetti), 242 • CARLA CUCINA, Libri runici del computo. Il calendario di Bologna e i suoi analoghi europei, 243 • M ARCO BATTAGLIA, Medioevo volgare germanico, 243 • ANNA MARTELLOTTI, Linguistica e cucina, 244 • Gai Codex Rescriptus in Bibliotheca Capitulari Ecclesiae Cathedralis Veronensis curavit PHILIPPUS BRIGUGLIO, 244 • I libri ebraici greci e latini di Carlo Tancredi Falletti di Barolo. A cura di M ATHIAS B ALBI , 245 • M ARCO B ERETTA , FRANCESCO CITTI, LUCIA PASETTI (a cura di), Seneca e le scienze naturali, 245 Mnhvmh" cavrin Anna Elbina Morpurgo Davies (Erika Notti)

249

Alberto Varvaro (Lorenzo Renzi – Renato Gendre)

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INDIRIZZI DEI COLLABORATORI

Giulia Sarullo PARCA MAURTIA E (PARCA?) MORTA

L’entusiasmo con cui il professor Negri ha accolto l’invito a partecipare al progetto ILA1 e quindi a riprendere i contatti con quel latino che ha costituito uno dei suoi poli di interesse sin dagli inizi della carriera, mi autorizza a ritornare qui su una questione connessa ad un lavoro2 che mi aveva affidato qualche anno fa, in qualità di coordinatore del Lessico della classicità nella letteratura europea moderna, edito dall’Enciclopedia Treccani. Dedico dunque volentieri al Festeggiato, per la felice occasione, queste mie note sul riflesso dei “nomi” di Marte in riferimento a Maurtia da Tor Tignosa (CIL I2, 2844) e, forse, a Morta di Livio Andronico (Odusia, fr. 11 Morel). 1. I cippi da Tor Tignosa Alla fine degli anni Quaranta, Margherita Guarducci3 dava notizia del rinvenimento di tre cippi di peperino in località Tor Tignosa, recanti ciascuno una dedica a una divinità femminile: NEUNA FATA, NEUNA DONO, PARCA MAURTIA DONO4 (Figg. 1-2). Sulla base del materiale archeologico rinvenuto contestualmente ai cippi e dei caratteri epigrafici, la Guarducci datava le iscrizioni “tra la fine del IV e l’inizio del III sec. av. Cr., in ogni modo non dopo la metà del III” (p. 5), periodo che si caratterizza per la scarsità di documenti latini. L’eccezionalità di questo ritrovamento – seguito qualche anno dopo dalla scoperta di un quarto cippo5 – risiede non solo nell’individuazione in questa località (a metà

1

Iscrizioni Latine Arcaiche, progetto di digitalizzazione delle iscrizioni latine arcaiche (VIIV secolo a.C.) diretto dalla Prof.ssa Giovanna Rocca. 2 Sarullo 2012. 3 Guarducci 1946-48, cui si rimanda per la descrizione delle circostanze del rinvenimento e dei cippi medesimi. 4 Riportiamo qui i testi nell’ordine adottato dalla Guarducci nell’editio princeps. In CIL I2 le iscrizioni sono presentate in ordine diverso: PARCA MAURTIA DONO (2844); NEUNA DONO (2845); NEUNA FATA (2846). 5 Si tratta della CIL I2 2843, nella quale la Guarducci, prima editrice dell’iscrizione, ha visto

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GIULIA SARULLO

strada tra Pratica di Mare-Lavinium e Castel Gandolfo-Alba6) di un antico santuario7, ma soprattutto, per quel che concerne i nostri interessi, nella conservazione di due teonimi altrimenti sconosciuti, Neuna e Maurtia. Il primo sembra configurarsi come antecedente del cardinale sostantivato Nōna8 ricordato da Varrone e Cesellio Vindice (entrambi citati da Aulo Gellio9) come nome di una delle tre divinità legate alle fasi finali della gravidanza: Antiquos autem Romanos Varro dicit non recepisse huiuscemodi quasi monstruosas raritates, sed nono mense aut decimo, neque praeter hos aliis, partionem mulieris secundum naturam fieri existimasse idcircoque eos nomina Fatis tribus fecisse a pariendo et a nono atque decimo mense. Nam “‘Parca’”, inquit, “inmutata una littera, a partu nominata, item ‘Nona’ et ‘Decima’ a partus temepestivi tempore”. Cesellius autem Vindex in Lectionibus suis Antiquis: “Tria”, inquit, “nomina Parcarum sunt: ‘Nona’, ‘Decuma’, ‘Morta’”, et versum hunc Livii, antiquissimi poetae, ponit ex Ὀδυσσείᾳ: Quando dies adveniet quem profata Morta est?. Sed homo minime malus Caesellius “Mortam” quasi nomen accepit, cum accipere quasi Moeram deberet.

Non vi è accordo tra i due eruditi né sul nome collettivo che designerebbe queste divinità – tria Fata secondo Varrone, tres Parcae secondo Cesellio Vindice – né, in due casi su tre, sul nome delle stesse. Sui cippi da Tor Tignosa sono attestate entrambe le forme: Neuna Fata e Parca Maurtia. La struttura sintattica è, però, diversa: Fata definisce Neuna; Parca è sostantivo, il cui nome/funzione è specificato dall’attributo Maurtia10. Quest’ultimo è una formazione aggettivale (-ia) derivata dal nome di Marte, il quale, come è noto, è documentato in diverse varianti che possiamo schematizzare sinteticamente come segue:

una dedica al Lare Enea, ma la cui lettura è tutt’altro che certa a causa del cattivo stato di conservazione della pietra. Sull’interpretazione si sono esercitati a lungo gli studiosi senza pervenire ad una lettura univoca del testo; cfr. fra i tanti Guarducci 1956-58 e 1983, Weinstock 1960, Kolbe 1970, solo per citare i primi studi da cui ha preso l’avvio la querelle. Si veda, da ultimo, La Regina 2014, il quale suggerisce, in linea con quanto già affermato da Kolbe, una lettura diversa da quella della Guarducci, ovvero una dedica privata ai Lari da parte di una donna, senza alcun riferimento a Enea. 6 Guarducci 1983, pp. 210-211. 7 Cfr. Granino Cerere 1992, 127-130. 8 Per una panoramica sulle diverse etimologie proposte per questo teonimo si rinvia a Weinstock 1952, pp. 154-156. Contra la derivazione dal numerale Lipp (c.d.s.), il quale connette Neuna con la radice *snē- del latino neō ‘filare’. Ringrazio l’autore per avermi gentilmente inviato il suo lavoro ancora inedito e per la sua disponibilità. 9 Aulo Gellio, Noctes Atticae III, 9-11. 10 Sulla questione Fata/Parcae torneremo più avanti, nel quadro dell’analisi della figura di Maurtia, § 4.

PARCA MAURTIA E (PARCA?) MORTA

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– Mavort-, che sembra essere la forma più antica e rimane come retaggio arcaicizzante in poesia11 (si veda al riguardo la testimonianza di P. ex Festo 131 L, Mavortem poetae dicunt Martem); – Maurt-, documentata solo da un’altra iscrizione, oltre al cippo da Tor Tignosa (vedi oltre); – Mamert-/Mamart-, Marmar (Carmen Arvale), formazioni con raddoppiamento, diffuse prevalentemente in ambito italico (P. ex Festo 117 L, Mamers Mamertis facit, id est lingua osca Mars Martis, unde et Mamertini in Sicilia dicti, qui Messana habitant); – Mart-, forma affermatasi come ‘standard’. Dobbiamo scindere le forme con raddoppiamento, di origine italica, dalle forme senza raddoppiamento Mavors, Maurt- e Mart-, una divergenza che si riflette anche negli antroponimi Mamercus e Marcus, distinti sin da epoca antica12. Lasciando da parte le prime, che meritano una trattazione a sé, esamineremo qui le diverse ipotesi sui vari nomi di Marte tentando una reductio ad unum delle tre forme. 2. Mavors – Maurt- (e Maurtia) – Mars Dall’analisi degli studi precedenti non emerge una spiegazione unitaria che tenga conto delle tre forme che qui ci interessano, Mavort-, Maurt- e Mars. Ripercorriamo, dunque, brevemente le varie ricostruzioni avanzate nel corso degli anni, che possiamo raggruppare nei due filoni interpretativi qui riportati, solo per comodità espositiva, in ordine cronologico inverso13. Una prima corrente è all’insegna di una comune indoeuropeicità delle diverse varianti del nome di Marte. Pur con alcune divergenze, specie sulla radice di appartenenza, si allineano a questa posizione Kretschmer, Solmsen e Walde-

11 Cfr. ad esempio Ennio, Annales 99 Skutsch: Nerienem Mavortis et Herem; Plauto, Miles Gloriosus 1414: Iuro per Iovem et Mavortem; Cicerone, De Nat. Deorum 26, 67: Iam qui magna vortet, Mavors e i numerosi riferimenti nei poeti di epoca imperiale. Da Mavors deriva una formazione aggettivale, Mavortius, attestata sempre in epoca imperiale, cfr. ad esempio Virgilio, Eneide I, 275-277: inde lupae fulvo nutricis tegmine laetus Romulus excipiet gentem et Mavortia condet moenia Romanosque suo de nomine dicet. 12 Wachter 1987, p. 379. 13 Un terzo filone vedrebbe una derivazione di Mavort- da Mamert- con dissimilazione di m…m > m…w, cfr. Wachter 1987, pp. 379-380, Meiser 1998, p. 127 e De Vaan, p. 366; quest’ultimo ammette però che “the preceding change of intervocalic *m > *w is unique; it could be interpreted as a dissimilation to the first m-, but it is still completely isolated”.

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Hoffmann14 che propongono o una sequenza Mavort- > Maurt-> Mars oppure una Nameninlautkürzung del tipo Δηώ rispetto a Δημήτηρ o, in forme più moderne, monna rispetto a madonna. Nel secondo filone, inaugurato già nell’Ottocento, si inseriscono, invece, tutti quei tentativi di trovare una derivazione distinta per Mars, che viene affiancato a termini di origine diversa, tra cui anche l’etrusco Maris. In questo gruppo rientrano le ricostruzioni di Corssen, Maurenbrecher, Nacinovich15 e, da ultimo, Giacalone Ramat. La studiosa italiana16 afferma infatti che perlomeno due tradizioni si possono individuare nel complesso del Marte romano: una tradizione indoeuropea, rappresentata linguisticamente da Mavors, divinità del vento visto nei suoi aspetti fecondi, e una tradizione proveniente dal sostrato, impersonata da Mars e documentata attraverso Maris nel mondo etrusco.

Una ricostruzione di questo tipo risulta però difficile da sostenere e non è più condivisa dagli studiosi17. Prosdocimi, che a più riprese si è occupato di onomastica, ha proposto una soluzione innovativa legando i nomi di Marte a una forma *ma-wr̥ t- ‘girare in avanti’, che renderebbe conto sia di Mavort-, testimoniato principalmente dai poeti, ma anche da un’iscrizione da Roma18, e dai più considerata l’antecedente del classico Mārs, sia di Maurt- < *Maw-rt-, attestato in una testimonianza epigrafica da Tusculo19, cui si collega il nostro Maurtia. L’ipotesi di Prosdocimi consentirebbe di superare i diversi aspetti che emergono

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Kretschmer 1905; Solmsen 1905; Walde-Hoffmann 1938, pp. 43-45. Diversa l’esposizione in Walde 1910, pp. 466-467. L’ipotesi che da Mars si siano sviluppate le forme Mamers e Mavors non è di Walde, come affermato in Giacalone Ramat 1962, p. 112, ma di Danielsson, cfr. Walde / Hoffmann 1938, p. 45, dove si dice chiaramente che “sein [di Danielsson] Hauptargument […] verfängt nicht”. 15 Corssen 1868, pp. 404-411; Maurenbrecher 1893, pp. 290-291; Nacinovich 1933. 16 Giacalone Ramat 1962, p. 139. Una possibile connessione tra latino Mārs ed etrusco Maris è stata esclusa già in Pfiffig 1975, p. 249 e a favore di questa posizione si schierano tra gli altri anche Cristofani (1985, p. 166) e Erika Simon (da ultimo in Simon 2000, p. 165). 17 Recentemente Lipp (2009, pp. 345 ss. e c.d.s.) ha riproposto l’etimologia che mette in relazione Mavors con gli indiani Marút-, dei della tempesta compagni di Indra; l’ipotesi, di fine Ottocento, era stata ripresa in Giacalone Ramat 1962, ma, diversamente da quanto afferma la studiosa, che connette Mārs all’etrusco Maris, Lipp riconduce anche la forma classica Mārs alla stessa radice *móu̯h1-u̯r̥ ‘movimento, forza movente’ del teonimo indiano. Contra la ricostruzione di Lipp cfr. Nishimura 2011a, p. 233, n. 4. 18 CIL VI, 473 = CIL I2, 991: MAVORTEI. 19 CIL I2, 49: M. FOURIO C. F. TRIBUNOS MILITARE DE PRAIDAD MAURTE DEDET. Sulle particolari vicende che hanno coinvolto questa iscrizione cfr. Poccetti 1982.

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nella figura del dio postulando un originario Marte legato al concetto di ciclicità, insito nella radice *wr̥ t-20, riportandolo ad ambiente latino senza dover ricorrere a fenomeni di sostrato. Una tale proposta avrebbe, inoltre, il vantaggio di conciliare l’ipotesi etimologica con le valenze culturali altrimenti note della divinità. Restano però da chiarire i passaggi che hanno portato alla forma classica Mārs. Partiamo dal parallelo istituito a suo tempo già da Solmsen tra Māvors > Mārs e māvolō > mālō, i quali presentano una struttura radicale pressoché identica; questo potrebbe essere un utile paragone, in quanto in entrambi i casi il gruppo -awo-, formatosi in seguito al regolare sviluppo della sonante latina, evolve in -ā-. Resta da spiegare la fase intermedia che, secondo alcuni, sarebbe individuabile, almeno per il teonimo, in Maurte21 (/ Maurtia). Due vie sono state tradizionalmente seguite per spiegare il passaggio -awo-> -ā-. Szemerényi22 e Leumann23 ipotizzano, sia per Mārs che per mālō, una successione -awo- > -āo- > -ā-, con caduta della semivocale; lo stadio intermedio sarebbe rappresentato da Maurte < Mā(v)ort-, con un passaggio -ao- > -audefinito da Leumann “dazu dialektisch”24; e questa spiegazione si è fissata nella

20 La radice *wr̥ t (IEW s.v. u̯ er-, pp. 1156-1158), connessa all’idea di circolarità, è alla base di forme che hanno subito diverse evoluzioni semantiche e tuttavia ancora coincidenti o strettamente connesse. Esse appartengono tutte al concetto di “girare in cerchio”, il cui significato può essere specializzato e divenire più esplicito quando la radice si combina con una preposizione. Lo stesso avviene per la radice *kwel-, dalla quale derivano sia anculus sia Esquiliae. 21 Poccetti (1982, p. 668) afferma che Maurte non sarebbe un’evoluzione di Mavort-, ma un suo allografo “del tutto normale per le consuetudini ortografiche dell’età repubblicana”. Lo studioso giustifica questa grafia con l’alternanza di vo, ov con il semplice u per rendere i nessi u + w e w + u, come in lanuinus per lanuvinus. Questa spiegazione, tuttavia, non tiene in considerazione la forma Maurtia che, seguendo la ricostruzione dello stesso Poccetti, dovrebbe derivare da un Mavortia che, però, risulta attestato solo a partire dal I secolo a.C. in ambito poetico. 22 Szemerényi 1959, p. 100-101. Lo studioso porta come ulteriore esempio della contrazione -awo- > -ā- il numerale quārtus < *quawortos < *quatwortos. La testimonianza prenestina QVORTA (CIL I2 328) è stata variamente spiegata, cfr. Leumann 1977, p. 492 e, da ultimo, Nishimura 2011b, p. 184, n. 15. 23 Leumann 1977, p. 120. 24 Prosdocimi ha ripetutamente contestato la definizione di un fatto linguistico di quest’epoca come ‘dialettale’. Cfr. Prosdocimi 1979, p. 185: “[…] la qualifica di ‘dialettale’, vera e propria pattumiera ove relegare quanto non torna: ma spesso è un non tornare interno”. In precedenza, Leumann (1956, p. 74) aveva ipotizzato che “*Māort- nahm in einer Sonderentwicklung teil an der Vokalschwächung von ort zu urt in zweiten Wortsilben”, considerando la forma Mā-urtcome bisillabica.

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vulgata manualistica25. Prosdocimi, che più volte26 si è occupato dei trittonghi latini, trattando tuttavia solo cursoriamente il caso di -awo-27, sembra propendere per una sincope del terzo elemento di trittongo in una successione -awo- > -aw- > -ā- parallela a quella di altri trittonghi in latino (*-ewe-, *-ewo-, *-ewi-, *-awi-). Per lo studioso questo fenomeno sarebbe dovuto alla regressione dell’accento protosillabico, che porta in prima battuta alla neutralizzazione timbrica in atonia e poi alla sincope28. L’importanza dell’accento nella riduzione dei trittonghi emergerebbe nel doppio esito del trittongo *-owe- (anche da *-ewe-) che, come è noto, può dare sia -ō- sia -ū- (cfr. mōtus < *mowetos, ma iūrat < iouesat nel vaso di Duenos); questa oscillazione è stata spiegata da molti come fatto dialettale, ma a quest’epoca, in cui non si può ancora parlare di una norma fissata, è difficile opporre dialetto a lingua standard (vedi n. 24). Proprio la posizione dell’accento potrebbe invece offrire una possibile soluzione: sinteticamente, in una prima fase, in cui l’accento si trova sulla penultima, avremmo VwV́ > ō (cfr. *ne-welo > *nowolo > nolo)29; in una fase successiva, e probabilmente per un certo periodo coesistente, con l’instaurarsi del (co-)accento protosillabico, che poi regredirà in favore dell’accento sulla penultima, avremmo V́wØ > -ū-30. Inserendo anche il trittongo -awo-, che Leumann tratta separatamente, in questa serie, verrebbe a confermarsi una successione -awo- > -aw- > -ā- perfettamente coincidente con le forme documentate Mavors, Maurte (e Maurtia), Mārs. Recentemente, la questione è stata ripresa da Nishimura31, il quale giudica insoddisfacenti le soluzioni proposte in passato: “(a) syncope in the closed syllable

25

Leumann 1977, pp. 82 e 120; Sihler 1995, p. 76 e 83; Weiss 2009, p. 132, il quale però non si sofferma sui passaggi intermedi. Contra Meiser 1998, p. 127, che propone una derivazione per dissimilazione di Mārs, Mārtis < mauort- da *mamort- < mamart-, da confrontare con il Mamartei del Lapis Satricanus, cfr. supra, n. 13. 26 Tra gli altri, ricordiamo Prosdocimi 1979, pp. 213-215; Prosdocimi 1996a, pp. 239-241, 252-255; Del Tutto / Prosdocimi / Rocca 2002, p. 542. 27 Del Tutto / Prosdocimi / Rocca 2002, p. 542, n. 160. 28 Prosdocimi 1996a, pp. 252-253. 29 Del Tutto / Prosdocimi / Rocca 2002, p. 542, n. 160. 30 “Nel caso di -owo- > -owØ- vs. -owo- è da tenere presente la coincidenza cronologica di -we- > -wo- e l’instaurarsi degli effetti dell’accento protosillabico stesso insieme con il rapido decadere dell’accento protosillabico e quindi dei suoi effetti: l’allofonia -owØ-/-owo- si è «bloccata» perché non c’erano più le condizioni per -owV- > -owØ-, e quindi si sono avuti esiti diversi per parole diverse”; “vi è in latino coesistenza di accento/coaccento sulla prima sillaba e sulla penultima tra VI e V a.C. (salvo il tipo occā́ so-, *cowirītes); questi coaccenti non si escludono perché l’accento protosillabico regredisce rispetto all’accento sulla penultima che cronologicamente precedeva e che si riafferma dopo una coesistenza accentuale”, Prosdocimi 1996a, pp. 240-241 e 253. Sull’accento latino e italico si veda anche Prosdocimi 1986. 31 Nishimura 2011a.

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and (b) reproduction of -o- by -V- after the loss of -w- are both arbitrary: the former is quite unusual and the latter is not without problems” (p. 236)32. Nishimura propone dunque di spiegare le forme Maurte e Maurtia, rispetto a Mavors, con un passaggio -awor- > -awur- che potrebbe essere dovuto o alla presenza della vibrante33, o, in alternativa, alla chiusura di -o- in sillaba finale chiusa, come in *-ont > -unt. In seguito, si sarebbe verificata la caduta della semivocale avanti -ue dunque la sequenza -au- di Maurte e Maurtia. Tuttavia, nessuna di queste spiegazioni rende conto di un passaggio *-aw- > -ā-, non facile da giustificare e il cui unico confronto risiederebbe in *mawolo > mālō34 che però, a differenza di Mavors, presenta una seconda sillaba aperta. È stato da più parti osservato che le iscrizioni che testimoniano la fase -awrisalgono a un’epoca troppo recente, in cui doveva già essersi completato il passaggio -awo- > -ā-. La conservazione delle forme con dittongo (Maurte e Maurtia) può forse spiegarsi con il fatto che esse provengono da un’area laterale (rispetto all’urbs), in cui la monottongazione non è (ancora?) avvenuta. Notiamo, poi, che sui cippi da Tor Tignosa è attestata anche la forma Neuna, che sembra mostrare anch’essa una fase intermedia nel processo di monottongazione del trittongo *-ewe- > -ō-35. Si tratta in verità di un esito anomalo rispetto a quanto prospettato sopra, per cui l’esito di *-ewe- per sincope sarebbe dovuto essere *-ew> *-ow- > -ū-. Ci troviamo dunque di fronte a due casi, attestati nello stesso contesto, in cui abbiamo un dittongo inatteso; per spiegare Neuna si è spesso ricordato che accanto alla forma nōnus abbiamo anche nundine < *noven-dinai (noundinum nel S.C. de Bacch. 23), e sulla scia di Sihler, che la forma con -ōdell’aggettivo ordinale sia stato influenzato dal cardinale novem36. Potremmo però provare a suggerire un’ipotesi alternativa che concilierebbe i due diversi esiti, chiamando in causa la posizione dell’accento: è possibile allora che, come per *mawr̥ t-37, anche per *newn̥ a si siano avuti due sviluppi indipendenti, *newena > nōna e *newna > Neuna, di cui i cippi da Tor Tignosa (area laterale) sono testis unus?

32 Un esempio, seppur tardo, di sincope di -w- in sillaba chiusa sembra però rintracciabile nella forma aunculus da avunculus testimoniata da alcune epigrafi romane di II secolo d.C., cfr. francese oncle. 33 Cfr. Leumann 1977, pp. 48, 82 e 94. 34 A meno di non pensare, come in De Vaan 2008, p. 366, ad uno stadio intermedio *mawart- che sarebbe evoluto in Mārs come lavatrina > lātrina; tuttavia, “direct evidence for the early stage *Māvart- like lavātrīna is wanting”, cfr. Nishimura 2011, p. 234, n. 9. 35 Cfr. Leumann 1977, 134. 36 Sihler 1995, p. 57. 37 A favore di un doppio esito della forma originaria del nome di Marte si era espresso brevemente anche Szemerényi (1964, p. 99, n. 2): “Mārt- and Maurt- represent two different treatments of the same basic form: Māwort- can lose its w before a following o and Māort-

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3. Marte, la radice *wr̥ t- e la ‘ciclicità’ È opportuno, per l’inquadramento della figura di Maurtia, rifarsi alle ultime teorie sulle funzioni di Marte legate alla sua etimologia. Un collegamento con vertō, e dunque con la radice *wr̥ t-, era già stato operato da Cicerone (De Natura Deorum, II, 26, 67): Iam qui magna verteret, Mavors38 ed è stato valutato positivamente da eminenti studiosi, con varianti che riguardano la prima parte. Tra gli altri, Kretschmer39 propose di far risalire il teonimo ad un composto *magsvors, con un primo elemento *mages, grado positivo del comparativo magis, cosicché Māvors indicherebbe “den mit Macht wendenden”40. Una via del tutto diversa è stata mostrata da Prosdocimi41 il quale ha connesso questo teonimo al concetto di ciclicità, espresso dalla radice *wr̥ t ‘girare’ in composizione con una preposizione *ma- (per cui vedi oltre), che spiegherebbe la coesistenza di un Marte agrario con un Marte guerriero. La novità consiste nel riunificare all’insegna della ‘ciclicità’ le due funzioni che emergono da un’analisi della figura del dio. L’importanza di questo concetto in latino e nelle lingue italiche è ben documentata, come prova ad esempio il nome dell’anno annus (italico akno), da *atno-, derivato da una radice *at- ‘girare (in cerchio)’ > ‘ciclo’42. L’interpretazione dell’anno come ‘ciclo che si compie’ è confermata dal nome del dio latino Vertumnus, il dio dell’annus vertens (Properzio IV, 2, 10), che morfologicamente si configura come un participio medio passivo residuale di vertō (cfr. sanscrito várt-man-). Nelle Tavole Iguvine (IV 11-12) viene menzionato il

contracts to Mārt- (like māuolō to mālō); alternatively, Māuort- can syncopate the o, giving Maurt-”. 38 Lo stesso concetto è ripetuto in De Natura Deorum III, 62, 7: Mavors quia magna vertit. Diversa l’etimologia proposta da Varrone, LL V, 73: Mars ab eo, quod maribus in bello praeest, aut quod Sabinis acceptus ibi est Mamers. 39 Kretschmer 1905. 40 Particolare risulta l’ipotesi di Solmsen (1894, pp. 76-78) che spiega il primo elemento ma- in relazione al greco μάχη, a ribadire la natura bellica di Marte. Questa ipotesi è stata duramente criticata già in Kretschmer 1905, p. 129, il quale contestava la possibilità di avere una medesima parola con il medesimo significato in greco e in latino. Per incidens, notiamo che i termini afferenti a questo campo semantico nelle diverse lingue indoeuropee derivano da radici diverse. La stessa derivazione è però data come possibile ancora in Mallory / Adams 1997, p. 630. 41 Prosdocimi 2002, p. 135, n. 34. 42 Prosdocimi 1970. La stessa radice si trova nell’antico indiano atati ‘egli va’, nel suo allotropo aṭati ‘egli vaga’ e nel gotico aþna ‘anno’ (traduzione del greco ἐνιαυτός). Da annus abbiamo Anna Perenna (o Peranna), divinità dell’inizio dell’anno inteso come ‘ciclo’, in cui Perenna può essere interpretato come per-annus, con per a indicare la transizione di un ciclo, il ciclo annuale ‘annus’.

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dio Pomono Popdico, che può essere considerato il corrispondente italico del latino Vertumnus per il confronto che si può istituire tra Popdico e il greco κυκλικός43. Sia Vertumnus sia Pompono Popdico sono divinità agrarie i cui nomi sono definiti da radici che indicano il ‘girare in ciclo’. Vertumnus, dunque, la cui compagna a Roma è peraltro Pomona, è caratterizzato come il dio del ciclo annuale delle stagioni. All’insegna della radice *wr̥ t- si può connettere anche Marte al ciclo dell’anno ‘che gira’. In verità, una natura agraria di Marte era stata già postulata da Wilhelm Mannhardt44 agli inizi del XX secolo e in seguito supportata da James Frazer45; la teoria venne però contestata da numerosi studiosi, fra tutti Georg Wissowa46 ma soprattutto da George Dumézil47, sostenitore di Marte come dio della seconda funzione con esclusione assoluta di un carattere agrario. Nel suo tentativo di rifiutare la teoria di Mannhardt, Dumézil analizza le prove addotte dai sostenitori del Marte agrario, focalizzando l’attenzione soprattutto sul rito dell’Equus October, concludendo che esso è strettamente connesso con la natura guerriera del dio. In realtà, il rito sembra presentare sia elementi agrari, sia elementi guerrieri48, cosicché esso diviene la chiave per interpretare l’effettiva natura di Marte, dotato di una natura ambivalente, agraria e guerriera. Marte, infatti, non può essere considerato una divinità esclusivamente agraria o esclusivamente guerriera, ma deve essere inteso come il dio della ciclicità che governa sia il ciclo della natura, sia il ciclo della vita umana49. 43

Prosdocimi 1989, p. 497. Lo studioso riconosce che “la fonetica non è ineccepibile, ma non impossibile e, davanti a un’evidenza, va superata: una divinità agraria è definita mediante il ‘ciclo’ annuale”. 44 Mannhardt 1904-1905, pp. 297 ss e p. 334. 45 Frazer 1950, pp. 272-273. 46 Wissowa 1912, pp. 141 ss. 47 Dumézil 1955, pp. 189 ss. La bibliografia sull’argomento è molto ampia, qui ci siamo limitati a notare alcuni tra i riferimenti più noti. 48 Il rito veniva celebrato alle idi di ottobre, al termine della stagione della raccolta; ulteriori elementi agrari consisterebbero nel riferimento alla corona di pane e nella specificazione di P. ex Festo (246 L) ob frugum eventum. L’elemento guerriero risiederebbe nella scelta del cavallo come animale sacrificale, ma Prosdocimi ha spiegato come questo non sarebbe una prova contro la natura agraria di Marte, cfr. Prosdocimi 2003, pp. 70 e ss. Un’altra testimonianza della doppia natura di Marte sembra rintracciarsi nella preghiera citata da Catone, De Agri Cultura 141, in cui si riporta la formula per la lustratio agri, ovvero un’invocazione a Marte per la protezione dei campi. Nonostante Dumézil interpreti questa preghiera come prova della natura guerriera di Marte invocato come protettore, la valenza agraria è innegabile. 49 Per quel che attiene al ciclo annuale della natura, Marte governa il ciclo agrario e dell’allevamento, mentre nella vita del singolo e della società la ciclicità si esprime sia nel ciclo annuale della vita della città, sia nel ciclo delle diverse classi di età all’interno della società, cfr. Prosdocimi 2002, pp. 135-136 e Prosdocimi 2003, pp. 70 e 80.

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4. Maurtia e Morta tra Fata, Parcae e Moire La designazione Parca Maurtia del cippo da Tor Tignosa rientra nel gruppo delle denominazioni teonimiche binomie costituite da nome divino + attributo di cui si hanno diversi esempi nelle Tavole Iguvine ma anche in ambito romano (cfr. Aius Locutius o Iuppiter Feretrius o Picus Martius)50. L’aggettivo Maurtia definisce dunque l’appartenenza di Parca alla sfera di competenza di Marte51, una relazione questa che avrebbe poca ragion d’essere con un dio guerriero ma che invece trova la sua piena spiegazione nel quadro sopra delineato di Marte come dio della ciclicità: Maurtia, inclusa nella stessa etimologia proposta per il nome del dio, è la divinità che presiede all’ultima fase del ciclo di gestazione, che precede il parto, e il suo nome potrebbe essere interpretato come “[colei] che gira in avanti (ma-) [il feto nella corretta posizione]”52. Nel passo di Aulo Gellio ricordato in precedenza si menzionano le diverse posizioni di Varrone53 e Cesellio Vindice che possiamo così sintetizzare: – Varrone: tria Fata → Parca, Nona e Decima – Cesellio Vindice: tres Parcae → Nona, Decuma e Morta È probabile che nell’arco temporale intercorso tra Varrone e Cesellio si sia verificato uno slittamento per cui Parca sia passata a designare non più una singola divinità (a partu nominata), ma l’intero gruppo di divinità, cui si aggiunge, per ripristinare la triade, Morta. La questione è certamente complessa e le fonti a nostra disposizione sono scarse. Proviamo dunque a riassumere i termini della questione a partire dalla funzione originaria di Parca. Si oppongono due scuole di pensiero: una che vedrebbe in Parca una dea legata alla nascita e al parto, e un’altra che considera Parca un’originaria dea del destino. La stessa dicotomia si riscontra nelle etimologie proposte per il teonimo: una derivazione da pariō, come sembra suggerire già Varrone, o una derivazione da parcō, come ipotizzato da Servio e altri54. Sebbene la seconda teoria risulti di più

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Cfr. Poccetti 2009, p. 230, il quale sottolinea come “le derivazioni aggettivali come Martius o Iovius condividono lo stesso procedimento morfologico della formazione dei gentilizi”. Secondo la classificazione proposta in Prosdocimi 1989, pp. 484-486, possiamo distinguere attributi non derivanti da un altro teonimo altrimenti noto (Iuppiter Grabovius) e altri che invece derivano da un altro teonimo, tipo Torsa Iovia, come nel nostro caso. 51 Diverse sono le divinità connesse a Marte, definite sia con formazioni al genitivo (Nerio Martis) sia aggettivali, come Picus Martius, solo per citarne alcune. 52 Prosdocimi 2002, p. 135, n. 34. 53 La posizione di Varrone è ripresa da Tertulliano, De Anima 37, 1: superstitio Romana deam finxit Alemonam alendi in utero fetus, et Nona et Decimam a sollicitioribus mensibus et Partulam quae partum gubernet, et Lucinam, quae producat in lucem. Cfr. Tels-de Jong 1960, p. 70-71. 54 Cfr. Tels-de Jong 1960, pp. 67 e ss.

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agevole spiegazione dal punto di vista linguistico e trovi un certo numero di riscontri (cfr. ad esempio Panda da pandō), essa pone delle difficoltà semantiche e nelle testimonianze relative ad essa non emerge alcun indizio a favore di una simile caratterizzazione della dea. Questa è la teoria dei sostenitori di una originaria funzione di Parca quale dea del destino, dunque come ‘colei che dà poco’, ma appare un poco forzata. Viene dunque generalmente preferita la derivazione da pariō tramite il suffisso -ic- il quale, tuttavia, solitamente forma aggettivi denominali (cives – civicus); Parca < *Párica si configurerebbe dunque, almeno in origine, come un aggettivo da radice verbale (cfr. medicus da medeor), che avrebbe poi subito una sincope della vocale interna. La funzione primaria di Parca (e delle sue compagne Nona e Decima55) sembrerebbe dunque quella di presiedere a un momento importante che precede la nascita, ma come si spiega il loro raggruppamento sotto l’etichetta di tria Fata da parte di Varrone? Il termine fata, neutro plurale del participio passato sostantivato di for, fāri, che doveva in origine designare ‘le cose (parole) dette, pronunciate’, solo in un secondo momento sarebbe passato a indicare il destino in quanto ‘cose dette (stabilite) da un dio a proposito del futuro di un uomo o di una comunità’56 e, infine, si sarebbe avuta la personificazione di fata in Fata57. Secondo la ricostruzione della Tels-de Jong (pp. 88 ss.), tutte le testimonianze relative a tria Fata sono successive a Varrone, e dunque di epoca relativamente tarda. Per questo motivo, la studiosa attribuisce a un’influenza delle Moire greche l’insorgenza di queste divinità, nelle quali rintraccia un’evoluzione del termine fatum-fata da “destin donné aux hommes” a “puissances du destin, qui décident du sort des hommes” (p. 90), con successiva identificazione con le Parcae58, forse ad opera dello stesso Varrone59. In effetti, un punto di contatto tra Parca(e) e Fata si trova proprio nella definizione che dà il Reatino (LL VI, 52) di fatum: ab hoc tempore quod tum pueris constituant Parcae fando, dictum fatum et res fatales. Da divinità del parto, Parca(e) sarebbe 55

La Tels-de Jong (1960, p. 81) sottolinea che Parca è aggettivo sostantivato e suggerisce, non senza esitazione, una originaria funzione attributiva riferita ad altra divinità, possibilmente Giunone. Notiamo, però, come d’altra parte anche Nona e Decima sembrano essere aggettivi sostantivati. 56 Cfr. Servio, ad Aen. II, 777: ut enim Statius dicit, fata sunt, quae dii fantur. 57 Cfr. a questo proposito quanto si afferma in Colafrancesco 2004, p. 11, n. 8. Per una diversa ricostruzione, cfr. Weinstock 1952, p. 158. Flobert nota che in Neuna fata quest’ultimo è necessariamente già il femminile di Fatum, quindi già personalizzato, cfr. Flobert 1991, p. 538. 58 Anche a tria Fata vengono attribuiti i nomi di Clotho, Lachesis e Atropos, cfr. Apuleio, De Mundo 38, come avviene per le Parcae, cfr. ad esempio Servio, ad Aen. I, 22: nomina parcarum Clotho, Lachesis, Atropos. 59 Il fatto che Cesellio Vindice – dopo aver consultato, con ogni probabilità, l’opera di Varrone – riporti una versione diversa (vedi supra) potrebbe indicare che la ricostruzione del Reatino non fosse universalmente nota e/o condivisa, cfr. Tels-de Jong 1960, pp. 100-104.

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divenuta divinità profetica e per questo motivo viene identificata con Fata (plur.), personificazione del destino. Per la studiosa, sempre all’influsso greco si deve, con ogni probabilità, la costituzione di una triade con Nona e Decima, correlate da Varrone all’insegna dell’ultima fase della gravidanza. Sull’attendibilità di Varrone in merito a questo punto è stato espresso più di un dubbio, a partire dal fatto che Neuna > Nona può anche essere messo in relazione con Nundina, divinità del dies lustricus che si celebrava il nono giorno dopo la nascita del bambino (l’ottavo nel caso di una femmina) e prevedeva la purificazione del neonato e l’imposizione del praenomen60 e dunque perfettamente inserita nel sistema latino. Se si accetta l’identità Nona – Nundina, questa non si configurerebbe più come divinità del nono mese di gravidanza, ma come dea che presiede a un evento successivo alla nascita61. In questo caso, è possibile che Varrone, per influenza del modello greco, abbia ‘costruito’62 una triade delle divinità delle ultime fasi gestazionali – divenute dee del destino, Fata, e dunque assimilabili alle Moire – utilizzando Parca e un’altra divinità correlata alla nascita (Nona-Nundina), trasformata in dea del nono mese di gravidanza per via del suo nome; la triade sarebbe stata completata con l’‘invenzione’ di una dea del decimo mese corrispondente a Nona, Decima. Più discussa rimane l’originaria funzione di Maurtia e di Morta e l’eventuale rapporto tra le due. Maurtia, che non viene mai menzionata dalle fonti, è stata spiegata come ‘colei che gira in avanti il feto’ da Prosdocimi, il quale si è limitato a suggerire la composizione con una preposizione *ma. La radice *wr̥ t- si trova in composizione con preposizione in altri due teonimi, Antevorta e Postvorta63, attributi di Carmentis (o Carmenta), antica divinità connessa al parto poi dea profetica (come Parca). Questi epiteti, che in epoca imperiale vengono messi in relazione con la

60 Macrobio, Sat. I, 16, 36: est etiam Nundina Romanorum dea a nono die nascentium nuncupata, qui lustricus dicitur. Est autem lustricus dies, quo infantes lustrantur et nomen accipiunt, sed is maribus nonus, octavus est feminis. Cfr. Weinstock 1950, pp 157 ss. e Tels-de Jong 1960 pp. 100-102. Nel dies lustricus intervengono anche i fata scribunda (cfr. Tertulliano, De Anima 32, 2), dai più interpretati come divinità che scrivono il destino del neonato – e di conseguenza correlate alle Parche – ma che potrebbero in realtà essere degli “omina oraux” pronunciati nel corso del dies lustricus, cfr. Tels-de Jong 1960, pp. 105-128. Se, come sembra, Neuna > Nona corrisponde a Nundina, il fatto che Neuna è fata sul cippo da Tor Tignosa può essere correlato all’intervento dei fata scribunda nel dies lustricus cui questa divinità presiede. 61 L’ipotesi di Lipp di Neuna come “dea della filatura” non sembra sostenibile, dal momento che l’attributo del ‘filare’ sopraggiunge in una fase successiva e per influenza greca. 62 La bibliografia sull’argomento è molto ampia, si veda da ultimo Colafrancesco 2004, p. 10, n. 5 e la bibliografia ivi citata. 63 Queste forme sono citate solo da Macrobio. Le stesse sono note anche come Postverta e Prorsa (o Porrima), cfr. Gellio, Noctes Atticae XVI, 16, 4 e Servio, ad Aen. VIII, 336.

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capacità della dea di vedere nel passato e nel futuro nell’ambito della sua funzione profetica, in origine si riferivano alla posizione del feto al momento del parto, con la testa in avanti (= basso) o con la testa indietro, in posizione podalica64. Il ruolo dunque di presiedere alla posizione finale del feto sarebbe appannaggio di Antevorta e Postvorta. La casella semantica appare troppo affollata: possiamo allora provare a proporre una diversa interpretazione del primo elemento di Maurtia, un *ma- non connesso a un concetto spaziale o direzionale ma piuttosto temporale, ovvero con il significato di ‘al momento giusto’. Come si evince dal passo di Gellio (vedi supra), il parto secundum naturam avveniva solo al nono o al decimo mese. In quest’ottica, Maurtia potrebbe essere vista come la divinità che ruotava il feto nella corretta posizione e al momento giusto65. Se questa linea di ragionamento è corretta, il primo elemento di *Ma-wr̥ t- andrebbe con *mā- ‘gut, to guter Zeit, rechtzeitig’ (IEW s.v., p. 693)66 che si ritrova nell’aggettivo manus, poi manis67, ma anche in Matuta e soprattutto in maturus, che in DELL (p. 391) viene definito come “qui si produit au bon moment”. Il significato di *mā- viene fatto risalire al concetto generale di ‘essere in misura (corretta)’68 che si esplica in chiave etico/morale nell’aggettivo manus/manis ‘buono’ e in senso temporale in maturus. Il concetto di ‘giusta misura’ come temporalità sembra insito anche nella figura di Mater Matuta, la quale, secondo Prosdocimi (1996b, p. 541), “è la mater che presiede alla nascita a ‘buon tempo = tempo socialmente previsto’”, in riferimento dunque al momento socialmente giusto per il matrimonio e per il concepimento; una funzione differente, dunque, rispetto a quella qui prospettata per Parca Maurtia, che avrebbe avuto un ruolo nella fase finale della gestazione69.

64 Cfr. Varrone apud Gellio, Noctes Atticae XVI, 16, 4: ‘Quando igitur’ inquit ‘contra naturam forte conversi in pedes brachiis plerumque diductis retineri solent aegriusque tunc mulieres enituntur, huius periculi deprecandi gratia arae statutae sunt Romae duabus Carmentibus, quarum altera “Postverta” cognominatast, “Prorsa” altera a recti perversique partus et potestate et nomine’. 65 Un riferimento all’importanza del ‘momento giusto’ sembra emergere dalla frase a partus tempestivi tempore che Varrone adopera per definire Nona e Decima. 66 Questa interpretazione non sarebbe in conflitto con il carattere ciclico di Marte in quanto questi si configurerebbe come colui che governa il ciclo della natura facendo in modo che tutto avvenga al tempo giusto. 67 Cfr. Cerus manus nel Carmen Saliare e Macr. I, 3, 13, Lanuvini ‘mane’ pro ‘bono’ dicunt. 68 Sulle diverse declinazioni della radice *mā- si veda quanto afferma Pokrowskij, citato in esteso da Prosdocimi, e Prosdocimi stesso in Prosdocimi 1996b, pp. 536-542. 69 Un’altra divinità connessa alla nascita e che potrebbe avere un riferimento al concetto di ‘giusta temporalità’ è Genita Mana, cfr. Prosdocimi 1996b, pp. 536-537 e 541, dove si istituisce un confronto anche con la deíva geneta della Tavola di Agnone.

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Veniamo ora a Morta, testimoniata unicamente da un verso dell’Odusia di Livio Andronico (fr. 11 Morel, Quando dies adveniet quem profata Morta est) riportato da Cesellio Vindice, il quale inserisce Morta nel novero delle Parcae. In questo frammento, Livio rende (non possiamo dire traduce) con Morta l’espressione omerica μοῖρ’ὀλοὴ τανηλεγέος θανάτοιο, attestata più volte nell’Odissea70, condensando i concetti di “funesto destino” e “morte spietata” dell’originale in questa figura altrimenti ignota, almeno in questa forma71. Non vi è alcun dubbio sulla funzione che Morta avesse nel contesto del frammento di Livio, in cui il carattere profetico della divinità è chiaramente espresso (profata est). Meno evidente è invece l’origine di Morta, per la quale sono state proposte due vie interpretative. La prima si basa sull’associazione, da parte di Livio, di Morta con la divinità greca del fato μοῖρα, con la conseguente connessione del termie latino alla radice indoeuropea *smr̥ - ‘dare, ottenere in sorte’, alla quale è correlato anche il greco. L’ipotesi è sostenuta da Meillet (1923, p. 183) e Pisani72 e poi ripresa da Ramat73, i quali considerano Morta quale equivalente del participio perfetto passivo εἱμαρμένη ed includono nell’isoglossa il celtico Rosmerta, con identica funzione e formazione morfologica. In occasione della pubblicazione dei cippi da Tor Tignosa, la Guarducci (19461948, p. 8) ripropone la questione suggerendo una derivazione di Morta da Maurtia (“non senza un rapporto con il nome di mors, che pure è di origine diversa”, ibidem) con un passaggio “spiegabilissimo” di -au- in -o-, ma senza prendere in considerazione la diversa terminazione delle due forme. La monottongazione di -au->-o- in latino è sicuramente un fatto noto74 ma non può certo dirsi

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II, 99-100: εἰς ὅτε κέν μιν / μοῖρ’ὀλοὴ καθέλῃσι τανηλεγέος θανάτοιο, ripetuto identico in XIX 144-145 e XXIV 134-135; III, 237-238: ὁππότε κεν δὴ / μοῖρ’ὀλοὴ καθέλῃσι τανηλεγέος θανάτοιο. La quasi totale identità tra i due passi omerici, che divergono solo per la congiunzione temporale che li introduce, preclude una identificazione certa del corrispondente del frammento di Livio. 71 Ulteriore elemento innovativo rispetto al testo omerico, citato nella nota precedente, sono dies e profata est. L’idea, tipicamente romana, di dies fatalis, suggerita dal verbo, implica un destino rigido e predeterminato, in contrasto con il concetto omerico di μοῖρα, inevitabile ma indeterminato. Anche in questo caso, dunque, Livio non si limita a tradurre il testo dell’Odissea, ma lo interpreta secondo le credenze religiose dei Romani del suo tempo. Si veda sull’argomento Sarullo 2012. 72 Pisani 1929, poi ripreso in Pisani 1975, p. 65. 73 Ramat nega ogni possibile relazione tra Maurtia e Morta, ipotizzando per quest’ultima una funzione “nel più antico pantheon latino” (p. 65) del tutto analoga a quella della Μοῖρα greca. Cfr. Ramat 1960. 74 P. ex Festo 196 L: orata genus piscis appellatur a colore auri, quod rustici orum dicebant, ut auriculas, oriculas.

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“spiegabilissimo”, quanto meno non al III secolo a.C.75 e non in contesto poetico. Meno difficoltà porrebbe l’oscillazione della terminazione in -a/-ia, documentata in altre coppie quali Ops Consivia/Consiva e Diva Angeronia/Angerona, per le quali si può supporre una originaria valenza aggettivale (come in Parca Maurtia) che viene meno – con conseguente caduta di -i- – nel momento in cui l’epiteto diviene sufficiente per identificare la divinità o evolve in entità autonoma76. L’ipotetico passaggio Parca Maurtia > Morta potrebbe aver coinciso con l’evoluzione funzionale della divinità da dea del parto (con attributo Maurtia specificamente riferito alla gravidanza) a dea del destino (con aggettivo sostantivato Morta, con probabile influenza del tema di mors). In questo caso, il passaggio andrebbe situato in un periodo (di poco?) antecedente alla traduzione dell’Odissea (seconda metà del III) – in cui Morta profatur –, dal momento che nei cippi di Tor Tignosa (fine IV-inizi III) è ancora conservata la forma Parca Maurtia77. La difficoltà posta da un passaggio -au- > -o- in un’epoca così alta impone però cautela nell’accettare sic et simpliciter l’ipotesi della Guarducci. Si può forse pensare che l’influenza della radice di mors possa aver favorito una eventuale resa di Maurtia in Morta, forse ad opera dello stesso Livio Andronico. Non si può infatti escludere che Morta sia un’invenzione del poeta che, nel processo traduttivo, può aver dato vita ad una divinità o averne modificato il nome per calare nella realtà romana il concetto omerico di μοῖρα78: non v’è dubbio che all’orecchio di un

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Leumann 1977, p. 72, data il fenomeno al I secolo d.C. Così Prosdocimi spiega il caso di Diva Angeronia/Angerona, per il quale si può ricordare che in Macrobio troviamo Diva Angeronia ma Angerona. Più complesso è forse il caso di Ops Consivia/Consiva, per il quale viene supposta una allomorfia -a/-ia. Sulla questione è tornato più volte Prosdocimi, si vedano fra i tanti Prosodocimi 1991, pp. 526-544 e Prosdocimi 2008, pp. 111-112. 77 Il fatto che sui cippi Neuna sia fata si spiega considerando che si tratta della dea del dies lustricus in cui advocantur i fata scribunda, cfr. n. 60. 78 Ricordiamo infatti che alle Moire greche non è attribuita alcuna funzione profetica, peculiare invece delle Parche romane e di Morta (cfr. Colafrancesco 2004, p. 19, n. 29). Fra la triade greca e quella romana sussiste infatti una distinzione fondamentale: le Parche sono connotate principalmente come divinità che hanno a che fare con la parola: parlano, cantano, scrivono, prevedono e preannunciano il fato (‘cosa detta’). Le Moire, d’altro canto, filano un destino ineluttabile ma indeterminato. Varrebbe però forse la pena di indagare ulteriormente, anche a proposito di queste divinità, lo stretto rapporto tra ‘scrittura’ e ‘tessitura’ che emerge dalla metafora, da ricondurre probabilmente alla lingua poetica indoeuropea, di ‘costruire/tessere parole’, cfr. aind. vácāṃsi…takṣam (RV 6, 32, 1), avestico vacastašti- ‘strofa, inno’, latino sermones… texier (Plauto, Trinummus 797) e greco ἐπέων… τέκτοντες (Pindaro, Pyth. 3, 199). Alla questione, che travalica scopi e limiti di questo lavoro, sono stati dedicati numerosi studi che indagano prospettive diverse, a partire dal primo lavoro di Darmesteter 1878 (= 1968). 76

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romano, Morta avrà richiamato l’idea di ‘morte’ e, di conseguenza, di divinità del fato. Questa ipotesi potrebbe trovare un riscontro nell’uso che Livio Andronico fa del teonimo Moneta, attestato in Nam diva Monetas filia docuit (fr. 23 Morel), traduzione di οὕνεκ’ἄρα σφέας / οἴμας Μοῦσ’ἐδίδαξε (Odissea VIII, 480-481); in questo passo Moneta viene scelto dal poeta quale corrispondente del greco Μνημοσύνη, madre delle Muse e dea della memoria. Un riferimento a Moneta epiclesi di Giunone in qualità di divinità che soprintende alla signatura dell’aes79 risulta poco credibile nel contesto del frammento; è più probabile che il semigraecus Livio Andronico abbia utilizzato il teonimo quale personificazione di moneō nel senso di ‘far ricordare’, implicito nel nome della divinità greca. Si profila dunque un procedimento analogo a quello che abbiamo supposto per Morta, ovvero il recupero/adattamento di un termine (arcaico?) che assume una veste diversa – per forma (Maurtia > Morta) o per funzione (Moneta) – da quella altrimenti nota, dando origine sì a un nuovo elemento ma basato su temi noti e, di conseguenza, dal significato riconoscibile.

Fig. 1. Riproduzione dei cippi da Tor Tignosa (da Guarducci 1946-1948).

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Cfr. Prosdocimi / Marinetti 1993, pp. 173-175.

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