Procida tra Settecento e Ottocento: da sito reale borbonico a meta privilegiata di età borghese, 2012

June 6, 2017 | Autor: Pasquale Rossi | Categoria: Cultural History of Naples and Campania, Architecture and Public Spaces
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PASQUALE ROSSI

PROCIDA TRA SETTECENTO E OTTOCENTO: DA SITO REALE BORBONICO A META PRIVILEGIATA DI ETÀ BORGHESE

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ome ha scritto Giancarlo Alisio: «Procida è il più antico dei “siti reali”; fu feudo dei d’Avalos dal 1529 al 1734, anno in cui fu ad essi espropriato a causa della loro politica antiborbonica e filoaustriaca divenendo proprietà della corona solo nel 1744 a seguito dei numerosi processi per debiti intentati contro Giambattista d’Avalos. Essendo, già nel 1735, l’isola divenuta riserva di caccia reale, numerose furono le restrizioni imposte ai suoi abitanti: dalla proibizione di cacciare a quella di usare fucili e finanche di possedere gatti, considerati un pericolo mortale per i fagiani del re.(…)»1 In questo periodo furono acquisiti all’uso della caccia numerosi territori nel napoletano, soprattutto nell’area flegrea, tra i quali le riserve degli Astroni, di Agnano e di Licola che si aggiungevano alle antiche aree di caccia angioine di Monte di Procida e del lago Fusaro. Nei “Siti Reali” il sovrano e la corte si spostavano nei diversi periodi dell’anno privilegiando i movimenti della cacciagione, in inverno a Caserta per poi trasferirsi a Torre di Guevara e Bovino a Vivara e quindi a Venafro. Alle campagne di caccia partecipavano anche artisti incaricati di ritrarre scene e paesaggi destinate ad arricchire le preziose quadrerie delle numerose residenze reali2. Una delle prime ristrutturazioni intraprese dalla “Casa Reale” – un ufficio amministrativo autonomo dotato di un proprio capitolo economico di spesa, a cui corrispondono i documenti custoditi presso l’Archivio di Stato di Napoli del fondo dei “Siti Reali” – fu quella del palazzo d’Avalos procidano, intrapresa a partire dal 1738, su progetto dell’inge-

G.C. ALISIO, Siti reali dei Borboni. Aspetti dell’architettura napoletana del Settecento, Roma 1976, pp. 29-34. 2 Cfr. S. DI LIELLO, I Campi Flegrei. Realtà e metafora, Napoli 2006. 1

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gnere tavolario Agostino Caputo3. A Procida la presenza della corte borbonica che frequenta l’isola per le “battute di caccia” porta nella metà del Settecento alla costruzione di “caccette”, architetture isolate nel verde, in luoghi sino a quel momento poco urbanizzati. Gli isolani convissero con difficoltà, talvolta con proteste, al nuovo status poiché numerosi appezzamenti in origine destinati alle coltivazioni agricole – al tempo una delle principali attività economiche dell’isola – furono assegnati a uso di riserve venatorie e, in questo periodo, furono imposte anche altre limitazioni, come il possesso di gatti, per favorire la riproduzione della selvaggina nei poderi procidani. A partire proprio dalla seconda metà del Settecento, in virtù della passione venatoria di re Carlo, inizia quindi un processo di urbanizzazione grazie alla costruzione di unità edilizie che si stabiliscono lungo la linea viaria dorsale isolana che collega il Porto di Marina Grande, collocato di fronte al Monte di Procida (area di terraferma dei Campi Flegrei), al porticciolo della Chiaiolella (punto di attracco privilegiato verso Vivara e la vicina isola di Ischia). Questa strada interna che percorre tutta l’isola, individuabile nel percorso dell’attuale via Vittorio Emanuele II (dal Pozzo alle Centane) è intersecata in modo ortogonale da una serie di strade che conducono ai promontori, ai borghi e alle appendici delle punte dell’isola procidana (Pizzaco, Solchiaro, Pozzovecchio e le relative aree interne). Ramificazioni di un percorso lineare che corrisponde a una caratteristica superficie con varie appendici territoriali, e che rappresenta, in modo naturale, lo sviluppo urbano dell’isola tra Settecento e Ottocento. Rimandando in modo specifico a studi sullo sviluppo urbano che hanno chiarito le dinamiche di evoluzione dell’isola a partire dall’età medievale, con l’originario insediamento della Terra, prima “Casata” sul punto più alto dell’isola, e poi “Murata”, con un articolato sistema di fortificazioni nel XVI secolo, che costituisce il primo nucleo di sviluppo dal quale si formeranno, scendendo a valle, a partire dalla prima metà del Seicento, le marine e i casali dell’isola. Resta da ricordare che la crescita di tutti gli agglomerati edilizi sarà condensata a ridosso di chiese e grancie (suddivisioni amministrative ecclesiastiche territoriali) che costituiscono il riferimento della vita sociale e religiosa degli isolani come Cfr. G.C. ALISIO, cit., pp. 30-31.

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risulta ampiamente documentato dai carteggi archivistici diocesani e dai documenti custoditi nell’Abbazia di San Michele Arcangelo che con il Palazzo d’Avalos rappresenta l’architettura simbolica di riferimento del potere religioso e temporale nel nucleo insediativo originario della Terra Murata. Pertanto nelle zone interne, caratterizzate dalla presenza di promontori e penisole (Annunziata, Pizzaco, Solchiaro, Faro, Olmo, Pozzovecchio, Centane), si ritrovano architetture rurali, casali di campagna, che, a partire dal XVIII secolo, assumeranno sempre più un carattere autonomo di piccoli borghi e tenderanno a fondersi intorno alla rete stradale continua. L’area abitata, inizialmente la Terra Murata, con le zone contigue del Casale Vascello, delle marine e dei blocchi abitativi di San Rocco e San Leonardo, inizia così a estendersi in modo diffuso intorno ai descritti nuclei edilizi, già casali di campagna riuniti intorno a chiese o complessi ecclesiastici, che rappresentano a partire dalla metà del XVI secolo delle forme urbanizzate autosufficienti. Mentre la “Terra” continua ad essere il baluardo, con un articolato sistema di fortificazione, alle continue incursioni saracene che comunque si protrarranno fino agli inizi del Settecento. Lungo questo asse stradale che attraversa tutta l’isola, l’attuale via Vittorio Emanuele II, che collega la marina di Sancio Cattolico con la Chiaiolella, si ritrovano quindi episodi di edilizia nobiliare inseriti in una cortina abitativa continua. Si tratta di una peculiarità architettonica tutta procidana che si sviluppa anche nei percorsi interni dell’isola. Sulla strada il fronte costruito continuo non lascia percepire la tipologia dell’edificio né lo sviluppo dell’area verde interna con le relative pertinenze. Questi edifici sono contrassegnati da facciate e/o portali in piperno con motivi decorativi tipici del periodo, o ancora da prospetti con un peculiare arco policentrico a forma di loggiato (véfio); si sviluppano in tal modo tipi edilizi disomogenei tra loro, e aperti verso una corte o un giardino anche coltivato – un tempo podere per la caccia –, talvolta comprensivo di straordinario scorcio panoramico. Elsa Morante nella sua Isola di Arturo descrive in modo perfetto questo ambiente che, nonostante alterazioni e interventi non sempre in linea con la stratificazione storica, ancora persiste: «Su per le colline verso la campagna, la mia isola ha straducce solitarie 51

e chiuse fra antichi muri, oltre i quali si stendono frutteti e vigneti che sembrano giardini imperiali (…). Intorno al porto, le vie sono tutte vicoli senza sole fra le case rustiche, e antiche di secoli, che appaiono severe e tristi, sebbene tinte di bei colori di conchiglia, rosa o cinereo». Lungo la dorsale che collega la marina del Porto e quella della Chiaiolella sono da citare alcune architetture di particolare pregio, residenze della nobiltà che ivi soggiornava, probabili “caccette” in origine, poi integrate nel tessuto delle cortine edilizie continue, già indicate e studiate in una monografia sulla storia urbana dell’isola4. Nei pressi della chiesa di San Leonardo è il Palazzo Rosato, la cui semplice facciata, qualificata da un portale in piperno a tutto sesto con loggiato superiore, presenta all’interno un pregevole episodio di “scala aperta” di chiara ispirazione ai modelli e alle realizzazioni napoletane di Ferdinando Sanfelice. Ancora, tra la chiesa di Sant’Antonio Abate, nei pressi dell’Olmo, e Sant’Antonio da Padova, nei pressi del trivio sulla via Vittorio Emanuele II, sono da indicare architetture nobiliari di epoca tardobarocca come il Palazzo Parascandolo e quello Di Costanzo, anch’essi con portali in piperno di notevole pregio e decorazioni tipiche del periodo. Nella zona nord–orientale dell’isola sono collocate, tra la seconda metà del Settecento e gli inizi del secolo successivo, importanti architetture: la Villa Lavina (già Figoli) a Pizzaco che, isolata nel verde circostante, rappresenta un particolare episodio caratterizzato da una composizione di volumi sfalsati e cupola svettante, dove del resto sono presenti anche elementi tipici del repertorio dell’architettura “spontanea” locale (loggiato ad archi, camini, torrette convesse, scale a “collo di giraffa”). La caccetta sulla penisola di Solchiaro collocata in uno scenario paCfr. M. BARBA, S. DI LIELLO, P. ROSSI, Storia di Procida. Territorio, spazi urbani, tipologia edilizia, Napoli 1994. Per altri saggi sull’architettura sacra e nobiliare dell’isola si consultino pure S. DI LIELLO, La cupola della Chiesa di Santa Maria della Grazie a Procida, in Le cupole in Campania: indagini conoscitive e problemi di conservazione, a cura di S. Casiello, Napoli 2005, pp. 327-335; P. ROSSI, Trasformazioni e ampliamenti nell’Abbazia di San Michele Arcangelo di Procida tra Seicento e Ottocento, in Le cupole in Campania…, cit., pp. 343-356. E infine S. DI LIELLO, P. ROSSI, Itinerario 6.1. L’Isola di Procida, in Guida d’Italia. Napoli e dintorni, Touring Club Italiano, VI ed., Milano 2001, pp. 428-435. 4

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noramico di rara bellezza, aperto verso il golfo napoletano. Il palazzo di Guarracino, visibile dalla strada panoramica che porta a Solchiaro, è un edificio nobiliare piuttosto compatto, articolato su tre livelli, la cui facciata verso il mare è definita da semplici linee marcapiano che inquadrano una teoria di balconi sormontati da timpani triangolari e semicircolari; a questi caratteri architettonici tipici del tardobarocco, sia pure in una versione piuttosto semplificata, corrisponde all’interno verso il giardino una loggia a due ordini di chiara impostazione neoclassica. Nella stessa zona, detta a “le Centane”, un promontorio a ridosso della Chiaiolella, è il casino del canonico Andrea de Jorio molto probabilmente costruito dopo il 18065. Da segnalare a Vivara anche il casino della Torre Bovino e Guevara, già esistente prima dell’istituzione del Sito Reale borbonico, e che rappresenta una delle poche architetture nell’isolotto se si escludono interessanti quanto esclusivi insediamenti archeologici di età micenea, già oggetto di scavi e di interessanti studi che hanno portato a importanti acquisizioni sulle rotte dei commerci e sullo sviluppo abitato su un luogo considerato strategico nell’area del Mediterraneo6. Le “caccette procidane” sono quindi esclusivi episodi architettonici tra tardobarocco e neoclassicismo, caratterizzate da gusto e dettagli tipici dell’architettura popolare procidana, di peculiare rilievo all’interno di un territorio di stratificazione storica, di grande pregio e bellezza. Una derivazione e variante di quell’“architettura senza architetti”, ma anche e soprattutto un patrimonio urbano e architettonico piuttosto unico, nato in modo “spontaneo”, grazie alla sapienza costruttiva e alla capacità di maestranze che operano nei secoli in uno straordinario scenario ambientale, noto e riprodotto dall’iconografia con grande fortuna critica. Cfr. S. DI LIELLO, Il Settecento: il Sito reale dei Borbone, in M. BARBA, S. DI LIELLO, P. ROSSI, Storia di Procida…, cit., pp. 122--126. 6 C. PEPE, Missione archeologica Vivara. Guida agli scavi e al progetto Vivara, Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa”, Napoli 2001; e ancora della stessa autrice: Le ricerche archeologiche a Vivara, in Preistoria. Dalle coste della Sicilia alle isole Flegree, a cura di M. Marazzi, C. MOCCHEGGIANI, catalogo della mostra, Napoli 2001, pp. 261-269; Luoghi ritrovati: ambiente e insediamenti nel golfo di Napoli, in Imago_Urbis. Antico e contemporaneo nel centro storico di Napoli, a cura di P. Rossi, Guida Editore, Napoli 2011, pp. 130-140. 5

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Un tipo di architettura spontanea che è rappresentata, in modo emblematico, dalla Marina della Corricella, che Cesare Brandi, nel 1976, così descrive: «(…) ma la Procida marinara è nel villaggio di pescatori, la Corricella, d’una bellezza esotica e quasi africana. Proprio sotto la Terra murata, il porticciolo minuscolo con le barche da pesca, come gli insetti neri che si vedono nelle acque stagnanti, o come foglie morte o come gusci vuoti: e la loro cava occhiaia quasi riproduce sull’acqua le vuote occhiaie delle porte e delle finestre: di quelle case povere e bellissime che si soprammettono sulla riva, più scavate nella roccia che costruite. Un paese formicolante, una termitiera, eppure così umano, così splendente, nella notte, coi suoi colori leggeri e stinti. Come sciacquati nel lume di luna»7. A tutto questo insieme si aggiungeranno un secolo dopo, verso la fine dell’Ottocento, sparse sul territorio, altre opere esemplificative di una produzione minore altrettanto interessante per il carattere popolare quanto aulico; una architettura compresa in un repertorio artistico che oscilla tra le tendenze tardoeclettiche e il gusto liberty. Nella metà dell’Ottocento l’isola di Procida al pari della vicina Ischia diventa oggetto di una serie di interventi urbani minori tesi all’ammodernamento della rete stradale, alla ricettività portuale, al miglioramento delle attrezzature per la collettività. Una politica urbanistica adottata in tutto il regno, così come è stato del resto indicato dalla storiografia sull’argomento, sull’osservanza dalle indicazioni di Ferdinando II di Borbone, stabilite a partire dal 1839, il cui obiettivo era di dotare il territorio –a partire dalla capitale napoletana e di servizio anche per i centri storici minori– delle più moderne infrastrutture, al fine di consentire uno sviluppo omogeneo di tutte le città del regno. In tal senso bisogna ricordare come il sovrano borbonico avesse incentivato e favorito con nuove opere pubbliche le potenzialità termali di Ischia, una delle mète privilegiate dei viaggi della nobiltà e della corte reale. C. BRANDI, Procida, in “L’agave su lo scoglio”. 15 artisti e il mare, Napoli 1987, pp. 13-14. 7

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In tale contesto a Procida – così come risulta da carteggi sino ad ora inediti e custoditi presso l’Archivio di Stato di Napoli, indicati nel presente saggio nelle note a margine – si intraprendono intorno agli anni Quaranta, a più riprese e con una certa continuità, opere che prevedono il miglioramento della rete stradale ma anche la ristrutturazione della banchina portuale presso la Marina di Sancio Cattolico, la costruzione del cimitero a Pozzovecchio e il posizionamento di un nuovo Faro a punta Pioppeto, indispensabile per la sicurezza dei natanti, in un sito strategico per le rotte di collegamento tra Napoli, Ischia e i Campi Flegrei. Tale esigenza in particolare emerge dopo uno scampato pericolo di naufragio incorso proprio al sovrano in uno dei suoi frequenti soggiorni nelle isole del golfo. Nella prima metà del secolo sono attivi nell’isola professionisti di prim’ordine, noti alla letteratura architettonica napoletana che, in virtù dell’opera svolta nelle strutture tecniche cittadine e del regno, risultano spesso affiancati da mastri fabbricatori isolani e dall’architetto procidano Bernardo Scotti Galletta –il miglior interprete dell’architettura isolana del periodo a testimonianza della levatura della scuola tecnica napoletana– , a cui, tra l’altro, risulta dedicata nella toponomastica cittadina una strada presso la piazza del “pozzo” (oggi della Repubblica), proprio nei pressi dell’omonimo palazzo di famiglia. A Procida in questo periodo risultano impegnati Pasquale Francesconi per lavori di sistemazione stradale alla Chiaiolella e nella zona della Lingua8, Luigi Giura come perito addetto al controllo amministrativo dei lavori in corso e anche Ercole Lauria che si ritrova impegnato nella costruzione di un faro alla punta di Pioppeto9. Nel 1835 nell’isola inizia la costruzione del cimitero, affidata alla cura di Camillo Ranieri, sovrintendente ai cimiteri nel Regno di Napoli, in osservanza di un Decreto Reale (21 marzo 1817) promulgato da Ferdinando I. Nel rescritto erano stabilite le coordinate opportune per la fonArchivio di Stato di Napoli (d’ora innanzi ASNa), Ministero Interno III inventario, vol. 3582, fasc. 270 (1848). 9 Cfr. P. ROSSI, Antonio e Pasquale Francesconi. Architetti e urbanisti nella Napoli dell’Ottocento, Electa Napoli, Napoli 1998, passim. P. ROSSI, Il Neorinascimento e l’Eclettismo: architettura e architetti, in Civiltà dell’Ottocento. Architettura e urbanistica, a cura di G. C. ALISIO, catalogo mostra, Napoli 1997, pp. 106-118; R. PARISI, LUIGI GIURA. 1795-1864. Ingegnere e architetto dell’Ottocento, Napoli 2003. 8

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dazione di un sito funerario10. In pratica a «circa un quarto di miglio lontano dall’abitato», in un posto ventilato, al riparo da animali, con un muro che circonda il “quadrato” o “parallelogrammo” o forma simile, con una «porta d’ingresso chiusa da un forte rastello di ferro, o di legno» e con una cappella per le funzioni. In pratica si tratta di tutte le caratteristiche che saranno di fatto rispettate per la scelta del sito di Pozzovecchio11, a ridosso di una delle spiagge più belle dell’isola. All’interno del complesso funerario sarà realizzata, in corrispondenza dell’ingresso, la cappella del Pio Monte di Santa Maria del Carmine e di Sant’Anna, a pianta centrale, di forma ottagonale, coperta da una cupola a sesto leggermente rialzato. Nello stesso periodo sulla stregua di attivi traffici marittimi ma soprattutto in virtù dell’importanza della marineria procidana, che assicura nel primo Ottocento ricchezza e occupazione –si ricordi che nell’isola esisteva anche un importante cantiere sul versante settentrionale di Marina Grande (in località detta “le Grotte”), dove oggi è la sede della Capitaneria di Porto–, sarà stabilito anche l’Istituto Nautico (scuola di studi ASNa, Ministero Interno II inventario, vol. 719. Nel decreto a stampa è così scritto: «Il costume di seppellire i cadaveri umani in sepolture stabilite dentro, o vicino i luoghi abitati, abolito fra le più colte nazioni, non potrebbe essere ulteriormente tollerato nel nostro regno, senza grave pregiudizio della salute pubblica (…)/ Abbiamo risoluto di sanzionare e sanzioniamo la seguente legge:/Art. I. In ogni comune de nostri reali dominj al di quà del Faro sarà stabilito un camposanto fuori dell’abitato per la inumazione de’ cadaveri umani./ 2. La costruzione de’ camposanti sarà regolata in modo da servire ad un tempo a garantire la salute pubblica, ad ispirare il religioso rispetto dovuto alle spoglie umane, ed a conservare le memorie onorifiche degli uomini illustri./3. La costruzione de’ camposanti sarà cominciata nel corrente anno, e dovrà trovarsi ultimata in tutto il regno per la fine del mille ottocentoventi./ La spesa di quest’opera è a carico de’ comuni rispettivi. Gl’intendenti potranno eccitare i ricchi proprietari, i prelati, il clero e le congregazioni a concorrere con oblazioni volontarie ed accelerare il compimento di un’opera tanto interessante la salute pubblica./ 4. I comuni potranno stabilire i camposanti in qualunque fondo di proprietà pubblica, o privata, che sia riconosciuto atto a tale destinazione (…).» 11 Sulla costruzione dei cimiteri nel XIX secolo a Napoli e nel regno cfr. A. BUCCARO, Istituzioni e trasformazioni urbane nella Napoli dell’Ottocento, Napoli 1985; A. BUCCARO, Opere pubbliche e tipologie urbane nel Mezzogiorno preunitario, Napoli 1992; Cimiteri napoletani. Storia, arte e cultura, a cura di F. MANGONE, Napoli 2004. 10

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superiori professionali) e saranno incrementate le attrezzature per migliorare le condizioni di sicurezza di navigazione e di collegamento tra l’isola e i vari centri del golfo napoletano. A partire dal 1845 un nuovo «Faro di 4° ordine fisso », la cui costruzione doveva essere collocata inizialmente nel «fortino disarmato» (davanti alla chiesa di Sancio Cattolico) di epoca francese ma che invece sarà eseguito in un tratto di costa contiguo a ridosso di un banco tufaceo poi adattato. Il progetto è dell’ingegnere Ercole Lauria in collaborazione con Macedonio Melloni, noto astrofisico napoletano12. La presenza di tecnici affermati conferma che, in quest’epoca, Procida è un centro produttivo del settore e incentra gran parte delle sue ricchezze proprio intorno alle attività marinare, ai traffici commerciali, alla cantieristica navale, alla pesca e navigazione. Rappresenta allo stesso tempo un microcosmo virtuoso che vede in tutta Europa l’affermarsi della classe borghese e di quei cambiamenti che produrranno nuove acquisizioni per la trasformazione delle città e lo sviluppo del linguaggio architettonico. Tra il 1852 e il 1858 si eseguono nell’isola numerosi lavori di sistemazione stradale e di impianti di servizio necessari all’ammodernamento delle infrastrutture che, alla stregua della vicina Ischia, meta privilegiata anche per la presenza degli impianti termali, risulta una tappa –come già indicato– dei soggiorni ludici e di villeggiatura della corte borbonica. In tal senso è possibile recuperare dai carteggi di archivio anche notizie di sistemazione dei tracciati viari – di “lastricatura per il comodo delle carrozze”– o sul rifacimento della scogliera della marina di Sancio Cattolico13. Per la realizzazione di una nuova barriera frangiflutti, realizzata con pietre estratte dalla cava di Casamicciola, e nello stesso tempo per la sistemazione viaria della banchina è impegnato nella direzione dei lavori Gaetano Fazzini, architetto neoclassico napoletano, già attivo nei lavori per la costruzione dello “Stabilimento per le acque termo-minerali del Gurgitiello” di Casamicciola nell’isola di Ischia nella metà dell’Ottocento, un progetto in stile neoclassico, distrutto dal terremoto del 1883, con relativa sistemazione dello spazio urbano antistante a cui partecipa

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ASNa, Ministero Lavori Pubblici, vol. 311, fasc. 2 (1845). ASNa, Ministero Interno, III inventario, vol. 68, fasc. 6083 (1852-58). 57

anche Pasquale Francesconi14. Oltre ai rifacimenti stradali per volere del governo regio vengono affrontate anche questioni di decoro urbano come nel caso dell’ordinanza del 1857 che mira a migliorare l’aspetto della strada nei pressi della chiesa di San Leonardo, sul “Canalone”, con la promulgazione dell’ordine di «(…) far togliere i rastelli, le sbarre ed i pezzi macellati da fuori le botteghe per evitare lo scolo del sangue e delle acque putrefatte nella Strada di S. Leonardo, la quale per quanto angusta altrettanto è accorsata dalla popolazione, e nella quale sono piazzati pure i venditori di baccalari e salumi (…)»15. Una ordinanza che ricorda molto quella stabilita nella città di Napoli nel 1848 per la regolamentazione delle attività commerciali lungo la via Toledo. Si tratta di un rescritto che oltre a una opportuna manutenzione stradale (costruzione di marciapiede e rifacimento impianto fognario, illuminazione a gas e alberatura) prevede un naturale decoro (con divieto di esposizioni di mercanzie alimentari e cura delle insegne commerciali) per un luogo privilegiato di passeggio della città napoletana. Nel 1860 viene reso definitivamente impraticabile un collegamento viario molto importante che collegava la Marina di Sancio Cattolico con la Terra Murata. L’antico percorso di collegamento, costituito da diverse e ripide rampe, che conduceva dalla spiaggia della Lingua sino al Castello d’Avalos e che aveva rappresentato sino a quel momento una diversa possibilità di raggiungere l’altura dell’isola dalla banchina. Per motivi di sicurezza, e probabilmente anche a causa delle frequenti frane, il Comando Militare dell’isola, su indicazione del maggiore Rubini, ordina i lavori per la chiusura del percorso16. Scompare così definitivamente uno strategico tracciato viario – una Per il progetto dell’impianto termale cfr. ASNa Ministero Interno, III Inv., vol. 201, fasc. 35 e anche P. ROSSI, ANTONIO E PASQUALE FRANCESCONI…, cit., passim. Sulla figura di Gaetano Fazzini si veda Necrologie in «Atti del Collegio degli Ingegneri e degli Architetti di Napoli», vol. III, Napoli 1878, pp. 199-200. Per gli aspetti del termalismo e i progetti intrapresi in epoca borbonica si vedano i saggi di ILIA DELIZIA in I. Delizia, F. Delizia, Ischia e la modernità, Napoli 2006, pp. 9-38. E ancora I. DELIZIA, Ischia. L'identità negata, Napoli 1987, passim. 15 ASNa, Ministero Interno III inventario, vol. 114, fasc. 939 (1857). 16 ASNa, Ministero Interno III inventario, vol. 381, fasc. 2 (16 novembre 1860): « Il Comandante militare di Procida fece eseguire taluni lavori tendenti ad impedire l’accesso a quel Castello dalla parte di mare, la cui spesa in Ducati ventitré 14

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scorciatoia che consentiva il trasporto di merci e di forniture senza impegnare il Canalone e la piazza dei Martiri – che trova anche efficace quanto suggestiva rappresentazione nei disegni di Achille Vianelli della prima metà dell’Ottocento e che, tra l’altro era stato oggetto di un intervento di ristrutturazione agli inizi del secolo anche da parte di Carlo Vanvitelli. La committenza del periodo, anche nel caso dell’isola di Procida, trova la sua rappresentazione in opere architettoniche che indicano il passaggio, dalla metà del secolo agli inizi di quello successivo, da una cultura eclettica a una tendenza liberty. Così come era avvenuto dopo l’istituzione settecentesca del “Sito Reale di Caccia” borbonico e durante l’Ottocento nell’isola, in modo sparso e casuale si costruiscono residenze e ville secondo le nuove esigenze. Un processo edilizio che sarà esteso sino a tutta la prima metà del Novecento con elementi di stratificazione e di aggiunte stilistiche alle originarie strutture. Lungo il Canalone (tra la piazza del “Pozzo” e la Marina di Sancio Cattolico) si assiste al rifacimento delle facciate in stile classicheggiante secondo le previsioni dei “Precetti d’Arte” voluti da Ferdinando II, con sovrapposizioni successive di gusto liberty, come nel caso dell’edificio di fronte al Palazzo Catena, la cui ristrutturazione (come da data in chiave di volta sul portale) risulta compiuta agli inizi del Novecento. Anche lungo la strada che conduce dalla chiesa di San Giacomo a quella dell’Annunziata sono presenti edifici di chiara matrice neoclassica, sia pure in ritardo rispetto alle esecuzioni compiute nella città partenopea, come quelli al civico 24 (“proprietà Schiano”), la cui data di realizzazione, riportata sul fermaportone in ferro, risale al 1874. Si tratta di un palazzo, un tempo nobiliare oggi residenza condominiale, che ripropone, sia pure a distanza di trent’anni, i caratteri dell’architettura classicista propugnati dai “Precetti d’Arte” borbonici di età ferdinandea che, in materia di regolamentazione edilizia sono concepiti in virtù di un omogeneo disegno di “costruzione della città”. Risale probabilmente a un periodo precedente, ma ascrivibile a questo e grana 45 non fu pagata, perlocché ora l’esecutore ne chiede la soddisfazione del Sindaco (…)» «Il maestro muratore Pasquale Borrelli, domanda per mezzo del Governatore di Napoli, di esser rimborsato di D.ti [ducati] 23 e g.a [grana] 45 spesi per lavori eseguiti al Castello di Procida d’ordine del Maggiore Rubini già comandante di quell’Isola». 59

contesto culturale, la Villa Sofia (su via G. Marconi ad angolo con via Dante) con un prospetto di chiara matrice neoclassica. Altri episodi minori sono presenti lungo le cortine edilizie di espansione in luoghi a forte densità abitativa come la via San Rocco dove ha ingresso superiore anche l’Istituto Nautico (in zona Vigna), che presenta invece, a valle, sulla Marina di Sancio Cattolico una facciata tardobarocca con un prezioso portale in piperno. In stile liberty, talvolta con presenza di decorazioni talvolta poco raffinate nelle esecuzioni, sono la Villa Movizzo, con una tettoia in ferro e vetro, (nei pressi della chiesa di San Giacomo), il villino in via Vittorio Emanuele 176 (nei pressi del “Mamozio”, edificio secentesco con una facciata convessa al trivio di San Giacomo), collocato in un’area che è delimitata anche dalla via M. Scotti e, infine, la villa a Solchiaro (già Lepetit, in via S. Schiano 5) il cui prospetto principale si apre verso il mare con una loggia vetrata. A Vivara, invece, nei pressi della punta di Mezzogiorno, sussistono i resti di una villa di inizio Novecento, mai completata, che rappresenta uno degli affascinanti quanto utopici progetti di Lamont Young. Una residenza di straordinario impatto panoramico in un contesto ambientale unico che poteva ruotare secondo la luce solare, testimonianza progettuale della geniale quanto innovativa produzione eclettica dell’ingegnere di origini anglosassoni17. Infine, tra gli episodi di inizio Novecento si segnalano la villa Eldorado, nei pressi della via dei Bagni a San Giacomo, con un suggestivo androne di ingresso che immette in un giardino verso la terrazza panoramica che affaccia sulla Chiaia, e l’Hotel Riviera, con ingresso da via M. Scotti e discesa a mare sulla Chiaiozza, in cui amava soggiornare la scrittrice Elsa Morante. Ed è proprio negli anni Sessanta che Procida diventa mèta di intellettuali e artisti, una sorta di rifugio esclusivo per la borghesia napoletana; un sito amato soprattutto per la natura e il fascino di un paesaggio, per il lento e tranquillo scorrere del tempo che risultava ancora immutato

Cfr. G.C. ALISIO, Lamont Young. Utopia e realtà nell’urbanistica napoletana dell’Ottocento, Roma 1978, passim. E ancora M.T. COMO, Architettura e natura nell’opera di Lamont Young: la “casa girevole” a Vivara, in Imago _Urbis. Antico e contemporaneo nel centro storico di Napoli, a cura di P. Rossi, Guida Editore, Napoli 2011, pp. 141-149. 17

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fino a una trentina di anni fa. Si poteva vivere e apprezzare il privilegio di un ritmo quotidiano scandito dalla semplicità di una vita sociale piuttosto lontana dalla mondanità e dalla frenesia del divertimento che offrivano, con le loro strutture e le diverse dinamiche, le altre isole del golfo napoletano. Pochi erano gli alberghi (il Savoia alle Centane, il Riviera e ancora Crescenzo alla Chiaiolella), testimonianze di una ricettività turistica limitata, favorita del resto dalla storia economica dell’isola, dal carattere e dalle attività dei procidani, che avevano da sempre privilegiato il settore marittimo, l’agricoltura e la pesca. Negli ultimi tempi invece è stata incrementata l’offerta ricettiva con nuove strutture che consentono la visita e il soggiorno a un sito ancora contraddistinto da peculiare presenza architettonica di stratificazione storica e con straordinari luoghi di impatto naturalistico e ambientale (si pensi anche alla presenza della riserva naturale dell’isolotto di Vivara). La Corricella, invece, nell’ultimo ventennio ha in pratica cambiato destinazione d’uso, da antico borgo di pescatori con una piccola spiaggia di pertinenza (nei pressi della scala di Callia) non più esistente, si è attestata prevalentemente come zona ricettiva e di ristorazione. Comunque nonostante le trasformazioni, ma anche le inevitabili dinamiche di evoluzione imposte dai tempi, l’isola di Procida rappresenta ancora oggi una mèta particolare, un luogo dell’anima. Il carattere rurale, l’architettura sacra e nobiliare e il sorprendente carattere ambientale rappresentano un patrimonio e un’identità storica che mantiene ancora intatto un fascino secolare.

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Fig. 1- La Marina di Sancio Cattolico, un confronto di immagini dalla fine dell’Ottocento a oggi. Nella prima foto, accanto alla chiesa di Santa Maria della Pietà (“Sent Cò”), si notano i resti del fortino militare di inizio Ottocento mentre tra la Marina del Porto e la Terra Murata emerge un incisivo sviluppo edilizio.

Fig. 2- Il sagrato e la facciata della chiesa di Santa Maria della Pietà durante la processione del Venerdì Santo (aprile 2011).

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Fig.3 - ACHILLE VIANELLI, Veduta del Palazzo d’Avalos, collezione privata; già pubblicata in M. Barba, S. Di Liello, P. Rossi, Storia di Procida. Territorio, spazi urbani, tipologia edilizia, Napoli 1994, p. 60.

Fig. 4 - La Marina della Corricella e la Terra Murata, fine XIX secolo, cartolina in collezione privata. Il monastero di Santa Margherita nuova sull’omonimo promontorio risulta ancora integro, prima delle devastanti frane. Sulla chiesa di Santa Maria delle Grazie manca ancora la cupola costruita nella prima metà del Novecento. 63

Fig. 5 - Un suggestivo scorcio della Corricella visto dal mare della Chiaiozza (ingresso da via dei Bagni).

Fig. 6 - Terra Murata, lo scorcio occidentale dell’insula abbaziale di San Michele Arcangelo, a strapiombo sul mare.

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Fig. 7 - La Marina della Chiaiolella vista da ponente, cartolina in collezione privata, primo quarto del XX secolo.

Fig. 8 - Architettura nobiliare e edilizia colta tra Seicento e Novecento. Una sequenza di edifici tra architettura spontanea e edifici aristocratici per la caccia di età borbonica, tra architettura neoclassica e villini liberty di età borghese.

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Fig. 9 - Un repertorio di ingressi procidani tra XVII e XIX secolo. L’arte dei portali è contraddistinta da aperture superiori per la luminosità degli androni; dai sovraportoni a semicerchio e dagli oculi, che sormontano gli archi a tutto sesto, emerge una tradizione costruttiva e un patrimonio artistico popolare da salvaguardare.

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