Progetto fotografico \"ZOO\"
Descrição do Produto
ZOO
“ZOO” è un progetto fotografico realizzato in occasione della terza edizione del Premio Graziadei Studio Legale per FOTOGRAFIA-‐ Festival internazionale di Roma 2014. L’opera promuove una riflessione su alcune dinamiche della società contemporanea partendo da un approccio documentaristico, che descrive in maniera oggettiva certe scelte urbanistiche italiane, per poi sollecitare una rilettura di queste come metafore di una speculazione filosofica sulla condizione dell’uomo contemporaneo, in un gioco di rimandi semiotici. Il titolo del progetto “ZOO” fornisce fin dall’inizio la chiave di lettura di questo reportage: esseri in gabbia. I giardini zoologici sono quei luoghi dove, in nome di un’educazione naturalistica, della ricerca e della conservazione della biodiversità, l’ambiente naturale è stato ricreato artificialmente perdendo quello che è il suo carattere specifico: la spontaneità, l’istinto, la naturalezza appunto. La documentazione fotografica diviene quindi l’elemento catalizzatore, e insieme la testimonianza a supporto della tesi, per una riflessione sulla direzione intrapresa dalla società contemporanea. Sotto il profilo urbanistico, questa sembra volere offrire oggi uno spazio sempre maggiore alle parentesi della vita, confinando i momenti essenziali ai margini del tempo e del luogo. Le parentesi della vita sono tutte quelle occasioni in cui l’individuo manifesta poco o niente del suo Essere, come le ore trascorse ogni giorno in macchina o in altri mezzi in attesa di arrivare nel vero luogo di espressione personale: la scuola, il lavoro, l’allenamento sportivo, la preghiera. Paradossalmente, a tali parentesi vuote, che le persone descrivono come momenti poco importanti nella loro vita, destiniamo gli spazi più grandi, trasformando il volto e il senso stesso della città. Quest’ultima, che nella sua etimologia fa riferimento alla convivenza e alla relazione sociale, si realizza sempre più spesso in momenti di individualità. Per cogliere il vero senso della città bisogna quindi cercare ai margini della città stessa ed è lì che l’obiettivo fotografico si sofferma. I soggetti delle foto sono quindi i luoghi destinati al pubblico in cui si svolgono le attività principali necessarie alla crescita personale di ogni individuo, come il gioco, l’educazione, lo sport. Risulta subito evidente la forma che sempre più spesso stanno assumendo questi luoghi in nome di un bisogno di protezione e conservazione. La gabbia è senza dubbio lo strumento che rappresenta meglio l’illusione della libertà, poiché riesce a fermare un corpo senza fermarne lo sguardo. Similmente ai giardini zoologici, oggi la società ingabbia se stessa e lo fa in maniera volontaria, quasi compiaciuta, come ci comunicano i sorrisi dei bambini dietro una grata. Quest’auto-‐censura è rappresentata semioticamente dall’unica foto senza barriere: le mani di un fabbro a lavoro. Il progetto quindi vuole superare la concretezza documentaria da cui trae origine per focalizzare l’attenzione sul bisogno di protezione dell’uomo contemporaneo che lo incoraggia a costruire volontariamente gabbie all’interno di altre gabbie, come testimoniano la foto del cimitero e quella di un’edicola funeraria in un gioco di rimandi. E’ qui forse che la scelta dell’uomo sembra non trovare più giustificazioni plausibili al suo comportamento. Il bisogno di una protezione fisica da possibili pericoli, che vorrebbe legittimare l’utilizzo di tali strutture da parte dell’urbanistica, perde quindi parte della sua forza motivazionale. D’altronde la vicinanza di alcuni di questi pericoli ai luoghi soggetti delle foto è anch’essa frutto di una scelta volontaria da parte dell’uomo che avrebbe certamente potuto optare a soluzioni diverse. Le foto cercano quindi di stimolare una riflessione più approfondita sulla natura di queste scelte che hanno confinato l’essenza della vita in delle gabbie poste ai margini della società.
L’analisi urbanistica è solo una delle due dimensioni in cui si sviluppa il progetto. Questa fornisce, infatti, il punto di partenza per un’ulteriore riflessione sociologica e filosofica di più ampio respiro. Le scelte urbanistiche testimoniate dalle foto ci raccontano un carattere generale della società contemporanea: la priorità che essa sembra destinare ogni giorno all’artificio e al superfluo, a discapito della vera natura delle persone, delle cose, delle relazioni. Riprendendo la chiave di lettura suggerita dal titolo, le gabbie si trasformano quindi nelle convenzioni e nelle apparenze che la società ci impone ogni giorno, le maschere pirandelliane dietro cui ci proteggiamo per affrontare la vita sociale. Come animali in un giardino zoologico, presentiamo allo spettatore un’immagine di noi stessi sempre più costruita e lontana dalla nostra natura, e come questi animali hanno difficoltà a sopravvivere se reinseriti nel loro habitat di origine, il rischio è che anche l’uomo oggi si trovi profondamente disorientato tentando di scoprire il suo vero Io al di fuori delle convenzioni sociali. La scelta di fotografare dietro le sbarre alcuni momenti fondamentali della conoscenza e della crescita personale vuole quindi comunicare la difficoltà sempre maggiore per l’uomo contemporaneo di conoscere la sua natura spontanea. La foto che documenta il lavoro del fabbro reintroduce, infine, la riflessione sulla libertà di scelta, trasposta qui in una dimensione più ampia, ricordandoci come questo modo di vivere, seppur diffuso, è in realtà caratterizzante solo di alcune società odierne, quelle incentrate sui consumi, l’apparenza e il grande mito della televisione. Francesca Oro
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