Psicologia individuale, psichiatria culturale, fenomenologia

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PSICOLOGIA INDIVIDUALE, PSICHIATRIA CULTURALE, FENOMENOLOGIA Donato Zupin* Summary – INDIVIDUAL PSYCHOLOGY, CULTURAL PSYCHIATRY AND CLINICAL PHENOMENOLOGY. In contemporary psychiatry and psychotherapy is possible to find an area in which Adler’s individual psychology, cultural psychiatry and phenomenology come for a fertile dialogue. Here we find treatment options for the patient's suffering. More specifically these options consist in the possibility of taking in consideration the real life situation of the patient together with the neurotic fiction; in focusing not only on the culture of people that are distant from us, but even on our western culture and that of our doctors and therapists; and at last the possibility of fine discrimination of every aspect of the experience (normal and pathological). All these aspects are essential elements to cope with the fulfillment of our therapeutic task.

Keywords: INDIVIDUAL PSYCHOLOGY, CULTURAL PSYCHIATRY, TRANCULTURAL PSYCHIATRY, CLINICAL PHNEOMENOLOGY, SOCIAL BASAGLIAN PSYCHIATRY

Il panorama della psichiatria è caratterizzato oggi forse ancora più che ieri da una moltitudine di indirizzi teorici. Questa molteplicità può rendere difficile l'orientamento iniziale per chi si affaccia alla professione di psicoterapeuta. In questa ricerca, alcune delle correnti di pensiero più rappresentate fungono da poli attrattivi per i giovani psichiatri. Mi riferisco alle psicoterapie psicoanalitiche, alla psichiatria sociale e agli strumenti dell’evidence-based psychiatry e del cognitivismo. Riconoscendo a ognuno i suoi indubbi meriti, queste impostazioni sono al contempo portatrici di importanti rischi che vanno evidenziati e disattivati per tempo. In questo paesaggio, l’incontro tra psicologia individuale, la psichiatria culturale e la fenomenologia clinica mi sembra apra uno spazio che può raccogliere alcune delle migliori istanze di cura, e al contempo salvaguardarci da certe insidie e tranelli. Da una parte ciascuna di queste tradizioni di pensiero apre possibilità di prassi terapeutica suoi propri, specifici e irrinunciabili. ------------------------------------------------------------

*Psichiatra e psicoterapeuta. Istituto Italiano di Igiene Mentale Transculturale, Dirigente medico presso la S.O.C. Alcologia e Dipendenze Patologiche dell'AAS2 "Bassa Friulana-Isontina". E-mail: [email protected]

Dall’altra mi sembra che alcuni dei rispettivi punti di forza possano fecondarsi reciprocamente. Dettaglierei meglio queste affermazioni per spiegare cosa intendo dire: 1 - Il primo punto è quanto il nostro sguardo di curanti e ricercatori riesce ad allargarsi al di là del singolo paziente: mi sembra che un fondamento dell’edificio teorico eretto da Alfred Adler sia l’attenzione per la per società presa nel suo complesso, e non solo per la famiglia e la microcomunità di riferimento [5]. Come quando si è sul crinale di una montagna, questa posizione permette di vedere due vasti territori nel loro punto d’incontro. Da una parte cioè hanno la possibilità di venire in luce dinamiche socioculturali più ampie di quelle familiari. Dall’altra si mostrano le risposte dell’uomo di fronte alle domande che la sua comunità gli pone. Su entrambi questi versanti la sinergia con la psichiatria culturale sembra quasi inevitabile. Il potente richiamo della psichiatria culturale ad espandere questi due territori d’indagine [4] è naturalmente complementare all’operazione di Adler di non lasciar ingabbiare il suo pensiero tra le mura dell’ospedale psichiatrico o dello studio privato. La ricerca viene estesa dalla società in cui viviamo ancora più lontano, abbracciando quante più culture, modi di stare al mondo e forme di espressione della sofferenza psichica possibili. Si costituiva così prima la psichiatria transculturale, il cui compito era quello di abbracciare i dati empirici raccolti per avere una visione d’insieme [8]. Questo passaggio ne conteneva in germe il successivo: una volta compiuta l’esplorazione, diventava possibile ritornare ad uno studio della propria cultura d’appartenenza. Questa considerazione della propria cultura può, a questo punto essere una considerazione fondatamente critica. Si costituisce così l’attuale psichiatria culturale [15]. Forniti di questi strumenti, si può dunque riconoscere da un versante del crinale come esistano macrodinamiche culturali patologiche di per sé stesse: queste possono essere tematizzate in maniera autonoma come oggetto di studio, accanto alle dinamiche individuali. Sull’altro versante è possibile spingere ancora più in là l’indagine sulle interazioni del paziente con il suo contesto. Ad esempio, nell’indubbia funzione oppositiva di alcuni sintomi si scorge non solo un cieco contrastare le richieste dell’esterno, ma anche delle potenzialità evolutive. Questo è il caso quando il sintomo racchiuda in sé un disagio di fronte a dettami culturali che magari sono effettivamente inaccettabili (nota 1), fonte d’impaccio psichico o accettabili solo al prezzo di ammalarsi. Come c’insegna George Devereux, finché questo rifiuto è inconscio e i dettami culturali sono vissuti passivamente non c’è altro rifugio che la psicopatologia [4]. Ma il sorgere della psicoterapia dinamica culturale [12,15] permette l’esplicitazione e la riconsiderazione di questi dettami. Appare così l’occasione per una presa di posizione più sana e matura rispetto al contesto, e questo processo diventa parte integrante della cura.

2 - Il secondo punto è questo: l’opera adleriana colpisce da subito anche il neofita per la capacità di tenere contemporaneamente in considerazione le dimensioni interiori della psiche e le situazioni reali di vita del paziente [1,2]. Questo modo di procedere potrebbe sembrare una virtù ovvia dello psicoterapeuta, a tal punto da non dover essere indagata, mentre a mio avviso si configura invece quasi come un’eccezione nel campo dei grandi orientamenti di cura. E quest’eccezionalità lascia l’impressione di non essere dovuta tanto ad una dichiarazione teorica di principio, che potrebbe facilmente poi essere disattesa nella pratica, quanto alla chiarezza e allo slancio con cui Adler si dedicò questo compito. Come nella visione binoculare, occorre avere in un certo senso due sguardi per poter cogliere il fenomeno che ci si presenta in tutta la sua profondità. Di nuovo, come nell'esempio del crinale della montagna: vedere contemporaneamente due aree dello stesso territorio. Ma perché questo di cui stiamo parlando è così importante? Cosa succede quando questo sguardo binoculare viene a mancare? Il primo estremo si vede considerando gli orientamenti psicoanalitici propriamente detti. Soprattutto nel caso di quelli più ortodossi, si arriva a volte a destituire di senso l’esperienza attuale extra analitica del paziente, nell’ottica di far emergere le proiezioni sull’analista. Quasi come se una minima contaminazione esterna potesse impedire lo sviluppo del trasfert e quindi l’analisi stessa [6,7] L’altro esempio di visione monoculare è quello rappresentato da alcuni aspetti della psichiatria sociale italiana. Le accuse che sono state rivolte negli anni al sistema basagliano sono state spesso strumentali, e spesso miranti a mantenere sistemi di potere economico e controllo sociale simil-manicomiali, come nel caso del circuito delle cliniche private convenzionate del Lazio [10]. Occorre tenere dell’esperienza basagliana, e delle sue forme più avanzate - come quella dell’organizzazione territoriale del nordest italiano - il molto che c'è di buono, anzi di irrinunciabile. Contemporaneamente bisogna riconoscere però che il rischio specifico della psichiatria sociale italiana è quello di appiattirsi esclusivamente sulla concretezza della vita dei nostri pazienti, e di restare confinati in una prassi socio-terapeutica indiscriminata. Accade così a volte che una vulgata del pensiero basagliano porti a incanalare nei binari di cura propri delle grandi psicosi anche isterie, disturbi di personalità e difficoltà esistenziali di vario tipo sono inavvertitamente. Così va a finire che la borsa-lavoro, il gruppo appartamento, il tanto celebrato lavoro di rete (e a volte l’aloperidolo depot) siano utilizzati come panacea di tutti i mali. Si perde in questo modo la domanda di senso racchiusa nel sintomo, il valore positivo del disturbo, che per sua stessa natura richiede un trattamento e pone così le basi per il superamento della sofferenza. Quanto detto finora si potrebbe riassumere così: tenere allo stesso tempo nella giusta considerazione tre cose:

  

Le dinamiche interne alla cultura d’appartenenza Le dinamiche intrapsichiche personali Le dinamiche relazionali nella micro comunità del paziente, come la famiglia Dunque, risulta indispensabile la capacità di tenere i tre aspetti nel debito conto. Il compito, che già sembra ambizioso, non è però finito qui. Una volta che tutti questi aspetti siano stati visti, bisogna ricomporli in tutto unico valido a livello transculturale. Qui entra la capacità della psicoterapia dinamica culturale di riconoscere e distinguere i meccanismi invarianti della sofferenza psichica e le peculiarità specifiche di ogni comunità. 3 – Proseguo con il terzo punto: nella mia ricerca di un modo di curare, mi è sembrato che un complemento necessario fossero gli strumenti propri della fenomenologia clinica. Questo per permettere una fine discriminazione di ogni sfumatura delle esperienze e un approfondita penetrazione delle strutture di Mondo vissuto dei nostri pazienti [13], viste come atto propedeutico alla cura. In qualche modo però, questo passo di descrizione e ricostruzione delle strutture di Mondo, da solo non basta [14]. La fenomenologia si è purtroppo meritata il rimprovero che più spesso le viene mosso: quello di rinchiudersi nella torre d’avorio di una contemplazione disinteressata, priva del naturale sbocco nell’atto di cura. La dimensione pratica dell’intervento sulla realtà di cui sono permeate la psichiatria culturale e la psicologia individuale è di nuovo un valido antidoto al rischio dell’isolamento nella pura osservazione. 4 - L’ultimo punto è il seguente: La cornice in cui noi oggi tutti ci muoviamo è quella dell’evidence based psychiatry. È probabilmente una strada che andava percorsa in un qualche momento della storia della psichiatria, ma che se viene intesa in modo troppo duro tende a riassorbire tutte le prassi terapeutiche in un monismo metodologico più pseudo scientifico che scientifico, e che finisce per mortificare le capacità creative del curante e la ricchezza insita nella pluralità degli approcci terapeutici. Significativo è il risultato di alcune ricerche sull’evidence based psychotherapy : queste affermano si la validità della psicoterapia in tutte le sindromi, ma poi giungono ad asserire la sostanziale equivalenza di ogni approccio [9]. Si dice così che ciò che funziona nelle sedute sarebbero dei fattori aspecifici non meglio precisati. Paradossalmente, il risultato è di lasciare chi cerca un orientamento di cura in un vuoto teorico insostenibile. Arnaldo Ballerini ripeteva spesso che una mente vuota da preconcetti teorici.. finisce per essere solo una mente vuota [3]. In questa situazione abbiamo bisogno di riferimenti teorici chiari e al contempo duttili. Mi sembra sia imprescindibile in questo contesto la proposta del prof. Rovera di adottare per la psicoterapia dinamica culturale un approccio a modello di rete e a rete di modelli, in modo da fornire dei sistemi di riferimento che non siano però soffocanti [12].

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Per riassumere quindi, possiamo dire che lo spazio teorico-pratico sotteso dall’incontro tra psichiatria culturale, psicologia individuale e fenomenologia apre un definito orizzonte di cura. In quest’orizzonte si stagliano cinque punti di riferimento che sono:     

vedere le macrodinamiche della cultura di riferimento del soggetto vedere le dinamiche intrapsichiche strettamente individuali vedere le dinamiche relazionali nella microcomunità, come la famiglia avere una fine capacità di discriminazione di ogni aspetto dell’esperienza utilizzare un modello a rete e una rete di modelli per destreggiarsi tra la varie ipotesi esplicative.

NOTE: (1) In psichiatria culturale, gli esempi classici di dettami culturali incompatibili con un adeguato realismo sono: il nazismo, i culti del cargo e gli snake handling cults. L’esempio del nazismo si commenta da solo, e non ha bisogno di spiegazioni. Nei culti del cargo, gli indigeni melanesiani credevano che in tempi carestia bisognasse distruggere le poche derrate alimentari rimaste per propiziare la venuta di navi occidentali, che sarebbero state ricolme di ogni bene e avrebbero definitivamente messo fine alla fame e alle sofferenze. Negli snake handling cults invece, una setta di derivazione pentecostale, il credo aberrante era che i fedeli, se dotati di sufficiente ispirazione potessero maneggiare impunemente serpenti molto velenosi (il rito persistette a lungo nel sud degli Stati Uniti, benché un certo numero di adepti fossero deceduti in seguito al morso dei cobra). Questi esempi sono stati riportati da Prince in un celebre articolo, significativamente intitolato “Delusions, dogma and mental health” [11]

BIBLIOGRAFIA

1. Adler, A. (1933), Der sinn des lebens, tr. it Il senso della vita. 2° edizione. Newton Compton, Roma, 2012. 2. Adler, A. (1927), Menschenkenntis, tr. it. La conoscenza dell’uomo nella psicologia individuale. Newton Compton, Roma, 1994. 3. Ballerini, A. (2013), Comunicazione orale, durante il seminario "La schizofrenia paucisintomatica", Firenze,13 settembre. 4. Devereaux, G. (1970), Essais ďethnopsychiatrie générale, tr. it Saggi di etnopsichiatria generale. Armando Editore, Nuova edizione, Roma, 2007. 5. Ellenberger, H. (1970), The discovery of the unconscious: the history and evolution of dynamic psychiatry, tr. it. La scoperta dell'inconscio. Storia della psichiatria dinamica. Bollati Boringhieri, Torino, 1976. 6. Fenichel, O. (1946), The psychoanalytic theory of neurosis, tr. it. Tratto di psicoanalisi. Delle nevrosi e delle psicosi. Astrolabio Ubaldini, Roma, 1978. 7. Grassi, A. (2012) Psicologia analitica a orientamento comunicativo. Discorso su teoria e metodo clinico. Persiani Editore, Bologna. 8. Jilek, W.J. (2013) La storia passata della psichiatria culturale. Rivista di Psichiatria e Psicoterapia Culturale, vol. 1(1), pp. 1-22. disponibile online all’indirizzo http://www.psiculturale.it/volumes/volume-1-number-1/. 9. Luborsky, L. ,Singer, B. (1975) Is it true that anyone have won and all must have prize? Archives of General Psychiatry, 32, pp 995-1008. 10. Piccione R. (1992) Lo scandalo psichiatrico della regione Lazio. Dal comitato per l'applicazione della 180 al comitato per la salute mentale. Bulzoni Editore, Roma. 11. Prince, R. (1970) Delusions, dogma and mental health. Transcultural Psychiatry Research Review, 7: 58-62. 12. Rovera, G.G., Lerda, S., Bartocci, G. (2014) Psicoterapia dinamica culturale Rivista di Psichiatria e Psicoterapia Culturale, Vol. 2, n. 1-s,. disponibile on line all’indirizzo: http://www.psiculturale.it/volumes/volume-2-number-1-s/. 13. Stanghellini, G. (2008) Psicopatologia del senso comune. Raffaello Cortina Editore, Milano.

14. Stanghellini, G., Rossi Monti, M. (2009) Psicologia del patologico. Una prospettiva fenomenologico-dinamica. Raffaello Cortina Editore, Milano. 15. Tseng, W.-S., Bartocci, G., Rovera, G.G. , De Luca, V., Infante, V. (2013) Riflessioni sul futuro della psichiatria culturale Rivista di Psichiatria e Psicoterapia Culturale, vol. 1(1), pp. 40-70. disponibile online all’indirizzo: http://www.psiculturale.it/volumes/volume-1-number-1/.

. L'introduzione di una dimensione comunicativa, per quanto esclusivamente verbale, e più “coerente” con un atteggiamento di accudimento, predispone ad un primo contatto con noi e con il resto degli operatori. Qui l’atteggiamento “accogliente” ed apparentemente empatico degli operatori contrasta con l’attuazione di una contenzione fisica, creando un clima di ambivalenza che destabilizza ulteriormente R. ed aumenta le distanze tra noi e lui. IT81B0200801767000100211345

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