Quirinalis: sempre nuove sorprese

September 14, 2017 | Autor: Marina Humar | Categoria: Archaeology
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Descrição do Produto

Periodico di approfondimento culturale - Anno XI - n° 2 marzo-aprile 20104 - Prezzo euro 5

“...non più una cultura che consoli nelle sofferenze, ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini...” Elio Vittorini, 1945

Periodico romano di approfondimento culturale: arti, lettere, spettacolo

“Scrivere non è descrivere. Dipingere non è rappresentare.” George Braque

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Padana Spedizioni S.a.S.

VESPERTILLA Direttore Responsabile: Serena Petrini

Doganalisti specializzati in Mostre d’Arte Padova Rovigo Vicenza Tutte le operazioni doganali e le istanze presso la Sovrintendenza alle Belle Arti p er re p e r ti a rch eologici e op ere d’arte p ro v e n i e n t i d a l l ’ e s t e ro e i n v i a t i a l l ’ e stero per esposizioni e scambi culturali.

Direttore Editoriale: Luigi Silvi Condirettore: Ilaria Lombardi Vicedirettori: Serena Epifani, Francesca Martellini

Segretaria di Direzione: Maria Pia Monteduro

PADANA SPEDIZIONI S.A.S. SPEDIZIONI E TRASPORTI INTERNAZIONALI

Hanno collaborato a questo numero: Michela Barbieri, Concita Brunetti, Giulia Capogna, Silvia D'Addazio, Micaela De Filippo, Serena Epifani, Marina Humar, Paola Licata, Ilaria Lombardi, Francesca Martellini, Maria Pia Monteduro, Sofia Orsino, Sibilla Panerai, Laura Ruzickova, Luigi Silvi, Ofelia Sisca, Miriam Verdecchi. La collaborazione sotto ogni forma è gratuita Impaginazione grafica: Maria Pia Monteduro

35127 Padova-Zona Industriale-Corso Stati Uniti, 18

Editing: Serena Epifani

Telefono (049)8702322 - Telefax (049)8702327 e-mail [email protected] Codice fiscale e Partita I.V.A. 00289000283

Editore: Associazione Culturale ANTICAMente via Sannio 21, 00183 Roma INFO 3476885334 [email protected] [email protected] Pubblicazione registrata presso il Tribunale Civile di Roma n. 335-05.08.2004 Stampa: Copypoint - via de’ Funari 25 00186 Roma

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SEZIONE ARCHEOLOGIA

SOMMARIO

CITTÀ NECROPOLI TERRITORIO Gli Etruschi e il Mediterraneo. La città di Cerveteri, Palazzo delle Esposizioni, di Serena Epifani

PAG.

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LA MORTE EROICA DELLO SCONFITTO AMPLIFICA LA GLORIA DEL VINCITORE La gloria dei vinti. Pergamo/Atene/Roma, Palazzo Altemps, di Serena Epifani

PAG.

20

COME SI LEGGEVANO E SI CONSERVAVANO I LIBRI NELL’ANTICHITÀ CLASSICA La biblioteca in-finita. I luoghi del sapere nel modo antico, Anfiteatro Flavio, di Serena Epifani

PAG.

38

LEOPOLI CENCELLE CIVITAVECCHIA Forma e vita di una città medioevale. Leopoli-Cencelle, Mercati di Traiano, di Serena Epifani

PAG.

54

C UMA E P OMPEI :

PAG.

60

PAG.

84

Q UIRINALIS :

IL DEGRADO IN

C AMPANIA , di Marina Humar

SEMPRE NUOVE SORPESE , di Marina Humar

F IDIA SCULTORE DEGLI DEI Fidia. L’uomo che scolpì gli dei, Massimiliano Papini, di Serena Epifani

PAG.

104

CONTINUITÀ O MENO DEL PRIMATO PETRINO Su questa pietra. Gesù, Pietro e la nascita della Chiesa, Andrea Carandini, di Serena Epifani

PAG.

106

4

Archeologia

CITTÀ NECROPO

GLI ETRUSCHI E IL MEDITERRANEO. LA

CITTÀ DI

CERVETERI, Palazzo delle Esposizioni

Non era stata mai allestita una mostra monografica su una singola città etrusca. In passato, infatti, le esposizioni che studiavano questa popolazione — strumento essenziale per divulgare informazioni e conoscenze — hanno solo riguardato la civiltà etrusca in generale. Raramente hanno affrontato lo specifico di una singola realtà territoriale. La rassegna su Cerveteri rappresenta dunque la prima occasione con protagonista una metropoli etrusca, conosciuta ai più soltanto attraverso la sua necropoli. Qui gli scavi, iniziati nel XIX secolo, hanno alimentato le collezioni d’arte etrusca, nella maggior parte dei casi confluite oggi in grandi realtà museali italiane e straniere. Reperti provenienti da Cerveteri circolano ancora nel mercato nero, togliendo così agli studiosi strumenti fondamentali per la conoscenza della civiltà etrusca. Altri reperti ancora, trafugati in Italia in tempi relativamente recenti, sono rientrati, grazie alle politiche di collaborazione internazionale tra numerosi paesi, per la salvaguardia del patrimonio culturale. Cerveteri fu senza dubbio città di riferimento del mondo etrusco: raccontare la sua storia equivale a ricostruire quella dell'intero Mediterraneo del I millennio a.C. In passato l’archeologia ha dato un valido contributo alla ricostruzione delle vicende legate alla metropoli, analizzando come detto solo i dati provenienti dallo scavo delle necropoli, che hanno consentito di mettere in evidenza la ricchezza e la complessità della cultura dei principi di Cerveteri. La mostra mette a confronto i dati già acquisiti con quelli nuovi. Le tappe del percorso espositivo sono: Storia di una scoperta; La nascita di una città (XII-VIII sec. a.C.); I principi di Cerveteri: Etruria, Oriente e Grecia (VII sec. a.C); L’apogeo: Cerveteri in epoca arcaica (VI-V sec. a.C.); Il rinnovamento della città: Cerveteri e Roma (IVIII sec. a.C.); La fine di una storia: Cerveteri e Roma (III sec. a.C.- I sec. d.C.). I reperti, tutti provenienti dagli scavi di Cerveteri, non sono numerati: le didascalie complete di tutti i dati sono disposte sui pannelli di fondo accanto alle teche ripetendo la posizione dei singoli

oggetti all’interno di esse. Tale sistema, non sempre efficace, rende alquanto lento il processo di assimilazione dei dati da parte degli utenti. Le ultime acquisizioni riguardano anche il territorio, non solo quindi le necropoli o il centro urbano. Particolare attenzione infatti viene riservata a Pyrgi, il porto più importante della città dove l’Università “La Sapienza” conduce tuttora proficue campagne di scavo. Nel percorso espositivo, dunque, sono presenti anfore ceretane e numerosi altri oggetti provenienti anche da relitti attestati al largo delle coste francesi, che testimoniano l’importanza della città etrusca. A Cerveteri, aperta ai traffici con i paesi del Mediterraneo, confluivano merci, persone, idee e tecnologie. Le grandi carte geografiche del Mediterraneo corredano l’itinerario, consentendo di inquadrare per singole fasi storiche il contesto politico-culturale entro cui l’antica città etrusca era inserita. Il color tortora dei pannelli di fondo è conciliante, non distrae dal tema principale che viene trattato con l’ausilio della tecnologia: due le postazioni video con la ricostruzione virtuale di tombe, quella delle Cinque Sedie e quella dei Rilievi. Esse vengono ricostruite in tutti i loro aspetti, consentendo al visitatore di comprendere appieno la peculiarità di tali contesti archeologici. La prima tomba, parzialmente ricostruita, era destinata a una coppia, con all’interno riproduzione di banchetto familiare, scolpita direttamente sulla parete di roccia con due troni e cinque scranni. I primi erano destinati probabilmente ai due sposi, gli altri ai loro antenati, raffigurati in statuette pure attestate nella tomba. Grande attenzione è riservata alla Tomba Regolini-Galassi, che viene riproposta attraverso un’installazione multimediale, “Etruscan in 3D”. Posizionandosi all’interno di un recinto e ponendosi di fronte alla parete, si vedono proiettati gli ambienti della tomba stessa, e con un gesto della mano è possibile navigare all’interno del contesto funerario con la possibilità di indagarne i singoli ambienti. Serena Epifani

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Archeologia

OLI TERRITORIO

Cratere di Aristonothos, Naumachia, 650 a.C. ca., terracotta dipinta, h cm 40, da Cerveteri, Roma, Musei Capitolini.

6

Archeologia

Sarcofago, 375-350 a.C., marmo “del Circeo” con traccia di policromia, h totale cm 100, lunghezza cm 190-195, larghezza cm 66-70,

, da Cerveteri-Necropoli della Banditaccia, Città del Vaticano, Musei Vaticani - Museo Gregoriano Etrusco.

7

Archeologia

8

Archeologia

Eufronio (attivo ad Atene tra 520 e 470 a.C.), Cratere, Ercole e Anteo, 515-510 a.C. ca., ceramica aattica a figure rosse, cm 44,8, da Cerveteri,Paris, Musée du Louvre.

ø cm 55,

9

Archeologia

Eufronio (attivo ad Atene tra 520 e 470 a.C.), Cratere, Hypnos e Thanatos trasportano il corpo di Sarpedonte, 515 a.C. ca, ceramica a figure rosse,h cm 45,7, ø cm 55,1,da Cerveteri, Roma, Museo nazionale estrusco di Villa Giulia.

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Lastra "Campana", Figura virile davanti ad altare, 550-525 a.C., terracotta dipinta, h cm 124, larghezza cm 59, da Cerveteri-Necropoli della Banditaccia, Paris, Musée du Louvre.

11

Lastra "Campana", 550-525 a.C., terracotta dipinta, h cm 124, larghezza cm 59, da Cerveteri-Necropoli della Banditaccia, Paris, Musée de Louvre.

12

Archeologia

Sarcofago degli sposi, 520-510 a.C. ca, terracotta con tracce di policromia, h cm 111, larghezza cm 69, lunghezza cm 194, da Cervet

teri-Necropoli della Banditaccia, Paris, Musée du Louvre.

13

Archeologia

14

Archeologia

Lamina di Pyrgi, fine VI secolo a.C., oro inciso, h cm 20 ca, da Pyrgi-Tempio B, Santa Severa, Antiquarium di Pyrgi.

Guerriero, 510 a.C. ca., terracotta policroma, Copenaghen, Ny Carlseberg Glyptotek.

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Archeologia

Demone a testa di cane, 500 a.C. ca, bronzo, da Cerveteri, Berlin, Staatliche Museum zu Berlin.

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Archeologia

Antenato, VII secolo a.C., terracotta, da Cerveteri - Tomba della Cinque Sedie, Roma, Musei Capitolini.

18

Archeologia

Psykter (refrigeratore di vino), Corteo dionisiaco, 500-480 a.C., ceramica attica a figure rosse, h cm 28,7, London, British Museum.

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Archeolgia

Rilievo delle città, metà I secolo a.C., Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Gregoriano Etrusco.

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Archeologia

LA MORTE EROICA DELLO SCONFITTO A

LA GLORIA DEI VINTI. PERGAMO/ATENE/ROMA, Palazzo Altemps

Statua di gigante morto, marmo bianco - grigio, h cm 38, lunghezza cm 139, Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Soprintendenza Spe

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Archeologia

AMPLIFICA LA GLORIA DEL VINCITORE

ciale per i Beni Archeologici di Napoli. © Luigi Spina.

La mostra di alto valore scientifico mette insieme per la prima volta dopo secoli le copie, rinvenute a Roma, delle sculture che componevano il Piccolo Donario pergameno. Si tratta di copie romane del più numeroso gruppo bronzeo collocato come ex voto sull’Acropoli di Atene, probabilmente da Attalo I, per le vittorie ottenute. Ne è curatore l’archeologo Filippo Coarelli, da anni impegnato nello studio dei marmi che lo componevano, insieme al Grande Donario, di cui il Galata Morente e il Galata Suicida dovevano far parte. Queste due celebri sculture, conservate rispettivamente ai Musei Capitolini e a Palazzo Altemps, così come quelle componenti il Piccolo Donario, mettono in evidenza l’aspetto eroico della morte. Pausania è una delle fonti principali che testimoniano la presenza sull’Acropoli di Atene dei gruppi marmorei: “Presso il muro meridionale Attalo dedicò la lotta detta dei Giganti, che un tempo abitavano intorno alla Tracia e all’istmo di Pallene, la battaglia degli Ateniesi con le Amazzoni, l’impresa contro i Persiani a Maratona e la strage dei Galati in Misia, (statue che misurano) ognuna due cubiti” (Paus. 1.25.2). L’autore antico non dice tuttavia se si tratti di Attalo I o Attalo II. La discussione è tuttora aperta tra gli studiosi anche se si propende a riconoscere nella figura del sovrano citato Attalo I, colui che affrontò almeno due volte, vincendoli, i Galati in Misia, la prima volta alle sorgenti del Caico, l’altra ai piedi di Pergamo, presso l’Aphrodision. Né Attalo II né Attalo III, invece, affrontarono mai i Galati. Il contesto cronologico va posto subito dopo il 200 a.C., in una fase che vide Filippo V attaccare violentemente Atene. In tale contesto, si registrò il protettorato di Pergamo su Atene per opera di Attalo I, appunto, che successivamente donò alla città il complesso scultoreo di cui le statue oggi a Palazzo Altemps sono la copia. Da qui il sottotitolo Pergamo/Atene/Roma. Nelle copie i Romani privilegiarono la raffigurazione dei vinti e non dei Greci vincitori. La rappresentazione del vinto qui assume una nuova valenza: la morte eroica dello sconfitto altro non fa che amplificare il potere e la grandezza del vincitore. L’esposizione sfrutta un’unica sala di Palazzo Altemps, quella dove si conserva in via permanente il Galata Suicida. Qui, in occasione del quinto centenario dalla loro scoperta, sono state collocate le dieci sculture del Piccolo Donario (altre due opere facenti parte del gruppo sono andate perdute), affiancate da altre opere marmoree, anche dell’arte pergamena – in primis il Galata suicida – che attestano tutte insieme la loro influenza stilistica nei busti e nei rilievi di età romana. Il catalogo è una vera e propria monografia scritta da Coarelli, che pone un punto fermo nell’attuale dibattito sulle sculture protagoniste dell’evento. Lo studioso analizza meticolosamente il contesto storico e quello più propriamente stilistico dei Donari pergameni, (ri)proponendo con enfasi ipotesi ricostruttive non sempre ritenute credibili nel mondo accademico. Così, anche nei pannelli illustrativi (particolarmente esaustivi contenendo insieme alle informazioni sulle sculture anche i puntuali riferimenti alle fonti letterarie antiche) ricostruisce il gruppo del Grande Donario, di cui dovevano fare parte il Galata morente, il Galata suicida e la scultura raffigurante una donna morta con il suo bambino. Del gruppo così concepito si mostrano nel catalogo numerose ricostruzioni plastiche, efficaci rendering tridimensionali che lasciano intendere altresì la particolare forma della base sulla quale le figure sarebbero disposte secondo uno schema pentagonale. Il pentagono, secondo Coarelli, avrebbe un senso: il riferimento diretto è al significato mistico che tale figura rappresenta nel mondo antico. Esso fu simbolo della scuola dei Pitagorici ed emblema, per essi, di vita e potere. Serena Epifani

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Archeologia

Testa di persiano, età augustea, marmo bioanco, h cm 32, Roma, Museo Palatino, © Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, Archivio Fotografico.

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Archeologia

Testa di donna galata, età augustea, marmo bianco, cm 23, Roma, Museo Palatino, © Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, Archivio Fotografico.

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Archeologia

Statua di galata che cade, marmo bianco-grigio, h cm 73, lunghezza cm 105, Venezia, Museo Archeologico Nazionale, © Soprintend Gronda Lagunare, Archivio Fotografico.

25

Archeologia

denza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Venezia e dei Comuni della

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Archeologia

Statua di galata morto, marmo bianco-grigio, h cm 25 (con il plinto), lunghezza cm 137, Venezia, Museo Archeologico Nazionale, © Sop della Gronda Lagunare, Archivio Fotografico.

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Archeolgia

printendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico, e per il Polo Museale della città di Venezia e dei Comuni

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Archeologia

Statua di galata morente, marmo bianco-grigio, h cm 57, lunghezza cm 107, Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Soprintendenza S

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Archeologia

peciale per i Beni Archeologici di Napoli / © Luigi Spina.

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Archeologia

Statua di persiano morto, marmo bianco-grigio, h cm 35, lunghezza cm 96, Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Soprintendenza Sp

peciale per i Beni Archeologici di Napoli / © Luigi Spina.

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Archeologia

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Archeologia

Statua di “Amazzone” morta, marmo bianco-grigio, h cm 27, lunghezza cm 127, Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Soprintendenz

za Speciale per i Beni Archeologici di Napoli / © Luigi Spina.

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Archeologia

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Archeologia

Statua di “Amazzone” morta (dettaglio), marmo bianco-grigio, h cm 27, lunghezza cm 127, Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli / © Luigi Spina.

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Galata suicida con la moglie, marmo bianco, h cm 211 (senza plinto), Roma, Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps © Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, Archivio Fotografico.

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Urna cineraria cons cena di combattimento tra Greci e Galati, prima metà del II secolo a.C., alabastro, h cm 49; lunghezza cm 75, profond

dità cm 28, Volterra, Museo Guarnacci,Museo Etrusco Guarnacci, Volterra / © foto Damiano Dainelli.

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Archeologia

COME SI LEGGEVANO E SI CONSERVAVAN

LA BIBLIOTECA IN-FINITA. I LUOGHI

DEL SAPERE NEL MONDO ANTICO ,

Il percorso della mostra si snoda attraverso sette sezioni. La prima considera La lettura nel mondo antico e mette in evidenza come nell’antica Grecia fosse complesso divulgare il contenuto di un libro: la scrittura manuale, corsiva e continua, che non prevedeva separazione tra le parole né segni di interpunzione, rendeva difficile la lettura. La scrittura e la lettura erano appannaggio degli schiavi. A questi ultimi era affidata la lettura ad alta voce e in pubblico; soltanto i documenti personali potevano essere letti individualmente e in silenzio. Nel mondo romano non fu molto diverso. La recitatio, praticata dal I sec. a.C. negli auditoria, era l’unico modo per far conoscere un’opera. Tuttavia a Roma si diffuse anche la lettura silenziosa e solitaria. La situazione cambiò nel III secolo in seguito alla diffusione dei codices (già attestati dalla fine del I sec. d.C.), libri a pagine, fascicoli di fogli di pergamena fatta di pelle animale, che soppiantarono il rotolo di papiro. Si registrò altresì l’uso dei segni di interpunzione, capaci di rendere la lettura più agevole. Nella seconda sezione, Come leggevano gli antichi, l’argomento trattato è la modalità di lettura nel passato greco e romano. La terza tappa è costituita da Le biblioteche ellenistiche, centri di cultura e di trasmissione del sapere: qui si traccia la vicenda relativa agli edifici della Grecia antica dove erano conservati e si potevano consultare libri. Edifici di cui oggi abbiamo notizia soltanto attraverso le fonti letterarie ed epigrafiche. Biblioteche erano state erette ad Atene, Delfi, Pella, Filippi e in aree geografiche quali il Peloponneso, le isole della Grecia, l’Asia Minore, l’Egitto e la Sicilia. Tali biblioteche potevano avere carattere sia pubblico che privato: nel primo caso si trovavano all’interno dei ginnasi e dei santuari; nell’altro, all’interno delle dimore private o nelle scuole filosofiche. Molto nota era la biblioteca di Alessandria, con i suoi 490.000 volumi, fondata secondo alcune fonti da Tolomeo I Soter, secondo altre, dal figlio di quest’ultimo, Tolomeo II Filadelfo nel III sec. d.C. Strabone sosteneva: “Aristotele aveva insegnato ai re d’Egitto come si organizza una biblioteca” (Geographica XIII). Pur se danneggiata da un incendio nel 48 a.C., rimase in uso durante tutto l’impero. Questa biblioteca era un importante centro di ricerca scientifica e sperimentazione. Altra biblioteca nota quella di Pergamo, fondata da Attalo I nella metà del III sec. a.C. Dotata di 200.000 volumi, fu altresì luogo di incontro di artisti, filosofi, letterati, tanto da essere paragonabile alla biblioteca alessandrina. La quarta sezione dal titolo Le biblioteche private nel mondo romano: l’esempio della Villa dei Papiri è dedicata alla villa di Pompei. Datata tra la tarda repubblica e l’inizio dell’impero, era forse di proprietà di Lucio Calpurnio Pisone Cesonio, suocero di Giulio Cesare. Al suo interno furono rinvenute 97 sculture in marmo e in bronzo raffiguranti sovrani asiatici, filosofi, oratori e figure legate al mondo di Dioniso. Detti

Anfiteatro Flavio

reperti attestano senza dubbio il tentativo di rievocare la corte ellenistica e l’ambiente dei ginnasi greci intesi come luoghi di diffusione del sapere. La villa dei Papiri prende il nome dai 1800 volumina della biblioteca greca e latina qui rinvenuti. La penultima sezione è dedicata a Le biblioteche pubbliche dell’antica Roma. Partendo da un progetto mai realizzato di Giulio Cesare, che incaricò Varrone di dare vita a una nuova istituzione culturale, molti imperatori fecero costruire biblioteche all’interno di contesti monumentali, religiosi e civili (mai, infatti sono edifici indipendenti). Essendo appannaggio dell’imperatore, le biblioteche furono a Roma strumento politico più che culturale. Le opere contenute al loro interno erano infatti coerenti con i principi ideologici e politici del regime. All’interno di questa sezione nel percorso espositivo, un grande pannello cita le fonti letterarie in merito ai personaggi noti che fondarono biblioteche o che portarono a termine progetti già avviati. Il Templum Pacis e Le biblioteche dal mondo antico al mondo moderno, ultimo segmento del percorso espositivo, è la sezione che illustra i risultati delle campagne di scavo tenutesi nel foro voluto da Vespasiano. Qui, oltre alla descrizione del complesso monumentale, è esposto un frammento della mano destra, pertinente alla statua di Pax, rinvenuto durante gli scavi del 1999. Si trattava, secondo gli studiosi, di un acrolito, una statua composta da testa mani e piedi in marmo, fissati su un’impalcatura in legno rivestita da panneggi sontuosi per rendere il peplo della dea. L’ipotesi è avvalorata dal confronto di detta tipologia scultorea con le immagini coeve raffiguranti la dea Pax sulle monete. Si possono ammirare anche alcuni frammenti della Forma Urbis, collocata in una delle aule del Templum Pacis. A differenza della mostra, il catalogo presenta in maniera più puntuale i risultati dei recenti scavi del Forum Pacis. L’allestimento al Colosseo dà, infatti, solo esigue notizie in merito. Si ha l’impressione, visitando la mostra, che si sia privilegiato l’aspetto scenografico e non siano stati invece valorizzati i pezzi di notevole interesse, 120 in tutto, che pure sono presenti. I pregevoli busti bronzei dalla Villa dei Papiri, per esempio, visibili solo nella parte anteriore, figurano allineati uno a fianco all’altro all’interno di una teca dai sostegni che riproducono trapezofori decisamente di cattivo gusto. Le informazioni all’interno dei pannelli illustrativi sono fin troppo essenziali. Sebbene fosse stata annunciata nella fase preliminare all’inaugurazione una dettagliata trattazione che avrebbe documentato l’evoluzione del libro nell’antichità, in mostra la parte dedicata a tale rilevante aspetto viene appena toccata. Rispetto a quanto annunciato, infine, pochissimo si dice sugli scavi delle strutture pertinenti ad auditoria individuati nei recenti scavi di Piazza Venezia per la realizzazione della Metro C. Serena Epifani

R v

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Archeologia

NO I LIBRI NELL’ANTITICHITÀ CLASSICA

Ricostruzione di capsa, Roma, Museo della Civiltà Romana, © Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, Archivio fotografico del Museo della Civiltà Romana.

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Archeologia

Strumenti scrittorii e oggetti di scena, affresco, dal teatro di Nemi, intonaco dipinto, Roma, Museo Nazionale Romano, Terme di Diocl

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Archeologia

leziano © Archivio fotografico Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, foto Luciano Mandato.

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Archeologia

Instrumentum scriptorium (lettera e dittico), affresco, da Pompei, Casa di Marco Lucrezio, 45-79 d.C., Napoli, Museo Archelologico N

Nazionale, © Archivio fotografico Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli.

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Archeologia

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Archeologia

Epigrafe di Filosseno Giuliano, responsabile della sezione greca della biblioteca del Portico d'Ottavia, Napoli, Museo Archeologico Naz

zionale © Archivio fotografico Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli.

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Archeologia

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Archeologia

Interno di archivio o biblioteca, rilievo frammentario da Buzenol, calcare, Bruxelles, Musées Royaux d'Art et d'Histoire, Musée du Ci

inquantenaire © Royal Museums of Art and History, Bruxelles.

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Archeologia

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Strumenti e supporti di scrittura, affresco, da Pompei, praedia di Iulia Felix, 62-79 d.C. Napoli, Museo Archeologico Naziona

le, © Archivio fotografico Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli.

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Archeologia

Calamaio, bronzo, Napoli, Museo Archeologico Nazionale © Archivio fotografico Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli.

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Archeologia

Biblioteca Ulpia, Foro di Traiano, Roma, plastico ricostruttivo. Roma, Museo della Civiltà Romana © Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali// Archivio fotografico del Museo della Civiltà Romana.

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Archeologia

Busto muliebre, cd. Saffo, bronzo, da Ercolano Villa dei Papiri, Napoli, Museo Archeologico Nazionale, © Archivio fotografico Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli, Foto Luigi Spina.

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Areté (Virtù), dalla Biblioteca di Celso, Efeso, II secolo d.C., da originale ellenistico, marmo, Wien, Kunsthistorisches Museum, Ephesos Museum, © Vienna Kunsthistorisches Museum.

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LEOPOLI CENCELL

FORMA E VITA DI UNA CITTÀ MEDIEVALE. LEOPOLI–CENCELLE, Mercati di Traiano

Rovine di Cencelle.

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Archeologia

LE CIVITAVECCHIA L’esposizione è il risultato di un ventennio di scavi condotti nel sito di Centumcellae-Leopoli dall’Università “La Sapienza”. Le due realtà insediative sono legate a un evento storico drammatico, l’arrivo dei Saraceni in Italia – essi furono presenti sul territorio con le loro scorrerie nella metà del IX secolo – evento che condusse gli abitanti di queste terre a chiedere aiuto a Papa Leone IV. Il Pontefice prese a cuore tali richieste fondando Leopoli – la consacrazione è del 15 agosto 854 –, raro esempio di città alto-medievale fondata ex novo. Da qui l’importanza degli scavi, utili per analizzare l’urbanistica di età alto-medievale. Sulle mura della città antica fu apposta un’epigrafe che recitava come segue: “Benché questa città si erga fondata in un piccolo spazio, tuttavia nessuna guerra di uomini sarà in grado di nuocerle; si ritiri di qui il feroce soldato, si ritiri oramai il nemico in quanto che nessuno può violare questa città”. Detta operazione portò gli abitanti di Centumcellae a trasferirsi in massa nella nuova città. Sebbene insediatisi in un nuovo contesto essi continuarono a mantenere l’antica denominazione di abitanti di Centumcellae. L’antico porto dell’insediamento si chiamò quindi Civitas Vetula, l’odierna Civitavecchia. Col finire dell’alto Medio Evo, terminata la funzione vescovile di Leopoli, si registrò il recupero e la rifioritura della vecchia città costiera, aspetto che portò al ripopolamento e quindi all’odierna realtà cittadina a pochi chilometri da Roma. La mostra si articola in tre sezioni: Leopoli. La città alto-medievale; Cencelle. La realtà comunale; La fine di una città. Nella prima, argomento principe è la fondazione della nuova città da parte di Leone IV. Pare l’operazione fosse stata ispirata da un sogno. La città, già frequentata dagli Etruschi, fu costruita su un’altura, al riparo dalle scorrerie saracene. Lo testimonierebbe il rinvenimento nel 2013 nello stesso sito di un sarcofago presente in mostra. Sebbene la città antica fosse dotata di edifici quali chiese, episcopio, cattedrale e cimitero, e di mura, sono attestate tracce che lasciano ipotizzare la presenza di numerose strutture in legno, con ogni probabilità abitate dalla popolazione. Nella prima sezione della mostra si sottolinea come l’abitato di Leopoli continuò ad essere chiamato anche ca-

strum Centumcellensis (Cencelle), e di come fossero attestati i due nomi di Cencelle e Leopoli a designare lo stesso sito. Esso, in collina, conviveva con l’altro prospiciente il mare. Nella seconda sezione si approfondisce l’argomento su Cencelle e sulla sua urbanistica. Con la fine dell’alto-medioevo crebbe di importanza fino a possedere nel 1349 un catasto urbano. La mostra evidenzia con l’esposizione di numerosi oggetti rinvenuti durante le campagne di scavo come nell’antico centro fosse presente uno stuolo di artigiani, tavernieri, mugnai, tra questi Ranucius Berte, figura eclettica di menestrello-musicista-poeta-organizzatore di eventi spettacolari. Il territorio interessato dalla presenza di questi centri è noto fin dall’antichità per essere ricco di allume, sostanza usata nell’industria tessile per fissare i colori alle stoffe. I documenti d’archivio, infatti, testimoniano la fiorente attività di estrazione e lavorazione di alumite proprio sui Monti della Tolfa. Altre attività registrate in questi luoghi sono legate al recupero e alla vendita di marmi antichi. In mostra è presente, insieme ai reperti archeologici, anche un grande plastico della città medievale, realizzato dagli studenti del liceo artistico “E. Rossi” di Roma, che permette di percepire le dimensioni dell’abitato e la distribuzione dei quartieri e degli edifici principali al suo interno. L’esposizione ai Mercati ha senza dubbio grande valore ai fini della didattica, grazie anche a tutte le attività che le gravitano attorno. Fa riflettere, in questa occasione, il fatto tutto italiano per cui si debba attendere venti anni prima di mostrare al pubblico i risultati di campagne di scavo. Ulteriore osservazione riguarda gli ambienti espositivi dei Mercati di Traiano utilizzati per la mostra, che va a confondersi con quella permanente. Ben venga l’uso delle antiche strutture come museo – lo si è sottolineato numerose volte e in diverse occasioni –, ma sarebbe auspicabile l’individuazione nel grande complesso traianeo di spazi appositi da riservare esclusivamente alle mostre temporanee, evitando così il rischio di condurre i non addetti ai lavori a confondere ciò che compone il Museo dei Fori Imperiali con i reperti e le installazioni delle mostre temporanee. Serena Epifani

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Archeologia

Elemento di gioco degli scacch, quattro dadi, avorio.

P

Pietra dura per saggio delle punte di trapano.

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Archeologia

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Anelli, ad alto castone con pietre dure e preziose o con grumo di argilla sfaccettata riproducente riflessi di pietra vera.

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Scheletri in fosse comun, riferibili al terremoto del 1349.

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CUMA COME POMPEI: IL D A metà marzo 2014 anche l’Antro della Sibilla, punto di forza dell’area archeologica di Cuma, è stato chiuso al pubblico per l’improvviso crollo di un muro, causato da infiltrazioni d’acqua. L’area aveva già subito precedenti cedimenti ed era stata puntellata, lasciando però libero l’accesso ai visitatori, ma il nuovo crollo ha costretto i responsabili del Parco archeologico a sospendere le visite per il pericolo di ulteriori cedimenti. Anche se la Sovrintendenza archeologica è stata allertata, per permettere gli interventi necessari, la notizia non ha avuto la risonanza mediatica dei crolli di Pompei, né sono stati destinati fondi per la salvaguardia del patrimonio cumano. I custodi del Parco minimizzano l’accaduto e gli operatori turistici spesso non ne sono informati, così, in attesa degli interventi di “manutenzione straordinaria”, ai turisti delusi rimane la vista solo dell’ingresso al famoso Antro della Sibilla, uno dei Santuari più celebri dell’antichità, dedicato al dio Apollo. Prima era possibile percorrere il lungo dromos, a sezione trapezoidale, di età greco arcaica, scavato nel tufo e illuminato da sei fenditure lato mare, che si allarga in una grotta, sempre ricavata nella roccia tufacea, per terminare con cunicoli e ambienti che, in età più tarda, furono usati come riserva d’acqua. La galleria fu scoperta e scavata dal 1932 dall’archeologo Amedeo Maiuri, che riconobbe in essa il luogo dove la Sibilla Cumana, sacerdotessa di Apollo, quando veniva ispirata e quasi posseduta dal dio rivelava il futuro, come racconta Virgilio nell’Eneide (VI, 60-153). La grotta si trova al disotto della terrazza del tempio di Apollo situato sull’acropoli, dove conduce la via sacra. Il tempio, delimitato a nord e a est da alcuni tratti della cinta muraria di età greca, occupava la parte orientale della terrazza inferiore. Sorto su tempio più antico fu costruito nel V secolo a.C. su basso podio (m 34,60 x 18,30) e si suppone fosse periptero. Distrutto nel I secolo d.C, ricostruito con la rotazione dell’asse di 90° e con l’aggiunta di un pronao nel lato Est, il nuovo tempio romano a tre celle, di ordine ionico, fu poi trasformato in basilica cristiana. Aveva l’ingresso sul lato nord, mentre a sud fu aggiunto un piccolo corpo di fabbrica rettangolare posto di fronte ai resti di una struttura ottagonale, interpretabile come fonte battesimale. Successivamente furono scavate nel basamento più di novanta fosse di sepoltura e fu ricavata nel banco tufaceo una cisterna nei pressi della fonte. I resti oggi visibili sono di difficile lettura, sia per i successivi interventi di età altomedioevale, che portarono alla creazione di tre cisterne, sia per il reimpiego dei blocchi per altre costruzioni di incerta destinazione nelle vicinanze. Una zona del tempio è oggi transennata

(lavori in corso o pericoli di crolli?) e appare “abbandonata”. Risalendo la collina, nel punto più alto dell’acropoli, sulla terrazza superiore sorgeva il Tempio di Giove, che si presenta fortemente danneggiato ed è difficile leggerne la pianta. Poco resta del tempio primitivo di età arcaica, così come di quello della fase sannitica sulle cui fondazioni sorsero le strutture successive. Ad età imperiale risalgono tratti di mura di cinta in opus reticulatum e un corpo centrale lungo e stretto occupato in parte dalla cella. Successivamente furono aggiunti pilastri con arcate nell’area intermedia e quando il tempio fu trasformato in basilica cristiana, la cella divenne presbiterio. L’area archeologica di Cuma, seconda colonia greca d’Italia, occupa oltre all’acropoli, dove si trovavano i principali monumenti risalenti a questo periodo, la vasta pianura all’intorno dove sorgevano l’anfiteatro, il foro, le terme e il tempio della Triade Capitolina di età romana e la zona a nord dove erano le vaste necropoli della città più antica. Le tombe datate VIII sec. a.C. erano sia a inumazione entro semplici fosse, sia a incinerazione, ma prima degli scavi ufficiali furono depredate dei corredi da scavatori clandestini. In età cristiana la lunga galleria (Crypta romana), che attraversa l’acropoli collegando il Foro con il mare, fu utilizzata come area cimiteriale. Scavata nel tufo per la lunghezza di 180 metri, fu realizzata nel 37 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa, insieme al nuovo Porto Iulius. Nei pressi della Crypta, sulla parete esterna ovest dell’Antro della Sibilla sono incisi due gruppi di tacche verticali parallele, scoperti e studiati nel 1972 dall’Unione Astrofili Napoletani. Confrontandoli con altri manufatti dell’area mediterranea, si sono potuti riconoscere dei Calendari lunari. Il primo gruppo di 29 segni, corrisponde ai 29 giorni del mese lunare sinodico (Calendario A), il secondo gruppo di 13 tacche ai 13 mesi dell’anno lunare siderale (Calendario B). Nel 1995 è stato scoperto un terzo calendario (C) con una serie di 13 segni lungo il dromos dell’Antro. Cuma offre ancora sorprese, infatti sono in corso scavi e lavori di sistemazione dell’area del Foro della città romana. La piazza (m 50 x 120 circa) presentava sui lati lunghi portici in tufo a due piani, parte a colonne, parte a pilastri con semicolonne, con importante decorazione architettonica, di cui restano varie testimonianze. È stato riportato alla luce un lungo muro relativo a un impianto più antico ricoperto da strutture romane. La prossima (si spera) apertura al pubblico della nuova area archeologica potrà in parte “risarcire” i turisti giunti inutilmente fino all’estremità orientale dei Campi Flegrei per ammirare il famoso Antro della Sibilla. Marina Humar

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DEGRADO IN CAMPANIA

Ingresso Antro della Sibilla, V secolo a.C., Cuma, area archeologica (foto M. Humar).

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Ingresso vietato all'Antro della Sibilla, Cuma, area archeologica (foto M. Humar).

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Antro della Sibilla, interno, V secolo a.C, Cuma, area archeolgica.

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Calendario lunare A, Cuma, area archeologica (foto M.Humar).

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Cripta romana, 37 a C., Cuma, area archeologica, (foto M.Humar).

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Foro romano, Cuma, area archeologica, (foto M. Humar).

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Tempio di Apollo, V secolo a.C., Cuma, area archeologica, (foto M.Humar).

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Acropoli, Cuma, area archeologica, (foto M.Humar).

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Tempio di Giove, Cuma, area archeologica.

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Tempio di Giove, area intermedia, pilastri con arcate, Cuma, area archeologica.

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Tempio di Giove, fonte battesimale, Cuma, area archeologica.

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Tempio di Giove, tombe a fossa nel basamento, Cuma, area archeologica (foto M. Humar).

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QUIRINALIS: SEMPR

Madonna con Bambino e Sante, ricostruzione dell’affresco, Roma, chiesa di Santa Susanna.

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E NUOVE SORPRESE Il sito, occupato oggi dalla chiesa di Santa Susanna e dal monastero affidato alle suore Cistercensi da Papa Sisto V Peretti nel 1587, nasconde nei suoi sotterranei notevoli resti archeologici. L’attuale chiesa sorge sul Collis Quirinalis sui resti delle domus di Gabinio, padre di Susanna e dello zio Caio, cugini dell’Imperatore Domiziano. Proprio lo zio, divenuto Papa, istituì il Titulus di Santa Susanna ad duas domos nell’abitazione della nipote martirizzata nel 294. Grazie agli scavi effettuati a partire dal 1830, in varie occasioni, sono tornati alla luce i resti delle due domus romane al di sotto della chiesa e dell’area circostante. Oggi, dopo ulteriori interventi della Soprintendenza iniziati nel 1990, è possibile accedere ai sotterranei della chiesa attraverso una scala del chiostro delle suore. Molto materiale ricavato dagli scavi è conservato nell’antica cantina del monastero, dove è stata riutilizzata una parete della domus in opus reticulatum. Il primo ambiente al quale si accede ha il pavimento in vetro, che permette di vedere i resti di un portico con tronconi di colonne con tracce di intonaco insieme a resti di murature appartenenti a strutture di diversa epoca. Ancora fruibile è il pozzo romano, profondo 20 metri, rimesso in uso dal Cappellano del monastero Padre Pacchierini, infatti con l’utilizzo di una pompa idraulica, è ancora possibile bere l’acqua di falda. Al di sotto della sacrestia, ex-navatella sinistra dell’antica chiesa, sono visibili, ancora attraverso un pavimento in vetro, i resti di una ricca domus del III secolo: pavimenti musivi a motivi geometrici con tessere bianche e nere, parete affrescata e decorata a motivi vegetali e in particolare un corridoio affrescato in rosso pompeiano, con lastre di marmo bianco nella parte bassa della parete e un pavimento a mosaico con piccole tessere grigie con crocette bianche. In un altro ambiente si è conservato un lacerto di mosaico bianco a losanghe; in una zona è visibile il letto di malta delle tessere perfettamente conservato tanto da poter ricostruire tutto il pavimento. Gli scavi hanno rimesso in luce un ambiente delimitato da due soglie a mosaico, riccamente decorato da un “tappeto” con una cornice nera, losanghe di marmi colorati e due emblemata in opus vermiculatum, incastonati nella pavimentazione in un secondo momento. Trattasi di due emblemata con scene mitologiche realizzati a mosaico finissimo. I soggetti ancora sono oggetto di studio, in uno è rappresentato Nettuno con tridente insieme a una figura femminile che attinge acqua, forse Amimone, ninfa figlia del re Danao. Nell’altro figura maschile con cappello frigio, probabilmente Mercurio o Perseo insieme a fanciulla. Le indagini, condotte negli anni ’90 dal

Dipartimento di Archeologia Cristiana dell’Università “La Sapienza”, nell’area dell’attuale sacrestia della chiesa, hanno messo in luce oltre al pavimento originario della chiesa antica anche una tomba a cappuccina e un sarcofago romano, all’interno del quale furono rinvenuti uno scheletro umano e circa 7000 frammenti di intonaco dipinto di epoca alto-medioevale. Il sarcofago in marmo datato II secolo fu riutilizzato per la sepoltura di un individuo non identificabile che, al momento del ritrovamento, era ricoperto dai frammenti di intonaco disposti a strati sopra e sotto il corpo. Il lavoro di recupero e restauro di tali frammenti realizzato dall’Istituto Centrale per il Restauro è stato lungo e complesso. Oggi i dipinti restaurati sono esposti nella sacrestia della chiesa, è stato possibile ricostruire un timpano (alto 120 e largo 190 cm) con al centro Agnus Dei e ai lati i santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista con le iscrizioni in latino tardo e in lettere maiuscole: ECCE AGNUS D(E)I/ ECCE QUI TOLIS/ PECCATA MUNDI vicino al Battista e IN PRINCIPIO ERAT/ VERBUM ET BERBUM APUT DEUM ET D(EUS) vicino all’Evangelista. Proprio le modifiche fonetiche – berbum, aput, e tolis – tipiche del latino tardo permettono la datazione dell’affresco. Il certosino lavoro di restauro ha restituito anche una Madonna in trono con Bambino tra Sant’Agata, come attesta l’iscrizione a lato della figura e un’altra santa non ancora identificata, forse Santa Susanna. Le tre figure sono raffigurate di fronte, statiche, su sfondo azzurro ed ocra con ricchi abiti e gioielli. La Madonna, adorna di perle e pietre preziose, ha una pesante corona sulla testa e regge un bastone con la mano destra, mentre nella sinistra stringe un panno bianco con dipinti uccellini stilizzati. Il bambino che siede sulle ginocchia della Madonna ha aureola cruciforme mentre benedice con la mano destra e ha un rotolo nella sinistra. Le due sante, con la testa cinta da corona, hanno una croce nella mano destra, mentre con la sinistra reggono una corona coperta da drappo bianco. Sono stati ricostruiti cinque busti di santi non identificati perché molto lacunosi. Questi ritrovamenti vanno ad aggiungersi ai già noti scavi sul Colle Quirinale, che continua ad offrire “sorprese” come il Tempio arcaico scoperto sotto il salone centrale dell’ex Regio Ufficio Geologico in largo Santa Susanna. Già precedentemente era venuta alla luce una favissa per oggetti votivi sotto la scalinata della chiesa di Santa Maria della Vittoria, probabilmente pertinente la struttura cultuale risalente al periodo arcaico (VI sec. a.C.) e in uso fino al III secolo a.C., ora oggetto di studi. Marina Humar

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Madonna con Bambino e Sante (dettaglio), ricostruzione dell’affresco, Roma, chiesa di Santa Susanna, (foto M. Humar).

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Madonna con Bambino e Sante (dettaglio), ricostruzione dell’affresco, Roma, chiesa di Santa Susanna, (foto M. Humar).

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Nettuno e una Ninfa, emblemata a mosaico finissimo, pavimento musivo, Roma, domus romana nei sotterranei della chiesa di Santa Susanna, (foto M.Humar).

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Mercurio o Perseo con fanciulla, emblemata a mosaico finissmo, pavimento musivo, domus romana, Roma, sotterranei della chiesa di Santa Susanna, (foto M.Humar).

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Pavimento musivo con emblemata, Roma, domus romana nei sotterranei della chiesa di Santa Susanna, (foto M. Humar).

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Pozzo romano, Roma, sotterranei del Monastero di Santa Susanna. (foto M.Humar).

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Agnus Dei, San Giovanni Battista, San Giovanni Evangelista, ricostruzione di timpano affrescato, Roma, chiesa di Santa Susanna.

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Colonna del portico della domus romana, Roma, sotterranei della chiesa di Santa Susanna, (foto M. Humar).

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Corridoio della domus romana, Roma, sotterranei della chiesa di Santa Susanna (foto M. Humar).

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Tomba a cappuccina e sarcofago, Roma, sotterranei della chiesa di Santa Susanna, (foto M. Humar).

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Soglia musiva in ambiente di domus romana, Roma, sotterranei della chiesa di Santa Susanna, (foto M. Humar).

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Cantina del Monastero di Santa Susanna, (foto M. Humar).

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FIDIA SCULTO

MASSIMILIANO PAPINI, FIDIA. L’UOMO

CHE SCOLPÌ GLI DÈI ,

Nel I sec. d.C. Quintiliano sostiene che Policleto fu insuperabile nel ritrarre e abbellire la forma umana senza riprenderla esattamente (decor supra verum); secondo l’autore non fu tuttavia in grado di “esprimere compiutamente l’auctoritas degli dèi, pregio riconosciuto a Fidia, il migliore nel rappresentarli” – ancora nel Novecento lo storico dell’arte Giovanni Becatti condivide il medesimo punto di vista: “Gli antichi stessi compresero che l’interesse di Policleto era volto all’uomo e non alla divinità e che, se nobilitò l’immagine umana con un’ideale bellezza sovrannaturale, non seppe esprimere adeguatamente la maestà divina, sicché ai suoi simulacri mancava la grandiosità e la solennità olimpica, che invece saprà infondervi genialmente Fidia”–. E ancora Cicerone: “Mentre plasmava Giove o Minerva, Fidia non aveva davanti agli occhi qualcosa da imitare, ma nella sua mente era insito un certo ideale di bellezza alla cui somiglianza dirigeva l’arte e la mano, contemplandolo e fissandolo”. Livio da parte sua riferisce dello stupore di Lucio Emilio Paolo di fronte alla statua colossale di Zeus a Olimpia nel 167 a.C., e della sua convinzione di essere di fronte al dio in persona. Massimiliano Papini, docente di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana a “La Sapienza” di Roma, riprende il filo del discorso. Lo fa con ironia, senza tuttavia abbandonare l’approccio rigorosamente scientifico allo studio dei dati a disposizione. Il suo punto di partenza è costituito da una serie di domande, che sebbene lecite non vengono onorate da risposte certe: dove abitò Fidia? Ebbe mai una moglie e dei figli? È vero che si lasciò attrarre in età matura da giovani allievi e atleti? Quando nacque e quando morì? Di certo si ha soltanto la cronologia inerente all’attività dell’artista nella progettazione del Partenone. Senza dubbio certa è anche la realizzazione di quella Athena Parthenos alta dodici metri e realizzata in oro e avorio (statua crisoelefantina), che campeggiava nella cella del tempio sull’Acropoli di Atene. Avvolta nel mistero e nell’incertezza è la sua fattiva partecipazione nell’esecuzione dei marmi posti a decorare il fregio del Partenone, troppo numerosi per potere essere stati lavorati da un uomo soltanto. Certo è altresì che realizzò lo Zeus di Olimpia, annoverato tra le Sette Meraviglie del mondo, anch’esso crisoelefantino. Le due statue colossali, Athena Parthenos e Zeus di Olimpia, sono tra le opere più note del mondo antico, presto danneggiate dagli uomini, che le fecero oggetto di clamorosi furti. A proposito dello Zeus si racconta che lo stesso Caligola, avendone ammirato la bellezza, decise di portarlo

Editori Laterza, pag. 270, 19 €

a Roma con l’idea di sostituire il suo al volto del dio. La leggenda narra che durante i lavori finalizzati alla traslazione della statua, lo Zeus avesse preso vita ridendo fragorosamente a causa della miseria e della vanità umana, facendo così fallire il progetto dell’imperatore. Fidia è accostato inequivocabilmente alla figura di Pericle. Questi gli affidò l’incarico della risistemazione urbanistica di Atene, attribuendogli oltre a quello di scultore, il ruolo di architetto e sovrintendente ai lavori (epìskopos). Il sodalizio tra l’uomo di Stato e l’artista influenzò probabilmente il destino di quest’ultimo che, attaccato per interposta persona, fu condotto in tribunale con l’accusa di avere sottratto una parte della grande quantità d’oro giunto nella polis greca per la realizzazione dell’Athena Parthenos. Si ricordano tra gli altri capi d’accusa la falsificazione dei rendiconti dell’avorio e la raffigurazione della propria immagine e di quella di Pericle sullo scudo di Athena nell’Amazzonomachia. Le fonti, seppur discordanti, accennano alla condanna e alla fine dei giorni di Fidia in cella. Secondo alcuni la morte dell’artista sarebbe avvenuta in seguito ad avvelenamento. Altre fonti riferiscono di una rocambolesca fuga di Fidia verso Olimpia. La domanda cruciale che Papini si pone nel suo lavoro è la seguente: dov’è Fidia? Dell’artista si conosce di fatto soltanto la fama. Infatti, sebbene egli abbia costituito l’indiscutibile punto di riferimento per l’arte classica, mancano le sue opere, sulle quali potere imbastire ogni argomentazione. Lo studioso, sottolineando come la storia dell’arte antica sia un’archeologia delle assenze, invita, nella ricerca del capolavoro originale, a diffidare del fascino delle copie di età romana, “belle ma infedeli”! La presenza di più repliche della stessa statua attesta senza dubbio il successo dell’originale; tuttavia non va trascurato che l’esecuzione della copia non avviene quasi mai in forma meccanica. Altro e di lunga trattazione è il tema sulla rielaborazione degli originali. Malgrado l’elusività, la grandezza di Fidia resta una certezza. Le generazioni successive attribuiranno allo scultore la grande capacità dell’immaginazione creatrice (phantasia), tanto che Plinio il Vecchio descriverà Fidia come il più grande artista che l’Occidente abbia mai avuto. Papini affronta detti temi ricorrendo puntualmente alle fonti, sia quelle letterarie che quella materiali, corredando il suo lavoro di ampia bibliografia, utile a chi volesse approfondire l’articolato argomento sulla figura dello scultore ateniese. Serena Epifani

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ORE DEGLI DÈI

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CONTINUITÀ O MENO D

SU QUESTA PIETRA. GESÙ, PIETRO

Andrea Carandini

E LA NASCITA DELLA

CHIESA, ANDREA CARANDINI, Editori Laterza, pp.221, 16 €

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DEL PRIMATO PETRINO L’instancabile Andrea Carandini ha pubblicato un volume su Pietro e la nascita della Chiesa, dedicandolo all’attuale Vescovo di Roma, Francesco, nella consapevolezza di affrontare un argomento che ha riempito le biblioteche di tutto il mondo. Perché l’attenzione dell’archeologo si è focalizzata su Pietro e non su Gesù, figura senza dubbio più affascinante del primo Apostolo? La scelta ricaduta su Pietro ha basi logiche che Carandini illustra nell’introduzione al testo: per formulare teorie credibili, un archeologo deve poter fare riferimento a dati materiali che possano confutare un’ipotesi di partenza. Da qui la difficoltà allorquando si affronti lo studio della figura di Gesù Cristo. Non vi è, per esempio, un contesto funerario da indagare. Inoltre, le uniche fonti letterarie più prossime agli eventi sono costituite dai Vangeli canonici, dai Vangeli apocrifi e dai testi dello storico romano Giuseppe Flavio. Lo studioso definisce quella di Gesù Cristo una figura “mitistorica”, né esclusivamente mitica, né perfettamente storica, alla stregua di Romolo al quale Carandini ha dedicato gli ultimi 15 anni della sua ricerca. Gesù come Romolo, dunque, “la cui storicità non può essere del tutto dimostrata, né del tutto negata”. Sulla base di tali considerazioni, due monumenti hanno incuriosito Carandini: la casa di Pietro e la sua tomba. Per l’archeologo è possibile articolare una riflessione più generale su una figura che ha connotati storici precisi rispetto a quella del suo Maestro. Pietro ne è il seguace più importante, è il primo Apostolo al quale Cristo avrebbe affidato la sua Chiesa. Da un’analisi approfondita emerge una figura sostanzialmente diversa da quella descritta dalla vulgata. Dal medioevo in poi la figura di Pietro è stata alterata. Egli non fu mai né Vescovo di Roma ma fu comunque capo della Chiesa; ciò non corrisponde a verità storica, aspetto che non permette, tra le altre cose, di ipotizzare la continuità del primato petrino. Egli discute con Paolo ma, ponendosi al centro, svolge anche un’operazione di ricomposizione delle varie comunità cristiane delle origini — prime fra tutte quelle che fanno capo a Paolo, più progressista, e a Giacomo, “fratello” di Gesù, di stampo radicale — per evitarne la disgregazione. In ciò si individua la funzione principale del primo Apostolo. L’autorevolezza di Pietro fu dunque riconosciuta sia dal tradizionalista Giacomo, sia dal più aperto Paolo, che non ebbe il privilegio di conoscere il maestro. Nella pubblicazione, Carandini pone l’enfasi sui luoghi fortemente sentiti dalla comunità cristiana a Roma, in particolare quelli che conservano le reliquie di Pietro e di Paolo. Si tratta sostanzialmente di due punti nevralgici all’interno della Roma cristiana ancora oggi oggetto di continuo e incessante pel-

legrinaggio. Carandini sostiene che queste tematiche abbiano forte connotazione contemporanea e che tocchino da vicino la crisi del Ministero petrino. Il papa oggi non si definisce più tale, ma vescovo di Roma. Si registra il ritorno al cristianesimo, allo spirito originario. Nei due differenti contesti archeologici con i resti ossei attribuiti a Pietro e a Paolo gli studiosi hanno registrato la presenza di stoffe orlate di fili d’oro. Non può essere per Carandini una semplice coincidenza. Ciò basta all’archeologo per rendere credibile la vicenda secondo cui Pietro e Paolo giunsero nella capitale dell’impero romano per diffondere la parola di Cristo. Il volume è scritto a quattro mani con un suo allievo, Francesco De Stefano, che ne ha curato appendici, illustrazioni e note. Questa seconda parte del testo considera i dati archeologici connessi alle fonti letterarie, e luoghi come la sinagoga e la casa di Pietro di Gesù a Cafarnao; Pietro a Roma e la Basilica a lui intitolata; il sepolcro e la Basilica di Paolo sulla via Ostiense; la Basilica Apostolorum sulla via Appia, in località denominata ad Catacumbas, originariamente interessata dalla presenza di un complesso cultuale dove si attestavano numerose epigrafi in latino e in greco riferite ai SS. Pietro e Paolo, ritenuto da alcuni studiosi, supportati da fonti letterarie attendibili – non tuttavia verificabili data l’assenza di evidenze archeologiche –, il luogo dove furono traslate per motivi di sicurezza, durante le persecuzioni dell’imperatore Valeriano, e per un periodo di tempo determinato le spoglie di detti santi; Elena e la Basilica “Hierusalem” (attuale Santa Croce in Gerusalemme) e il Palatium Sessorianum, luoghi che videro la madre di Costantino portare dalla Terra Santa le reliquie della Croce e della Passione; la Basilica dei Santi Marcellino e Pietro e il mausoleo di Elena ad Duas Lauros; il titulus Anastasiae (Betlemme) sul Palatino (IV sec. d.C.), di cui restano poche tracce nell’area coincidente con la Casa di Augusto che si affaccia sul Circo Massimo – si tratterebbe della chiesa intitolata ad Anastasia, sorellastra di Costantino, edificio costituito da un’aula a pianta cruciforme con abside, nel quale sarebbe stato celebrato a Roma il primo Natale –; la Basilica di Sant’Agnese sulla via Nomentana; il mausoleo di Costantina, figlia di Costantino, sempre sulla via Nomentana; i luoghi Santi in Palestina: il Santo Sepolcro a Gerusalemme, la Basilica della Natività a Betlemme; la tomba dell’apostolo Filippo a Hierapolis in Frigia. La dissertazione di Andrea Carandini supportata dalla puntuale analisi delle fonti – soprattutto quelle materiali – nella seconda parte del testo rendono il volume di elevato interesse scientifico. Serena Epifani

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“... La vera terra dei barbari non è quella che non ha mai conosciuto l’arte, ma quella che, disseminata di capolavori, non sa né apprezzarli né conservarli...” (Marcel Proust)

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