Recensione di Federico Moro “Angelo Emo, eroe o traditore?”, Rivista Marittima, 12/2012, pp. 157-158

September 4, 2017 | Autor: A. Mita Ferraro | Categoria: Storia moderna
Share Embed


Descrição do Produto

RUBRICHE

Recensioni e segnalazioni Federico Moro

ANGELO EMO, EROE O TRADITORE? LA RIVOLUZIONE FALLITA DELL’ULTIMO DEI VENEZIANI

Studio LT2 Venezia 2012 Euro 16,00 Pagg. 254

La storia di un autentico mito della Serenissima, l’ammiraglio Angelo Emo (1731-1792), si arricchisce di uno studio condotto in gran parte su documenti d’archivio, dal titolo accattivante di Angelo Emo, eroe o traditore? La rivoluzione fallita dell’ultimo dei veneziani di Federico Moro. Il lavoro, diviso in tre parti, si apre con la ricostruzione biografica dell’illustre discendente della potente famiglia patrizia degli Emo, declinata all’interno dell’articolato contesto storico del secondo Settecento. Gli ultimi decenni della Repubblica, di cui si parla diffusamente nel volume, sono presentati senza retorica, e vengono individuate e messe in luce le contraddizioni di un pletorico sistema oligarchico ormai anacronistico e messo pericolosamente in crisi proprio dallo stesso Emo nel corso degli anni Settanta. Ripercorrendo da vicino il cursus honorum del nobile patrizio, l’Autore giudica sproporzionata la fama di stratega come quella di marinaio — oggetto della seconda parte dell’analisi — costellata di 157

molti insuccessi e di troppe burrasche (dalla catastrofe di Elios, alla deludente prova di Lisbona, alla incapacità di chiudere lo scontro nel Mediterraneo). Nella guerra tunisina, dove fu inviato con molte speranze dalla Repubblica, mostrò di non avere un solido piano di guerra e, d’altra parte, risultò anche, con altrettanta chiarezza, che i limiti erano solo in parte personali. Nell’intera vicenda legata alla presa di Tunisi, Emo toccò con mano l’inadeguatezza dell’Armata veneziana come l’improvvisazione politica dell’oligarchia, capace soltanto di scelte leggere votate inevitabilmente all’insuccesso. Pur tuttavia a Venezia i suoi magri successi furono celebrati fuor di misura. Le lodi profuse ingiustificatamente da quelli che Emo stesso non aveva temuto di chiamare «opachi reggitori della cosa pubblica», danno fondamento alla tesi di fondo del libro: le lusinghe servirono per distrarre l’ammiraglio dalla sua possibile-presunta-temibile intraprendenza politica che avrebbe minato il fondamento stesso dell’oligarchia veneziana. Lo sgomento del Senato, già allarmato nel 1775 dalla Scrittura sul sistemar la Marina da Guerra (qui nuovamente riproposto ma già pubblicata anche in Appendice alla Storia della Marina Veneziana da Lepanto alla caduta della Repubblica di Mario Nani Mocenigo, pubblicata nel 1935 e poi riedita nel 1995) era troppo alto come la posta in gioco. Emo avrebbe potuto, rientrato in patria, forte della credibilità ormai acquisita, rimettere sotto accusa l’aristocrazia dominante e non gli sarebbe forse costato molto persuadere molti dell’urRivista Marittima-Dicembre 2012

Recensioni e segnalazioni

genza del cambiamento. Ecco perché «traditore», come scrive l’Autore, fu considerato dal manipolo patrizio che reggeva lo Stato e che temeva che le idee dell’Ammiraglio, forse anche rianimate dalle notizie che giungevano dalla Francia, potessero minare dall’interno le fondamenta del sistema oligarchico ormai agonizzante. Da qui la scelta estrema. La «sentenza» di morte, con buon margine di probabilità perpetrata da Tommaso Condulomer per avvelenamento, aveva i suoi mandanti nel Consiglio dei Dieci al quale era impossibile opporsi. Ma una volta cadavere, le cose furono ben diverse. Al suo corpo senza vita non furono lesinati gli onori: la salma imbalsamata fu condotta da Malta (dove era morto) a Venezia, ove giunse il 17 aprile 1792, e dopo solenni esequie in San Marco fu tumulata nella Chiesa dei Servi. Il Senato, pensando di aver scampato il pericolo, onorò la memoria con un busto in marmo in Palazzo Ducale e con un monumento, realizzato da Antonio Canova, nella sala d’armi dell’Arsenale. Alessandra Mita Ferraro LA CORAZZATA DI VENEZIA STORIA DELLA GONDOLA

Alessandro Marzo Magno

Mare di carta, Venezia 2008 Euro 19,00 Pagg. 247

Alessandro Marzo Magno è un giornalista, e come tale ha fatto in modo da renRivista Marittima-Dicembre 2012

dere un testo, che narra la storia di una imbarcazione, avvincente, come solo un giornalista può fare. Senza trascurare gli aspetti tecnici egli anima questo oggetto, descrivendo le avventure e i fatti che hanno caratterizzato la sua vita, dalla sua nascita fino a oggi. «La gondola non è una barca, è una carrozza che va sull’acqua. Pensateci, tutte le barche hanno un nome, le gondole no». E trattandosi di una «carrozza» non bisogna stupirsi del fatto che nessun cronista medievale si fosse mai interessato alla sua storia. «Non ha padre, non ha madre, non ha origini. Ha una famiglia, le barche da laguna a fondo piatto, e dei parenti stretti: il gondolino e il pupparino. Ma come e quando la gondola sia nata rimane un mistero». Non si conosce la sua data di nascita, ma se ne parla la prima volta in una pergamena del 1094. Le sue dimensioni sono variate nel tempo fino ad arrivare agli odierni 11,10 metri di lunghezza e 1,42 di larghezza. Composta da otto tipi di legno diverso, costruita negli «squeri», una sola cosa ha di certo uguale a oggi: «la gondola è nera. Inequivocabilmente nera. La spiegazione è semplicissima: per calatafare le barche si usa la pece. La pece è nera». Nata come mezzo di trasporto per attraversare i canali, essa, dopo la caduta della Serenissima, il 12 maggio 1797, dovuta a Napoleone, passa a essere una barca per turisti. Con questo cambiamento di status sparisce il felze, una copertura posta all’interno dell’imbarcazione. Infatti da quel momento «chi va in gondola non deve più arrivare da qualche parte, deve ammirare la città e, in questo senso, il felze con le sue finestrelle laterali e la portella frontale è un impedimento». Ma non è un impedimento per le cortigiane che nella gondola accoglievano i loro clienti o per chi la 158

Lihat lebih banyak...

Comentários

Copyright © 2017 DADOSPDF Inc.