Rosalind Krauss e l\'inconscio ottico

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UNIVERSITÀ DELLA CALABRIA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

Corso di laurea in

FILOSOFIE E SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE E DELLA CONOSCENZA

Elaborato finale

Rosalind Krauss e l’inconscio ottico

Candidata

Annalisa Laganà Matricola 114551

Supervisore di elaborato: Prof. Fabrizio Palombi

Anno accademico 2009/2010 Sessione: Luglio 2010 Versione depositata per la discussione il

Indice

Abstract

p. 3

Introduzione

p. 4

1. Considerazioni sul concetto di inconscio ottico

p. 5

2. Krauss e la vista

p. 10

3. La scientificità e l’artisticità dello studio sulla visione

p. 17

4. L’inconscio e la percezione del Sé

p. 29

5. Ernst e Duchamp: l’inconscio nelle avanguardie storiche

p. 32

6. Il desiderio e la visione

p. 41

7. La forma, la forza, l’informe: l’inconscio nell’arte contemporanea

p. 45

Bibliografia

p. 50

2

Abstract

This work is an analysis of the Rosalind Krauss’s study about the optical unconscious, that connects various research – fields in arts, sciences and philosophy. Firstly we rewiev the historical situation in which the concept of optical unconscious was born. This background brings out the difficulty in defining univocally its meaning from the early twentieth century until the kraussian theory, in which the concept becomes a way to reach the unconscious through eyesight and the possibility to represent it in pictorial and photographic images. Indeed the following considerations concern the link between optical unconscious and main artistic avant – gardes, that involves primarily the psychoanalytic Freudian and lacananian theories. Lastly we discuss about artistic trends in which the concept of optical unconscious was applied: Dadaism, Surrealism and Abstract Expressionism.

3

Introduzione

Il presente lavoro esamina alcuni nodi teorici contenuti nel testo L’inconscio ottico (1993) della Krauss approfondendo i correlati riferimenti artistici, scientifici e filosofici. Vengono preliminarmente esaminate le origini del concetto di inconscio ottico dal punto vista storico e teorico. Da questo primo inquadramento emerge il carattere controverso di tale concetto che, nell’evoluzione della ricerca kraussiana, si propone di studiare l’inconscio attraverso la percezione visiva e di rappresentarlo iconicamente. Una rilevante considerazione è fornita dalle osservazioni della Krauss sulla vista e dalla sua correlazione con la produzione artistica (pittorica e fotografica) di fine Ottocento e inizio Novecento. In questo modo la Krauss interpreta, anche attraverso strutture matematiche, le tecniche avanguardiste di raffigurazione della interiorità che l’individuo moderno tenta di estroflettere. Si delinea così la natura complessa dell’inconscio alla luce delle teorie psicoanalitiche di Freud e Lacan. L’esito di questo percorso è costituito dalla valorizzazione teorica del Dadaismo duchampiano, del Surrealismo ernstiano e dell’ Espressionismo Astratto pollockiano, quali correnti artistiche che meglio esprimono, secondo la Krauss, l’inconscio nelle sue possibili fattezze iconiche. Si approfondisce, infine, la critica sull’opera astratta pollockiana che, dopo l’analisi kraussiana, sembra restituire un profilo psicoanalitico completo del suo autore, quasi come se se ne leggesse, sulla tela, l’inconscio.

4

1.Considerazioni sul concetto di inconscio ottico

La Rosalind Krauss (1941) de L’inconscio ottico,1 testo che rappresenta il nostro punto di riferimento, segna un percorso che arricchisce le intuizioni di Walter Benjamin (1892-1940),2 con un confronto molto ampio dal punto di vista diacronico con l’avanzamento delle tendenze artistiche di tutto il XX secolo, alla luce anche di nuove interpretazioni e concettualizzazioni della psiche. L’origine del termine inconscio ottico e del suo studio si colloca, appunto, nel saggio di Benjamin L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica,3 all’interno di un quadro teorico generale che sembra influenzato da «un’ambigua interpretazione dell’inconscio». 4 Tuttavia,

diversi

sono

i

parallelismi

freudiani

tra

il

funzionamento della psiche e il funzionamento di strumenti ottici che, seppure applicati secondo finalità diverse, giustificano la legittimità delle affermazioni di Benjamin. Un caso tra tutti è l’esemplificazione che Freud impiega per chiarire la differenza tra idee preconsce e idee inconsce: La prima fase fotografica è quella della negativa; ogni immagine fotografica deve passare attraverso il “processo negativo”, e alcune di queste negative che vengono giudicate buone vengono passate al “processo della stampa positiva”, che si conclude con l’immagine fotografica. 5

1

Krauss (1993). Benjamin (1936), p. 63. 3 Ivi. 4 Palombi (2007). In proposito «Freud dice chiaramente che il mondo su cui i dispositivi tecnici estendono il loro potere non è quello che potrebbe avere esso stesso un inconscio. Può in effetti esistere una microstruttura che va’ al di là della portata dell’occhio nudo, ma non è né cosciente né inconscia, e tanto meno può essere in conflitto con la coscienza» (Krauss, 1993, p. 182). 5 Freud (1912), pp. 579-580. 2

5

Allora il contesto storico-filosofico e artistico in cui si allestisce la culla del complesso studio sull’inconscio ottico – rilevante allo stesso modo da una prospettiva umanistica e scientifica – è quello di inizio Novecento, periodo durante il quale gli sviluppi della cultura contemporanea subiscono dalla psicoanalisi un’influenza significativa. Infatti,

la

dell’individuo

situazione inserito

filosofica nel

è

caratterizzata

nuovo

ambiente

dall’analisi storico

dell’industrializzazione, dello sviluppo della tecnologia e del progresso; siamo all’indomani della Grande Guerra, segno della perdita della ragione, o meglio, dell’acquisizione di una nuova ragione: quella strumentale teorizzata dai Francofortesi nella loro intellettuale avversione non per la tecnologia, ma per il suo uso inconsulto. L’agire sociale è standardizzato alla maniera della macchina: lo spopolamento delle campagne e il lavoro nelle fabbriche fanno si che il soggetto diventi «mero esecutore di obiettivi prefissati dai tecnici della produzione»,6 il nuovo Ulisse di Adorno e Horkheimer.7 È per tutti questi motivi che la nuova e difficile condizione sociale dell’individuo genera, negli studi filosofici, una sempre maggiore attenzione e preoccupazione per la nevrosi, malattia della modernità, il cui allarme viene lanciato proprio dalle rivoluzionarie teorie psicoanalitiche. Lo scenario artistico, d’altra parte, si colora di tinte fosche e di rappresentazioni che rompono con le forme tradizionali: i risultati sono immagini dal senso non immediatamente comprensibile, non sono riproduzioni della realtà oggettiva. La produzione pittorica dal

6

Massaro (2002), p. 378. Adorno e Horkheimer in uno dei passi più suggestivi della loro Dialettica dell’Illuminismo (1966, p. 11-43), riconoscono Ulisse come metafora dell’uomo borghese. L’eroe omerico, difatti, pur volendo ascoltare il canto delle Sirene, si costringe, facendosi legare all’albero maestro, a non cedere al loro invito. Così fanno anche i marinai-operai(la classe sociale inferiore). L’uomo moderno reprime il piacere per seguitare sulla strada del dovere. 7

6

Cubismo al Surrealismo, dalla pittura degli Stati d’animo8 di Boccioni (1882-1916), (figg. 1, 2, 3), all’«automatismo psichico puro»9 di Breton (1896-1966), e in particolare l’Espressionismo Astratto di Pollock (1912-1956), diventa la raffigurazione artistica di questo disagio, diventa la valvola di sfogo dell’inconscio, dell’interiorità come rifiuto della realtà esteriore; la voglia di comunicare dopo il malessere profondo e antisociale di inizio Novecento.10 Secondo Achille Bonito Oliva: L’irruzione della psicoanalisi e delle scoperte scientifiche, esplose all’inizio del XX secolo, ha ridotto la presunzione di un controllo totale da parte del soggetto, di poter dominare tutta la realtà. L’interpretazione dei sogni di Freud, il quantum di Plank, l’indeterminazione di Heisemberg hanno scardinato la superbia cartesiana della ragione occidentale, aprendo verso direzioni che le avanguardie storiche, specialmente il Dadaismo e il Surrealismo, hanno praticato, e fino in fondo poi anche le neoavanguardie americane con l’Espressionismo Astratto, il cui campione è indubbiamente Jackson Pollock. 11

Arti figurative e arti astratte acquisiscono la stessa complessità visiva, implicante una necessaria interpretazione critica, senza così negare la ricchezza simbolico-filosofica di un’opera d’arte del passato.12 L’inconscio non è più solo osservato da uno sguardo

8

Stati d’animo: Gli addii; Quelli che vanno; Quelli che restano, 1911, Milano, Civico Museo d’Arte Contemporanea (I versione); New York, Museum of Modern Art (II versione). 9 Andrè Breton (1924). 10 In ciascun caso si riconosca la peculiarità della corrente di riferimento: se il Cubismo rifiuta la realtà esterna perché ingannatrice alla vista, il Surrealismo ne propone una che inganni la vista – approccio superficiale alla realtà stessa – e definisca la profondità della realtà individuale. Se gli Stati d’animo di Boccioni illustrano le emozioni suscitate dal dinamismo, dalla forza della velocità e della macchina, i drippings di Pollock bloccano sensazioni propriamente umane, dell’uomo e nell’uomo. Si noterà più avanti, inoltre, come non tutte le tendenze, seppure raffiguranti l’interiorità, l’inconscio dell’autore, hanno saputo accedere all’inconscio dello spettatore. 11 Bonito Oliva (2002), pp. 5 – 7. Cfr. il concetto di uomo per Lacan in Palombi (2009), p. 35. 12 Da Migliaccio (1995), p. 107: «Il pregiudizio sull’arte come produttrice di cose gradevoli[…]produce quell’atteggiamento partigiano a favore di un’arte antica, che “si capisce” e di un’arte moderna che “saprei fare anch’io”». E ancora:«L’uomo Kitsch guarda all’opera d’arte del passato così come fosse una oleografia, una

7

medico, ma è vissuto e mostrato, estroflesso e condiviso: «Ogni buon artista dipinge solo ciò che è» dice Pollock.13 Si stabilisce così un confronto tra percezione visiva e ciò che sta al di là della soglia di consapevolezza, tra ottica e inconscio.

Figura 1. Umberto Boccioni, Stati d'animo: Gli addii, 1911-1912, xilografia su carta, Coll. Privata, Roma

Fonte: Masi e Sicoli (2009), p. 82.

cartolina illustrata[…]Egli non rileva i valori di cui è portatrice (valori etici, filosofici ed estetici del periodo storico da cui proviene)». 13 Cricco e Di Teodoro (2005), p. 928.

8

Figura 2. Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che vanno, 1911-1912, xilografia su carta, Coll. Privata, Roma.

Fonte: Masi e Sicoli (2009), p. 81.

Figura 3. Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che restano, 1911-1912, xilografia su carta, Coll. Privata, Roma.

Fonte: Masi e Sicoli (2009), p. 83.

9

2. Krauss e la vista

Le prime pagine del testo di Krauss introducono una descrizione della precisione e complessità della percezione visiva, a sostegno delle considerazioni successive sulla rilevanza dell’interpretazione ottica dell’inconscio in uno studio artistico, ma anche filosofico. Infatti la vista è il senso che in maniera immediata ed efficace ci fornisce una cognizione dettagliata della realtà circostante, nel suo manifestarsi e nel suo celarsi, nella sua tridimensionalità, in un’accezione che ci è sembrato di poter ricondurre alla realtà fenomenologica di inizio Novecento. Nel contesto di nostro interesse, Krauss fa notare che la percezione prospettica così intesa, nell’analisi di un’immagine pittorica o fotografica, artistica o grossolana, diventa spesso effetto dell’azione combinata di illusione ottica (prodotta dalle tecniche pittoriche o fotografiche) e complessa attività retinica (abilità biologica

dello

spettatore):

la

prospettiva

diventa

una

tridimensionalità resa in modo strettamente pittorico, unicamente ottico perché non è possibile addentrarvisi come in uno spazio materiale, ma il nostro sguardo vi si può insinuare e muoversi al suo interno.14 La condizione definita “tridimensionalità ottica”15 – sostiene Krauss in accordo con il critico d’arte americano Clement Greenberg (1909-1994) – è esemplarmente resa dalle composizioni geometriche di Mondrian (figg. 4 e 5), seppure siano prive di indici

14

Krauss (1993), p. 9. Qui si fa implicitamente riferimento a un particolare quanto fisiologico funzionamento della percezione visiva: la percezione stereoscopica. Come l’etimologia del termine lascia bene intendere, distando gli occhi tra di loro di alcuni centimetri, ciascun occhio percepisce di uno stesso oggetto vicino, immagini leggermente differenti per prospettiva. È proprio questa disparità che rende possibile la percezione della profondità tridimensionale, dal momento in cui, percepite contemporaneamente, le due immagini si sovrappongono. 15 Krauss (1993), p. 9.

10

pittorici della profondità tradizionalmente intesi. Il Neoplasticismo di Mondrian, del resto, affonda le sue radici nella fase cubista di Picasso(1881-1973), che noi tendiamo a riconoscere come una negazione della tridimensionalità e della prospettiva, ma attraverso un percorso di esagerazione, di enfatizzazione della tridimensionalità stessa. Dobbiamo tener conto di una duplice realtà. Il quadro, di per sé, è un oggetto fisico, e i nostri occhi possono vederlo come tale: una superficie piatta sulla parete; ma esso può anche evocare ben altri oggetti […] collocati in uno spazio differente e […] in un tempo differente.16

La prospettiva in arte, dunque, assume una dignità che gli deriva direttamente dalla sua rilevanza nell’ambito della percezione visiva e nel processo di cognizione della realtà circostante, da essa derivante. Non solo la rappresentazione artistica realistica, ma anche quella astratta di Mondrian, deve la sua costituzione iconografica alla percezione prospettica – dunque reale – del circostante, proprio come il sogno si compone a partire da fatti effettivamente esistenti o esistiti. Leonardo Da Vinci afferma: «prospettiva non è altro che sapere bene figurare lo ufizio dell’occhio».17 Dunque Krauss palesa la capacità dell’occhio di percepire la profondità anche osservando una superficie piatta quale è – in diversi sensi –18 un dipinto di Mondrian: illusione pittorica, ma anche grande complessità e funzionalità retinica, appunto. Sulla base di simili considerazioni, evidentemente già in circolazione a inizio secolo, l’arte delle avanguardie storiche si

16

Gregory (1998), p. 262. (1492), Manoscritto A, foglio 3 recto, conservato all’Institute de France, Parigi. 18 In un primo senso in quanto oggetto: la tela è un oggetto di forma piatta. In un secondo senso perché, come sopra, i dipinti neoplastici di Mondrian sono privi di resa prospettica, di punto di vista e di punto di fuga. 17

11

Figura 4. Piet Mondrian, Composizione in rosso, blu e giallo, 1930, Coll. Privata, New York.

Fonte: Cricco e Di Teoodoro (2005), p.859.

Figura 5. Piet Mondrian, Composizione n°10, Molo e Oceano, 1915, Rijksmuseum Kröller-Müller, Otterlo.

Fonte: Cricco e Di Teodoro (2005), p. 858. 12

trasforma e si adatta all’abilità visiva umana: «Perché si deve continuare a creare senza tener conto della nostra potenza visiva che può dare risultati analoghi a quelli dei raggi X?». 19 Questa una delle affermazioni più significative nella descrizione di un nuovo modo di sfruttare e analizzare l’ottica. L’elogio dell’occhio raggiunge, anacronisticamente, l’apice nell’incipit del testo di Krauss, che presenta come protagonista assoluto John Ruskin (1819-1900), il modernista spontaneamente propenso a guardare, per tutta la vita affetto da una «febbre visiva divorante»20, che nella sua sordità e nella sua afasia da straniero (attivissimo viaggiatore, non imparò mai nessuna lingua oltre a quella materna), nell’assoluta assenza di un linguaggio codificato in territorio estero, si arricchì visivamente fino a diventare uno dei più grandi critici d’arte del XIX secolo. Egli stesso ammette: Non dico che il nostro isolamento fosse meritorio o che non si dovrebbe conoscere altra lingua che la propria, però bisogna riconoscere che la placida ignoranza ha questi vantaggi […] E anche nella mia stessa patria le cose in cui sono stato meno ingannato sono quelle che ho appreso da semplice spettatore.21

Lo stato deficitario di Ruskin ci ricorda la condizione di disabilità cerebrale organica degli affetti da afasia percettiva, dei quali parla Oliver Sacks (1933) nel suo saggio neurologico L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello22 e, in particolare, nel capitolo intitolato Il discorso del Presidente: questi soggetti, per i quali è impossibile comprendere il contenuto semantico delle parole proferite da un interlocutore, interpretano visivamente il linguaggio nel suo articolarsi in fatti soprasegmentali, quali i gesti e le espressioni del volto. Ciò che l’afasico percettivo è in grado di capire con l’infallibilità

19

Boccioni et al. (1910). Krauss (1993), p. 4. 21 Ruskin (1908), p. 119, citato in Krauss (1993), p. 7 22 Sacks (1985). 20

13

della vista23 diventa la sua difesa da inganni e menzogne e soprattutto la fonte della maggior parte delle sue esperienze cognitive. L’afasico Non riesce ad afferrare le tue parole, e quindi non può esserne ingannato; ma l’espressione che accompagna le parole, quell’espressività spontanea, involontaria che non può mai essere simulata o contraffatta, come possono esserlo, fin troppo facilmente, le parole, tutto questo egli lo afferra con precisione infallibile. 24

La rivalutazione dell’occhio umano che Krauss sostiene con forza sembra implicitamente contrapporsi all’ammirata analisi che Benjamin fa dell’occhio meccanico della macchina fotografica e della cinepresa, i rivelatori dell’inconscio ottico.25 L’occhio umano e quello meccanico colgono la realtà evidentemente in modo diverso. La cinepresa, e ancor di più la macchina fotografica che ne è la madre, 26 con i suoi mezzi quali l’ingrandimento, la riduzione, la slow motion, indaga su aspetti della realtà percepiti fino a ora in modo inconsapevole. Qui, dunque, è l’occhio meccanico che, non solo evidenzia questi particolari dell’oggetto, ma rende anche possibile individuare le funzioni psichiche atte all’elaborazione di questi. Tali considerazioni ci spingono a notare un nesso tra un simile utilizzo degli strumenti ottici e l’avvio di un’embrionale analisi del subliminale, che Krauss riprende, riformula e riconsidera dalla prospettiva di un’epoca più recente, che ha superato la violenza

23

Non si vuole, con questo, sostenere una infondata assoluta infallibilità della vista, infatti, se così facessimo, non terremo conto indebitamente delle illusioni ottiche e di altri inganni della percezione visiva. Ciò che qui si vuole evidenziare è l’importanza della tendenza biologica dell’essere umano a imparare più facilmente attraverso icone, che non attraverso simboli, essendo questi ultimi costitutivi di un sistema codificato, il cui apprendimento comporta uno sforzo cognitivo. 24 Sacks (1985), p.117. 25 Benjamin (1936), p. 42. 26 Si pensi a Eadweard Muybridge, inventore della cronofotografia: una tecnica che rendeva possibile la rappresentazione del movimento attraverso una serie di scatti consecutivi; o al celebre Louis Lumière. Per approfondimenti si veda Madesani (2005).

14

dell’impatto con la rivoluzione tecnologica spostando la sua attenzione di nuovo sull’Uomo. Collocata nell’iter kraussiano, la tecnica fotografica trasforma radicalmente le sue applicazioni e in molti casi (Haussmann 27 [fig. 6], Heartfield,28 Man Ray,29 Henri30 [fig. 7]) abbandona la sua obiettività – per via dell’uso del fotomontaggio e la scelta di soggetti non figurativi – per intraprendere con le avanguardie storiche del mondo della pittura una strada comune:31 L’arte s’è potuta affrancare dalla convenzionalità rappresentativa per spaziare meglio nell’universo dell’immaginario e della parallela realtà psicologica ed emotiva, sicuramente grazie all’avvento della fotografia. I fotografi, altresì, con le loro esplorazioni nel mondo delle simulazioni deformanti hanno suggerito ai pittori specifiche elaborazioni formali che hanno fatto strada andandosi a concretizzare nel lavoro delle avanguardie. 32

Figura 6. Raoul Hausmann, Gioco meccanico, 1919.

Fonte: Madesani (2005), p. 72. 27

Madesani (2005), pp. 72-73. Ivi, p.81. 29 Ivi, pp. 84-85. 30 Ivi, pp. 99-100. 31 La condivisione di stili e tendenze continuerà fino alle produzioni realistiche di metà Novecento, quando la pittura adotterà tagli riconoscibilmente fotografici. 32 Migliaccio (1995), p.47. 28

15

Figura 7. Florence Henri, Composition abstraite, 1929.

Fonte: Madesani (2005), p. 99.

16

3 La scientificità e l’artisticità dello studio sulla visione

Lo studio della visione che, attraverso questi mezzi, diventa, come il sogno, una via d’accesso all’inconscio, acquisisce una valenza scientifica quando Krauss, per parafrasare il meccanismo stesso di visione, introduce l’algebra astratta di Felix Klein (1849-1925) di cui, didatticamente e in termini divulgativi, diamo qui una spiegazione. Negli ultimi decenni del XIX secolo i matematici compresero di poter sviluppare un’algebra che integrasse tutte le branche conosciute, astraendone i loro contenuti comuni. Quello che risultò fu l’algebra astratta : a differenza delle singole strutture algebriche, questa non serviva a scopi specifici, alla risoluzione di problemi concreti, ma all’ottenimento di nuovi metodi di calcolo. 33 Klein si occupò per tutta la vita di una delle più utilizzate strutture algebriche astratte: il gruppo, e cioè una particolare struttura algebrica che mette in relazione tra di loro gli elementi di cui è costituita e ne prevede l’invertibilità.34 Si dice che un insieme di elementi formano un gruppo rispetto a un’operazione quando: 1)l’insieme degli elementi è chiuso rispetto all’operazione; 2)l’insieme contiene un elemento di identità rispetto all’operazione; 3)per ogni elemento dell’insieme esiste un elemento inverso rispetto all’operazione, e 4)l’operazione è associativa.35

La varietà delle possibilità di applicazioni del Gruppo di Klein è determinata dal fatto che gli elementi di questo gruppo possono essere di varia natura (numeri, punti «o qualsiasi altra cosa» 36) e 33

Kline (1972), pp. 1324-1325. Bourbaki (1970), p. A I.28. 35 Boyer (1968), p. 628. 36 Boyer, (1968), p. 628. 34

17

questo giustifica e contestualizza la scelta di Krauss che, dalle sue osservazioni filosofico - artistiche, scivola fino alle trasformazioni algebriche di inizio secolo. La rappresentazione grafica del Gruppo di Klein, la ispira, genericamente e metaforicamente, definire “l’universo della percezione visiva”37 (fig. 8) inteso dalle tendenze artistiche moderniste, il modo di percezione studiato dagli artisti modernisti durante la produzione dei loro lavori. Questo schema si fonda su un’opposizione di base tra figura e sfondo e i loro inversi.

Figura 8. Universo della percezione visiva.

Fonte: Krauss (1993), p. 13.

L’opposizione di base su cui si regge l’intero schema è quella tra figura e sfondo, senza la quale non sarebbe possibile la visione. Le altre possibili opposizioni sono cinque e precisamente: quella tra sfondo e non-sfondo, tra figura e non-figura, tra non-sfondo e nonfigura, tra sfondo e non-figura e infine tra figura e non-sfondo. L’opposizione e la successione di figura e sfondo rendono possibile l’esperienza di percezione visiva quotidiana: la figura emerge rispetto allo sfondo e per contrasto, per differenza, per separazione si percepiscono entrambi i termini, figura e sfondo. All’inverso troviamo l’asse non figura-non sfondo, che è quella parallelamente alla quale si sviluppano le tecniche moderniste di rappresentazione: non più successione o distinzione tra figura e 37

Krauss (1993), p.13.

18

sfondo, ma «tutto-in-una-volta»,38 una visione totale e simultanea:39 nel campo visivo riprodotto sulla tela dal modernista, lo sfondo non è più dietro, ma avanti, è non sfondo; la figura è delocalizzata e, per effetto di una confusione e identificazione con lo sfondo è non figura. Una delle diverse possibilità di scambio tra figura e sfondo è notata da Wittgenstein (1889-1951) quando parla di vedere come,40 cioè la fase intermedia tra il vedere e il pensare che rende valida la possibilità di «vedere cose diverse»41 in una sola figura. Molteplici sono, infatti, gli esempi di figure bistabili o ambigue che fondano la loro struttura sull’inversione tra figura e sfondo (fig. 9).

Figura 9. Figure bistabili e figure ambigue.

Fonte: Gregory (1998), p. 16. 38

Ivi, p. 14. Le scatole cinesi, la Matrioska; la cornice nella cornice di Frank Stella [in Krauss (1993), pp.5, 23 e in fig 10]; le chitarre di Picasso (1912-1913), New York, Museum of Modern Art; (1914), Zurigo, Kunsthaus Zurich). 40 Wittgenstein (1980), § 1. 41 Paternoster (2007), p. 65. 39

19

Ve ne sono di tre tipi: quelle che scambiano alternativamente gli oggetti e lo spazio fra gli oggetti (figura-sfondo); quelle che spontaneamente si trasformano da un disegno bidimensionale in una figura avente profondità; quelle, infine, che si modificano dall’immagine di un oggetto a quella di un oggetto diverso, o persino di qualche altro genere di forma. 42

In questo caso la geometria prospettica «esaurisce il suo compito ed entra in gioco la percezione»;43 infatti, un’unica figura geometrica, a seconda dell’angolazione prospettica da cui viene osservata, assume un senso che dipende da infinite possibilità di interpretazione.

Così

una

forma

ellittica

diventerà

la

rappresentazione prospettica di un oggetto circolare. In tutti i casi di illusione sopra citati, siamo in grado di avvertire l’orientamento e la distanza dell’oggetto «quando ci è noto».44 In questo senso la nostra conoscenza del mondo attraverso la percezione è determinante «nel farci vedere la figura informe come un oggetto particolare»,45 nel non essere ingannati dall’ambiguità dell’immagine. In

generale

potremmo dire

che, nell’ambito dell’arte

modernista, il meccanismo di scambio tra figura e sfondo si realizza prevalentemente attraverso la costruzione di un’illusione che rende vaghi i limiti tra la figura e lo sfondo, favorendo un continuum visivo e una totalità di visione. L’ambizione propria del modernismo “classico” [è quella] di attribuire un registro spaziale specifico alla modalità percettiva richiesta dalle arti della visione, una spazialità che annienterebbe qualsiasi separazione tra le figure e il loro ambiente o sfondo, in modo da produrre un continuum che i nostri corpi materiali non potrebbero in nessun caso attraversare, ma in cui il nostro sguardo può facilmente insinuarsi.46

42

Gregory (1998), p. 15. Ivi, p. 259. 44 Ivi, p. 264, nostro il corsivo. 45 Ibidem. 46 Bois e Krauss (1997), p. 66, vedi anche sopra §2. 43

20

Figura 10. Frank Stella, Hyena Stomp, 1962, London Tate Gallery, Londra.

Fonte: Krauss (1993), p. 23.

Nella pittura, i tratti visivi che illustrano questo concetto solo apparentemente complesso, sono quelli distintivi del Cubismo, del Futurismo e dell’Astrattismo. Un modernista eccellente, Boccioni, sosteneva che «la pittura futurista ha superato questa concezione della continuità ritmica delle linee in una figura e dell’isolamento di esse dal fondo e dallo spazio».47 Del resto, l’arte di Boccioni, padre del dinamismo plastico, è uno degli esempi più evidenti della simultaneità di visione per il blocco del movimento dei soggetti, o meglio per la fusione di corpi in movimento con lo spazio che questi 47

Umberto Boccioni (1912).

21

stessi attraversano,48 (fig. 11) un esempio in cui «le forme si sovrapponevano, anzi si “compenetravano” determinando uno spazio dinamicamente e vitalisticamente inteso»:49 Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi, ma appare e scompare incessantemente. Per la persistenza dell’immagine nella retina, le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono. Così un cavallo in corsa non ha quattro gambe: ne ha venti. 50

Figura 11. Giacomo Balla, Dinamismo di un cane al guinzaglio, 1912, AlbrightKnox Art Gallery, New York.

Fonte: Cricco e Di Teodoro (2005), p. 814.

Con questi artifici, la pittura modernista si scosta dal campo della percezione reale, ma questo superamento, questa diversione dalla realtà non consiste in nessun modo nella cancellazione o nella

48

Coen (2008), pp. 7 – 8. Migliaccio (1995), p. 80. 50 Boccioni et al. (1910). 49

22

negazione della realtà stessa: il modo di visione reale rimane ineludibilmente, come lo schema del Gruppo di Klein dimostra, il corrispettivo

speculare

(uguale

e

opposto)

dell’esperienza

modernista, che ne risulta vincolata. Un esempio molto discusso è il Cubismo di Pablo Picasso: alcuni ritengono che la realtà proposta dal cubista sia una realtà fenomenologicamente intesa, tale grazie ai giochi chiaroscurali di cui Picasso si serve per rendere un particolare effetto di tridimensionalità e all’utilizzo degli schemi classici e delle forme geometriche dell’arte del passato;51 altri sostengono, ed è questa la tesi che abbiamo scelto di seguire, che egli costruisca sulle sue tele una realtà nuova e diversa da quella conosciuta dai fenomenologi, negando la percezione prospettica perché ritenuta ingannevole.52 Quella di Picasso, però, è una realtà spalmata, appiattita in modo che tutti i lati siano visibili, una realtà in cui l’“anisotropia”53 «dello spazio percettivo, cioè del suo carattere non simmetrico»,54 osservata dagli psicologi della Gestalt viene annullata. In questo senso può essere intesa come una particolare esperienza di visione

totale,

vorremmo

azzardare

fenomenica,

ma

non

fenomenologica55 proprio perché «l’oggetto viene ricostruito in maniera più sintetica, così come si presenta nella mente dell’artista 51

Da Lemaire (1987), pp. 28-29: «In questa scena (Les Demoiselles d’Avignon) Picasso utilizza lo schema classico delle Tre Grazie e, dietro le bagnanti geometriche di Cézanne e di Derain, c’è sempre Ingres, per non parlare di Manet». 52 Da Cricco e Di Teodoro (2005), pp.782-783: «Immaginiamo ad esempio un cubo […] In una qualsiasi veduta prospettica esso ci mostrerà al massimo solo tre delle sue sei facce che, pur essendo quadrate, ci appariranno a forma di parallelogrammi irregolari […] Nonostante tutto, però, la visione di questo cubo la definiamo perfettamente verosimile. Osserviamo ora un altro cubo. Questa volta si tratta dello sviluppo in piano del solido precedente. Esso ha tutte le sei facce perfettamente quadrate e uguali […]Tale cubo, dunque , è molto più vero del precedente, anche se assai meno verosimile. Quanto detto a proposito del cubo può essere esteso a qualsiasi altro possibile soggetto […] La realtà che percepiamo attraverso il senso della vista, infatti, è spesso diversissima dalla realtà vera». 53 Bois e Krauss (1997), p. 85. 54 Ibidem. 55 Per le considerazioni di cui sopra possiamo dire che la realtà rappresentata da Picasso è fenomenica: rappresenta fenomeni riconoscibili; ma è anche non fenomenologica perché non rispetta la tridimensionalità prospettica: nulla è adombrato, tutto è palesato.

23

nel momento in cui, rivedendolo interiormente, pensa di rappresentarlo».56 Infatti, seppure il termine modernismo suggerisca l’idea di progresso e innovazione, l’arte modernista è un’arte che «non faceva che assoggettarsi sempre più alle categorie tradizionali innanzitutto della pittura, poi della scultura».57 Il quadro, nota Krauss, per i modernisti era innanzitutto «una superficie piana coperta di colori accostati in un determinato ordine».58 Allora si riesce in questo modo a raggiungere l’inconscio dello spettatore? Può la profondità dell’inconscio esprimersi secondo un meccanismo superficiale e razionale, nel gioco di identità e negazione e in categorie pittoriche che raffigurano la realtà piena del suo senso comune? Come la ragione non riesce più a dominare i processi di trasformazione del mondo, così l’arte non può, con l’ausilio delle tecniche tradizionali, tutte giocate sul controllo, esaurire il proprio percorso nel progetto dell’artista. 59

È come se l’arte, da sempre impegnata a riflettere sui più significativi aspetti della realtà, in un momento storico così denso di trasformazioni quale è quello di inizio Novecento, continui a ricoprire il suo ruolo con strumenti che non sembrano essere adatti a rendere la nuova complessità sociale. Inoltre, il Gruppo di Klein è, almeno nell’interpretazione della Krauss, una struttura chiusa, limitata, statica, invece La realtà inconscia è adimensionale. I punti di riferimento temporali risultano sfalsati. Il passato e il presente si sovrappongono. I luoghi si confondono. Una cosa e il suo contrario possono coesistere senza contraddirsi […]. Il soggetto può essere a un tempo se stesso e qualcun altro, maschile e femminile […]. I significanti della

56

Migliaccio (2008), p. 21. Bois e Krauss (1997), p. 134. 58 Ivi, p. 135. 59 Bonito Oliva (2002), p. 7. 57

24

fantasia non corrispondono ai significanti del mondo esterno e della realtà concreta. 60

Non solo, in molti casi i suoi elementi – relativamente all’analisi del campo di visione modernista – diventano addirittura oggetti astratti, simbolici:61 il non sfondo e la non figura diventano sagome non figurative nelle opere dell’astrattista Vasilij Kandinskij (18661944)62 dopo l’esperienza tedesca del Bauhaus,63 scuola superiore della forma in fotografia. Kandinskij diceva che erano “così” […]; nuda affermazione che non poggia su nessuna somiglianza, e che, quando le si domanda “che cos’è”, può rispondere soltanto riferendosi […] a ciò che vi si trova: “forma rossa”, “triangoli”, “violetto arancione”.64 (fig. 12)

Figura 12. Vasilij Kandinskij, Composizione VI, 1913, Ermitage, San Pietroburgo.

60

Ansermet e Magistretti (2004), pp. 98-99. Si consideri che il contrasto tra i significanti della fantasia e i significanti della realtà esterna è una dissimiglianza di ordine semantico, non iconico. 61 Si pensi di nuovo alle cornici di Frank Stella come Hyena Stomp, (1962), Londra, London Tate Gallery. 62 Cricco-Di Teodoro, (2005), pp. 848-851. 63 Madesani (2005), pp. 68-69. 64 Focault (1973), p. 47.

25

Fonte: Cricco e Di Teodoro (2005), p. 851.

Non è un caso che l’astrattismo dell’arte non figurativa venga ricordata assieme all’astrattismo musicale, a indicare una miscela indeterminata di colori e forme, infatti è fortissimo il legame tra pittori e musicisti in questo periodo, grazie all’eredità romantica raccolta dai più grandi esponenti del gruppo artistico “Der Blaue Reiter”, capaci di trasformare e spazializzare il tempo musicale, destatore di istinti ancestrali e inconsci, in forme e colori.65 E si tratta di uno scambio bidirezionale che può essere inteso anche da un punto di vista prettamente tecnico: La musica prende a prestito parole e aggettivi della pittura e parla di suoni chiari e suoni scuri, di scale cromatiche, di composizione[…]; viceversa le arti visive prendono a modello parole della musica e parlano di tono, timbro, di colori squillanti, di armonia, improvvisazioni. 66

L’inconscio, invece, nella sua rappresentazione onirica in immagini, che è l’esempio originale di figurazione dell’inconscio, non si manifesta mai astrattamente: «qualsiasi cosa il sogno ci presenti, esso trae il proprio materiale dalla realtà […]. Per quanto bizzarro possa essere il sogno non riesce mai a staccarsi veramente dal mondo reale».67 Allo stesso modo in pittura: il Surrealismo, espressione del «funzionamento reale del pensiero, con assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione»,68 illustra l’inconscio attraverso uno stile iconico, essendo di per sé una corrente figurativa e non astratta. Non solo, il concetto su cui si fonda il Surrealismo è la paranoia, che, secondo Dalì, può essere resa attraverso le immagini doppie, e cioè la «rappresentazione di un oggetto che, senza la minima modificazione figurativa o anatomica, sia nello stesso tempo la rappresentazione di

65

Nigro Covre (2002), p. 32. Migliaccio (2008), p. 25. 67 Freud (1900), p. 19. 68 Breton (1924). 66

26

un altro […]assolutamente differente».69 Osservando un’opera surrealista si può evidentemente affermare che la visione è confusa, che le figure e gli sfondi si confondono e si identificano, ma sono sempre riconoscibili in una forma iconica. Un esempio emblematico di questa tipologia di rappresentazione ci è dato da Apparizione di un volto e di una fruttiera sulla spiaggia70 (fig. 13) di Salvador Dalì (19041989): l’artista ferma sulla tela le immagini di un sogno. Durante il “lavoro onirico”71 le forme sono definite e contraddette allo stesso tempo: il prodotto surrealista è per Krauss informe, ma non senza forma.72 Infatti qui informe va inteso come una “possibilità della forma”,73 non come una sua negazione. George Bataille (1897 – 1961) definisce l’informe come l’operazione che spiazza la forma e il contenuto74 e «si distacca dal modernismo insultando l’opposizione di forma e contenuto – essa stessa formale, derivante com’è da una logica binaria – dichiarandola nulla e non valida»75; e ancora: «[l’informe] non è soltanto un aggettivo con tale senso, ma un termine che serve a declassare»76 e, nel nostro caso, l’opera surrealista è declassante perché non illustra più il bello accademico dell’arte. Infatti, il Surrealismo colloca una figura (quindi una forma) in un contesto (si legga sfondo) astruso, per rendere valido quel “lavoro di spostamento”77 tipicamente onirico, caratteristicamente inconscio. Tanto che l’artista surrealista si serve di tecniche pittoriche che lo aiutino a svincolarsi dal controllo della ragione: il frottage, il

69

Dalì (1930), p. 170. (1938), Hartford, Wandsworth Atheneum Museum of Art, Collezione Ella Gallup e Mary Catlin Sumner. 71 Freud (1900), p. 257. 72 Krauss (1993), pp. 169-172. 73 Ivi, p. 172. 74 Bataille (1929), p. 382. 75 Bois e Krauss (1997), p.4. 76 Bataille (1929), p. 382. 77 Freud (1900), p. 282. 70

27

grattage, il collage.78 Il sonno della ragione, allora, non sembra generare più mostri,

79

ma immagini che illustrano la libertà

individuale dalla ragione malata di inizio Novecento, e l’individuo stesso dalla profondità della sua psiche.

Figura 13. Salvador Dalì, Apparizione di un volto e di una fruttiera sulla spiaggia, 1938, Wandsworth Atheneum Museum of Art, Hartford.

Fonte: Cricco e Di Teodoro (2005), p. 842.

78

A differenza di quest’ultima e più conosciuta tecnica, le prime due ricorrono a metodi inusuali nell’arte: il frottage, che vuole dire “sfregamento”, consiste nello sfregare con matita morbida o carboncino il supporto poggiato su una superficie più o meno scabra per ottenere particolari effetti pittorici; il grattage, invece, significa “raschiamento” e si realizza appunto raschiando il supporto per rimuovere il colore, precedentemente applicato, in maniera volutamente irregolare. 79 Francisco y Lucientes Goya, 1746-1828, Il sonno della ragione genera mostri, (1797), Madrid, Museo del Prado.

28

4 L’inconscio e la percezione del Sé

Il nesso tra la percezione del Sé e l’inconscio era stato riconosciuto da Jacques Lacan (1901-1981), tra l’altro influenzato dal Surrealismo nel suo percorso di formazione, per mezzo di contatti diretti con i maggiori esponenti di questa corrente artistica, nella comunicazione sullo Stadio dello specchio.80 Qui esponiamo in forma didascalica ed estremamente sintetizzata il concetto, sulla base anche dello Schema L,81 rappresentazione grafica che Krauss riprende e confronta con lo schema della visione modernista. Tra i sei e i diciotto mesi il bambino, che percepisce il suo corpo come a pezzi, di fronte alla sua immagine riflessa allo specchio, assume un comportamento di “giubilatorio”82 per il riconoscimento della propria completezza, che fino ad allora ravvisava solo nell’Altro. L’immagine di Sé si identifica con l’immagine dell’Altro e l’Io si forma su un’immagine esterna ed estranea al soggetto stesso, ma che struttura la sua interiorità;

83

anche perché vedersi tramite

un’immagine esterna – quella speculare – è l’unico modo per cogliersi nella propria totalità, essendo precluse allo sguardo diretto su se stessi, alcune parti del corpo. In questo senso l’immagine virtuale restituita dallo specchio può essere intesa in termini gestaltici, come generatrice di forma. Noi siamo, da adulti, come siamo proprio perché siamo (anche) animali catottrici: che hanno elaborato la doppia attitudine a guardare se stessi (per quanto possibile) e gli altri sia nella realtà percettiva che nella virtualità catottrica. 84

80

Lacan (1949). Lacan (1954), citato in Krauss (1993), p. 21. 82 Lacan (1949), p. 88. 83 Palombi (2009), p. 85. 84 Eco (1985 b), p. 14. 81

29

La relazione tra visione e inconscio, allora, in questo schema, si instaura con maggiore forza e pertinenza: infatti, non si parla più solo di confusione tra figura e sfondo, ma anche di identificazione tra soggetto e immagine; in un contesto artistico, tra spettatore e opera. Si passa dalla scissione del Gruppo di Klein alla dialettica dello Schema L: I motivi rispettivi di queste due operazioni funzionano con lo stesso carburante, cioè la negatività, ma mentre la dialettica mira alla riconciliazione finale […], la scissione al contrario cerca sempre […] di rendere impossibile l’assimilazione degli opposti.85

La discussione sulla percezione di Sé fuori di Sé, nell’analisi Kraussiana, è, a nostro avviso, arricchita da un antefatto che ha avuto importanti implicazioni sociologiche: la ritrattistica fotografica. In effetti, la fotografia degli inizi, dando il via a una querelle ancora attuale tra fotografi e pittori sulla dignità artistica della fotografia, 86 si sostituisce alla ritrattistica pittorica (appannaggio di pochi), coerentemente con la sua peculiare popolarità.87 Ora, se il referente pittorico

era

facoltativamente

reale,

quello

fotografico

è

necessariamente reale. La fotografia aderisce al suo referente in quanto indice ed è testimonianza innegabile dell’esistenza e dell’identità del soggetto ritratto. Il termine soggetto qui assume il duplice significato di tema della fotografia e di individuo vivo (anche se non vivente). Ma, secondo Roland Barthes (1915-1980), lo scatto (in inglese shoot, sparo), in modo innaturale e criminale, oggettifica il soggetto e uccide l’essere vivo. 85

Bois e Krauss (1997), p. 57. Migliaccio (1995), pp. 44-48. 87 Di democrazia sembra dissertare Benjamin quando, in Benjamin (1936), parla di “riproducibilità tecnica”: iniziata dai nuovi strumenti tecnologici quali la fotografia e poi il cinema, è un efficace meccanismo di diffusione culturale e di equalizzazione delle classi sociali attraverso l’estensione tecnica della conoscenza fino alle masse. La fotografia, in particolare, non è solo lo strumento di cui le masse si rendono protagoniste attraverso i ritratti, ma è soprattutto uno strumento di cui tutti possono usufruire, senza una necessaria preparazione accademica. 86

30

Immaginariamente, la Fotografia (quella che io assumo) rappresenta quel particolarissimo momento in cui, a dire il vero, non sono né un oggetto, né un soggetto, ma piuttosto un soggetto che si sente diventare oggetto: in quel momento io vivo una microesperienza della morte (della parentesi): io divento veramente spettro.88

Nelle prime immagini fotografiche il soggetto vede se stesso come oggetto fuori dal tempo e fuori da Sé: questa esperienza provoca una dissociazione dell’identità molto simile a quella causata dal riflesso dello specchio, forse ancora più profonda. Secondo Umberto Eco (1932) ciò che rende una fotografia simile a un’immagine speculare è «un’assunzione pragmatica per cui la camera oscura (della macchina fotografica analogica) dovrebbe89 dire la verità quanto lo specchio, e in ogni caso attestare la presenza di un oggetto impressore».90 È comprensibile che alla fine del XIX secolo la persona che vedeva la sua immagine fissata su un cartoncino rettangolare avvertisse una sorta di allucinazione ottica, uno stravolgimento della percezione e dell’appercezione. Applicando questo modello di percezione di visiva alle più notevoli avanguardie storiche e ad alcune tendenze contemporanee, Krauss delinea i caratteri dell’inconscio ottico in un percorso che raccoglie i tratti comuni delle diverse correnti artistiche.

88

Barthes (1980), p. 15. Il condizionale qui rimanda a un’ampia discussione sulla non semiosicità dello specchio contrapposta alla semiosicità della fotografia, che Eco articola nel saggio del 1985 e che esula dai nostri interessi. 90 Eco (1985 b), p. 33, nostre le parentesi. 89

31

5 Ernst e Duchamp: l’inconscio nelle avanguardie storiche

Nello scenario artistico del Surrealismo indagato da Krauss, l’autrice assume come punto di riferimento per la sua trattazione, le opere di Max Ernst (1891-1976)91che, «padrone dei mezzi e della poetica surrealista, […] ha inventato un linguaggio pittorico evocativo che non ha mai smesso di essere ricerca, esperimento e anche strumento

di

conoscenza»92

scientifico

e

antropologico

dell’inconscio. Qui l’identificazione dello spettatore con l’immagine riprodotta sulla tela è resa possibile dal fatto che esiste una somiglianza iconica tra le immagini raffigurate nelle opere e le immagini che configurano il contenuto manifesto del sogno, che, “penoso”93 o “piacevole”,94 trae la sua origine da un desiderio: il sogno è un «appagamento di desiderio […] travestito»;95 quando si tratta di un desiderio sessuale, questo affonda le sue radici nell’infanzia del soggetto, spettatore o sognatore. Nei collages di Ernst intitolati La femme 100 têtes (figg. 14, 15 e 16), è onnipresente una figura femminile estranea all’ambiente rappresentato, che compare situata nelle collocazioni di maggiore pregnanza dello schema pittorico, in modo che sia immediatamente visibile;

talvolta

compaiono

solo

alcune

parti

del

corpo,

prevalentemente braccia e gambe, ma la presenza femminile è sempre efficacemente segnalata: «Diventa […] come una sorta di sfondo, è la superficie unica, maestosa, su cui tutto il resto si appoggia. Dunque un primo piano che è allo stesso tempo uno 91

Cricco e Di Teodoro (2005), pp. 830-831. Ragozzino (1995), p. 36. 93 Freud (1900), p. 132. 94 Ibidem. 95 Ivi, p. 138. 92

32

sfondo, un alto che è un basso»,96 non mero studium97 però, cioè mera organizzazione dello schema pittorico, ma soprattutto punctum98 perché è proprio ciò che colpisce lo spettatore nella sua esperienza visiva. Infatti, questa figura affiora sulla tela come nel sogno si compone l’immagine dell’oggetto desiderato, mancante e irraggiungibile, non di per sé, ma per una mancanza che è costitutiva del soggetto stesso.99

Figura 14. Max Ernst, La femme 100 têtes, Seguito, 1929.

Fonte: Krauss (1993), p. 33.

96

Krauss (1993), p. 35. Barthes (1980), pp. 27-28. 98 Ibidem. 99 Palombi (2009), p. 21. 97

33

Figura 15. Max Ernst, La femme 100 têtes, Seguito dei giochi diurni, crepuscolari e notturni, 1929.

Fonte: Krauss (1993), p. 34.

Figura 16. Max Ernst, La femme 100 têtes, Ecco la sete che mi somiglia, 1929.

Fonte: Krauss (1993), p. 37. 34

Nell’analisi psicoanalitica della sessualità infantile, l’oggetto mancante corrisponde al seno della madre – oggetto portatore di sollievo perché placa un «forte stato di angoscia somatica»100 (la fame e la sete) - che il bambino perde durante il periodo di svezzamento, processo di differenziazione tra il bambino e la madre (rispettivamente figura e sfondo, per utilizzare termini ormai a noi conosciuti) fino ad allora coincidenti nella mente del bambino: «Lo svezzamento provoca l’interruzione della contiguità tra i loro corpi (della madre e del bambino) che si era mantenuta soprattutto per mezzo del seno».101 E in effetti, quello che Ernst propone è un corpo femminile nudo o seminudo, richiamando alla memoria in maniera diretta l’oggetto del desiderio. In altri casi, infatti, l’oggetto del piacere può essere sostituito da un altro oggetto per via di una serie di associazioni inconsce: Se la madre indossa spesso una camicetta rosa quando viene verso il bambino per consolarlo, quella camicetta rosa sarà gradualmente associata a un’esperienza di piacere, perché il dispiacere cessa e allora si formerà una nuova associazione, questa volta tra camicetta rosa ed esperienza di soddisfacimento. Dopo essere un po’ cresciuto, il bambino scoprirà la sessualità con una cameriera che porta anch’essa spesso una camicetta rosa.102

La camicetta rosa «non è che un sostituto di un oggetto primo, perduto, impresso sotto forma di assenza nella vita fantasmatica che orienta inconsciamente l’azione».103 Lo spettatore dei collages di Ernst, allora, vivrebbe questa esperienza di visione in maniera quasi carnale104 – ci spinge a intuire Krauss – nella relazione con l’opera d’arte e con ciò che in essa vede.

100

Ansermet e Magistretti (2004), p. 80, nostro il corsivo. Palombi (2009), p. 77, nostre le parentesi. Cfr. Klein (1930). 102 Ansermet e Magistretti (2004), p. 85. 103 Ivi, p. 87. 104 Krauss (1993), pp. 116-117. 101

35

Marcel Duchamp (1887-1968)105 è un altro autore vagliato da Krauss, artista dadaista e surrealista, produsse opere in grado di raggiungere l’inconscio per vie simili a quelle percorse da Ernst. In modo particolare sono rilevanti i Rotorilievi: conseguenza tecnica dei dischi del fisico scozzese James Clerck Maxwell (1831-1879), sono «qualcosa tra il film e il quadro»106 dice Krauss, che roteando generano non più l’illusione ottica dell’unicità del colore,107 ma l’illusione ottica di oggetti parziali, di oggetti del desiderio. 108 In particolare Krauss ne menziona due: La lanterna cinese109 (fig. 17) e Corolle110 (fig. 18), affermando che «provocavano uno spettacolo più ambiguo»111 rispetto agli altri. Infatti, nota Krauss con certezza («Non vi è nessuna proiezione personale da parte mia; altri studiosi hanno infatti già sottolineato questo fenomeno»112), facendo girare queste forme apparentemente non figurative sul piatto di un fonografo, si concretizzava,113 attraverso una sorta di pulsazione che ricorda i movimenti copulatori, nel primo caso un seno, nel secondo una vulva. «Duchamp […] ci obbliga a fissare un oggetto che, se pur gira, gira sul posto»114 e la sua «spirale trasforma la spinta dell’azione in 105

Cricco, Di Teodoro (2005), p. 826. Bois e Krauss (1997), p. 134. 107 La teoria sulla visione dei colori di Maxwell è da considerarsi come il primo metodo per la misurazione della frequenza dei colori. Attraverso l’utilizzo di dischi roteanti, su cui venivano applicati i colori primari, Maxwell miscelava le tonalità secondo diverse proporzioni dei colori primari. Riuscì così a ottenere le sfumature dello spettro, ciascuna delle quali corrispondeva a un calcolo matematico, che gli consentiva di misurarne la frequenza. 108 Da Migliaccio (2008), p. 36: «Il Dadaismo non voleva essere un’estetica, ma un modo di concepire l’arte e la vita; esso non si volle tanto interessare al valore artistico dell’oggetto quanto alla necessità di togliere, mediante shock, lo spettatore dalle sue pigre abitudini mentali». 109 (1935), Rotorelief (La lanterna cinese), New York, Museum of Modern Art, donazione dalla Riklis Collection della McCrory Corporation. 110 (1935), Rotorelief (Corolle), New York, Museum of Modern Art, donazione dalla Riklis Collection della McCrory Corporation. 111 Krauss (1993), p. 96. 112 Ibidem. 113 Ciò che rende possibile vedere un’immagine bidimensionale trasformarsi in immagine tridimensionale è, insieme all’effetto illusorio della rotazione, la nostra percezione stereoscopica. Vedi nota 14. 114 Bois e Krauss (1997), p. 133. 106

36

un singhiozzo ripetitivo e la continuità del movimento nel ritmo sincopato di una pulsazione o di un battito».115 Temporalità e mobilità coincidono, o meglio, il tempo necessario per fruire della dimensione semantica dell’opera assistendo alla rotazione, implica e procede contemporaneamente alla rotazione stessa: «La temporalità riguarda anzitutto il modo in cui l’espressione si svolge sotto i nostri occhi

[…].

Ne

nascono

diverse

dinamiche

di

percezione

dell’espressione»116

Figura 17. Marcel Duchamp, Rotorilievi. Lanterna cinese, 1935, Museum of Modern Art, New York.

Fonte: Krauss (1993), p. 101.

115 116

Ibidem. Eco (1985 c), p. 118, nostro il corsivo.

37

Figura 18. Marcel Duchamp, Rotorilievi. Corolla, 1935, Museum of Modern Art, New York.

Fonte: Krauss (1993), p. 102.

L’illusione ottica di Duchamp non si ferma, quindi, alla retina, ma accede alla profondità della materia grigia, dell’inconscio, sempre attraverso l’oggetto perduto. Del resto, anche da un punto di vista fisiologico, «l’occhio è un semplice strumento ottico […]. L’autentico motore della comprensione è il cervello»:117 la retina ha una funzione che si concretizza nel fare da schermo alle immagini proiettate dal cristallino. La retina, dunque può essere riconosciuta come il luogo in cui si costituisce il primo stadio della percezione visiva.118 Il metodo modernista che, con i Fauves119 dava potere al colore («Il colore è sfarzo»120), con il Cubismo riorganizzava la realtà fingendo un nuovo modo di percepirla, con l’Astrattismo proponeva un’arte non figurativa, non è adatto a definire il rapporto tra visione e inconscio, tra visione e condizionamento psicofisico, perché rimane al livello più 117

Gregory (1998), p. 1. Per approfondimenti cfr. Gregory (2008), i capp. 5 e 6. 119 Cricco, Di Teodoro (2005), pp. 762-766. 120 Matisse (1972), p.155. 118

38

superficiale della percezione visiva. Uno dei postulati teorici del modernismo è quello secondo cui «l’arte visiva, la pittura in particolare, si indirizza solo al senso della vista».121 Accedere alla materia grigia vuol dire superare la mera percezione retinica e rende possibile uno studio concettuale122 dell’opera d’arte dadaista e surrealista e dei suoi effetti sulla psiche dello spettatore, tuttavia eludendo speculazioni di tipo metafisico e anzi rimanendo fortemente vincolati alla carnalità, alla fisicità del processo di percezione dell’immagine. Ma la materia grigia […], benché si riferisca indubbiamente alla corteccia cerebrale, non invoca con questo una facoltà cognitiva o riflessiva disincarnata […] La corteccia cerebrale non sta al di sopra del corpo in un grado di parentela ideale o di idealità; al contrario, è parte del corpo. 123

Questo è ancor più vero se si considerano i meccanismi neuronali di veicolazione dell’informazione visiva: dalla retina l’immagine giunge alle regioni della corteccia cerebrale sotto forma di impulsi elettrici prodotti dal corpo; dunque la visione, da un punto di vista anche puramente biologico, coinvolge tutto il corpo e, se si estende il senso del termine carnale a un ambito non strettamente connesso alla sfera sessuale, riteniamo si possa dire che la visione è carnale.124 L’immaginario stesso dell’artista, fonte della sua produzione è «un’energia mentale che non tocca solamente il livello corticale, ma attraversa tutto il corpo dell’artista, inteso come campo elettrico che genera catene di emozioni e scatena impulsi».125 La carnalità della visione riacquista, però, un significato erotico nella pittura di Duchamp. Krauss ricorda nello specifico un’opera 121

Bois e Krauss (1997), p. 14. Concettuale qui inteso non in senso storico (arte programmata), ma come mero superamento della sola attività retinica, in senso strettamente letterale. 123 Krauss (1993), p. 126. 124 Da Bois e Krauss (1997), p. 136: «La pulsazione stessa […] rimanda alla densità del tessuto nervoso». 125 Bonito Oliva (2002), p. 20. 122

39

dell’artista francese, Étant donnés (fig. 19).126 Qui, per una simmetria di punti di vista e punti di fuga, Krauss sostiene, sulla base delle tesi di Jean Franςois Lyotard (1924-1998),127 l’identificazione dello spettatore con ciò che vede (che è anche oggetto di desiderio sessuale) ed evidenzia ancora come Duchamp voglia sottolineare la fisicità dell’esperienza visiva, che «vediamo con il corpo»,128 e anche perché «le percezioni derivanti dalla realtà interna inconscia – ossia quelle legate all’attivazione della fantasia (in questo caso sessuale) – sono associate a stati somatici assai fortemente percepiti dall’individuo»129 e la pulsione libidinale stimolata attraverso la vista identifica

il

suo

fine

ultimo

nel

ripristino

dell’omeostasi

dell’organismo, alterata per esempio dall’accelerazione del battito cardiaco.

Figura 19. Marcel Duchamp, Etant donnés: 1 la chute d'eau, 2 le gaz d'éclairage, 1945 - 1966, Philadelphia Museum of Art, Filadelfia.

Fonte: Krauss (1993), p. 115. 126

(1945-1966), Étant donnés: 1)la chute d’eau, 2)le gaz d’éclairage, Filadelfia, Philadelphia Museum of Art, donazione della Cassandra Foundation. 127 Cfr. Krauss (1993), p. 116. Lyotard fu un filosofo post-strutturalista francese. 128 Bois e Krauss (1997), p. 136. 129 Ansermet e Magistretti (2004), p. 94, nostre le parentesi.

40

6 Il desiderio e la visione

La possibilità di stimolare il desiderio sessuale con la vista era già stata teorizzata dall’autorevole penna di Freud, che scriveva: Se la pulsione sessuale parziale che si serve del guardare – il piacere sessuale di guardare – ha attirato su di sé a causa delle sue eccessive pretese la reazione difensiva delle pulsioni dell’Io, cosicché le rappresentazioni nelle quali si esprime la sua aspirazione cadono preda della rimozione e vengono tenute lontane dalla coscienza, la relazione della vista con l’Io e la coscienza in generale ne risulta disturbata.130

La visione dei cosiddetti “oggetti d’amore”,131 dunque, assume un’importanza

considerevole

nell’elaborazione

del

desiderio

sessuale, tanto che, se rimosso, può generare isteria somatizzata in una forma di cecità. Il desiderio sessuale può vedersi raffigurato anche nelle opere di Picasso, che già avevamo collocato nell’ambito modernista. Egli riconosce la verità dell’arte nell’istante congelato, nell’adesso, nel batter d’occhio, nello scatto fotografico, negando come un tabù il movimento e, pertanto, il movimento pulsionale, erotico che caratterizza il lavoro di Ernst e Duchamp. Tuttavia Picasso, alla fine della sua carriera e della sua vita, dopo aver anche aderito criticamente al Surrealismo, alla metà degli anni ’20 «pur non apprezzando molto i “paesaggi interiori” degli artisti che ne fanno parte»,132 sembra tacitamente cambiare indirizzo e riconoscere con

130

Freud (1910), p.293, anche in Krauss (1993), p. 140. Freud (1910), p. 293. 132 Lemaire (1987), p. 44. 131

41

Déjeuner sur l’herbe d’après Manet,133 (figg. 20 e 21)l’estensione del presente nel tempo come dinamismo nel tempo134: in questo caso «il quadro “racconta” le fasi della propria produzione come se fossero il proprio contenuto»,135 illustrando una sequenza temporale di fatti, infatti, tra le altre serie, qui Picasso sembra dare rilevanza a una narrazione che ricorda la cronofotografia e che è evidentemente evocatrice di un movimento erotico, proprio come i Rotorilievi di Duchamp. Non si nega, così, il fatto che le rappresentazioni di Picasso mantengano fino alla fine una certa iconicità fenomenica: rimangono un esempio di buona forma perché vincolate alla realtà e si contrappongono alla cattiva forma dadaista e surrealista, tale perché invece non trova mai un referente reale nel complesso dell’opera e nel contenuto di senso.

Figura 20. Pablo Picasso, Déjeuner sur l'herbe d'après Manet I, 1961, Staatsgalerie Stuttgart, Stoccarda.

Fonte: Krauss (1993), p. 236. 133

(10 luglio 1961), Stoccarda, Staatsgalerie Stuttgart; (13 luglio 1961), Parigi, Musée National Picasso. 134 Cfr. il presente agostiniano in Le confessioni, libro XI. 135 Eco (1985 c), p. 119.

42

Figura 21. Pablo Picasso, Déjeuner sur l'herbe d'après Manet II, 1961, Musée National Picasso, Parigi.

Fonte: Krauss (1993), p. 237.

Qui si inserisce la descrizione di un breve percorso evolutivo delle due espressioni buona forma e cattiva forma che, come stiamo per osservare, si influenzano a vicenda nella definizione del loro significato. L’arte d’Avignon,136

(fig.

di 22)

Picasso, quando sconvolse

i

con canoni

Les Demoiselles tradizionali

di

rappresentazione, era evidentemente reificazione della cattiva forma; ora, è buona forma rispetto alla cattiva forma delle avanguardie dadaiste e surrealiste137 e ancor più se raffrontata alle esperienze dell’Espressionismo Astratto.

136

(1907), New York, the Museum of Modern Art. Il periodo subito successivo alla maturità delle avanguardie storiche si chiamerà Ritorno all’ordine e sarà contraddistinto dalla “chiarezza razionale” [Migliaccio (2008), p. 47]. 137

43

Figura 22. Pablo Picasso, Les Demoiselles d'Avignon, 1907, The Museum of Modern Art, New York.

Fonte: Lemaire (1987), p. 29.

44

7. La forma, la forza, l’informe: l’inconscio nell’arte contemporanea

La forma di queste tendenze è cattiva perché quasi deformata da un forza: dalla forza del «bisogno di indipendenza», 138 in riferimento alle opere dada; alla forza dell’automatismo inconscio, se si pensa alle creazioni surrealiste; infine, forma soggetta alla forza di gravità nel caso dei prodotti dell’Action Painting dell’espressionista astratto Jackson Pollock. Quest’ultima forza, d’attrazione verso il basso, verso il fango, l’ignobile, acquisisce, per la nostra discussione, un senso duplice e in entrambi i casi interessante. Da un lato si prosegue l’illusione dell’identificazione tra figura e sfondo grazie all’assenza di tracce nette e continue che, in quanto tali, negherebbero la continuità dello spazio pittorico e definirebbero i limiti tra figura e sfondo: «Le colate permettono allora di leggere la tela come una continuità intatta, ininterrotta, un piano unico, indiviso».139 Dall’altro lato, la forza di gravità che attrae verso il basso, la vicinanza della tela e, di conseguenza, dell’autore al basso, al terreno, aprono uno scenario nuovo in cui fissare nuove osservazioni sulla rappresentazione visiva (ottica) dell’inconscio. Infatti, Pollock dipingeva in modo del tutto anticonvenzionale: la sua tela non era poggiata su un cavalletto, ma sul pavimento, quasi annullando la tradizionale distinzione tra scrittura (che si effettua, almeno a partire dall’invenzione della stampa, su un piano orizzontale contenente simboli) e la pittura (tradizionalmente verticale, dimensione contenente la raffigurazione iconica delle cose), comparsa più volte nella letteratura artistica dell’ultimo secolo. 140

138

Tzara (1918). Krauss (1993), p. 301. 140 Cfr. Benjamin (1913). 139

45

Pollock proverà la scrittura automatica per dare libero sfogo all’inconscio, ma fallirà nella sua impresa perché un linguaggio codificato quale è la scrittura non può, in quanto tale, registrare l’inconscio,

assolutamente

distinto

da

qualsiasi

forma

di

programmazione e di cultura, nonostante il linguaggio dell’inconscio, come è valido nel Surrealismo, «può essere più “artificioso” di quello verbale».141 La posizione orizzontale e non più verticale della tela da un punto di vista tecnico fa si che l’effetto di dripping, prodotto proprio dall’attrazione del colore verso il basso per via della forza di gravità, diventasse caratteristico della sua pittura, a differenza di quanto Pollock stesso usava fare nel corso della sua formazione, quando la tela, già posizionata sul pavimento, raffigurava silhouettes ben delineate e, dunque, la verticalità gestaltica rimaneva integra; da un punto di vista psicoanalitico, implica una serie di considerazioni sulla differenza tra umano e animale, razionale e irrazionale. In Tre saggi sulla teoria sessuale142 e in Disagio della civiltà143 Freud riflette sull’arte che «essendo “puramente visiva” […], si rivolge all’uomo in quanto creatura eretta, lontana dall’asse orizzontale, che regge la vita degli animali».144 L’uomo è molto fiero di essersi eretto […], ma questa fierezza è fondata su una rimozione. Verticale l’uomo ha biologicamente senso solo per guardare il sole e bruciarsi gli occhi o per contemplare i suoi piedi nel fango: la sua attuale architettura per la quale il suo sguardo orizzontale attraversa un campo visivo verticale è un travestimento.145

141

Ragozzino (1995), p. 35. Freud (1905). 143 Freud (1929). 144 Bois e Krauss (1997), p. 14. 145 Bois e Krauss (1997), p. 15. 142

46

Il senso del concetto di travestimento emerge da alcune considerazioni freudiane sulle conseguenze della posizione eretta. 146 Freud ritiene che l’acquisizione della postura eretta degli esseri umani faccia sì che la loro attenzione si focalizzi non più solo sui genitali dell’Altro147, ma su tutto il corpo, sperimentando la buona forma della Gestalt e sublimando la pulsione libidinale. Tuttavia l’animale umano si trova a retrocedere alla dimensione dell’animale non umano nell’esperienza artistica di Pollock che è orizzontalità. Tutto ciò è meglio comprensibile alla luce di importanti implicazioni

della

verticalità

per

la

percezione,

studiate

scientificamente dagli psicologi della Gestalt, secondo i quali «lo spazio percettivo costituisce […] una proiezione che restituisce allo spettatore la propria immagine virtuale come in uno specchio invisibile»,148 data la centralità del punto di vista del soggetto che vede il circostante in una prospettiva che rimanda alla sua posizione verticale. In relazione a questo l’artista contemporaneo Robert Morris (1931) ha stabilito una distinzione tra il costruito e il non costruito:149 Il primo termine indica tutto ciò che l’uomo ha inventato per resistere alla forza di dispersione della gravità – compreso, nel campo dell’arte, il telaio su cui si tende la tela, l’armatura che sostiene l’argilla, e tutta la gamma dei materiali rigidi impiegati […] Funzione del ben costruito, la forma è dunque verticale in quanto può resistere alla gravità, mentre ciò che le si sottomette è allora caratterizzato come anti-forma (si legga informe).150

Altre interpretazioni psicoanalitiche di tale metodo possono trovarsi ancora nel saggio del 1929151 in cui Freud espone il significato psicoanalitico del comportamento primitivo dell’orinare 146

Freud (1905) e Freud (1929). Con “Altro” qui e più avanti si intende “altra persona”. 148 Bois e Krauss (1997), p. 85. 149 Morris (1968). 150 Bois e Krauss (1997), p. 95. Nostre le parentesi. 151 Freud (1930). 147

47

sul fuoco – meccanicamente molto simile al lavorazione di un dripping, tanto che Andy Warhol (1928-1987) realizzerà la sua interpretazione dell’opera di Pollock con gli Oxidation Paintings152– riconducibile ad una competizione di tipo sessuale tra uomini. Da parte sua, Pollock visse per tutta la vita, uno stato di profondo disagio esistenziale dato da un’ossessiva necessità di prevalere sull’Altro (sia nella competizione artistica che fuori da questo contesto), in una sfida mai conclusa. Allora l’orizzontalità del lavoro di Pollock può essere inteso, ragiona Krauss, non solo come regressione filogenetica fino allo stato dell’homo homini lupus,153 ma anche come negazione dell’Altro e di se stesso in quanto immagine speculare dell’Altro. 154 È come se Pollock compisse «un gesto inusitato, […] un movimento inconsulto […] per effettuare una sgomitata tra i rigidi paletti delle cose e mandarli all’aria».155 E Pollock lascia sulle sue tele una traccia visiva della violenza di questo scontro psicologico, occultando con le matasse aggrovigliate di colore la figura umana, lasciandola nel sotto del dipinto, in una ripetuta tendenza verso il basso, l’irrazionale, l’animale. Lacan, sembra fornire un’adeguata diagnosi dello stato psichico di Pollock; infatti afferma: «La ferocia dell’uomo verso i propri simili supera le possibilità degli animali e […], di fronte alla minaccia che essa rappresenta per la natura intera, persino gli animali carnivori inorridiscono».156 Inizialmente usava disegnare sulla tela delle figure per poi cancellarle ricoprendole di dripping, negando così la figura dell’Altro e la sua verticalità costitutiva; più tardi comprese che non era necessario accanirsi sulla figura: bastava mettere in crisi la verticalità, in quanto natura dell’uomo. L’esempio più calzante di questo 152

(1978), New York, The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts/ARS. Furono realizzati orinando sulla tela poggiata sul pavimento. 153 Plauto, Asinaria, II, 4, 88. Cfr. anche Freud (1929), p. 599. 154 Supra. 155 Bonito Oliva (2002), p. 19. 156 Lacan (1950), p. 141.

48

sviluppo è Full fathom five,157 ci fa notare Krauss,158 in cui alla forza di gravità che rende possibile l’effetto dripping, si aggiungono monetine, chiodi, mozziconi di sigaretta che l’autore, lascia cadere sulla tela, a sottolineare la sua posizione orizzontale e bassa. Così, anche nel momento in cui la tela verrà verticalizzata per essere appesa al muro, conserverà la sua origine orizzontale. Solo negli ultimi anni Pollock cederà alla verticalità, producendo opere in cui linee verticali denunciano la posizione della tela durante la lavorazione (fig. 23).159

Figura 23. Jackson Pollock, Blue Poles, 1953, Coll. Privata, New York.

Fonte: Cricco e Di Teodoro (2005), p. 928.

157

(1947), New York, Museum of Modern Art. Bois e Krauss (1997), p. 92. 159 Si veda il celebre Blue Poles (1953), New York, Collezione Ben Heller. 158

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