San Francesco tra \"pietas\" e mistica.

May 26, 2017 | Autor: Davide Merlin | Categoria: Mysticism, San Francesco
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Giovanni Vedovotto

TANCREDI ARTICO è laureato in Lettere Moderne e Filologia Moderna all’Università di Padova. Sta ora conseguendo il Dottorato, nel medesimo Ateneo, in Italianistica. I suoi interessi convergono principalmente sulla narrativa in ottava di Cinque e Seicento, oltre che sulla diaristica di guerra legata al primo conflitto mondiale.

OTTOCENTO ANNI DI FRANCESCO PERCORSI STORICI E LETTERARI DAL SANTO DI ASSISI A PAPA BERGOGLIO

ENRICO DA RÙ è laureato in Lettere Moderne e Filologia Moderna all’Università di Padova. Insegna ora alle scuole medie. I suoi interessi spaziano dalla letteratura medievale, in ispecie latina, alla poesia italiana del Novecento. DAVIDE MERLIN è laureato in Scienze Storiche e Scienze delle Religioni all’Università di Padova. Sta ora perseguendo una laurea in Teologia alla Facoltà Teologica del Triveneto. I suoi interessi riguardano soprattutto le scienze delle religioni, con particolare riferimento all’ebraismo e all’islamismo. FRANCO TOMASI insegna Letteratura Italiana all’Università di Padova. Il suo interesse si focalizza in particolare sulla letteratura rinascimentale; all’interno di quest’ambito è da ricordare soprattutto la sua edizione commentata della Gerusalemme liberata (BUR, 2009), oltre a importanti curatele come la Lettura della «Gerusalemme liberata» (Edizioni dell’Orso, 2005) e la Lettura dell’«Orlando furioso» (Edizioni del Galluzzo, 2016). NICOLA TONIETTO è laureato in Storia e Scienze storiche all’Università di Padova. Sta ora conseguendo il dottorato in Storia Contemporanea all’Università di Trieste. I suoi interessi puntano maggiormente ad analizzare la storia politica italiana (e non solo) che segue alla Seconda Guerra Mondiale.

12,00 euro

VdP 27-2016

GIOVANNI VEDOVOTTO è laureato in Lettere Moderne e Filologia Moderna all’Università di Padova. I suoi interessi di ricerca si focalizzano in particolar modo sullo studio dell’opera dantesca e sui poemi cinquecenteschi.

OTTOCENTO ANNI DI FRANCESCO PERCORSI STORICI E LETTERARI DAL SANTO DI ASSISI A PAPA BERGOGLIO Atti della giornata di studi dell’11 ottobre 2015 Crespano del Grappa

a cura di Giovanni Vedovotto con una prefezione di Franco Tomasi

Il presente volume raccoglie gli atti della giornata di studi dedicata alla figura di san Francesco ed alla ricerca dell’interpretazione e della riappropriazione della sua immagine che sono state fatte in diversi momenti nel corso dei secoli. Senza nessuna pretesa di esaustività (ché sarebbe lavoro richiedente ben più estesa mole), i cinque saggi qui raccolti sono spesso intesi, più che a fornire risposte, a proporre degli interessanti e mirati spunti di analisi indirizzati a loro volta a suscitare nuove, importanti questioni. Ovviamente, l’estesissima fortuna che Francesco ha ricevuto nel corso dei secoli ha fatto sì che il Poverello d’Assisi diventasse (e sin da subito) una sorta di ‘figura mitologica’, andata via via arricchendosi di ulteriori significati che in realtà, a volte almeno, possono essere ben distanti da quelle che erano le reali intenzioni del santo. Ecco allora che, come scrive Franco Tomasi nella prefazione alla raccolta, «questa straordinaria fortuna comporta però anche la difficoltà di studiare e affrontare con solidi strumenti della ricerca umanistica la figura del santo, troppo spesso chiamato in causa per le più diverse occasioni, talvolta anche attraverso strumentalizzazioni più o meno evidenti», difficoltà che comunque i saggi qui raccolti si propongono di affrontare con entusiasmo e capacità di intenti. E ciò con il fine conclusivo non di interpretare Francesco, quanto piuttosto di renderlo interpretabile senza pregiudizi di qualsiasi sorta, oppure ancora di disegnare alcune di quelle che ne sono state le interpretazioni nel corso dei secoli, dal santo di Assisi a Papa Bergoglio.

OTTOCENTO ANNI DI FRANCESCO: PERCORSI STORICI E LETTERARI DAL SANTO DI ASSISI A PAPA BERGOGLIO Atti della giornata di studi 11 ottobre 2015

a cura di Giovanni Vedovotto con una prefezione di Franco Tomasi

Crespano del Grappa 2016

SOMMARIO

Prefazione

pag.

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Franco Tomasi

I.

SAN FRANCESCO TRA “PIETAS” E MISTICA Davide Merlin

II. FRANCESCO SCRITTORE (E NOTE SULLE BIOGRAFIE DEL SANTO) Enrico Da Rù

III. L’ANTI-FRANCESCANESIMO DEI PAPI SIMONIACI («INFERNO», XIX) Giovanni Vedovotto

IV. L’«ATLETA DI DIO». IL “SAN FRANCESCO” DI GALLUCCI E LA RISCRITTURA SEICENTESCA DEL MITO

Tancredi Artico

V. DA FRANCESCO A FRANCESCO: L’EREDITÀ DEL SANTO DI ASSISI NEGLI SCRITTI, NELLE SCELTE E NELLA FIGURA DI PAPA BERGOGLIO Nicola Tonietto

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SAN FRANCESCO TRA “PIETAS” E MISTICA Davide Merlin

DAVIDE MERLIN

Illustrare la vita di san Francesco in modo da darne una ricostruzione storicamente attendibile è parimenti un atto di onestà intellettuale e un’operazione stupefacente. Più si guarda alla sua storia con disincanto e più ci si rende conto della sua unicità e straordinarietà. È stato detto e scritto moltissimo sulla figura del patrono d’Italia, ed è un compito alquanto arduo cercare di destare nuovamente l’interesse riproponendo un aspetto, quello biografico appunto, che è stato, per così dire, inflazionato.1 In altre parole: cosa è ancora possibile dire di nuovo su Francesco d’Assisi? Nulla in realtà, a patto di cambiare di volta in volta l’ottica attraverso la quale si vuole ripercorre la vita del santo. Ecco allora che giungo a delineare i due aspetti chiave tramite i quali mi è stato possibile rileggere la storia francescana, gettandovi (almeno spero) una nuova luce: la pietas e la mistica. Con il primo termine si intende far riferimento non all’accezione odierna di pietà quale compassione, quanto piuttosto all’etimologia latina che rimanda al senso di devozione e amor di Dio. Ed è proprio in questo senso, lo si vedrà, che il significato di tale lemma costituisce una, se non ‘la’, caratteristica fondamentale di Francesco d’Assisi, il quale infatti pone al centro di tutta la sua riflessione l’amore verso Dio, esplicato tramite un costante e perseverante atteggiamento di adesione al modello evangelico, che può tranquillamente esser definito in termini di sequela Christi o di ‘cristomimesi’. Con il vocabolo ‘mistica’, invece, si intende far riferimento non tanto all’idea di unione col divino propria dell’esoterismo cristiano, ma piuttosto al concetto di ‘salvezza dal dover vivere da uomini’ delineato da Dario Sabba-

1 I riferimenti bibliografici di seguito non costituiscono di sicuro un esaustivo quadro dell’ovviamente estesissima bibliografia concernente la biografia di san Francesco, ma vogliono essere una semplice indicazione su alcuni dei testi utili, secondo chi scrive, ad una ricerca storica: si vedano almeno, dunque, A. FORTINI, Nova vita di San Francesco d’Assisi, Milano, Alpes, 1926; ID., San Francesco, Roma, Bibliotheca Fides, 1969; F. CARDINI, Francesco d’Assisi, Milano, Mondadori, 1989; J. LE GOFF, San Francesco d’Assisi, Roma-Bari, Laterza, 2000.

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tucci nel suo saggio sul misticismo greco,2 ossia al processo di definizione di una via alternativa alla mondanità (tramite i mezzi che la mondanità stessa offre), che permetta di sfuggire a determinate costrizioni della vita quotidiana. Appare dunque evidente, in questo senso, che la storia francescana è segnata da un intento puramente ‘mistico’, per l’appunto, finalizzato alla costituzione di un modello alternativo a quello ordinario e mondano, basato sulla convinzione dell’assoluta perfezione dell’esempio di vita evangelico. Ma andiamo per gradi. Innanzitutto è necessario, al fine di delineare un’esaustiva descrizione, illustrare il contesto storico dell’Assisi del tredicesimo secolo, in modo da non procedere aprioristicamente. Gli anni in cui Francesco visse, furono tra i più prosperi che l’Occidente avesse conosciuto dall’inizio del millennio fino al diciottesimo secolo: il clima mite consentiva il susseguirsi piuttosto regolare delle annate di buon raccolto, e mancarono episodi di epidemie e carestie. Certo non ci si deve immaginare che la resa agricola fosse altissima, ed è proprio per questo che la gente contadina, oltre ad odiare i fannulloni girovaghi e mendicanti,3 sicuramente non amava gli uccelli che divoravano le sementi. Curioso notare, in questo senso, che Francesco fece di questi due impopolari elementi (la mendicità e gli animali) dei punti fondamentali della sua vita. L’economia assisana era essenzialmente agricola, cosa che favorì il disboscamento e la modifica dei territori circostanti, i quali presupposero a loro volta l’investimento di capitale liquido da parte di quei ceti di neoproprietari cittadini discretamente provvisti di denaro. Questi ultimi andarono a costituire quello strato di popolazione, appartenente al ceto dei cosiddetti minores o populares, che cominciarono ad avanzare istanze di potere e ad insidiare il primato dei maiores, ossia quell’insieme di famiglie consolari, detentrici delle più importanti attività commerciali, che avevano sempre fornito alla città i membri dell’organo collegiale di governo. Non ci si deve immaginare una società nettamente spaccata in due tra populares e maiores; questa distinzione serve semplicemente a rendere conto della divisione esistente tra coloro che storicamen2 D. SABBATUCCI, Il misticismo greco, Torino, Bollati Boringhieri editore, 2006, pp. 1-40. Nelle discipline storico-religiose si è a lungo dibattuto, e ancora oggi si dibatte, sul concetto di “misticismo”, attorno al quale non si è ancora trovato un accordo. Non si intende in questa sede riproporre l’annoso problema, ma semplicemente rendere conto dei limiti all’interno dei quali è stato inquadrato il termine e, di conseguenza, la figura di Francesco. 3 È proprio in questo periodo che cominciarono a diffondersi certi gruppi, noti con l’appellativo di ‘umiliati’, sorti dalla contestazione della ricchezza che si andava profilando nella chiesa e nella società del tempo. Spesso si ispiravano a movimenti eretici quali quelli dei valdesi o dei catari; non è da escludere che Francesco, pur guardandosi bene dall’identificarsi con loro, ne abbia tratto spunto.

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te detenevano il potere e coloro che, diversamente, ne erano esclusi e, di conseguenza, le tensioni sociali che ne derivarono.4 Tra questi ultimi vi era una certa parte che, andando sempre più arricchendosi, vantava ambizioni di elevazione sociale, al fine di passare al ceto dei boni homines. Ecco che tra questi è probabilmente da annoverarsi Pietro Bernardone, padre di Francesco, mercante che le fonti insistono nel definire ricco. C’è da tener presente che l’attività commerciale assisiate di quel tempo era in realtà piuttosto modesta, ed è probabile che l’attività principale di Pietro, assieme al commercio, fosse il traffico di denaro, ossia quell’attività ‘protobancaria’ che potremmo oggi definire ‘usura’. Sembra dunque che la famiglia del santo respirasse aria di riscatto sociale, e non è un caso che le fonti restituiscano, nel periodo precedente alla conversio, un Francesco ben inserito nel tessuto urbano di Assisi. Purtroppo non abbiamo alcuna notizia sulla sua infanzia, nemmeno apocrifa, e il fatto che la sua nascita sia da situarsi nel 1181-82 è semplicemente dedotto dalla tradizione che gli attribuiva nel 1226, l’anno della sua morte, quarantaquattro anni. Sembra comunque che la madre fosse francese, o comunque che il padre lo avesse condotto in qualche viaggio d’affari in Oltralpe, ed è per questo che si ritiene plausibile, assieme alla conoscenza del latino, quella della lingua franca. Una curiosa leggenda narra, a proposito del nome ‘Francesco’, che il bambino sarebbe nato mentre il padre era assente, e la madre lo avrebbe chiamato Giovanni; tuttavia Pietro Bernardone, una volta tornato, avrebbe preferito cambiare quel nome con ‘Francesco’. In realtà l’attribuzione di più nomi era una pratica piuttosto diffusa a quel tempo, ma risulta piuttosto strano il nome ‘Francesco’ alla fine del XII secolo. Esso rinvia alla natura merceologica dei ‘panni franceschi’, ossia di quei tessuti che fecero la fortuna dei commercianti quali Pietro Bernardone. Resta, a tal proposito, il dubbio che il nome con cui è passato alla storia sia semplicemente un soprannome attribuitogli dai compagni di gioco. In generale, gli scritti biografici iniziano ad essere molto più dettagliati a partire dal momento della conversio, come la definisce Francesco stesso nel suo testamento del 1226, in cui afferma che nel periodo precedente a questa metanoia egli era immerso in peccatis. Tuttavia quest’espressione non ha nulla di drammatico: nel gergo ecclesiastico, infatti, questo termine denota sem-

4 Al 1198 risale la rivolta popolana contro il ceto dei maiores, che vennero scacciati dalla rocca imperiale, mentre nel 1203 avvenne la pace tra i due ceti, a seguito di una guerra contro Perugia sfavorevole per gli assisani, che permise al ceto aristocratico di rimpadronirsi delle prerogative da cui erano stati allontanati. È molto probabile che Francesco abbia partecipato, più o meno attivamente, alla vita politica del suo tempo.

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plicemente la vita mondana, ossia quella vissuta al di fuori di ordini e regole clericali. A conferma di ciò, si pensi che il santo, anche dopo la conversione, spesso ritornava alle idee e alle immagini di tipo cortese cavalleresco che gli erano state care in gioventù, a dimostrazione che egli non provava rimorso per quegli anni.5 In sostanza, il Francesco che si apprestava alla conversione non era un giovane immaturo e facinoroso ma, al contrario, era un uomo maturo (aveva circa vent’anni) inserito perfettamente nel contesto culturale del suo tempo. Ed è proprio l’ambiente propriamente “cortese” del XIII secolo a spiegarci, tra gli altri, l’episodio narrato in più fonti secondo cui il giovane Francesco, dopo aver ricusato la carità ad un mendicante, subito si pentì di quel gesto ‘villano’ e ritornò sui suoi passi. Ecco che la carità francescana deve essere letta anche sotto questo aspetto, ossia quello culturale cavalleresco, come si evince da questo passo, in cui parla Francesco stesso: Se quel povero ti avesse domandato un aiuto a nome di un grande conte o barone, lo avresti di sicuro accontentato. A maggior ragione avresti dovuto farlo a riguardo del re dei re e Signore di tutti.6

Non c’è da stupirsi, dunque, di ritrovare il futuro santo in guerra a Perugia nel 1202, anno in cui fu decretata la sconfitta del ceto dei populares e la prigionia di Francesco, in seguito alla quale alcune fonti riportano che si ammalò per quasi un anno. Sembra, inoltre, che volesse partire per la spedizione crociata contro la Puglia musulmana che avrebbe dovuto esser guidata da Gualtiero di Brienne, ma il progetto decadde dopo che tale impresa abortì. Sta di fatto che proprio a quegli anni risale l’episodio, descritto dettagliatamente da Tommaso da Celano in entrambe le sue biografie, che vede il santo rivestire un povero mendicante (forse un cavaliere impoverito che egli già

5 Cardini insiste spesso, a tal proposito, sull’aspetto ‘giullaresco’ del carattere di san Francesco, a dimostrazione del fatto che la cultura cavalleresca l’aveva profondamente influenzato (Cfr. CARDINI, Francesco d’Assisi, cit., passim). Una fonte narra che Francesco definì in questo modo i suoi confratelli: «Questi frati sono i miei cavalieri della Tavola Rotonda, che si nascondono in luoghi appartati e disabitati per impegnarsi con più fervore nella preghiera e nella meditazione». (Legenda Perusina, 71, p. 819 in Fonti francescane: scritti e biografie di san Francesco d’Assisi, cronache e altre testimonianze del primo secolo francescano, scritti e biografie di santa Chiara d’Assisi - Editio minor, xxiv, 1559, Padova, Editrici Francescane, 1986. Nel seguito dell’articolo farò sempre riferimento a questo testo per ciò che concerne le fonti francescane primarie). 6 Legenda trium sociorum, I, 3, p. 696.

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conosceva) con i propri abiti. Questo è il primo di una lunga serie di azioni caritatevoli, e Tommaso afferma che, per questo suo gesto, Francesco meritò che Cristo lo visitasse e gli parlasse.7 Dopo un pellegrinaggio a Roma compiuto nel 1205, durante il quale si narra che avesse gettato tutti i suoi averi giù per la grata della tomba di San Pietro e che avesse mendicato chiedendo l’elemosina in lingua francese (probabilmente un’eco del suo spirito giullaresco), Francesco incontrò nel corso di una cavalcata un lebbroso, che gli si parò davanti. La lebbra era considerata, a quel tempo, il peggiore dei mali, poiché si caratterizzava quale segno visibile del peccato. Dinanzi all’immondo spettacolo delle piaghe del malato, Francesco scende da cavallo, porge al lebbroso del denaro, lo abbraccia e lo bacia. Ecco che molte fonti si affrettano ad avvertirci che quel lebbroso in realtà era Gesù, e che il santo lo sapeva bene. Ecco cosa si legge nel suo Testamento: Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciar a fare penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.8

Ma la visione che forse più influenzò Francesco è quella famosissima in cui il santo, inginocchiatosi dinanzi al crocifisso della fatiscente e diroccata chiesetta di San Damiano, vide un Gesù dagli occhi ardenti che lo esortava: «Francesco, va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».9 Su questo episodio i biografi hanno composto i più variopinti ricami; sta di fatto che qualche giorno dopo la visitatio, Francesco partì a cavallo con tutti i suoi beni, li vendette e cercò di dare il ricavato al povero sacerdote che viveva a San Damiano. Naturalmente, il prete non si fidava e, probabilmente, rifiutò per paura

7 «È stato, forse, da meno il suo gesto di quello del santissimo Martino? Eguali sono stati il fatto e la generosità, solo il modo è diverso: Francesco dona le vesti prima del resto quello invece le dà alla fine, dopo aver rinunciato a tutto. Ambedue sono vissuti poveri ed umili in questo mondo e sono entrati ricchi in cielo. Quello, cavaliere ma povero, rivestì un povero con parte della sua veste, questi, non cavaliere ma ricco, rivestì un cavaliere povero con la sua veste intera. Ambedue, per aver adempiuto il comando di Cristo, hanno meritato di essere, in visione, visitati da Cristo, che lodò l’uno per la perfezione raggiunta e invitò l’altro, con grandissima bontà, a compiere in sé stesso quanto ancora gli mancava». (Tommaso, Vita secunda, II, 5, p. 332). 8 Testamento, 1-3, p. 66. 9 TOMMASO DA CELANO, Vita secunda, I, VI, 10, p. 336.

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delle conseguenze di un gesto irresponsabile da parte del figlio di un grosso mercante, il quale, a seguito della decisione di Francesco di stabilirsi eremiticamente vicino alla chiesetta, sarebbe partito furibondo alla sua ricerca. Probabilmente dovette ritenere suo figlio un pessimo soggetto, un ingrato che, con la scusa dell’elemosina, aveva rubato e scialacquato il suo patrimonio. A questo punto le variabili negli eventi narrati dalle fonti sono numerose. Sembra comunque che, dopo essere tornato a casa, punito dal padre e giustificato dalla madre,10 abbia rinunciato a tutti gli averi paterni (1206) e condotto una vita semi-eremitica con momenti di preghiera alternati ad altri di attività restaurativa delle chiesette cadenti (tra le quali la nota Porziuncola), e che abbia iniziato a girovagare per la città con vesti lacere e sporche, chiedendo l’elemosina a quegli stessi compagni d’arme con cui aveva diviso il pasto in molti banchetti durante la gioventù. A fronte di questa scelta, Francesco si trovò a dover giustificare il proprio stile di vita, fondato su una scelta di povertà che tanto assomigliava a quella di sette eretiche come i catari o i valdesi. Il santo, in realtà, era fortemente convinto della necessità di vivere secondo le indicazioni evangeliche, tra le quali furono particolarmente rilevanti quelle inerenti alla predicazione itinerante e povera,11 ma non vi era alcun intento critico nei confronti dei fasti e delle ricchezze della Chiesa, in seno alla quale egli intendeva esser legittimato ad agire.12 Non intendeva nemmeno essere paragonato ad un monaco, figura che cercava di isolarsi dal mondo rinchiudendosi tra le mura di un ordine ricchissimo

10 Bonaventura racconta che Francesco, di fronte alla rabbia della sua famiglia riunita dinanzi a lui, abbia asserito: «Finora ho chiamato te mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con sicurezza Padre nostro, che sei nei cieli…» (BONAVENTURA, Legenda maior, II, 1, p. 525). 11 «Andate e predicate dicendo che il regno dei cieli è vicino. Curate i malati, suscitate i morti, mondate i lebbrosi, cacciate i demoni. Ciò che avete ricevuto gratuitamente, date gratuitamente. Non portate né oro, né danaro nelle cinture, né bisacce per il cammino, né due tuniche, né calzari, né bastone; l’operaio merita infatti che si provveda al suo mantenimento. In ogni città o castello dove entrerete, informatevi su chi è degno di ricevervi e lì restate finché ve ne andrete. Entrando nella casa salutatela col dire: ‘Pace a questa casa’» (Mt, 10, 7-10). 12 «Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo nella parrocchia in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà. […] E non voglio considerare il loro peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio, nient’altro vedo corporalmente in questo mondo se non il santissimo corpo e il santissimo sangue Suo che essi ricevono ed essi solo amministrano agli altri. E voglio che questi santissimi misteri siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi» (Testamento, pp. 66-67).

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e che, comunque, godeva di un certo rispetto e di una certa auctoritas. Al contrario, Francesco voleva vivere in mezzo alla gente, ma in modo diverso da tutti, a costo di umiliarsi. Voleva essere modello di povertà, senza alcun intento critico né con l’idea di attrarre seguaci: solo ed esclusivamente imitare Cristo e, nel fare ciò, predicare il vangelo. A riprova di ciò vi è la scelta di indossare il sagum (da cui l’italiano «saio»), ossia la veste tipica dei francescani: un indumento indossato spesso nel lavoro sin da tempi antichissimi, dall’antica Roma e forse anche prima, consistente in un semplice camicione lungo stretto in vita da una fune e fatto con panni di lana della qualità meno pregiata. Da notare che assolutamente nulla dell’aspetto di quest’abito aveva a che fare con l’ambito ecclesiastico; si trattava unicamente di una scelta di povertà assoluta. Ecco allora che attorno a Francesco si riunì una congrega di fratelli che, appunto, andò a costituire la prima fraternitas, la quale contò per i primi anni non più di una dozzina di persone. Il 1208 è l’anno che segna la prima di una lunga serie di viaggi a scopo predicativo;13 è da tener presente che il vescovo Guido, il quale aveva giurisdizione su Assisi, di certo non vide di buon occhio questa fase caratterizzata da viaggi fuori dalla sua diocesi: i frati (forma sincopata di ‘fratelli’) sembravano davvero un’altra forma di penitenti eretici.14 È sotto questa luce, dunque, che si deve spiegare il viaggio a Roma dei confratelli del 1209-1210, al fine di incontrare papa Innocenzo III. Il fatto che la loro visita coincidesse con la presenza a Roma del vescovo di Assisi costituisce senza dubbio una circostanza significativa, che tuttavia resta difficile da spiegare con certezza: i fratelli si mossero approfittando dell’assenza del vescovo di Assisi? O approfittarono della sua presenza a Roma per farsi ricevere dal pontefice? Oppure il viaggio era stato concordato proprio con il vescovo, che desiderava che i fratelli regolassero una volta per tutte il loro status, in modo da togliere d’impaccio l’episcopato assisiate? Sta di fatto che, nonostante le circostanze fiabesche con cui i biografi arricchiscono l’evento, probabilmente il gruppo di Francesco era ancora troppo piccolo per interessare un papa indaffaratissimo a risolvere i problemi che attanagliavano la Chiesa (soprattutto la questione eretica e quella crociata). Tra i vari racconti, particolarmente inte-

13 È da tener presente che i frati vivevano esclusivamente di elemosina, la quale tuttavia non doveva mai essere in denaro ma solo in cibi e vivande, e doveva esser guadagnata tramite lavori manuali, di preferenza umili e faticosi. 14 I collegamenti con questi movimenti sicuramente non mancano. Basti pensare che il ‘Tau’, il simbolo tanto caro a Francesco, fu il segno distintivo di un tal Nicola, leader dei cosiddetti ‘pueri tedeschi’, un gruppo eretico il cui intento era quello di muovere alla volta di Gerusalemme per riconquistarla pacificamente.

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ressante risulta quello di Ruggero di Wendover, in cui papa Innocenzo suggerì a Francesco, non senza sdegno, di andarsi a rotolare nel fango dei porci, e di consegnare a loro la regola che aveva preparato. Francesco non accennò ad alcuna protesta ma, chinando il capo, compì quanto richiesto e tornò al concistoro dicendo al papa: «Signore, ho fatto come tu mi hai comandato; ora, ti prego, esaudisci la mia richiesta».15 Non si intende dire che questo racconto sia più credibile di altri, ma rende maggiormente conto, a mio avviso, dell’aria che si respirò nell’incontro romano. Sta di fatto che i confratelli ottengono il permesso di vivere secondo la loro regola (che non possediamo, ma che dovrebbe ricalcare grosso modo quella successiva del 1221), sia pur senza un documento bollato che ufficializzi la cosa in maniera definitiva. Secondo alcune fonti il papa in cambio pretese la tonsura dei fratelli, ossia quel taglio di capelli che distingue i laici dai chierici; Francesco tuttavia deve averla ricevuta solo più tardi, e sembra che non ne fosse molto contento.16 Un’ulteriore occasione in cui il papa legittimò i francescani fu il concilio lateranense del 1215, durante il quale si cercava di dare una svolta definitiva ai problemi sorti con la proliferazione di sette eretiche e ordini religiosi ad limen. In quella sede, infatti, venne espressamente vietato di fondare nuovi ordini religiosi (altre religiones), e sembra che i francescani rientrassero nel rango di coloro che venivano accolti, sia pure essendo formalmente una fraternitas e non ancora una religio. Probabilmente il papa aveva intuito il peso che la confraternita aveva cominciato ad avere: la gente era colpita dalla predicazione e dallo stile di vita dei frati, i quali, di conseguenza, sarebbero stati più utili come alleati che come avversari in un periodo complesso come quello. Certo è che in quegli anni Francesco decise che i confratelli si definissero minores, ossia i minori, soggetti a tutti, a richiamo della povertà e dell’umiltà che caratterizzavano il loro operato. È possibile che il nome minores richiamasse anche il ceto popolare contrapposto ai maiores, quasi a voler sottolineare l’appartenenza di origine del gruppo, ma non vi è da insistere eccessivamente su questa ipotesi: il nome del gruppo richiamava soprattutto le intenzioni che lo muovevano. Gli anni che vanno dal 1212 al 1220 circa furono caratterizzati da continui viaggi e pellegrinaggi, tra cui si segnala in particolare quello del 1213 a 15 RUGGERO DI WENDOVER, Chronica, pp. 1126-27. 16 Una fonte racconta che egli si riferisse a chi gli stava tagliando i capelli di praticargli solo «una piccola chierica» (Cfr. CARDINI, Francesco d’Assisi, cit., p. 127). Si ricordi che Francesco non voleva essere ordinato, intendeva solo essere povero tra la gente. In questo senso si spiega anche la sua avversione nei confronti del possesso dei libri scritti, quale il breviario dei sacerdoti, da parte dei frati. I francescani dovevano essere modelli evangelici per i laici, non dei sacerdoti!

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Santiago di Compostela, baluardo della Reconquista cristiana in territorio iberico. Sembra che Francesco, oltre a desiderare ardentemente di vedere Gerusalemme (cosa che non gli riuscì), fosse particolarmente attratto dal mondo musulmano, forse con l’interesse di andarvi a predicare, ma dovette rimandare ad un tempo successivo la spedizione in terra islamica, a causa della pericolosa situazione bellica che andava sviluppandosi in Medio Oriente. Non ci si dilungherà in questa sede sulla questione del rapporto tra Francesco e le crociate, sul quale gli storici hanno provato a convincerci di una cosa o dell’altra, pur senza disporre di fonti. Piuttosto ci si vuole soffermare sull’interesse di Francesco per il mondo islamico e, in generale, per il Vicino Oriente. Il santo aveva una particolare venerazione per il segno scritto, tanto che era solito conservare qualunque frammento di materiale sul quale fosse tracciato il nome di Dio, al fine di riporlo in un posto sicuro perché non fosse perso.17 E questo richiama una forma di rispetto per l’ha-Shem, ‘il nome’, che si ritrova nella cultura mistica ebraica medievale, ossia quella qabbalah che della speculazione linguistica fece il suo fulcro. Ma ancor più curioso risulta la vicinanza di san Francesco ad alcuni dei temi tipici della mistica islamica, cioè il sufismo. Sappiamo per certo che Francesco salpò da Ancona per il vicino oriente nel 1219, ma questo è un viaggio su cui le fonti sono poco chiare. Che cosa sapeva Francesco dell’oriente islamico? Certo aveva sentito gli echi dei racconti di pellegrini o di quelli dei cicli letterari cavallereschi, ma non sappiamo veramente cosa sapesse né cosa pensasse al riguardo. È probabile che si fosse imbarcato in una nave di crociati e, anzi, che fosse lui stesso un “crociato” in termini tecnici, ossia che avesse ricevuto il simbolo della croce, segno visibile del permesso concessogli dai superiori di salpare per la terra santa. Quanto al suo arrivo e a ciò che compì, la testimonianza più sicura resta quella di Giacomo da Vitry, vescovo d’Acri che aveva a cuore le sorti del frate, il quale, non senza un tono critico, scrisse delle gesta compiute da Francesco: E non soltanto i Cristiani, ma perfino i Saraceni e gli altri uomini avvolti ancora nelle tenebre dell’incredulità, quando essi compaiono per annunciare intrepidamente il Vangelo, si sentono pieni di ammirazione per la loro umiltà e perfezione e volentieri e con gioia li accolgono e li provvedono del necessario. Noi abbiamo potuto vedere colui che è il primo fondatore e il

17 È curiosa, in questo senso, la predilezione di Francesco nei confronti del Tau, simbolo per eccellenza dei francescani. Esso, in virtù del fatto che è uno stemma rappresentativo dell’ultima lettera dell’alfabeto ebraico, richiama non solo la croce, ma anche il concetto di totalità e di completezza, similmente all’omega greca, che si riteneva incarnatosi nella figura di Gesù Cristo.

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OTTOCENTO ANNI DI FRANCESCO: PERCORSI STORICI E LETTERARI DAL SANTO DI ASSISI A PAPA BERGOGLIO

maestro di questo Ordine, al quale obbediscono tutti gli altri come a loro superiore generale: un uomo semplice e illetterato, ma caro a Dio e agli uomini, di nome frate Francino. Egli era ripieno di tale eccesso di amore e di fervore di spirito che, venuto nell’esercito cristiano, accampato davanti a Damiata, in terra d’Egitto, volle recarsi, intrepido e munito solo dello scudo della fede, nell’accampamento del Sultano d’Egitto. Ai Saraceni che l’avevano fatto prigioniero lungo il tragitto, egli ripeteva: «Sono cristiano, conducetemi davanti al vostro signore». Quando gli fu portato davanti, osservando l’aspetto di quell’uomo di Dio, la bestia crudele si sentì mutata in uomo mansueto, e per parecchi giorni l’ascoltò con molta attenzione, mentre predicava Cristo davanti a lui e ai suoi. Poi, preso dal timore che qualcuno dei suoi si lasciasse convertire al Signore dall’efficacia delle sue parole, e passasse all’esercito cristiano, lo fece ricondurre, con onore e protezione nel nostro campo; e mentre lo congedava, gli raccomandò: «Prega per me, perché Dio si degni mostrarmi quale legge e fede gli è più gradita».18

Altre fonti narrano con diversi particolari l’incontro di Francesco con il sultano ayyubide al-Kamil, ma ciò che possiamo concludere con una certa sicurezza è che il santo sia stato accolto dai musulmani senza troppi fastidi, essendo egli probabilmente giudicato inoffensivo, vestito solo di un saio. L’islam aveva particolare rispetto per le figure degli asceti, dei mistici che vestivano come Francesco e che erano noti come ‘sufi’, termine la cui etimologia rimanda proprio alla lana con cui erano fatti i loro poveri vestiti. E tra i dottori della legge islamica (gli ulama) presenti a quell’incontro ve ne era uno, Fakhr al-din Muhammad ibn Ibrahim Farisi, che serbò ricordo di Francesco; costui era maestro spirituale della corte del sultano e sulla cui tomba, al Cairo, è ricordato l’incontro con il ‘famoso monaco’. Non si intende in questa sede cercare di rintracciare tutte le similitudini tra la mistica islamica e quella di san Francesco, ma soltanto rilevare che effettivamente dei contatti ci sono stati, e che è storicamente possibile una reciproca influenza, data anche la comunanza di interessi (la povertà, l’ascetismo, l’interesse verso i nomi di Dio e verso gli animali).19 Sembra che durante l’assenza di Francesco, i due vicari da lui scelti alla guida dell’ordine avessero stabilito di adottare una serie di restrizioni alimen18 GIACOMO DA VITRY, Historia occidentalis, I, II, 32, pp. 1093-94. 19 Nella cultura mistica ebraica ed islamica si fa spesso riferimento alla mitica lingua degli uccelli, che richiamerebbe la lingua perfetta parlata dagli angeli. Forse è un caso, ma si vuole rilevare qui il punto di contatto con la leggendaria capacità di Francesco di parlare con gli animali, senza tuttavia nulla asserire con certezza.

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tari basate sull’astinenza e il digiuno. Il pericolo era evidente: quello di trasformare la confraternita in un ordine monastico, accentuando un rigorismo ascetico di cui Francesco non aveva mai sentito il bisogno e che aveva volutamente evitato. Inoltre vi furono dei disordini dovuti all’incapacità dei vicari di mantenere la stabilità, e Francesco fu costretto a ritornare nel 1220. In un capitolo dello stesso anno, il santo annunciò pubblicamente il peggioramento delle sue condizioni di salute, si dichiarò come morto per i confratelli, indicando in Pietro Cattani la nuova guida dell’ordine. Non si deve leggere questo annuncio come una sconfitta o come una fuga dai problemi; piuttosto Francesco intendeva semplicemente scrollarsi di dosso un fardello che non voleva. Non gli interessava fondare un ordine, avere dei seguaci, amministrare un gruppo: il suo solo e unico scopo era la sequela Christi, nient’altro. Egli era divenuto il fondatore involontario di una confraternita, di cui però egli non si curava se non per amore verso il prossimo. Inoltre, le sue condizioni di salute iniziavano davvero a peggiorare: era ormai ammalato gravemente. Francesco comunque capiva che era necessario dar corpo ad una regola scritta, per continuare a seguire i suoi figli, anche se da una posizione appartata, e per fare in modo che l’ordine non degenerasse. Ecco allora che nacque la Regula prima del 1221, nota anche come non bullata, poiché papa Onorio III non l’approvò mai definitivamente con un documento ufficiale, cosa che invece avvenne per la Regola definitiva del 1223 (bolla Solet annuere del 29 novembre 1223). Questa Regola fu sicuramente accorciata e alleggerita rispetto alla prima, ma v’era tutto l’essenziale: La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità.20

L’ordine aveva già cominciato a soffrire a causa di alcune diatribe interne, e Francesco sentì il bisogno di provare a sanarle con una regola che fosse semplice ma, al contempo, inequivocabile e non soggetta ad interpretazioni divergenti. Con l’approvazione di questa regola la fraternitas divenne ufficialmente religio, cosa che immaginiamo dovette almeno un poco dispiacere all’involontario fondatore. Inoltre sappiamo che proprio in quegli anni Francesco, pur rifiutando sempre di divenire sacerdote, assunse gli ordini maggiori, divenendo diacono. Sembra proprio che egli non volesse rassegnarsi; al con-

20 Regula bullata, 1223, V, p. 60.

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trario, facendosi carico del ruolo carismatico che aveva assunto, desiderava ancora proteggere i suoi “figli”. Il processo di cristomimesi raggiunse la sua acme nel 1224, quando Francesco riceve il sigillo che lo sancisce definitivamente come alter Christus: le stigmate. Non vi è nulla di più pio e mistico al contempo. Egli non volle che questo suo segreto fosse divulgato, ed evitò con cura di mostrare le ferite in pubblico. Le fonti non sono esplicite in merito alla reticenza di Francesco, ma è possibile supporre che fosse dovuta ad un atteggiamento di umile contemplazione: era importante costituire un modello, ma solo Cristo aveva il diritto di rendere patente la propria sofferenza. Ormai era spossato: accettava visite solo di rado, faticava a camminare e aveva perso quasi completamente la vista. Per spostarsi fu costretto ad utilizzare un asinello; sicuramente fu una cosa a lui poco gradita, dato che per i minori era fondamentale il rifiuto di ogni cavalcatura, segno di ricchezza, ma questa volta la necessità dovette superare il suo straordinario senso del dovere, che gli imponeva ancora una volta di preoccuparsi dell’esempio che stava fornendo. In queste ultimi anni di vita, non potendo muoversi molto, Francesco si dedicò alla stesura di diversi scritti, sia di natura epistolare che poetica. Oltre alla composizione del Cantico delle creature, che è la straordinaria testimonianza della gratitudine e della pietas francescana anche nei momenti più difficili, molto interessante appare la lettera inviata ad Antonio da Padova, ammirato da Francesco nonostante una certa diffidenza nei confronti dell’atteggiamento eccessivamente scientifico che sarebbe potuto scaturire dai suoi insegnamenti: «ho piacere che tu insegni la sacra teologia ai frati, purché questa occupazione non estingua lo spirito dell’orazione e della devozione, come sta scritto nella Regola».21 Ma colpiscono soprattutto le parole con le quali il santo dimostra di saper superare le difficoltà del momento, e di come mantenesse sempre saldo il suo obbiettivo, l’adesione totale al modello evangelico: Io ti dico, come posso, per quello che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti sono di impedimento nell’amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri anche se ti coprissero di battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia. E così tu devi volere e non diversamente. E questo tieni in conto di vera obbedienza da parte del Signore Iddio e mia per te, perché io fermamente riconosco che questa è vera obbedienza. E ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non

21 Francesco, Lettera a frate Antonio, p. 125.

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esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te. E in questo amali e non pretendere che diventino cristiani migliori. E questo sia per te più che stare appartato in un eremo.22

Le sue condizioni di salute peggioravano sempre di più, e nonostante avesse provato delle cure per gli occhi, nulla servì allo scopo. In seguito ad un attacco di uno dei suoi mali che fece dubitare della sua sopravvivenza, iniziò a dettare il suo primo testamento, noto come “Testamento di Siena”, dove condensò la sua volontà in tre esortazioni: In segno di ricordo della mia benedizione e del mio testamento, si amino sempre fra di loro, sempre amino ed osservino nostra signora la santa povertà, e sempre siano fedeli e sottomessi a tutti i prelati e a tutti i chierici della santa madre Chiesa.23

Da Siena si spostò poi a Cortona, e prese dimora nell’eremo di Celle, dove probabilmente dettò il suo vero e proprio Testamento. Verso la fine di settembre del 1226 Francesco decise di intraprendere il suo ultimo tragitto, sino alla Porziuncola, dove desiderava terminare i suoi giorni. La sua ultima preoccupazione, ancora una volta, fu l’imitazione di Cristo: volle ascendere al Cielo così come Gesù vi era disceso, nudo sulla nuda terra. Si fece spogliare della veste, e si fece adagiare al suolo. Benedì un’ultima volta i suoi frati, e spirò. Era il tramonto di sabato 3 ottobre 1226, e il canto delle allodole sancì la perfetta letizia che accompagnò Francesco nel suo ultimo viaggio, tra pietas e mistica.

22 Francesco, Lettera a un ministro, p. 120. 23 Francesco, Piccolo Testamento, p. 72.

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