Servus crucis

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Ultimus crucis servus: ricerche semantiche per un “profilo spirituale” di Pier Damiani Il titolo servus (o il suo equivalente famulus) crucis compare tre volte nelle intitulationes delle lettere di Pier Damiani1: non è dunque tra quelli più ricorrenti nell’epistolario damianeo, prima della scelta, definitiva a partire dalla lettera 752, di adottare il più noto titolo di peccator monachus. Ma non per questo è tra i titoli meno importanti: già N. D’Acunto, analizzando tutte le intitolazioni, osservava che il riferimento alla croce contiene “un richiamo implicito al titolo dell’Eremo di Fonte Avellana”3, il luogo che costituì sempre il punto di riferimento spirituale e materiale dell’”eremita e uomo di chiesa” Pier Damiani4. D’altra parte l’apposizione servus, anche con altre determinazioni5 è nota tipica con cui l’autore di frequente si qualifica nel primo periodo di vita monastica, in lettere presumibilmente antecedenti al suo servizio di priore dell’Eremo avellanita. Solo a guardare l’insieme dei titoli scelti, potremmo insomma dire che Pier Damiani dacché si fece monaco abbia inizialmente cercato di trovare un segno espressivo, una “firma” per le sue opere epistolari, e che inoltre, applicando la figura della modestia (secondo le norme della buona retorica), abbia oscillato tra l’apposizione servus, variamente determinata, e quella di peccator. Quest’ultima poi, sempre seguita dalla qualifica monachus6, ha finito per prevalere, per diventare la “cifra” con cui egli ha inteso caratterizzare la sua identità per quello che voleva apparire ai suoi interlocutori. Forse essa fu ai suoi occhi quella che meglio gli sembrava esprimere, nella sua tensione polare e paradossale (a mo’ di ossimoro), sia il carattere di eccellenza, sia la dimensione della gratuità insita nel suo “stato di vita” monastico-eremitico. Di fatto monachus identifica anche giuridicamente l’appartenenza ad un ordo, che peraltro a più riprese è definito al di sopra di ogni altro tipo di appartenenza o di funzione nella societas christiana, in sé perfetto su questa terra e in questo tempo7. Il termine peccator che vi è affiancato vale invece a caratterizzare la fragilità della natura, chiamata nonostante tutto ad interpretare concretamente un ruolo che non poteva non essere vissuto come missione esemplare per l’umanità intera. In queste “firme” damianee non si deve dunque individuare il solo gusto retorico, ma anche la presenza di qualche indizio della sua autocoscienza, almeno per quello che egli ne volle mostrare agli altri. Ciò ci può fornire qualche chiave ermeneutica. Per proporre un esempio: è chi verrà in seguito a definirsi un “peccatore monaco” 

Un ringraziamento particolare ad Antonio De Prisco e Pasquale Smiraglia, per l’amicizia nel nome della quale hanno voluto leggere e correggere con pazienza e competenza queste note. 1 Epist. 11,1: Domno Petro sacri palacii cancellario, Petrus crucis Christi servorum famulus ferventissimae devocionis obsequium; epist. 40,1: Domno Heinrico, venerabili Ravennaticae sedis antistiti, Petrus vivificae crucis Christi humillimus servus salutem in idipsum; epist. 50,1: Karissimo fratri Stephano, amore supernae claritatis incluso, Petrus ultimus crucis Christi servus salutem in idipsum. Nella prima occorrenza (Petrus crucis Christi servorum famulus) in verità l’espressione crucis servus è riferita grammaticalmente ai confratelli di Fonte Avellana, di cui Pier Damiani si dichiara comunque famulus, cioè servo dei servi della croce, loro compagno nel servizio. Le citazioni latine sono tratte dal testo proposto dai Monumenta Germaniae Historica (PETRUS DAMIANI, Briefe, a cura di K. Reindel, 4 voll., München 1983-1993). Il testo del Reindel è ripreso dall’edizione latino-italiana dell’Opera Omnia in corso di pubblicazione presso Città Nuova di Roma e diretta da G.I. Gargano, di cui sono già usciti tre volumi di lettere (Lettere I, 1-22, Roma 2000; Lettere II, 23-40, Roma 2001; Lettere III, 40-67, Roma 2003); ivi si è adottata una numerazione dei paragrafi cui qui si fa riferimento. 2 In realtà potremmo già considerare la scelta fatta a partire dalla lettera 36. Infatti, pur tenuto conto che la numerazione del Reindel per i MGH ha un valore cronologico relativo, osserviamo che a partire da questa (ed esclusa la 41, che è un frammento adespota) le uniche eccezioni sono la 40 e la 50, di cui qui si discute. Caso a sé stante, che come tale esula dalla nostra prospettiva, è la bella e singolare inscriptio ‘Petrus indignus’ della lett. 48: è lettera circolare interna al collegio cardinalizio, scritta da un cardinale ai colleghi cardinali con evidente valore programmatico e ufficiale. 3 N. D’ACUNTO, Introduzione a PIER DAMIANI, Lettere, I, Roma 2000, p. 56. 4 La formula è stata coniata da J. LECLERCQ, Saint Pierre Damien ermite et homme d’Église, Roma 1972. 5 Ultimus heremitarum servus (lett. 3), Ultimus monachorum servus (lett. 1,2,8,12,38). 6 Ho discusso alcuni aspetti di interpretazione della forma grammaticale e del valore semantico del nesso in una nota di traduzione alla prima occorrenza del titulus nella lett. 13 (cf. PIER DAMIANI, Lettere, I, cit., pp 290-291). 7 Cf. a questo proposito V. IOGNA PRATT, Agni immacolati: recherches sour les sources hagiographiques relatives à Maieul de Cluny (954-994), Paris 1988, pp. 351-362.

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colui che, per mediazione del suo eroe e modello agiografico Romualdo, pretende fin dagli inizi del suo itinerario monastico che tutto il mondo debba trasformarsi in monastero8, e che peraltro solo in questa chiave e in questa luce, sia pure con i necessari adattamenti, concepisce la possibilità di riforma della Chiesa attraverso una riforma dei suoi membri e dei suoi ordines9. La formula servus crucis si colloca dunque come una tessera, sia pure importante, all’interno di un processo di evoluzione più articolato, fino alla scelta definitiva. Mi sembra tuttavia che essa non valga solo, per così dire, ad experimentum, come si potrebbe arguire dal fatto che a un certo punto sia stata abbandonata: in realtà poteva essere utilizzata solo in riferimento a una carica, quella di priore, che sappiamo probabilmente Pier Damiani non esercitò più a partire dal 1057 10, a seguito della sua elezione a vescovo e cardinale. Guardando più da vicino le tre intitulationes che fanno riferimento al servitium crucis, possiamo inoltre notare che il caso della lettera 50 è particolare, in quanto il titolo (Karissimo fratri Stephano, amore supernae claritatis incluso, Petrus ultimus crucis Christi servus salutem in idipsum) è funzionale al contenuto, trattandosi della descrizione della forma vitae dell’Eremo avellanita; nella lett. 11 (Domno Petro sacri palacii cancellario, Petrus crucis Christi servorum famulus ferventissimae devocionis obsequium) e nella lett. 40 (Domno Heinrico, venerabili Ravennaticae sedis antistiti, Petrus vivificae crucis Christi humillimus servus salutem in idipsum) il titolo sta invece in opposizione polare con le qualifiche attribuite ai destinatari, i quali sono amici di Pier Damiani, per così dire, in carriera; lo scrivente, per quanto non si sottragga in entrambi i casi a far sentire il peso del suo magistero e della sua influenza, si pone al livello del ruolo che sente di rappresentare meglio, quello di priore dell’Eremo della Santa Croce. Mai si “firmerà”, in scritti non aventi carattere giuridico come le lettere11, col titolo di priore prima, di cardinale o di vescovo poi, neppure in quelle in cui riferisce dei suoi atti ufficiali (ad esempio la lett. 65, una vera relazione di una “visita apostolica”), e dunque ordinariamente e programmaticamente amerà esporre il suo pensiero autorevole solo sotto il sigillo della sua identità monastica. Si deve osservare comunque che anche queste tre intitulationes sono giocate intorno alla figura dell’opposizione paradossale, tanto cara all’avellanita, la quale appunto troverà l’esito più convincente e definitivo agli occhi del suo autore nell’altra formula già ricordata, peccator monachus. Alla luce di questi dati mi sono chiesto se potevamo accedere ad un modo peculiare di Pier Damiani di porsi di fronte alla croce; in che misura e in che senso essa costituisce un elemento fondante del suo carattere spirituale. Si deve del resto tener conto che, al di là delle Epistulae e dei Sermones che costituiranno la base della mia analisi, Pier Damiani ha scritto in onore della croce un numero cospicuo di testi poetici, liturgici e non12. L’analisi di alcune ricorrenze lessicali e dei campi semantici che a partire da esse si possono individuare nei suoi scritti sarà il punto di partenza della 8

PETRI DAMIANI Vita beati Romualdi, a cura di G. Tabacco, Roma 1957, cap. 37, p. 78. L’opera, la più antica a noi pervenuta dell’autore, è del 1042, ma l’affermazione ben rappresenta l’attitudine di tutta la teologia monastica e del progetto riformatore di Pier Damiani., al cui riguardo il rimando d’obbligo è G. MICCOLI, Théologie de la vie monastique chez saint Pierre Damien, in Théologie de la vie monastique. Etudes sur la Tradition patristique, Paris 1961, pp. 459-483, cui vanno aggiunte le introduzioni di N. D’Acunto ai tre volumi finora usciti di PIER DAMIANI, Lettere, cit. 9 Il discorso, almeno rispetto ai laici, va certamente fatto tenendo conto delle precisazioni fornite da N. D’ACUNTO, I laici nella Chiesa e nella società secondo Pier Damiani. Ceti dominanti e riforma ecclesiastica nel secolo XI, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1999 (Nuovi Studi Storici, 50), passim, alla luce quindi di una considerazione diacronica ed evolutiva del pensiero damianeo; ma si vedano almeno le lett. 17 a Tetgrimo per un esempio riguardante i laici, la lettera 38 rivolta ai canonici, e le lettere 30 e 70 per gli inviti ai vescovi stessi a scegliere la vita monastica per la loro salvezza. 10 Cf. G. LUCCHESI, Per una vita di San Pier Damiani. Componenti cronologiche e topografiche, in S. Pier Damiano nel IX centenario della morte (1072-1972), Cesena 1972, vol. 1, pp. 13-179, vol. 2, pp. 13-160. 11 Come è noto la firma negli atti ufficiali a noi pervenuti, è rappresentata sia dalla formula peccator monachus, sia da quella formale Petrus episcopus Ostiensis, cf. N. D’ACUNTO, Introduzione generale, in PIER DAMIANI, Lettere, I, cit., p. 56. 12 Cf. M. LOKRANTZ, L’opera poetica di Pier Damiani, Stockholm 1964, pp. 64, 71, 114-116; e anche U. FACCHINI, San Pier Damiani: l’eucologia e le preghiere, Roma 2000, pp. 516-518; 548-551.

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mia indagine: cercherò cioè di individuare quali sono i processi linguistici, irriflessi o consapevoli, che sono suscitati dall’evocazione della croce. L’osservazione che ho fatto preliminarmente circa l’uso degli artifici retorici basati sull’opposizione (in perticolare antitesi e ossimori) può costituire un primo filtro interpretativo dei dati oggettivi. I dati dello spoglio La consultazione dei pur preziosissimi indici del Reindel alle Epistulae nell’edizione dei MGH è da questo punto di vista scoraggiante: il lapidario often posto all’inizio della voce crux ci dice (era ovvio a priori) che il termine ha particolare rilievo in tutto l’epistolario, e nello stesso tempo ci respinge da ogni possibile navigazione nell’opera damianea. Cosa che peraltro si ripeterà anche misurandosi con le scarne indicazioni di alcuni nessi che troviamo segnalati e che potrebbero interessarci (p.e. crucis turpitudo, crux cellulae, patrocinium crucis, stigmata crucis, tropheum crucis): perché, ad esempio, registrare turpitudo e non contumeliae, patrocinium e non monimentum, tropheum e non victoria o vexillum? I riferimenti si rivelano ben lungi dall’essere esaustivi, in questa miscela fuorviante di criteri selettivi, dunque soggettivi, e di criteri onnicomprensivi, quindi oggettivi; tanto da rendere totalmente infida la consultazione di una qualsiasi voce dell’indice per ricavarne dati significativi per uno studio lessicale contestualizzato. Fortunatamente in questo caso sono archiviati nel CLCLT5 (Cetedoc Library of Christian Latin Texts) sia tutte le Epistulae13 (abbreviazione E), sia tutti i Sermones14 (abbreviazione S), il che ci consente di crearci un nostro indice “oggettivo”, e di interrogarlo a partire dalle domande che esso ci suscita. Le occorrenze del lemma crux, nelle sue varie forme grammaticali e dei lemmi connessi (crucifigere, cruciare, crucifixor) assommano al numero di 556: un dato imponente nel quadro di un totale di 24170 forme che occorrono in tutto il corpus considerato (circa il 2%). Per una lettura dei dati quantitativi che saranno presentati qui di seguito, e per discuterne i riflessi interpretativi, si deve tener conto delle seguenti precisazioni: - Il resto del corpus damianeo, che qui non si considera, costituisce circa un sesto del totale. Ciò non è senza rilievo dal punto di vista statistico e qualitativo, anche perché rappresenta altri generi letterari (opera agiografica, liturgica e poetica); ma non sembra al punto di rendere non significativo lo spoglio15. - I Sermones presentano una quantità complessiva di forme (5660) di poco meno di un terzo rispetto a quelle delle Epistulae (18510), ma la presenza di due sermoni di particolare rilievo nel calendario liturgico avellanita, il sermo 18 per il giorno della festività dell’Invenzione della Croce e il sermo 48 per il giorno della festività della Esaltazione della Croce, giustifica ampiamente una presenza di occorrenze del lemma crux nel nostro caso superiori proporzionalmente a quelle delle Epistulae, quando non anche in termini assoluti16. Inoltre la natura dei due Sermones vale a spiegare anche alcune delle particolarità semantiche che sono rilevabili e che più sotto saranno segnalate. Si tratta dunque di individuare un percorso, per orientarsi e navigare in una congerie di riferimenti, comprensibilmente eterogenei. Per arrivare ad una prima approssimazione, ho scelto di selezionare preventivamente le occorrenze della forma al genitivo crucis: sia che esso abbia valore oggettivo o soggettivo, epesegetico o determinativo, esso indica sempre un nesso grammaticalmente necessario rispetto a qualcosa che lo regge, tanto che possiamo pensare che il rapporto grammaticale istituito 13

Nella già citata edizione dei MGH curata dal Reindel. Nell’edizione del CCCM LVII curata dal Lucchesi, Turnhout 1983. 15 Al momento di consegnare alle stampe il presente articolo viene pubblicato da parte del CTLO (Centre ‘Traditio Litterarum Occidentalium”) l’atteso Thesaurus Petri Damiani, series A – formae, a cura di P. Tombeur, Turnhout 2004. L’utilizzo dello strumento avrebbe probabilmente consentito itinerari di ricerca più ampi e forse parzialmente diversi. Diversi, di fatto, sono i dati statistici generali ivi forniti alla p. XVII, rispetto a quelli qui riportati, desunti dal CLCLT5, a motivo dei diversi criteri di computo. Ma i rapporti sostanzialmente non cambiano. 16 Alcuni dati: il lemma crux (e derivati) compare 199 volte in E e 213 in S; in particolare il nominativo (o vocativo) crux compare 8 volte in E e 44 in S; l’ultimo dato ben si spiega perché la forma retorica della Laus crucis postula l’uso frequente del nominativo e del vocativo. 14

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dal genitivo, proprio per la sua necessità intrinseca, sia quello che meglio istituisce i nessi semantici primari. In questo caso si può individuare ciò che è riferito alla croce o di cui essa fa da riferimento per legame diretto, sintatticamente elementare. All’interno delle 150 occorrenze della forma possiamo stabilire la seguente lista in ordine decrescente di frequenza di termini da cui il genitivo crucis viene fatto dipendere: TABELLA 1 Parole signum vexillum mysterium lignum ara modum patibulum species laus sacramentum inimicus mors signaculum honor servus supplicium dies figura imago inventio littera parasceve pars praedicator praelum stultitia victoria tropheum adoratio affixio amaritudo amicus amor aratrus arma baiulus brachium confessio contumeliae cornu cultus disciplina divitiae effigies exemplum famulus fides filius fructus gestator gladius hostia

Totale occorrenze 16 16 15 14 10 8 7 7 6 6 5 4 4 3 3 3 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1

Epistulae 9 5 3 3 5 7 2 0 0 0 3 0 1 3 3 0 1 0 1 1 0 2 2 0 1 0 2 1 1 1 0 0 0 0 0 0 1 0 1 1 1 1 0 1 1 1 0 0 0 1 0 0

Sermones 7 11 12 11 5 1 5 7 6 6 2 4 3 0 0 3 1 2 1 1 2 0 0 2 1 2 0 1 0 0 1 1 1 1 1 1 0 1 0 0 0 0 1 0 0 0 1 1 1 0 1 1

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humilitas impressum insigne iter mallum mortarium munimentum obiectus passio patrocinium pondus praeconius reverentia sacrificium similis stigmata suspendium thesaurus turpitudo unda (benedictionis) verbum via virtus

1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1

1 0 0 0 1 0 1 1 0 1 0 0 1 0 0 1 0 0 1 0 1 0 0

0 1 1 1 0 1 1 0 1 0 1 1 0 1 1 0 1 1 0 1 0 1 1

Possiamo già proporre qualche osservazione a partire dalle parole a cui con frequenza più alta il gentivo crucis è connesso. - Il termine signum vale soprattutto ad indicare materialmente il segno della croce, su una persona o su una realtà materiale; il che ovviamente non esclude un senso più spirituale, specifico in talune occorrenze, contestuale e allusivo in altre. Da osservare il fatto che la presenza si distribuisce equamente sia in E che in S. Da notare anche la contigua presenza di signaculum: se computati insieme il termine e il suo diminutivo, la frequenza di signum si staglierebbe nettamente in cima alla nostra lista (si raggiungerebbe il totale di 20). - il termine vexillum, visto nei vari contesti d’uso, vale in due ambiti di significato fondamentali: da una parte nel suo senso proprio di vessillo su cui è rappresentata la croce, richiamando quindi un significato riconducibile al campo semantico militare; dall’altra, per metonimia, nel senso metaforico come l’immagine stessa della croce (se non la realtà complessa della croce nel suo insieme), che come tale costituisce il vessillo. -il termine mysterium è presente soprattutto in S, e il dato è facilmente spiegabile, vista la destinazione liturgica dei testi. Analogo discorso si potrebbe fare per sacramentum. - il termine lignum si presenta soprattutto come primo membro del nesso lignum crucis, il quale semanticamente coincide con crux, dando forse al secondo termine una dimensione più enfatica. Ciò potrebbe spiegare la particolare presenza in S, visto il carattere encomiastico di alcuni sermoni, sui quali si è già posta l’attenzione. Per questo motivo, dal punto di vista in cui mi sono posto, non costituisce un nesso semanticamente rilevante. - la rilevanza del termine ara, equamente distribuito, ci porta sia nell’ambito misterico e liturgico di sacramentum e mysterium, sia nell’ambito del linguaggio sacrificale peculiare del lemma. - l’alta frequenza di laus in S è d’obbligo, essendo la parte finale del sermo 18 formalmente una Laus crucis. Non sono invece in grado di spiegare la dissimetria nella presenza di modum concentrata in E e di species e patibulum concentrati in S; ma ormai, nel secondo caso, i valori numerici delle occorrenze presi a sé (7 occorrenze ciascuno) cominciano ad essere statisticamente meno caratterizzanti, e potrebbero anche risultare casuali. I dati rilevati ci consentono di individuare alcune aree lessicali di rilievo, accorpando ai termini di frequenza maggiore quelli semanticamente connessi (alcuni insiemi sono in parte sovrapponibili). 5

TABELLA 2 1.signum crucis (area della vista) signum vexillum modum species signaculum imago figura effigies obiectus exemplum impressum insigne similis18 62/1319

2. mysterium crucis (area liturgico/sacrale) mysterium ara sacramentum laus honor cultus adoratio [dies]17, reverentia confessio hostia sacrificium

3. vexillum crucis (area militare) vexillum inimicus victoria tropheum arma gladius

4. ara crucis (area sacrificale) ara patibulum ostia sacrificium supplicium passio

50/12

28/6

21/6

Si osserva che, escluso il lemma lignum per i motivi anzidetti, in queste quattro aree sono rappresentati tutti gli altri dieci termini che hanno nella nostra lista (cf. Tabella 1) frequenza superiore a 4, e molti si collocano in due gruppi. A un duplice titolo statistico il primo campo semantico, quello della vista, ha rilevanza maggiore: sia per l’elevato numero di occorrenze sia per l’elevato rapporto tra occorrenze e lemmi relativi. Quanto al rapporto occorrenze/lemmi valore simile ha anche l’area militare; quello dell’area liturgico-sacrale avrebbe valori comparabili, se non superiori, se scomponessimo i dati e considerassimo solo i Sermones. Possiamo concludere questo primo livello di analisi con un risultato provvisorio: quando Pier Damiani si riferisce alla croce, la sua mente sembra soprattutto volgersi alla immagine, alla forma visiva della croce, i cui due bracci è come se squadrassero il mondo e il credente imprimendovi il proprio signum. Può essere utile proporre alcune citazioni indicative20: sermo : 18, linea : 19 Vbicumque enim signum **crucis** erigitur, illic procul dubio et Christi uictoria, et diaboli captiuitas denotatur. sermo : 39, linea : 225 Pretiosum inquam signum **crucis**, sed prout gestamus in fronte utinam portemus in corde. sermo : 39, linea : 226 Ille enim cordi suo signum **crucis** ueraciter habet impressum, qui Christum qui in cruce suspensus est diligit, qui eum toto cordis amore custodit.

Questo giustifica il particolare ruolo che assume il termine vexillum (con il suo correlativo tropheum): la vittoria sta proprio nel leggere il mondo come segnato dalla croce: un segno che diventa forma, imago, chiave ermeneutica del mondo, e quindi espressione della sua redenzione: vol. : 4, epist. : 158, pag. : 87, linea : 1 Illic tropheum **crucis** tuae inmobiliter fige, illic te simul cum Christo suspende, ut in karitate, sicut dicit apostolus, radicatus et fundatus possis comprehendere cum omnibus sanctis quae sit latitudo, longitudo, altitudo, atque profundum. 17

Il termine è in entrambe le occorrenze riferito al giorno liturgico di venerdì. Si osservi che la forma similem (in sepultura similem crucis iacere voluit) in Sermones 64, riga 140, è frutto di una integrazione puramente congetturale, secondo quanto propone il Lucchesi con buoni motivi di coerenza con il contesto (cf. l’apparato critico a p. 379). 19 Il primo numero indica le occorrenze, il secondo i lemmi. 20 Per ovvia comodità di citazione e di controllo si producono d’ora in poi i luoghi damianei nella forma fornita dal CLCLT5. 18

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In questa prospettiva, fra l’altro, si collocano altri termini che non erano stati ricollegati immediatamente a questa area semantica: littera, pars, brachium, cornu, stigmata; al punto che potremmo forse sostenere che la riflessione spirituale e teologica sul mysterium, o sul sacrificium della croce, è per certi versi secondaria, o comunque ha bisogno di essere filtrata attraverso l’immagine concreta cui tutta la realtà deve uniformarsi: c’è una “contemplazione/theoria” che precede, e forse dà forma alla speculazione. Esemplare da questo punto di vista la seguente citazione: vol.: 2, epist. : 72, pag. : 343, linea : 7 Sepe cernebam praesentissimo mentis intuitu Christum clavis affixum, in cruce pendentem, avidus que suscipiebam stillantem supposito ore cruorem.

Il fatto risulta tanto più rilevante, a mio avviso, perché ci consente da una parte di considerare la croce come oggetto per così dire “esterno” degli interessi e della sensibilità di Pier Damiani, ma dall’altra anche di provare ad entrare più nell’ambito del soggettivo, di cercare cioè di configurare il suo modo di interiorizzare la dimensione della croce, il suo signum, e di porsi spiritualmente rispetto ad essa. Alla luce di questi dati e di queste considerazioni possiamo ritornare al punto di partenza: in che senso Pier Damiani si sente servus crucis, si sente cioè legato a quella croce, la cui immagine imprime come il suo carattere proprio all’eremo in cui egli ha inteso spendere la sua vita, in che modo la croce imprime il suo segno sulla stessa vita di colui che si definirà peccator monachus? Servus crucis: la croce come realtà esterna da contemplare e a cui riferirsi Notiamo preliminarmente, che il nesso servus (con il suo sinonimo famulus) crucis si trova solo nelle tre intitulationes che sono state già segnalate, mentre il sinonimo baiulus è usato una sola volta in Sermo 68, 205, ma riferito al Cristo stesso21: dato deludente a prima vista, ma forse anche sintomatico, nella sua particolarità. Ma come interpretare il senso di questo servizio? Possiamo meglio individuarne i tratti accostando il campo semantico che più specificamente si aggrega intorno al termine servo a campi semantici affini22: guardare alla croce come realtà da contemplare per servirla, rimanda in primo luogo all’idea di un rapporto di dipendenza (cf infra colonna 5.); poi all’idea della fatica/sofferenza che implica (cf. col. 6), quindi a quella della protezione che se ne ricava (cf col. 7), e infine a quella del frutto che se ne consegue (cf. col. 8). TABELLA 3 5.servus crucis servus famulus baiulus disciplina filius iter modum pondus amicus gestator humilitas smilis

6.patibulum crucis patibulum ara mors supplicium affixio amaritudo contumeliae gladius hostia mallum mortarium passio

7.patrocinium crucis patrocinium munimentum fructus

8.fructus crucis fructus exemplum patrocinium praelum victoria divitiae thesaurus tropheum unda benedictionis virtus

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Dux itineris nostri, crucis extitit baiulus, felle cibatus est. Si noti tuttavia che il contesto allude all’iter, che ci riporta al campo semantico del servizio, come si mostra nella tabella che segue. 22 I campi sono sempre costruiti, come quelli della Tabella 2, a partire dallo spoglio presentato nella Tabella 1: di qui la numerazione che si intende in prosecuzione rispetto alla tabella precedente.

7

suspendium via

25/1423

pondus sacrificium stigmata suspendium turpitudo 37/17

3/3

12/10

Gli elementi che sembrano prevalere, quando si guarda alla croce come esperienza di vita vissuta (da Gesù o dal suo discepolo, a questo livello di analisi poco importa), sono quelli che hanno a che fare con la sofferenza/fatica da una parte, con la vittoria (e quindi con l’efficacia che ne deriva) dall’altra. Servus crucis: l’interiorizzazione dell’effigie e del “modo” della croce Non è difficile capire l’intenzione soggiacente a queste classificazioni (volutamente più estensive di quelle precedenti nell’istituire legami semantici): verificare se nell’idea di servizio della croce in Pier Damiani avesse una rilevanza particolare il tema della sequela e/o quello dell’imitazione. In che modo cioè quell’immagine da contemplare si proiettasse in una dimensione interiore del proprio servizio. Quanto al tema della sequela, la risposta può essere in prima istanza negativa: dei 14 termini individuati, la maggior parte è riferita non al servizio di chi prende la sua croce e segue il Cristo, ma al modo specifico di Gesù di vivere il suo servizio sulla croce. Lo spoglio ci rimanda ancora alle tre occorrenze delle inscriptiones da cui ci eravamo mossi, e alla loro singolarità. Lo stesso risultato negativo vale anche quando si verifica se si è utilizzato al riguardo il parallelo linguaggio militare, che pure è tutt’altro che estraneo all’usus scribendi di Pier Damiani e al suo spirito, in continuità con la tradizione24: esso è utilizzato nel quadro del ruolo salvifico della croce, ma non per connotare una militia crucis25. Anche la verifica delle occorrenze dei 16 lemmi sulla sofferenza legata alla croce rimandano di fatto più alla croce di Cristo come tale, che non alle conseguenze di un “portare la propria croce”. Il linguaggio damianeo, pur così ricco di immagini e di espressività, se non di espressionismo talvolta26, sembra sottrarsi a suggestioni patetiche che troveremo nei secoli successivi. Più sfumato il discorso riguardo all’esemplarità della croce: certo un senso della imitatio Christi nella prospettiva poi vulgata dalla devotio moderna sembra estraneo al linguaggio come al modo di atteggiarsi di Pier Damiani: la croce, come signum e mysterium, resta per il cristiano dell’XI secolo soprattutto da considerare nella sua alterità rispetto alla fragile risposta di fede del discepolo. Allora forse è proprio in questa dimensione paradossale, di segno di contraddizione, che si deve specialmente considerare la fisionomia del servitium crucis. Lo conferma, sembra di poter dire, il fatto che due sono le lettere di Pier Damiani che registrano una più ricca presenza del linguaggio della croce: la prima è la lettera 50, una delle “regole di vita eremitica” da lui scritte, in cui sono lungamente descritte le pratiche devozionali legate all’uso della disciplina (la forma di autoflagellazione proposta come nota specifica dell’Eremo della Santa Croce di Fonte Avellana), la 23

Il primo numero indica le occorrenze, il secondo i lemmi. Cf. le osservazioni generali di Ch. MOHRMANN, Études sur le latin des chrétiens, Roma 1961, I, pp. 336-340 a partire dallo studio della formula di Regula Benedicti, prol, 45: schola dominici servitii. 25 Il discorso si sfuma, come si vedrà più oltre, nella considerazione delle altre forme grammaticali di crux; cf. ed es. i passi che seguono: sermo : 48, linea : 244 **Crux** est tironibus donatiuum, militantibus robur, emeritis municipium. sermo : 57, linea : 14 **Crux** enim quae regem praemisit ad sceptrum, eadem utrumque militem subsequenter euexit ad praemium. (riferito a Pietro e Andrea, che condividono il destino di Gesù) 26 Cf. G. TABACCO, Pier Damiani tra edonismo letterario e violenza ascetica, «Quaderni Medievali», 24 (1987), pp. 623, ora anche in G. TABACCO, Spiritualità e cultura nel medioevo, Napoli 1993, pp. 249-266. 24

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seconda è la lettera 109, contenente la Vita di Domenico Loricato, il quale di tale prassi è il modello agiografico per eccellenza. Pier Damiani ci presenta questa prassi penitenziale certamente anche come un modo di crocifiggere la propria carne, a partire da un’antropologia severa e dualistica che oggi ci lascia profondamente turbati (pur facendo la dovuta tara alla mitizzazione degli eroi avellaniti da parte del loro agiografo), ma quello che importa è soprattutto il fatto che la disciplina e la preghiera continua a braccia aperte a forma di croce che vi è connessa sono come una rappresentazione concreta della croce, nella sua forma e nelle stigmate che si imprimono in chi si assume questo onere. Se in altri contesti la preghiera dell’eremita è definita da Pier Damiani pensum divini servitii27, ora l’adempiere alla stessa pratica della disciplina è definita allo stesso modo persolvere pensum servitutis vivificae cruci28. Il monaco orante e penitente fino alla estenuazione e alla macerazione di sé viene così a costituire una specie di vexillum crucis vivente. Bastino al riguardo due citazioni: vol. : 2, epist. : 50, pag. : 118, linea : 5 Quatinus dum in ipsam carnem signum sanctae **crucis** imprimitur, continuo interior homo ad dimicandum cum cogitatione perversa totis viribus excitetur. vol. : 3, epist. : 109, pag. : 222, linea : 25 Dominicus autem noster stigmata Iesu portavit in corpore, et vexillum **crucis** non tantum in fronte depinxit, sed cunctis etiam undique membris impressit.

Queste osservazioni valgono a spiegare anche perché proprio in quella lettera 50 ricompare, in tempi relativamente tardivi, il titolo di servus crucis: la preghiera continua e la disciplina sono il centro di una vita condotta cercando di esprimere in sé l’immagine della croce cui l’eremo è dedicato29. Il servitium crucis è imprimere su di sé il signum crucis. Non cioè l’imitazione della croce, da intendere come via crucis, ma l’assunzione su di sé del modum crucis, che è altra cosa, ed è proprio il modum crucis che giustifica la pratica di certe forme di devozione radicali: sermo : 18, linea : 400 Haec profecto **crux** est, quam moribus et actibus nostris debemus imprimere, haec est quam iubemur cotidie post Dominum baiulare

In quest’ultima citazione merita per lo meno di osservare il sovrapporsi dell’espressione che indica il servizio (baiulare) con quella di carattere visivo (imprimere) da cui si era mossa la nostra analisi. Fin qui le osservazioni a partire dall’esame delle occorrenze del genitivo crucis, per i motivi che si sono detti. In realtà, se a questo punto estendiamo la nostra ricerca a tutta la gamma delle forme grammaticali di crux, il discorso si fa più sfumato ed articolato. [In appendice sono raccolti 57 passi che come tali rimandano al concetto di servizio della croce. ] Per cercare di andare più a fondo, mi sembra interessante prendere in esame i casi di un’altra relazione grammaticale diretta, quella del verbo + accusativo crucem, la relazione che corrisponde al genitivo oggettivo, quello che a prima vista sembrerebbe essere il valore proprio della formula 27

Lettera 28,2, PIER DAMIANI, Lettere, II, Roma 2002, p. 114. vol. : 3, epist. : 106, pag. : 176, linea : 11 Tunc itaque quam sincero corde et libera conscientia ante sublime solium flammivomi tribunalis assistit, qui servitutis suae pensum persolvisse se vivificae **cruci**, per quam de servo diaboli liber effectus est, recognoscit 29 vol. : 2, epist. : 50, pag. : 116, linea : 9 Sepe manus ad orationem in modum signi salutaris extende, ut dum **crucis** imaginem conaris exprimere, merito apud crucifixum veniam debeas facilius impetrare. Cf. anche la formula di professione monastica: vol. : 2, epist. : 50, pag. : 93, linea : 9 Promissionem autem ingredientes hanc faciunt: Ego frater ille promitto oboedientiam et perseverantiam omnibus diebus vitae meae in hac heremo, quae est aedificata ad honorem Dei et sanctae **crucis**, pro timore Domini nostri Iesu Christi, et remedio animae meae. 28

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servus crucis: anche qui possiamo cercare delle iuncturae sintomatiche di un processo spontaneo del pensiero. Quattro sono citazione o parafrasi degli inviti evangelici di Gesù a prendere la croce e a seguirlo, altre sono semplici evocazioni degli stessi, attraverso i due verbi che troviamo utilizzati nel racconto evangelico: portare crucem (10 occorrenze in tutto) e tollere crucem (6 occorrenze). A questa coppia, sostanzialmente sinonimica, possiamo collegare il nesso, numericamente altrettanto ben rappresentato, baiulare crucem/Dominum (8 occorrenze)30: sono questi i tre verbi utilizzati nei vangeli per indicare l’atto di prendere la croce da parte di Gesù o da parte del discepolo al suo seguito. Ciò che statisticamente appare di rilievo in questo caso è proprio l’uso elevato di baiulare: per quando desunto da Lc 14,27 e Gv 19,17, esso di fatto è assai meno utilizzato nel linguaggio patristico rispetto agli altri verbi. Bastino, a illustrazione i seguenti dati di uno spoglio del materiale raccolto nel CLCLT 531:

TABELLA 4

baiulare crucem 8 portare crucem 10 113/143 234/394

sequi crucem 1 311/463

tollere crucem 6 397/440

Si può forse concludere, dal confronto proposto, che proprio l’uso del nesso baiulare crucem sembra rappresentare il tratto sintomatico di un uso linguistico che pare particolarmente familiare a Pier Damiani, il quale peraltro, se ha usato l’espressione servus crucis e parla di servitus cristiana consistente nel portare su di sé il vexillum/signum crucis32, mai usa il nesso servire + cruci, come neppure servitium crucis, che grammaticalmente potrebbero ipotizzarsi come corrispondenti. Possiamo peraltro osservare che gli stessi nessi risultano come tali assenti in tutta la tradizione latina, nonostante il concetto di ‘servire’ connesso a croce sia (ed è evidente) lessicalmente ben rappresentato se si guarda ai molteplici termini che sono costruiti intorno al lessema serv (servitium, servus, servire, servitus, ecc.). Forse l’espressione che più si avvicina è appunto quella di baiulare crucem. In effetti semanticamente servire e baiulare non sono sinonimi perfetti (baiulare semmai rimanda più a portare), ma mediante il nomen agentis baiulus (che è anch’esso utilizzato da Pier Damiani, cf. Tabella 1) è baiulare a connettersi più degli altri due al valore di servus/servire: baiulare è equivalente a portare crucem, inteso nel senso di ‘farsi carico’ della croce, baiulus crucis è colui che se ne fa carico come suo ruolo specifico, un carico che così viene a connotare una dimensione del servizio della croce. Dilatando i confini del campo semantico e delle relazioni grammaticali troviamo inoltre altre espressioni damianee che si possono ricollegare all’idea di un servizio della croce come atteggiamento interiore: copulare cultui crucis (1)33; militare cruci (2)34; communicare cruci (1)35.

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Baiulare Dominum è considerato equivalente a baiulare crucem quando si ritrova il termine crux nel contesto immediato 31 Si pongono accanto ai nessi le indicazioni delle frequenze in Pier Damiani; i dati riportati nella tabella si riferiscono rispettivamente il primo al nesso verbo +accusativo, il secondo alla concorrenza grammaticalmente e semanticamente connessa dei due lemmi. 32 vol. : 1, epist. : 17, pag. : 164, linea : 24 Haec itaque Christianae servitutis officia, dilectissime, non obsequium sed debitum deputa, et non voluntati sed necessitati prorsus adscribe, ut sicut Christianum te profiteri signum tibimet **crucis** imprimere, nomen Domini cotidie non desinis invocare, ita et haec aliquando nullis occasionum obicibus audeas praeterire. vol. : 1, epist. : 17, pag. : 164, linea : 24 Tunc itaque quam sincero corde et libera conscientia ante sublime solium flammivomi tribunalis assistit, qui servitutis suae pensum persolvisse se vivificae **cruci**, per quam de servo diaboli liber effectus est, recognoscit. 33 vol. : 3, epist. : 137, pag. : 469, linea : 14 Vos autem, dilectissimi, regulam a patribus traditam, a vobis etiam per longa iam tempora custoditam, sine causa nolite dimittere, saluberrimo cultui vivificae **crucis**, etiam sepulturae dominicae ieiunium copulate 34 Sermo: 18, linea : 225

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Si potrebbe obiettare che sono dati in sé non particolarmente indicativi, se considerati nel contesto di una cultura spirituale impregnata di scrittura e di teologia spirituale sulla croce. Sembra tuttavia interessante fermarsi proprio sulle due espressioni damianee dove si individua lo stesso spostamento semantico che è presente nel nesso servus crucis, spostamento in sé forse spontaneo e certamente non suo originale, ma non per questo scontato: esse sono baiulare crucem e sequi crucem. Qui crucem è usata, come metonimia, per Christum: il processo come tale è forse abbastanza prevedibile, ma si deve riconoscere che è in sé diverso rispetto agli altri nessi, che hanno anche una loro pregnanza semantica nel valore proprio della lettera. Qualcosa di analogo si potrebbe dire riguardo a militare cruci, che semanticamente ben corrisponde a un ipotetico servire cruci, equivalente a servire Christo. Peraltro dai dati sopra riscontrati, sembra che i risultati sopra richiamati ci conducano ad altre osservazioni, forse linguisticamente più pertinenti: in realtà il genitivo crucis non sembra da intendere come genitivo oggettivo, ma come genitivo di appartenenza: la croce è il padrone del cristiano nel senso che essa è ciò che determina il suo servizio, ne dà la forma, e non l’oggetto del suo servizio (e questo spiega l’assenza del nesso servitium crucis). Rimanda dunque non tanto al servitium, ma quanto alla servitus, termine particolarmente amato da Pier Damiani (ben 148 occorrenze in tutto il corpus, nelle varie forme e in vari contesti)36. Così ancora possiamo vedere come la sequela, il portare la croce, inteso come un portare su di sé il signum crucis, il mettersi al servizio dell’imago Christi per eccellenza, il crocifisso sia la forma propria della christiana servitudo37. Non sarà certo questa una forma originale di Pier Damiani di rapportarsi alla croce, ma mi sembra perlomeno interessante registrare il fenomeno con le sue accentuazioni peculiari, alle soglie di un tempo in cui si verrà elaborando l’idea di crociata, la quale, al di là delle sue concretizzazioni storiche, darà forma a tutto un tipo di spiritualità caratteristico del secondo millennio38; o, da un altro punto di vista, alle soglie di un tempo in cui si vedrà la relazione con il crocifisso anche, e in taluni casi soprattutto, connotata da dimensioni affettive. In questa prospettiva è singolare che gli autori che particolarmente sembrano amare l’espressione servus crucis (cioè quelli che l’usano con una frequenza superiore a 2 nel CLCLT5), e probabilmente più sembrano fermarsi su un modo di pensare al rapporto con la croce come un servizio sono, oltre a Pier Damiani stesso (3 occorrenze), Bernardo di Chiaravalle (3 occorrenze) e Tommaso da Kempis (3 occorrenze, più 2 dell’Imitazione di Gesù Cristo, che, quale che ne sia l’autore, è comunque da ascrivere al medesimo clima della Devotio moderna). I dati discussi fin qui rappresentano bene, **Crucis** namque incomparabiles diuitias occultabat, quia et **cruci** iam per cuncta figurarum suarum atque aenigmatum ministeria militabat. sermo : 39, linea : 243 Haec enim littera **crucis** habet speciem, quae dum denarium numerum in se comprehendit, **cruci** militare omnia mandata legis euidenter ostendit. 35 vol. : 3, epist. : 106, pag. : 175, linea : 12 Qua die omnes fratres nostri quos utique monasterialis ordo connectit, hoc etiam ad cumulum propriae salutis adiciunt, ut et se mactent in capitulo vicaria collisione scoparum, et insuper celebrent in pane et aqua ieiunium, asserentes quia in hoc **cruci** vere communicamus, in hoc proculdubio Christo commorimur, si hoc eodem die quo ipse passus est, nos etiam carnem nostram per inediae **cruciamenta** mactemus. 36 Riporto due citazioni in riferimento diretto alla croce: Petrus Damiani - Epistulae CLXXX vol. : 1, epist. : 17, pag. : 164, linea : 24 Haec itaque Christianae servitutis officia, dilectissime, non obsequium sed debitum deputa, et non voluntati sed necessitati prorsus adscribe, ut sicut Christianum te profiteri signum tibimet **crucis** imprimere, nomen Domini cotidie non desinis invocare, ita et haec aliquando nullis occasionum obicibus audeas praeterire. Petrus Damiani - Epistulae CLXXX vol. : 3, epist. : 106, pag. : 176, linea : 11 Tunc itaque quam sincero corde et libera conscientia ante sublime solium flammivomi tribunalis assistit, qui servitutis suae pensum persolvisse se vivificae **cruci**, per quam de servo diaboli liber effectus est, recognoscit. 37 Cf. le citazioni alla nota precedente. 38 Si potrebbero forse ravvisare già i prodromi di quella soteriologia fondata sulla mediazione ascendente di cui discute G. AULEN, Christus victor. La notion chrétienne de rédemption, Tournay 1959.

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infine, quell’evoluzione che porterà di lì a poco in Occidente a privilegiare nell’immagine del crocifisso il Christus patiens rispetto al Christus triumphans: un processo non lineare, com’è noto, e neppure così scontato nella storia della spiritualità e della teologia39.

La stultitia crucis Si può provare a seguire anche una pista differente. Ho avuto già occasione di porre in luce in altra sede40, che il paradosso e l’antitesi non sono solo forma espressiva cara al gusto stilistico di Pier Damiani, il quale molto ama l’espressione icastica ad effetto, ma anche forma del pensiero, per così dire “struttura profonda” della sua personalità e del suo atteggiamento spirituale. Per questo soprattutto il linguaggio paolino, per quel suo amore di formule paradossali per rappresentare il mistero cristiano, specialmente nelle formulazioni cristologiche, da questo punto di vista è il più vicino all’approccio “ermeneutico” damianeo riguardo al senso della vita cristiana. Se questo è vero, quale peso ha potuto avere per Pier Damiani - la cui grammatica è Cristo41 - la formula paolina della “parola della croce”, definita stoltezza per gli uomini ma sapienza di Dio42? La consultazione degli indici biblici nelle edizioni di riferimento delle Epistulae e dei Sermones dà risultati molto scarni, per non dire ancora una volta deludenti (tre occorrenze della citazione paolina come tale), tanto da far pensare che non si possano formulare ipotesi di lavoro al riguardo. L’analisi delle concorrenze dei due lemmi stultitia e crux nel medesimo contesto dà risultati appena più cospicui, mentre l’estensione dell’osservazione, oltre all’ambito lessicale, al campo semantico della “follia della croce” ci mette in presenza di un piccolo dossier di una ventina di luoghi [riportati nell’appendice 2], che meritano di essere analizzati con una certa attenzione: come sempre in questi casi, le allusioni bibliche, a una considerazione più approfondita risultano ben più frequenti di quelle individuate dall’editore. Ma la vera sorpresa ci viene da un confronto con il corpo più ampio della letteratura latina cristiana. In realtà i lemmi stultitia e crux concorrono assai di rado nel linguaggio patristico. I dati che fornisce lo spoglio del CLCLT5 sono eloquenti43: TABELLA 5

stultitia crucis 344 31/62

stultitia praedicationis 6 77/84

scandalum crucis 1 71/194

Va osservato che stultitia praedicationis è citazione diretta di Paolo 1 Cor 1,21, mentre le altre due sono entrambe formule sintetiche “ad sensum” estratte da 1 Cor 1,18 (verbum enim crucis pereuntibus quidem stultitia est his autem qui salvi fiunt id est nobis virtus Dei est) e da 1 Cor 1, 23 (nos autem praedicamus Christum crucifixum Iudaeis quidem scandalum gentibus autem stultitiam). Queste ultime si dovrebbero giustificare e sostenere proprio nel reciproco parallelismo. 39

Cf. alla voce Croix in DACL, a firma di H. Leclercq, vol. III/2, Paris 1914, le coll. 3081-3090; M.-CHR. SEPIÈRE, L’image d’un Dieu souffrant. Aux origines du crucifix, Paris 1994, in particolare le pp. 209-223; La croce. Dalle origini agli inizi del secolo XVI, a cura di B. Ulianich, Napoli 2000, e dello stesso studioso, Il Cristo crocifisso rivestito dal colobium o dalla tunica (secoli VI-XIII). Note e appunti, in Ave crux gloriosa. Croci e crocifissi nell’arte dall’VIII al XX secolo, a cura di P. Vittorelli, , s.d. [2001?], pp. 53-54, che cita TERTULLIANO, Adversus Marcionem 3,18 (cf. ed. Evans, Oxford 1972, pp. 222-226, dove si parla tuttavia di scandalum, di maledictio, ma non di stultitia). 40 Cf. la mia Analisi letteraria della Vita Romualdi, in corso di pubblicazione come introduzione al volume sulla agiografia damianea nell’ambito dell’edizione dell’Opera Omnia presso l’editore Città Nuova. 41 Cf. Lett. 21, 2 (Lettere 1, p. 375). 42 Cf. 1 Cor, 1,18-2,1 43 Il primo dato rappresenta il valore numerico delle occorrenze del nesso come tale, il secondo la concorrenza dei due lemmi. 44 Il dato di tre occorrenze differisce da quello della prima tabella, perché cercando in questo caso la concorrenza dei due termini nella stessa frase si reperisce anche la citazione diretta del testo paolino nel sermo 18, linea 278.

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Ciò rende tanto più singolare la sproporzione statistica tra l’uso di stultitia crucis e quello di scandalum crucis. Ad estendere il sondaggio sul campo semantico si possono trovare altre sorprese: l’espressione turpitudo crucis si trova solo in Pier Damiani; e dei 17 casi in cui turpitudo e turps concorrono con crux (a partire dalla formula di derivazione origeniana mors turpissima crucis45), abbiamo anche una testimonianza di Pier Damiani46. Dobbiamo quindi correggere la nostra impressione originaria di una scarsa rilevanza dell’idea di una follia della croce nel nostro autore, e inserire i nostri dati nel quadro di una complessiva prudenza con cui il pensiero cristiano si riferisce alla stoltezza della croce, a favore di immagini che sembrano privilegiare la vittoria della croce, potremmo forse dire in una prospettiva più di una ”escatologia realizzata”. Chi scrive non ha la competenza per discutere più a fondo il fenomeno di questa prudenza, che pare comunque inoppugnabile; ma sembra interessante proprio il fatto che Pier Damiani, pur entro questo filone di pensiero (come gli altri dati riprodotti più sopra confermano ampiamente) sia tra coloro che assumono con una certa libertà, senza timore ma anche in tutta la loro radicalità, le immagini e il pensiero paolino riguardo al paradosso della “parola della croce”. Nel sentirsi servo della croce Pier Damiani sembra dunque aver ben presente anche la dimensione provocatoria che l’espressione assume se presa nel suo senso più completo. Allora possiamo pensare che, nel quadro della sua “spriritualità della croce”, o più semplicemente nel suo modo di percepire la croce come realtà che segna la vita del cristiano, il monaco eremita, folle della stessa stultitia Christi, interpreta questa stultitia nell’eroismo assurdo e paradossale delle sue pratiche di devozione, intendendo così rappresentare in sé l’immagine per eccellenza di tale follia, quella del crocifisso, fino alla consumazione di sé (la kenosi) per salvare, in Cristo e con Cristo, se stesso e il mondo. Lorenzo Saraceno, agosto 2004 Eremo San Giorgio 37011 Bardolino VR tel. 0457211390 e-mail: [email protected]

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ORIGENES, Commentarii ad Mattheum , 27,22 ss ( ed. Klostermann in ORIGENES Werke, 11, Leipzig 1933, CGS 38, p. 259). Per una collocazione storico-teologica del problema nel Nuovo Testamento e nella Chiesa antica, cf. M. HENGEL, Crocifissione ed espiazione, Brescia 1988, pp. 33-129. 46 sermo : 18, linea : 295 Turpissimum **crucis** elegit propria uoluntate suplicium, ut nos de seruitutis iugo sublimaret ad regnum.

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