Sicilia contesa. Separatismo, guerra e mafia

September 9, 2017 | Autor: Antonello Battaglia | Categoria: Separatismo, Sicilian Separatism
Share Embed


Descrição do Produto

AC U LE I COLLANA DIRETTA DA

ALE S SAN DRO BARB E RO

18

ANTONELLO BATTAGLIA

SICILIA CONTESA SEPARATISMO, GUERRA E MAFIA

SALERNO EDITRICE ROMA

Copertina: Concept and graphic design: Andrea Bayer (www.andreabayer.it). Illustrazioni: Andrea Conforzi.

ISBN 978-88-8402-942-3 Tutti i diritti riservati - All rights reserved Copyright © 2014 by Salerno Editrice S.r.l., Roma. Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, senza la preventiva autorizzazione scritta della Salerno Editrice S.r.l. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge.

Ad Antonella

I NTRODUZ ION E

« Antudo! » gridavano i rivoluzionari durante le giornate convulse della primavera del 1282, quando i Vespri sollevavano l’intera Sicilia sottomessa al potere angioino. L’acronimo di Animus Tuus Dominus divenne il motto dell’insurrezione insieme alla bandiera giallorossa – dall’unione dei colori di Corleone e Palermo, primi centri a ribellarsi – con la triscele color carnato e la gorgone Medusa.1 Da quel lunedí di Pasqua si scatenò una violenta “caccia ai francesi”, gli angioini fuggirono. I rivoluzionari chiesero l’aiuto di Pietro III d’Aragona, marito di Costanza di Svevia, la nipote di Federico II, l’imperatore caro ai siciliani. Il motto e il vessillo furono innalzati anche nel maggio del 1647, durante l’insurrezione armata per l’abolizione delle gabelle e per una maggiore partecipazione del popolo al governo delle città. Il viceré fuggí, ma dopo qualche settimana gli spagnoli ritornarono con la forza. Circa centosettant’anni dopo, nel 1820, « Antudo » fu il grido dei moti sollevato contro i Borbone che avevano appena proclamato la fine del Regno di Sicilia e avevano accorpato l’isola al regno partenopeo. La rivolta permise di ripristinare la costituzione siciliana del 1812, ma i generali napoletani soffocarono nel sangue tumulti e costituzione. La Sicilia era riannessa al Regno di Napoli. Il 12 gennaio 1848, lo stesso motto urlato a Palermo scandí l’inizio della vasta ondata rivoluzionaria. L’intero continente europeo fu trascinato in un biennio rivoluzionario che sconvolse definitivamente l’ordine sancito a Vienna nel 1815 e diede avvio a una nuova fase storica, la “primavera dei popoli”. « La scintilla rivoluzionaria di Palermo » cosí la chiamavano i siciliani che si vantavano di essere stati gli artefici di un’intensa stagione di libertà europea. Anche in questo caso la costituzione, prima concessa, venne presto revocata dal conservatore Ferdinando II delle Due Sicilie. Il 5 maggio 1860 a Marsala, la bandiera della trinacria fu sventolata insieme a quella dei garibaldini che iniziarono dalla Sicilia le operazioni militari contro l’esercito borbonico. A Trapani c’erano già stati violenti disordini e Garibaldi, in costante contatto con i patrioti Pilo e Crispi, era consapevole dell’opposizione siciliana a Napo9

introduzione li. L’idea d’Italia, tuttavia, non era ben chiara ai siciliani. La liberazione da Ferdinando e da Franceschiello si pensava potesse condurre a una Sicilia libera, magari governata dallo stesso Garibaldi. La prospettiva di un’annessione al Regno di Sardegna e la dilagante crisi economicoalimentare sfociarono, non di rado, in gravi disordini come quello di Bronte, il 10 agosto 1860, quando il comandante garibaldino Nino Bixio sedò nel sangue la rivolta. A poco piú di un anno dall’unità d’Italia, fu proclamato lo stato d’assedio su Palermo « e tutte le provincie siciliane ». « Antudo! » urlavano i palermitani. Lo gridarono per sette mesi, invano, fino a quando le truppe regie riportarono l’ordine. Si ripeterà tutto quattro anni dopo, nel 1866 quando il colera, la miseria, le pesanti misure poliziesche e la terza guerra d’Indipendenza contribuirono a una nuova ondata insurrezionale detta del « sette e mezzo ». Drappi e motti rivoluzionari anche negli anni Novanta dell’Ottocento con i “fasci Siciliani” che inscenarono proteste dando voce a rivendicazioni democratiche e indipendentiste. Fu proprio un siciliano a reprimere la rivolta, il capo del governo, Crispi, che pur comprendendo le proteste dei lavoratori non ne condivideva l’intenzione secessionista. Arresti sommari, esecuzioni e condanne – poi amnistiate – soppressero il sovversivismo. Diversi momenti della storia dell’isola in cui l’identità siciliana si rinvigorí, facendo appello alle istanze indipendentistiche o autonomiste. Moti, vessilli e rivendicazioni si presentarono puntualmente nei periodi di crisi caratterizzati da malessere sociale, rivendicazioni politiche e prevedibili disordini nei quali l’esigenza di un nuovo ordine veniva legata all’ineluttabile autogestione governativa. In ogni caso le grandi aspettative furono disattese e il fragore dei cannoni riuscí a zittire le urla e ammainare le bandiere. Un altro momento di crisi fu il Secondo conflitto mondiale, in particolare nella convulsa primavera-estate del 1943, quando la Sicilia fu il primo fronte della guerra in suolo europeo e lo scenario di gravi tensioni locali, oltre ovviamente che nazionali e internazionali. Le principali direttrici delle operazioni militari convergevano nell’isola; bombardamenti, distruzioni, vittime, paralisi economica, fame, delinquenza, mercato nero, traffico di armi portarono al risveglio dell’antico motto « Antudo » (in siciliano « Antudu! »). Anche in questo 10

introduzione caso il desiderio di un nuovo ordine sociale, l’aspirazione ad una migliore condizione di vita e l’attesa per la fine del conflitto conversero nell’opposizione politica al governo fascista, ritenuto il principale responsabile della gravissima crisi. L’imminente caduta del regime fu correlata all’inevitabile crollo dello Stato nazionale unitario retto da un re definito “fedifrago” e, a partire da quella tarda primavera del 1943, la rinascita siciliana venne ricondotta a imprescindibili istanze indipendentiste. Furono clandestinamente pubblicate le prime opere di propaganda separatista; La Sicilia ai Siciliani! – pamphlet di Mario Turri, pseudonimo del partigiano e militante Mario Canepa – propugnava la teoria di una Sicilia secolarmente sfruttata dalle dominazioni straniere, annessa con l’inganno ai Savoia e vessata durante il ventennio fascista. In questa fase, stante anche la mancanza di altre concrete alternative politiche al fascismo in Sicilia, il movimento ottenne il consenso del popolo che aspirava, al di là del programma politico indipendentista, al miglioramento delle proprie condizioni di vita. In un primo momento il separatismo – non osteggiato dagli Alleati che volevano ottenere l’appoggio della popolazione – non incontrò alcuna resistenza. Ma dopo la riconsegna della Sicilia all’amministrazione italiana, nel febbraio del 1944, le aspirazioni del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia (MIS), che fino a quel momento aveva sperato nell’accettazione delle proprie istanze, vennero vanificate. In realtà gli Alleati non presero mai sul serio l’ipotesi di una Sicilia indipendente, né tantomeno americana. Sfruttarono abilmente il separatismo per accentuare la crisi e affrettare la caduta del regime fascista e successivamente per fare pressioni sul re e accelerare l’armistizio italiano. Raggiunti tali obiettivi, il “benevolo appoggio” mutò in indifferenza. La Sicilia tornava ad essere, com’era d’altronde sempre stato, un problema italiano. Iniziò una fase di contrasto tra i separatisti e le nuove istituzioni statali. La paventata ipotesi di ottenere come massimo risultato l’autonomia, favorí tra gli indipendentisti l’affermazione della frangia eversiva e l’inizio della guerra al governo italiano. Nacquero prima l’Esercito Volontario per l’indipendenza della Sicilia (EVIS), in seguito la Gioventú Rivoluzionaria per l’Indipendenza della Sicilia (GRIS) 11

introduzione e venne sancito il sodalizio con le bande mafiose dell’isola tra cui quelle di Salvatore Giuliano a Montelepre, Rosario Avila a Niscemi e Calogero Vizzini a Villalba. Entrambe le organizzazioni condividevano per motivi diversi la contrapposizione allo Stato e, strumentalizzandosi a vicenda, si unirono nella lotta. La battaglia di S. Mauro di Caltagirone del 29 dicembre 1945, tredici cicli di rastrellamenti in Sicilia orientale e otto in Sicilia occidentale, tra gennaio e aprile 1946, permisero al governo di ridimensionare l’azione delle bande armate separatiste. In Sicilia l’assenza di una rivoluzione agraria aveva impedito la modernizzazione e soprattutto la formazione di una classe borghese capace di imputarsi un processo di cambiamento attraverso l’investimento produttivo nelle campagne. A causa di questa realtà statica, nell’isola si erano attivati i complessi meccanismi di rivendicazione. Ma il separatismo siciliano si componeva di anime differenti, forze politiche diverse, persino contrapposte che tuttavia convergevano sull’aspirazione all’indipendenza. Le trattative segrete Stato-separatismo portarono – insieme alla riforma agraria del 1950 e all’amnistia per i reati politici – alla pacificazione sociale. Il movimento, per essere legittimamente riconosciuto come partito politico, dovette accettare il compromesso dell’autonomia rinunciando cosí ai principi costitutivi del separatismo, snaturandosi e avviandosi verso il declino accelerato dalle contrapposizioni tra le diverse correnti intestine.2 Negli anni successivi, la Democrazia Cristiana riuscí a ricomporre la crisi. Nella smobilitazione del movimento separatista molti esponenti – soprattutto della frangia filo-monarchica e reazionaria composta dagli aristocratici e grandi proprietari terrieri – confluirono nella “balena bianca”. Gran parte dei presidenti della regione, fino alla metà degli anni Novanta, eccetto qualche eccezione, fu democratico-cristiana e il grande partito, dunque, governò quasi ininterrottamente nell’isola. Non si parlò piú di separatismo, era come si trattasse di una suggestione affascinate ma ormai svanita. La regione era ormai autonoma e proprio ciò era considerato il nuovo elemento di forza della Sicilia che, se da un lato restava legata all’Italia, dall’altro affermava la propria identità ed esercitava il tanto agognato autogoverno. Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta il dibattito 12

introduzione politico regionale contrappose gli autonomisti moderati a quelli piú radicali che non condividevano le intese con Roma e che volevano attuare pienamente l’autonomia svincolandosi dai dettami del partito. I fanfaniani furono sconfitti e per tre anni la DC dovette cedere la supremazia dell’isola prima all’Unione Siciliana Cristiano Sociale e successivamente al Partito Socialista Italiano. La larga autonomia accordata sulla carta alla regione non fu attuata in pieno da parte dello stesso governo siciliano e l’agognato sviluppo economico e la “rincorsa al Nord”, nei fatti, non si verificarono. Dopo la dissoluzione della DC, dalla seconda metà degli anni Novanta si sono succeduti diversi partiti al governo della regione appartenenti a diverse e opposte fazioni politiche, ma il dibattito sull’autonomia non si è ancora esaurito. A conferma di ciò la larga vittoria del Movimento per le Autonomie alle elezioni regionali del 2008. La nuova formazione politica, infatti, è riuscita ad allargare il consenso facendo appositamente leva sulla riappropriazione dell’autonomia da parte dei siciliani. L’autonomismo è stato ricollegato immediatamente al federalismo e l’intesa tra MPA (Movimento per le Autonomie) e Lega Nord, per quanto potessero sembrare partiti di segni e tendenze differenti, si è concretizzata proprio sul presupposto dell’opposizione al potere centrale. Entrambe forze centrifughe coalizzatesi per l’obiettivo comune di scardinare la periferia dal centro e raggiungere la massima autonomia. Nell’ultimo periodo al rafforzamento di queste posizioni contribuisce indubbiamente la crisi economica che genera e accentua il diffuso malcontento nei confronti del governo italiano e consente la crescita del dilagante sentimento di “euro-sfiducia”. Sorgono infatti diversi movimenti indipendentisti, come quello veneto e lombardo che testimoniano la tendenza e la radicalizzazione del fenomeno. Dall’autonomia al federalismo, alla rivendicazione dell’indipendenza concepita come unico mezzo per la rinascita economico-politica delle aree in questione. Ed ecco che le vicende storiche, considerate il retaggio di un’epoca ormai svanita, tornano d’attualità e vengono riesumante per trovare una giustificazione alle tendenze indipendentiste. Il concetto politico della Lega, ossia la secessione del Nord, viene superato dalle nuove istanze locali di indipendenza. La frantuma13

introduzione zione dell’unità viene considerata la soluzione ottimale. « Bastare a sé stessi » è il fine ultimo. Anche in Sicilia, come al Nord, oltre alle tendenze di rafforzamento autonomista, serpeggiano i primi sentimenti filo-separatisti sostenuti da diffuse, timide simpatie. Per comprendere appieno le dinamiche attuali è necessario ripercorrere il background storico della regione e analizzarne le vicende. Avvenimenti di notevole importanza, dunque, non relegati soltanto al passato e all’esclusivo contesto regionale ma attuali e di grande interesse nazionale. Una pagina pulsante della storia d’Italia, della storia della « piú bella isola del Mediterraneo ».

14

I LA S IC I LIA TRA G UERRA E S EPARATI S MO

1. Arrivano! Lo sbarco alleato Nel rovente luglio del 1943 la Sicilia diveniva un’area di notevole importanza per le sorti del Secondo conflitto mondiale. Tra il 14 e il 24 gennaio, a Casablanca, presso l’hotel Anfa, si era tenuto il summit segreto tra Roosevelt, Churchill e de Gaulle in cui – dopo l’ormai imminente vittoria in Africa – si era deciso di pianificare le operazioni belliche in Europa individuando la penisola italiana come obiettivo iniziale. L’attacco nel Mediterraneo sarebbe stato il preludio dell’apertura di un secondo fronte nelle coste atlantiche francesi, e sarebbe stato rivolto contro la Sicilia. Il generale Eisenhower, in realtà, era piú propenso a uno sbarco in Sardegna, ma alla fine le posizioni del primo ministro britannico ebbero la meglio.1 Nelle operazioni militari in Sicilia si sarebbero scontrati 855.000 uomini: 450.000 fra inglesi e americani, 405.000 fra italiani e tedeschi, 5000 aerei di cui 4000 degli Alleati e 900 dell’Asse; 3000 navi da guerra e da trasporto, quasi tutte alleate, 1600 mezzi da sbarco, oltre 1000 carri armati.2 La pianificazione dell’operazione Husky, oltre all’aspetto stricto sensu militare, fu caratterizzata dalle trattative tra i servizi segreti americani e la mafia, coordinate dall’Office of Strategic Services (OSS).3 Numerosi agenti statunitensi avevano contatti con esponenti di spicco delle cosche dell’isola e un ruolo importante fu quello svolto da Salvatore Lucania, meglio noto come Lucky Luciano. Classe 1897, siciliano di Lercara Friddi, senza professione, era emigrato negli States in giovane età e aveva svolto svariati mestieri fino a concentrare la sua attività nella “tratta delle bianche” che gli aveva fatto acquistare la fama di « re dei rigattieri di Manhattan ».4 Per tale attività era stato arrestato e nel 1932 condannato a una pena compresa tra i dieci e i vent’anni di reclusione da sommare ad altri quindici anni per reati non noti. Ma all’inizio del 1943, il gangster venne messo in libertà su richiesta dell’intelligence statunitense e inviato in Sicilia a svolgere il delicato 15

sicilia contesa compito di trait d’union tra i servizi segreti americani e i boss siciliani al fine di organizzare lo sbarco alleato e preparare la popolazione a un’adeguata accoglienza.5 Oltre a Luciano altri noti mafiosi italo-americani come Victor Anfuso, Vito Genovese e Albert Anastasia avevano preso parte alle trattative. Tra il 6 e l’11 giugno 1943 l’operazione d’attacco su Pantelleria, iniziata ufficialmente il 18 maggio, venne ulteriormente intensificata con lo sganciamento di circa 5000 tonnellate di ordigni e il massiccio attacco simultaneo della flotta. L’ammiraglio Pavesi – viste le complicate condizioni in cui versava la popolazione e la difficoltà nel contrastare l’imminente sbarco degli Alleati, nonostante la difesa dell’isola fosse ancora possibile – ordinò la capitolazione della piazzaforte.6 Il 12 giugno, giorno successivo alla caduta di Pantelleria, a Palermo si ebbe la prima sortita pubblica di un inedito Comitato d’azione provvisorio che, appellandosi all’orgoglio del popolo siciliano, esortava alla resistenza passiva contro il regime fascista reo delle lunghe sofferenze patite.7 L’ora delle decisioni improcrastinabili era giunta e la Sicilia, definita « martoriata, insanguinata e mutilata », avrebbe mostrato il suo indomabile spirito, stanca e sdegnata dell’inutile carneficina a cui era costretta. Palermo era ritenuta la capitale delle rivoluzioni e dopo venti anni di angherie e soprusi, era dovere morale dei siciliani opporsi al fascismo e permettere agli angloamericani di abbattere il regime.8 Il sedicente Comitato d’azione provvisorio enunciava alcuni principi fondamentali che sarebbero stati spesso ribaditi nei futuri proclami: l’antifascismo, la Sicilia come antica maestra di civiltà e culla di rivoluzioni, la resistenza passiva, il diritto all’autodeterminazione, la comunanza degli interessi con l’Inghilterra, e in generale con gli Alleati, e la necessità di un plebiscito che ne stabilisse il destino. I fatti e i documenti relativi all’occupazione militare della Sicilia portano ad escludere che nella strategia alleata fosse stata mai presa in considerazione la reale separazione dell’isola dall’Italia: probabilmente gli anglo-americani si servirono in modo strumentale dei separatisti per allargare ulteriormente il consenso in seno all’opinione pubblica siciliana. Il messaggio di Eisenhower del luglio ’43, infatti, non era indirizzato soltanto ai siciliani, ma « al Popolo Italiano ».9 Il 16

i. la sicilia tra guerra e separatismo generale annunciava l’inizio delle operazioni militari rivolte contro il regime fascista, responsabile della guerra e non contro il popolo italiano. L’obiettivo proclamato, dunque, era la libertà dell’intera penisola.10 Lo scrupolo terminologico non era casuale e anche il colonnello Poletti, capo degli Affari Civili della vii armata americana, nell’ordine ufficiale n. 17 si rivolgeva al « popolo italiano di Sicilia ».11 2. Nuovo ordine, nuova Sicilia Durante l’operazione Husky – le cui azioni militari durarono trentotto giorni, dalla notte tra il 9 e il 10 luglio, alla mattina del 17 agosto, quando le ultime unità tedesche evacuarono l’isola – il Comitato Provvisorio assunse il nome ufficiale di Comitato per l’Indipendenza Siciliana e i proclami e gli appelli alla popolazione locale si moltiplicarono, marcando e legando insieme l’imminente fine del fascismo e la definitiva decadenza dello Stato unitario.12 Le speranze del « risorgimento nazionale siciliano », cosí come era definito, erano pertanto legate al processo disgregativo italiano. In uno dei manifesti palermitani, il comitato affermava che l’unità d’Italia era spezzata e la Sicilia si sarebbe organizzata e governata separatamente, da sé. Il nuovo stato libero e indipendente, a regime repubblicano, sarebbe sorto in virtú dell’indefettibile volontà del popolo siciliano.13 I promotori dell’iniziativa erano Fausto Montesanti e l’on. Andrea Finocchiaro Aprile, deputato per tre legislature ed ex sottosegretario alla Guerra e alle Finanze dei governi Nitti e Nitti ii. Era inoltre un avvocato rinomato con uno studio a Roma, ed era vicino agli ambienti intellettuali italiani e stranieri. Contemporaneamente, personaggi come Lucio Tasca e Antonio Canepa – l’uno aristocratico e noto proprietario terriero, fra i piú affermati rappresentanti dell’alta società palermitana; l’altro docente di Storia delle Dottrine Politiche nella Regia Università di Catania, vicino agli ambienti massonici e agente segreto dell’Intelligence Service britannico – scrivevano e facevano circolare opuscoli clandestini di stampo separatista: La Sicilia ai Siciliani e l’Elogio del Latifondo siciliano. I due testi avrebbero avuto un’influenza decisiva nella formazione della cultura e della ideologia separatiste. Canepa, che scriveva con lo pseudonimo e nome di battaglia di Ma17

sicilia contesa rio Turri, sosteneva che la Sicilia era stata creata da Dio appositamente separata dal continente e circondata dal mare. Religione e geografia si intrecciavano inestricabilmente e tutti avrebbero dovuto tenere conto di questo binomio. Ma purtroppo – proseguiva il professore – nessuno mai aveva preso in considerazione questa separazione “divina”. Non erano mai stati i siciliani ad attraversare lo stretto e invadere la Penisola, ma era sempre avvenuto il contrario. In tal modo la Sicilia aveva piú volte perso la libertà e l’indipendenza ed era stata ridotta alla miseria. Nel 1860 l’isola era dominata dai Borbone ma anelava alla piena indipendenza: l’arrivo dei garibaldini e la proclamazione del Regno d’Italia erano stati semplicemente il pretesto per un’annessione e un’ulteriore violazione dei diritti del popolo. Il 10 agosto 1860 Bixio, inviato da Garibaldi, aveva represso nel sangue la rivolta di Bronte, prima scintilla dell’autentica rivoluzione siciliana in procinto di scoppiare. Appena due anni dopo, il primo stato d’assedio del neonato regno italiano era stato proclamato proprio in Sicilia e nel 1863 il generale Govone era intervenuto con i propri uomini a scongiurare i paventati disordini. Tra il 16 e il 22 settembre 1866 la rivolta era divampata a Palermo in tutta la sua violenza. Il generale Raffaele Cadorna, inviato in qualità di Regio Commissario alla testa di due divisioni di fanteria, un reggimento di cavalleria e una brigata di artiglieria, aveva processato sommariamente e fucilato migliaia di cittadini. Negli anni Novanta la situazione era continuata a peggiorare e le eccezionali misure di polizia avevano portato ai “fasci siciliani dei lavoratori” contro cui il governo Giolitti aveva scatenato una moltitudine di soldati, il cui invio non aveva certamente contribuito a mitigare la tensione. A questo punto – proseguiva Canepa – il re aveva deciso di assegnare a Crispi, siciliano definito « Caino », l’incarico di reprimere i disordini. Durante la Grande Guerra, la Sicilia aveva pagato un alto contributo di sangue inviando al fronte molti giovani, strappati dalle proprie case e obbligati a morire per uno Stato che non riconoscevano come proprio. Nel periodo interbellico, il regime fascista aveva stretto la morsa annichilendo le esili libertà residue. Sia il popolo italiano che quello siciliano erano stati calpestati e impossibilitati a opporsi. Il pamphlet concludeva con l’affermazione che la Sicilia non avrebbe avuto bisogno di nessuno perché sarebbe bastata a sé stessa.14 Si incitava il 18

i. la sicilia tra guerra e separatismo popolo alla rivoluzione approfittando dell’imminente crollo del regime fascista e del caos generato dall’invasione alleata. La Sicilia, separata per progetto divino, lo doveva essere anche politicamente. Il 29 luglio Finocchiaro Aprile, a capo del separatismo, inviò un appello al generale britannico Harold Alexander, comandante dell’Allied Military Government of Occupied Territory (AMGOT), in cui sottolineava i punti essenziali delle rivendicazioni tra cui innanzitutto l’immediata liberazione di tutti i prigionieri siciliani e, dal punto di vista politico, il rifiuto dell’autonomia – definita « vecchio e obsoleto tranello » per mantenere la Sicilia legata allo Stato italiano – il riconoscimento del diritto storico dell’isola all’indipendenza e la necessità del plebiscito in virtú del principio dell’autodeterminazione dei popoli.15 L’assetto politico perseguito dunque era quello di una repubblica indipendente con base democratica e struttura bicamerale. Si proponeva l’immediata creazione di un governo provvisorio che entro due mesi avrebbe chiamato il popolo a votare la nuova forma di governo, a eleggere i membri dell’assemblea nazionale costituente e a scegliere il primo presidente della Repubblica che, a sua volta, avrebbe nominato i membri del primo governo.16 Il leader del movimento (il separatismo sarebbe diventato ufficialmente “Movimento” nel febbraio del 1944) cercava di combinare l’assetto parlamentare britannico con quello presidenziale statunitense puntualizzando la volontà politica di consegnare il nuovo Stato al « sistema delle alleanze inglesi e americane ».17 Il 23 luglio, il giorno dopo l’ingresso delle truppe alleate a Palermo, si riunirono l’ufficiale addetto agli Affari Civili del Governo Militare Alleato per il territorio occupato dalla Settima armata americana, Charles Poletti, e la delegazione del Comitato per l’indipendenza, presieduta da Finocchiaro Aprile. Si trattava di presentare la richiesta formale al generale Alexander, governatore della Sicilia, di informare i governi alleati che il popolo siciliano aspirava all’indipendenza e che a tal fine sarebbe stato necessario che gli indipendentisti costituissero un governo provvisorio. Nel memoriale consegnato al colonnello Poletti era puntualizzato il concetto secondo cui la Sicilia non era stata complice, ma vittima del fascismo. Il leader separatista denunciava il disprezzo di Mussolini per l’isola, e tra i numerosi provvedimen19

sicilia contesa ti del regime enumerava il trasferimento coatto di tutti i funzionari pubblici siciliani in continente. Tutto il popolo bramava l’agognata indipendenza ormai da troppo tempo negata. Lo sfruttamento italiano sarebbe continuato anche dopo la caduta del regime; pertanto si richiedeva con forza che gli Alleati realizzassero le aspirazioni popolari: « Il nostro programma è ora: la Sicilia ai siciliani ».18 La convocazione dei rappresentanti siciliani a una futura Conferenza di Pace era considerata piú che certa, alla stregua di quanto era accaduto a Versailles con i leader cecoslovacchi e jugoslavi. Il programma prevedeva la formazione di un governo provvisorio, rappresentante di tutte le province siciliane, che avrebbe provveduto al funzionamento delle pubbliche amministrazioni al fine di non interrompere la vita politico-sociale del Paese. Entro due mesi dalla costituzione del governo provvisorio, sarebbe stato chiesto al popolo, in virtú del principio dell’autodecisione, di pronunciarsi tramite plebiscito sulla forma del governo e di eleggere direttamente il capo dello Stato. Convinzione del Comitato era che il popolo avrebbe ardentemente desiderato un governo a base repubblicana costituzionale. Il plebiscito, dunque, veniva considerato un doveroso atto di omaggio alla sovranità popolare soprattutto dopo il regno di un re definito “fedifrago” e complice del regime fascista. Successivamente, secondo circoscrizioni prestabilite, il popolo avrebbe eletto i membri dell’assemblea nazionale. Sia uomini che donne maggiorenni avrebbero avuto il diritto di voto nel comune di nascita e/o residenza. L’assemblea avrebbe deciso se optare per il sistema bicamerale, con un senato totalmente o parzialmente elettivo, riservato a coloro che nella politica, nelle pubbliche amministrazioni, nelle forze armate, nelle scienze o nelle arti si fossero distinti. A seguito di questi primi passaggi, il presidente della repubblica avrebbe nominato il governo e quest’ultimo avrebbe proposto all’assemblea nazionale, con funzione di costituente, uno schema di carta costituzionale che, dopo ampio dibattito ed eventuali correzioni, sarebbe diventata legge fondamentale dello Stato. Il comitato garantiva la rimozione di tutti i vincoli che avevano paralizzato l’attività commerciale e industriale del Paese. Sarebbero state tutelate le piú ampie libertà sul terreno civile e politico come quelle di stampa, di parola, di associazione, di riunione, 20

Lihat lebih banyak...

Comentários

Copyright © 2017 DADOSPDF Inc.