storia contemporanea

June 9, 2017 | Autor: Francesco Calvi | Categoria: Storia
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"La vendetta tedesca" , autore Gerhard Schreiber, casa editrice Mondadori a cura di:
Calvi Francesco
L'autore di "la vendetta tedesca" si pone l' obiettivo di far luce sulle rappresaglie naziste in territorio italiano a cavallo degli anni 1943-1945 e di stimolare una riflessione sulle relazioni italo - tedesche durante la seconda guerra mondiale. Egli parte da una piccola premessa; il perché dell'indignazione dell'opinione pubblica tedesca quando nell'ottobre del 1962 venne proiettato il film italiano "le quattro giornate di Napoli" nelle sale cinematografiche in Germania. Tale indignazione è motivata dall'infrangersi del mito germanico di una condotta di guerra impeccabile. Il film mostrava scene di devastazione totale, di bambini e anziani morti o che sopravvivevano a stenti, di fucilazioni sommarie spesso senza motivi reali (se esistono motivi reali per fucilare una persona). Ciò che destò più indignazione nell'opinione pubblica tedesca fu che la pellicola mostrasse i soldati tedeschi come cinici carnefici di vittime innocenti. Il tema centrale del libro sono i crimini legittimati dallo Stato nazista in territorio italiano. Non analizzeremo la totalità dei crimini; saranno esclusi, ad esempio, quelli commessi durante le deportazioni. Tra le vittime dei nazisti annoveriamo 6800 militari italiani uccisi per ordini criminosi o che contravvenivano alle disposizioni del diritto internazionale, 44.720 partigiani uccisi nel disprezzo delle disposizioni internazionali e 9180 civili (compresi donne e bambini) morti nel corso della cosiddetta "Bandenbekampfung"(lotta fra bande) fra l'8 settembre 1943, data dell'uscita dell'Italia dalla guerra e il 2 maggio 1945, data della capitolazione tedesca in Italia. Scopo del libro sarà anche quello di distinguere gli autori delle stragi, grazie alle fonti, fra i militari della Wehrmacht, i soldati delle Waffen-SS, i soldati delle SS e la polizia. Ognuno di questi corpi infatti agiva secondo una metodologia particolare; chiamati a giudizio, comun denominatore fu lo scaricare ogni responsabilità delle stragi ai comandi superiori tedeschi; ognuno degli imputati si avvalse della formula "ho solamente eseguito un ordine"1. Furono pochissimi i soldati che decisero di non obbedire a un ordine criminoso; a questi non venne fatto alcun male, c'era la possibilità di scelta.
Nel primo capitolo Schreiber si pone la domanda: "perché diventò possibile?".
Hitler il 16 gennaio 1945 insediò il suo quartier generale nel bunker della nuova cancelleria del Reich; la guerra era da tempo persa. Il Fuhrer negli ultimi momenti della sua vita si fermò ad analizzare i dodici anni in cui aveva esercitato il proprio potere. A verbalizzare i suoi pensieri (che diverranno noti come testamento di Hitler) fu Martin Bormann (il suo segretario) tra il 4 febbraio e il 2 aprile 1945.Uno dei pensieri centrali del "testamento di Hitler"2 riguardò la debolezza dell'alleato italiano. Con l'armistizio3 siglato dal governo Badoglio, Hitler rafforzò la sua convinzione sull'inaffidabilità degli italiani. Una delle risposte al "perché diventò possibile" è quindi il "tradimento" itlaiano.
Altro fattore determinante del "perché diventò possibile" fu il fatto di considerare in una posizione di subordinazione etnica e razziale l'alleato italiano. Secondo il generale Edmund Glaise Von Horstenau gli italiani erano i signori "Cazzolini" o "Cazzi". Per Hitler stesso i Croati erano di gran lunga "razzialmente" migliori dei soldati italiani, composti per lo più da meridionali inadatti a ruoli di prestigio4. Walter Gross, professore e dottore di medicina, nonché direttore del Rassenpolitisches Amt (ufficio per politica razziale del partito nazionalsocialista), alla fine del luglio del 1941 giunse persino a chiedere di vietare i matrimoni tra italiani e tedeschi all'ambasciatore italiano Dino Alfieri cosicché la "razza ariana" non subisse contaminazioni. Dello stesso avviso erano le alte sfere del partito nazionalsocialista tedesco quali Martin Bormann (responsabile della Cancelleria del partito) e Alfred Rosenberg (a capo del dipartimento di ideologia del partito), entrambi condannati nel 1946 all'impiccagione per crimini di guerra. Altro fattore discriminante era il pensiero che gli italiani fossero troppo indulgenti nei confronti dei popoli occupati, a differenza dei tedeschi che schiacciavano con ogni mezzo possibile e con una brutalità inaudita la popolazione conquistata. Il fatto che oramai gli italiani, dopo l'uscita dalla guerra, venissero considerati alla stregua degli ebrei dai tedeschi, la dice lunga sul perché di tanta violenza gratuita. Schreiber ci descrive addirittura un senso di disapprovazione generale, da parte di tutte le estrazioni sociali tedesche, sul come venivano considerati e trattati gli ebrei in Italia dagli italiani. Una seconda possibile risposta alla domanda iniziale è quindi un odio di tipo etnico – razziale.
L'autore, nelle pagine seguenti, inizia ad analizzare gli accadimenti successivi all'armistizio italiano. Il governo Badoglio, dichiarò l'11 settembre 1943, che le truppe tedesche dovevano essere considerate il nemico e non più l'alleato. I tedeschi per tutta risposta decisero di fucilare senza pensarci troppo gli ufficiali dell'esercito italiano, attuando in toto gli ordini del 6 giugno 1941 (direttive per il trattamento dei commissari politici) in cui si affermava: "se presi in combattimento, questi, devono essere passati immediatamente per le armi". Il 12 settembre 1943 il feldmaresciallo Keitel ordinava: "per ordine del Fuhrer dopo la cattura dei reparti italiani che hanno consegnato le armi: gli ufficiali saranno fucilati secondo legge marziale; i sottoufficiali e i militari di truppa dovranno essere trasferiti sotto la Direzione Affari Generali della Wehrmacht per essere utilizzati come forza lavoro nei campi di concentramento in Germania". Schreiber si pone la domanda se dal punto di vista giuridico un crimine di guerra, come la fucilazione senza avere un regolare processo, sia da imputarsi maggiormente a chi impartisce l'ordine rispetto a chi è costretto a subirlo. L'autore per definire un crimine come tale si avvale del paragrafo 47 del codice militare che afferma: "Se eseguendo un ordine si infrange una legge penale, né risponderà il superiore che l'ha impartito. Tuttavia il sottoposto che ha ubbidito all'ordine incorrerà nel reato di complicità se è andato oltre all'ordine impartitogli o se era a conoscenza del fatto che l'ordine del superiore avesse come scopo il compimento di un crimine civile o militare". Disubbedire era però possibile. Schreiber cita il caso del generale di divisione Fridolin Von Senger und Etterlin che il 14 settembre si rifiutó di fucilare 22 ufficiali italiani tenuti prigionieri a Bastia. Kesserling stroncó la carriera militare di quest'ultimo. Come detto in precedenza disobbedire era possibile, bastava volerlo! É infatti accertato dall'ufficio centrale delle amministrazioni giudiziarie per l'accertamento di crimini nazisti, che la non esecuzione di un ordine non abbia causato nessuna ripercussione fisica per la persona o per i familiari. Purtroppo questi erano casi rarissimi. La storia di quel biennio è ricca di episodi di inaudita violenza che avevano l'intento di annientare anche chi avesse collaborato con il nemico.
Kesserling il 21 novembre 1943 assunse il comando del teatro di guerra italiano, nell'estate del 1944 emanò una direttiva nella quale dava l'ordine di fucilare tutti i saccheggiatori colti sul fatto. In realtà chi veramente saccheggiava le abitazioni, erano i soldati tedeschi; i quali, giunsero persino a trasportare su treni o autocarri il bottino trafugato. Schreiber all'interno del secondo capitolo si sofferma sulla suddivisione e descrizione di alcune zone in cui si sono verificati eccidi "esemplari". Il primo teatro di guerra che analizza è quello comprendente l'Italia meridionale e la Corsica. Il generale di brigata don Ferrante Gonzaga del Vodice, comandante della 222^ divisione corazzata venne freddato all'istante dai carristi della 16^ divisione corazzata Hermann Göring. Il 10 settembre la guarnigione di Nola resistette con successo a un tentativo di disarmo; l'11 settembre le parti della divisione corazzata Hermann Göring fucilarono il comandante del presidio, colonnello Amedeo Ruberto e nove ufficiali del reggimento artiglieri, ritenuti responsabili dell'azione di resistenza. Quello stesso giorno a Castellammare di Stabia alcuni militari tedeschi fucilarono il colonnello Giuseppe Olivieri, il capitano Mario Ripamonti, il capitano di corvetta Domenico Baffigo e il tenente del genio navale Ugo Molino della Cordiera. Per conquistare Napoli le truppe tedesche ricorsero a ogni mezzo possibile: il 12 settembre vennero fucilati 8 soldati, 12 guardie municipali, 2 civili e lo stesso giorno 20 cittadini di Barletta caddero a causa della resistenza contro i soldati della Wehrmacht5. In tutto il sud in quei giorni si tentava di resistere alle truppe tedesche. Si combatteva anche a nord, infatti il 19 e 20 settembre nei pressi di Curtatone e Mantova si verificarono sparatorie in cui rimasero feriti 4 soldati tedeschi. Per rappresaglia vennero fucilati 19 soldati italiani. Riguardo alla Corsica risulta, dalle fonti di Schreiber, che tra il 9 e il 20 settembre almeno 100 militari rimasero vittime di azioni contrarie al diritto internazionale.
Altro teatro di guerra che ci viene descritto dettagliatamente da Schreiber è quello dei Balcani6. Il 12 settembre vennero fucilati pubblicamente in Grecia 30 ufficiali dell'11^ armata con lo scopo di intimidire la popolazione e persuaderla a non collaborare con i soldati della resistenza. Il 13 settembre il generale di corpo d'armata Hubert Lanz7 ordinò di fucilare i soldati in borghese disarmati. Due giorni dopo, come se non bastasse, il generale d'armata della 2^ corazzata Dr. Lothar Rendulic8 ritenne doveroso sollecitare i comandi dei propri corpi d'armata a vigilare affinché si intervenisse con spietata durezza contro gli italiani.
Degni di nota furono gli scontri presso il porto di Spalato, dove la resistenza delle truppe Badogliane e dei partigiani riuscì a non farsi sopraffare dal XV corpo d'armata della Wehrmacht. Tuttavia il 27 settembre la divisione Prinz Eugen diede inizio all'attacco decisivo e alle 9 di mattina occuparono il porto e l'intera città. La divisione SS fece prigionieri 9000 soldati e 202 ufficiali. Karl Reichsritter von Oberkamp9, generale di brigata delle Waffen-SS, diede ordine di riunire a Sinj gli ufficiali italiani per interrogarli e deciderne le sorti. Ad ognuno di essi egli poneva sei quesiti10 dando loro modo di potersi difendere. Oberkamp stilò una lista di 47 ufficiali che fece fucilare il 1 ottobre a Tribj in conformità alla legge marziale.
Le truppe tedesche, mentre cadeva Spalato, diedero iniziò all'operazione "spaghetti" contro la città portuale di Saranda e contro Delvina situate in Albania. Il 2 ottobre fu fatto prigioniero Ernesto Chiminello, comandante dell'operazione, insieme a 30 ufficiali. Il giorno successivo Harald von Hirschfeld11 fece fucilare a Saranda 16 ufficiali tra cui Chiminello. Il giorno seguente toccò ad altri 9 ufficiali. Il 7 ottobre nei pressi di Kuci (Albania), furono fucilati 32 ufficiali; con questa uccisione l'operazione "spaghetti" poteva ritenersi conclusa. Ciò che colpisce di quelle fucilazioni fu il fatto che 60 dei 120 ufficiali giustiziati furono chiusi in sacchi e gettati in mare presso Saranda. Il 9 ottobre furono fatti prigionieri 6730 soldati appartenenti alla divisione alpina "Taurinense" in Montenegro. Pochi giorni dopo il generale di corpo d'armata Paul Bader fece fucilare 22 ufficiali. A fine ottobre iniziò l'operazione "505" con la quale il XXI corpo d'armata da montagna tedesco si proponeva di sterminare le bande comuniste e le unità italiane tra Tirana-Elbasani-Kavaja-Shijaku. Il bollettino finale fu di 19 morti e 1623 prigionieri tra le fila italiane, 123 morti e 10 prigionieri tra le file albanesi. Nel mese successivo continuarono gli scontri tra le truppe tedesche e la resistenza partigiana nei Balcani. L'ultima strage di ufficiali italiani in quei luoghi avvenne in Albania il 22 novembre dove le acque del fiume "Drin I Zi "trascinarono con sé i cadaveri di 41 uomini uccisi senza ragione; due giorni dopo la stessa sorte toccò ad altri 18 corpi. Il bilancio totale di questo teatro di Guerra è di almeno 363 militari italiani giustiziati, al cui numero se si sommano quelli uccisi in Italia, si giunge a non meno di 463. L'ultimo teatro di Guerra analizzato nel secondo capitolo è quello riguardante Cefalonia, Corfù e le isole del mediterraneo. Le prime morti furono dell'11 settembre a Rodi, in cui vennero fucilati gli ufficiali italiani che avevano dato ordine di resistere alle truppe tedesche. Ulrich Kleemann, generale di divisione sull'isola, decise di risparmiare gli ufficiali che avessero consegnato le armi.
A Cefalonia fu commesso uno dei più orribili crimini della seconda Guerra mondiale. Il 15 settembre iniziò un massiccio appoggio delle forze aeree alle truppe tedesche di stanza sul luogo12.. Il generale d'armata Lohr, comandante in capo delle operazioni, meditava già pensieri di vendetta per i soldati italiani che avessero opposto resistenza. La guarnigione italiana contava 11.500 soldati di cui 525 ufficiali. La guarnigione italiana di stanza nell'isola greca si oppose al tentativo tedesco di disarmo, combattendo sul campo per vari giorni con pesanti perdite, fino alla resa incondizionata, alla quale fecero seguito massacri e rappresaglie nonostante la cessazione di ogni resistenza. I superstiti furono quasi tutti deportati verso il continente su navi che finirono su mine subacquee o furono silurate, con gravissime perdite umane. Il 21 settembre Amos Pampaloni, capitano di artiglieria, si arrese insieme agli 80 soldati della propria batteria nei pressi di Dilinata. Al comandante della batteria fu imposto di porsi in testa alla fila, dove gli fu sparato un colpo alla nuca. La pallottola gli attraversò il collo, sfiorò la colonna vertebrale e la carotide senza raggiungere nessun organo vitale. Pampaloni crollò a terra senza avvertire dolore e senza perdere conoscenza. Poté vedere i suoi soldati massacrati a colpi di mitra.
Il 23 settembre il generale Lanz domandò al suo capo Lohr quale fosse la sorte più adatta che dovesse toccare ai 5000 prigionieri italiani reclusi nel penitenziario di Argostoli. Fu Hitler stesso ad ordinare che i prigionieri fossero considerati prigionieri di guerra eccezion fatta per gli ufficiali. La storiografia ufficiale dichiarò che caddero in battaglia 65 ufficiali e 1250 militari tra sottoufficiali e soldati mentre gli alpini tedeschi trucidarono 4905 soldati. Pampaloni, sopravvissuto alla strage grazie all'aiuto dei partigiani greci, indica 1911 uomini caduti in battaglia e 4678 assassinati dai tedeschi. Alfonso Bartolini, testimone dell'epoca, presume 189 ufficiali e 5000 soldati morti nelle stragi perpretrate sull'isola. La sera del 23 settembre erano ancora vivi 305 ufficiali dei 525 catturati e 5000 militari fra sottoufficiali e soldati degli 11000 fatti prigionieri. Il 24 settembre presso capo San Teodoro ebbe luogo la fucilazione di 137 ufficiali ordinate dal generale Lanz. Il totale degli italiani trucidati a Cefalonia oscillerebbe quindi tra i 4768 e i 5326.



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