Strada Francigena: qualche aspetto problematico (2015)

June 28, 2017 | Autor: Mario Ascheri | Categoria: Medieval History, Medieval roads, Via francigena, History of Tuscany
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NEL VOLUME DI PIU’ AUTORI PUBBLICATO DAI LIONS TOSCANI COME EBOOK GRATUITO DA SCARICARE DALLABETTI EDITRICE DI SIENA (SETT. 2015) I Lions per la Francigena…la ‘loro’ Francigena! Premessa di metodo doverosa Aprire un libro dei Lions toscani sulla Francigena in Toscana è un onore, ma è anche un onere non indifferente. Il tema è ultra praticato da alcuni anni e in modo complicato. Perché è un itinerario non solo sostenibile bellissimo, ma anche un itinerario culturale, soprattutto, come vedremo anche se solo per alcuni cenni esemplificativi, e da tempo un itinerario di ricerca, anche a livello europeo, di storia comparata, portato avanti con grande passione da un gruppo di lavoro che si è raccolto per lo più attorno alla rivista che ha un titolo difficilmente equivocabile: “De strata Francigena”. La rivista, annuale, è iniziata nel 1993 e trova il suo punto di riferimento editoriale, grazie al lavoro di Renato Stopani e di Fabrizio Vanni, nel Centro di studi romei ospitato presso la celebre basilica di San Miniato al Monte presso Firenze. I dettagli si possono rinvenire facilmente nel sito viafrancigena.com, per cui non staremo qui a ricordare i molti titoli propriamente attinenti al nostro discorso (come il volume dedicato alle ‘vie’ francigene in val d’Elsa, come dire il cuore della Francigena in Toscana). Noi in questa sede procederemo com’è doveroso per esponenti di uno strato intellettuale-professionale impegnato ad operare nella società con dei ‘services’, con interventi, per dirla in modo autoctono com’è doveroso nella ‘patria’ della lingua italiana, che abbiano quindi una funzione di stimolo alla riflessione. Noi non dobbiamo fare un riassunto delle migliaia di pagine circolanti sulla Francigena, né delle tante guide librarie e on line che le associazioni nate intorno al progetto europeo Francigena ancora in costruzione, e cui tanto ha dato l’intelligente passione dell’on.le Silvia Costa assistita in particolare dalla Regione Toscana con la cooperazione di Comuni che si sono sentiti investiti di una responsabilità più ampia in tema (come quello di Monteriggioni). Noi non vogliamo sostituirci ai professionisti della Francigena. Noi dobbiamo piuttosto cercare il nostro ‘specifico’, come si dice, limitandoci soprattutto ad indicare temi e spunti di ricerca, delle prospettive, degli stimoli per un itinerario non nuovo ma in un qualche modo ‘nostro’, da professionisti delle più varie specializzazioni impegnati civilmente, a realizzare services culturalmente rilevanti per lo sviluppo della nostra comunità. Un primo caveat cronologico: da quando cominciare? La Francigena viene oggi dotata di punti di sosta, di rinfresco e di informazione, di consultazione con le realtà locali anche, con un invito ad andare oltre, a procedere

verso la meta: Roma e Gerusalemme in prospettiva (ci si tornerà sul punto, com’è ovvio), come da progetto europeo. E allora un primo punto sul quale chiarire il grande scenario che ci occupa è che la Francigena è stata privilegiata dalla Regione Toscana – accogliendo con corposi finanziamenti l’offerta europea - non solo per il suo arco europeo di collegamento, come avviene da tempo per la Camino di Santiago, datato sito UNESCO transnazionale, verso una meta culturale e religiosa di assoluta centralità mondiale come Roma. La Francigena, detta anticamente più usualmente strata romana, per indicare direttamente la sua meta, è una via che deve il suo tracciato (o i suoi tracciati, più propriamente) ai secoli che hanno anche visto il formarsi del territorio toscano divenuto poi tradizionale. Chiaro, la Toscana fu terra degli Etruschi per definizione, ma essi erano insediati anche ben oltre gli attuali confini regionali. La Toscana ‘moderna’ andò formandosi invece proprio nei secoli che videro formarsi lo Stato pontificio, allora Patrimonio di San Pietro, e in opposizione quasi ad esso, da fine 500, nel corso del 600, il secolo VII. I Longobardi fecero della Toscana una terra con una sua identità rispetto al resto del Regno della Padania (come si dice oggi con neologismo poco eufonico), separato dagli Appennini, proprio per la sua funzione di antemurale, quasi, rispetto all’Italia centrale rimasta bizantina e prossima a divenire ‘papale’. E proprio per la decadenza della grande viabilità romana sulla costa (la consolare Aurelia) e in val di Chiana/Arno (consolare Cassia), i longobardi cominciarono a privilegiare il raccordo tra due centri della Toscana cui tenevano moltissimo. Si tratta di Lucca, la prima città raggiungibile venendo dalla Padania scollettando il monte Bardone (passo della Cisa), e Siena, terra di confine perché il ducato (longobardo) di Chiusi non poteva (e non ebbe) stabilità, turbato com’era dal vicino corridoio bizantino via Perugia per l’Adriatico, per la Pentapoli con la capitale Ravenna. E si trattò allora di collegare con un’arteria non nuova, probabilmente, ma ora da potenziare fortemente, la capitale della Toscana di quel tempo, Lucca, centro potentissimo, non a caso presto dilagata in Maremma ed esportatrice della grande stirpe degli Aldobrandeschi, i più grandi signori feudali della Toscana in futuro, con l’avamposto di Siena. Esso era divenuto un centro militare importante, dopo esser stato segnalato alla fine dell’Impero come aree di terme importanti: è poco noto, ma Celio Aureliano scrisse non certo a caso di Aquae Senenae… Ora, invece, dei longobardi fieri e bellicosi arroccati nella Sena Vetus già etruscoromana non tardarono a scontrarsi anche militarmente con i loro ‘connazionali’ di Arezzo sul confine est per il predominio sulle pievi di confine. Dopo decenni irrequieti, alla fine lo stesso re Lutprando da Pavia dovette mandare addirittura un suo missus, un delegato-ambasciatore, per vedere di metter pace tra quelle teste calde di quelle terre così delicate, in quel profondo sud del Regno dove i longobardi avrebbero presto confermato il loro interesse fondando l’abbazia regia di San Salvatore sul Monte Amiata.

Che strada avrà percorso il suo potente rappresentante se non la Francigena? Fatta sosta a Lucca di sicuro, anche per verificare che vi succedeva (e per riferire poi al re), si sarebbe poi inoltrato giù per la val d’Elsa verso Siena. La strada importante verso Arezzo, già grande centro etrusco-romano di sicuro ben collegato con Chiusi ma anche con Volterra, tutte città in passato ben più importanti che non Siena, modesta colonia militare (e termale) per tanto tempo, era destinata a passare in second’ordine rispetto al nuovo asse Lucca-Siena. Perciò ancora prima del messo di Liutprando non avrei grandi dubbi a ritenere che passasse per la Francigena un re poco noto, ma con un’esistenza avventurosa e per noi istruttiva. Nel 685 o nel 686, Caedwalla divenuto re dei Sassoni occidentali, succedendo a Centwine, che si era dato alla vita monastica (come non era infrequente allora), attaccò nuovamente i Sassoni del sud e conquistò anche l'isola di Wight, allora un regno pagano indipendente, e tutti i nativi furono sterminati, affinché il re potesse insediarvi i suoi; persino i due fratelli minori del re sconfitto, fuggiti dall'isola furono ritrovati nello Hampshire e assassinati per ordine di Caedwalla, sebbene un prete l'avesse indotto a farli battezzare prima d'ucciderli. Nel Kent, tanto per finire il quadretto su questo re, in seguito ad una rivolta degli abitanti, il re Mul fu messo al rogo assieme a dodici suoi uomini. Dopo queste sante imprese, nel 688 Caedwalla abdicò e si diresse in pellegrinaggio a Roma, probabilmente presentendo la morte vicina che era sempre vissuta con terrore. Una tappa lo condusse alla corte del re longobardo Cuniperto. E perciò ci interessa. Come sarà poi giunto a Roma, ove fu battezzato dal papa, se non via Francigena? Erano tempi bellici allora con i bizantini per via dell’iconoclastia (lotta al culto delle immagini) per cui la situazione non poteva che favorire la nostra strada. E ben prima di Sigerico.

Altra cautela: la Francigena, le ‘altre’ e il mare

Percorsi di pietà e di penitenza, quindi, ma non solo. Gli stessi longobardi che fondarono l’abbazia del Monte Amiata non avranno in qualche modo dato man forte ai loro connazionali che tentarono più volte, anche lungo la Francigena, di spingersi verso Roma per conquistarne il potere temporale cui ormai i papi si stavano abituando? E non si parla di Carlo Magno con i suoi che si fermarono nell’area dell’Abbazia di Sant’Antimo? Ben più antico come sito, come sanno gli archeologi, e probabilmente su un itinerario che dal mare si inoltrava verso l’entroterra ricchissimo di acque curative, portando anche sale e ferro. Quante strade dalla Toscana interna assicuravano i collegamenti con il golfo di Baratti, con la Populonia che avviava i minerali ferrosi verso l’interno? Chianciano e Chiusi erano in uno di questi itinerari e avevano aree termali antichissime e preziose. Rimasero fuori dal percorso principale della Francigena, quello più diretto, ma non dai suoi raccordi interni. Un dato deve far riflettere: la diocesi di Chiusi era molto estesa, fino all’Amiata, per cui gli ecclesiastici almeno dovevano farvi riferimento pur nei tempi più bui del Medioevo. Guerra e fede furono quindi due motivazioni essenziali di presenza su questo percorso. Ma per lo stesso motivo la antica via consolare Flaminia-Emilia che da Roma portava all’Adriatico rimase sempre fondamentale, anche se con deviazioni richieste da nuovi insediamenti castrensi altomedievali. Questi ‘consigliavano’ gli itinerari e non viceversa o colloquiavano con essi, diciamo così. Ma Siena divenne un caposaldo longobardo perché era già importante nel VII secolo, e non dopo, perché ci era passata la Francigena e il suo Sigerico. La ‘grande’ strada passò per Lucca, come passò per Siena, perché erano già centri notevoli, mentre lasciò fuori Pisa e Firenze perché l’una doveva anche acquisire la sua proiezione marittima (che stava perdendo Luni, infatti attraversata dalla Francigena), e l’altra aveva già un itinerario che la favoriva e l’avrebbe anche più

favorita in prospettiva: la via fluviale e la proiezione verso la pianura bolognese, con un comune passato etrusco. Perciò non c’è nulla di più semplicistico che parlare di Siena ’figlia della strada’, etichetta plausibile anni fa, sia chiaro, quando non si erano ancora apprezzate le ricchissime testimonianze archeologiche degli insediamenti di Siena (ove il più e ancora a vari metri sotto il livello attuale dell’abitato) e dintorni. Perciò anche sarebbe semplicistico parlare di Francigena come strada commerciale. I mercanti, sempre più frequenti dal secolo X in poi, poterono spostarsi lungo la Francigena, certo, ma questa non era una strada adatta per i trasporti di merci voluminose e pesanti. Il trasporto marittimo è sempre stato quello preferito per le merci, e non a caso gli sbocchi marittimi furono così importanti per Siena come per Firenze. Pisa dominò i mari (fino alla Meloria) perché punto d’approdo delle mercanzie dell’interno. Lo zafferano prezioso di San Gimignano dove andava ad imbarcarsi se non là? E i senesi non ebbero rapporti privilegiati con i pisani prima di poter disporre della loro Talamone proprio per via del trasporto marittimo? E quanto investirono sulla strada per il mare! Fino a fortificarci un intero paese, Paganico, il corrispettivo verso il mare di Monteriggioni verso Firenze, proprio perché Grosseto non dava ancora garanzie di fedeltà; prima di Paganico, per essere tranquilli fu fortificata anche la stazione, già importante certamente in età antica, di Petriolo – che ebbe (quasi) sempre anche un suo statuto militare per la sua importanza strategica. Una carta delle strade curate dal Comune di Siena intorno al 1300, cioè proprio intorno all’anno del primo giubileo quando massima fu la fortuna della Francigena, presuppone una normativa eccezionalmente dettagliata per il tempo a livello europeo (ci dice l’amico superspecialista di questi problemi che l’ha disegnata: Thomas Szabò) e ci mostra un fascio di varie strade, che si dipartono dal capoluogo, di pari importanza amministrativa irraggiandosi nelle varie direzioni del territorio.

E come per le merci, quando non c’erano problemi di eccessivo rischio bellico, il mare fu sempre preferito anche da chi poteva pagarsi il viaggio e voleva arrivare relativamente presto. Sigerico tornò da Roma facendo le sue fermate alle mansiones che sono ben note e grosso modo localizzabili (ma non senza molte incertezze, sia chiaro, e proprio vicino a Siena) e avrà avuto anche i suoi buoni motivi a farlo, oltreché la sicurezza di essere bene accolto dalle numerose istituzioni ecclesiastiche site lungo il percorso, che avrebbero fatto a gara per ospitarlo. Allora, in quel fine X secolo, il Mediterraneo occidentale era tutt’altro che liberato dai pirati saraceni… Solo nel corso dell’XI secolo in effetti la situazione cambiò stabilmente. Perciò ricorderei – tanto per fare un esempio – che quando nel 1175 un notaio dell’imperatore Barbarossa ebbe da recarsi ad Alessandria per conferire con il famoso Saladino, si guardò bene dal percorrere la viabilità oggi auspicata dall’Europa, perdendo un sacco di tempo ad attraversare l’Italia in modo sostenibile. Scartata la Francigena (eppure Siena allora era filo-imperiale!), fu affidato ai marinai di Genova per un viaggio celere e relativamente sicuro. I tanti prelati che nel Duecento dovettero per ben due volte recarsi a Lione per i grandi concili non tenuti nella turbolenta Roma dove non veniva neppure eletto il papa per maggiore tranquillità (e si preferiva Viterbo, sulla Francigena), non percorrevano la Francigena se proprio non l’avevano vicina e lungo il loro itinerario. Chi avrebbe mai pensato di avventurarsi sulle infide (quando non inesistenti) strade che portavano da Lerici alla Turbia? C’era da dare un’immagine più ovvia di impraticabilità per Dante? Nei lunghi tempi degli Angioini che, chiamati (possiamo dire sciaguratamente?) dai papi impauriti dal grande e inaspettato evento di Montaperti (1260), spadroneggiarono nel nostro Paese inaugurando un periodo di servitù politica finito solo (e non completamente) nell’Ottocento, i capoluoghi dell’Europa meridionale furono, oltre a Genova, Venezia, Firenze e Milano, le città della politica ‘universale’: Avignone, Roma e Napoli, in un contesto che assicurò una centralità prima inaspettata a Marsiglia e alla valle del Rodano lunga la quale si incrociava il ‘cammino’ di Santiago. Non uno di questi centri era sulla Francigena, salvo Roma naturalmente! Sulla Francigena si muovevano però i pellegrini che cominciarono ad apprezzare i servizi

di deposito para-bancario al Santa Maria della Scala di Siena, oppure i militari, tanti e minacciosi come furono le truppe dell’imperatore Enrico VII. Ma abbiamo buone prove documentarie che per la Terrasanta si preferiva il percorso marittimo. La prima è offerta da Niccolò, un francescano di Poggibonsi alla fine, come molti altri suoi colleghi dell’ordine, si preparò per un viaggio in Oriente che si protrasse a lungo (1346-50) e del quale ci è pervenuto il prezioso diario. Ebbene, egli percorse la strada usuale del Chianti per Firenze (molto percorsa anche allora, come si può immaginare) e poi proseguì fino a Venezia dove s’imbarcò su una nave sicura, battente la bandiera della Serenissima. Quasi cent’anni dopo, nel 1431, la stessa motivazione dovette portare un altro viaggiatore-scrittore divenuto famoso (per gli specialisti di questi studi, sia chiaro), il prete Mariano da Siena, a viaggiare per il Medio Oriente da Venezia. L’unica variante rispetto a Niccolò è che il tempo di forte tensione allora esistente tra Firenze e Siena gli consigliò di percorrere un primo tratto di Francigena, per poi deviare per Chiusi-Perugia e raggiungere Venezia per Rimini evitando il Fiorentino. Flash dalla Francigena: Radicofani Buonconvento non era stata una mansio di Sigerico, ma era cresciuta assai da allora posta com’era alla confluenza di due corsi d’acqua (relativamente) importanti. Quale posto migliore poteva darsi all’imperatore per far riposare le truppe e fare un balzo finale contro la ribelle Siena in quel fatale (per lui) 1313? Negli stessi anni un altro punto di sosta lungo la Francigena si ritiene spesso Radicofani, ma questa non era affatto la rocca di Ghino di Tacco di cui sempre si parla. Ghino apparteneva all’antica nobiltà del contado senese di fede ghibellina che, spiazzata dal successo guelfo, ancora riusciva a spadroneggiare, nonostante le condanne comminategli da Siena, in val di Chiana con una signoria accentrata dal padre Tacco sui castelli della Fratta e di Torrita. Puntate brigantesche nelle aree di San Quirico, Rocca d’Orcia e Radicofani sono documentate, per cui potrebbe anche aver fatto sollevare Radicofani contro Siena e il papato, che però normalmente in quel tempo faceva presidiare la Rocca più volte fortificata – e sempre bramata dagli Aldobrandeschi, dagli abati di San Salvatore e da Siena. Famoso per avere (probabilmente) fatto irruzione in un’aula di giustizia del Campidoglio per vendicarsi di una sentenza ritenuta ingiusta, Ghino è stato collegato esplicitamente a Radicofani solo dal Boccaccio, che ci costruì una storia edificante (Decameron, X, 2), di quelle che permetterebbero di costruire un film hollywoddiano di sicuro successo mondiale. Ghino, che aveva ‘ribellato’ alla Chiesa la Rocca, avrebbe derubato l’abate di Cluny in viaggio per Roma. La storia la inserì nella

giornata dedicata alla magnanimità, perché Ghino curò l’abate ammalato e lo lasciò partire poi senza problemi. Giustamente l’abate a Roma avrebbe impetrato dal papa il perdono, che – come c’era da aspettarsi – non mancò. Morale? Il fiero predone sarebbe alla fine divenuto addirittura un cavaliere ospedaliero. Che c’era di meglio di far divenire quel predone un protettore di strade? Ma torniamo a Radicofani come famosa stazione della Francigena. Qui bisogna dire due cose essenzialmente. In primo luogo che Radicofani non era nell’itinerario di Sigerico. La strada romea passava allora ai piedi dell’Amiata nella valle lungo il corso del fiume. Le mansiones divenute famose erano appunto San Pietro in Paglia (sperduto ora in mezzo ai campi aperti dei grandi paesaggi UNESCO valdorciani) e le Briccole, un grande edificio fortemente degradato (come ci ha avvertito un servizio del “Corriere fiorentino” del1 febbraio 2015), acquistato da un privato proprio in vista della rigenerazione promessa dal successo della Francigena. Siena riuscì infine a impadronirsi stabilmente della Rocca e nel 1411 a stipulare accordi con il suo piccolo Comune in modo da favorirne il popolamento e poterne promuovere stabilmente la fortificazione. Radicofani divenne una specie di ‘zona franca’ ed ebbe infine il grande e definitivo riconoscimento di stazione della Francigena. Fu Siena ad imporre la chiusura della strada a valle, dove a un certo punto è documentato anche un oste tedesco affittuario dell’abate di San Salvatore. Essa probabilmente era facilmente danneggiata dalle piene, per cui, oltre a evitare le pretese dell’abate, Siena si presentò anche con il merito di migliorare la viabilità per Roma via Radicofani. Cambiò tutto per il paese, come si può immaginare. E i Medici, anch’essi prodighi di investimenti alla Rocca, confermarono i loro favori al paese con la nuova ampia stazione di sosta, che si mostra ancora oggi come edificio notevole. Tutto cambiò anche per i viaggiatori, però, costretti ora alla ripida e curvosa strada per salire alla locanda. Ma il tutto offriva uno splendido paesaggio, soprattutto per chi proveniva dalle terre del papa o del re di Napoli. I réportages cinque-seicenteschi non danno dubbi: si respirava l’aria di Toscana, con terre lavorate e contadini più civili e benestanti. La Rocca e il paese sono stati oggetto di molte incisioni e schizzi, come forse nessun’altra fermata della Francigena. Ma non tutto andò sempre per il meglio. Molti viaggiatori raccontano di esperienze dure alla locanda, fredda addirittura d’estate. Non parliamo poi degli inglesi, che si lamentavano del modesto thè… L’età moderna fu l’età del Grand Tour, che significò molto per la Francigena. Altroché pellegrini – che ci furono anche, sia chiaro, ad esempio per i giubilei. Ma i ricordi noi li abbiamo tramandati soprattutto dagli inglesi, francesi, olandesi e

tedeschi che accorrevano per andare a Roma e Napoli, per ammirare i loro innumerevoli capolavori e tornare in patria ricchi di nuove esperienze artistiche (a parte quelle enologiche e gastronomiche….). La Rocca sempre fortificata non ebbe mai esperienze belliche, ma la strada portò ricchezza al paese, i cui palazzi tradiscono ancor oggi un benessere non frequente nella campagna senese – salvo soprattutto a Montalcino, anch’essa terra privilegiata da Siena (ma fori della Francigena). Un’altra stazione divenne presto famosa sulla strada per Roma. Fu quella di San Quirico, divenuta nel secondo Seicento feudo mediceo dei Chigi. Flavio, il cardinal nipote, vi fece erigere accanto alla deliziosa Collegiata, il grande palazzo di gusto (e di decorazione ed ampiezza!) romano. Un’altra perla lungo la Francigena. Muovendo dalla cittadina degli horti leonini verso Siena il percorso non coincideva con quello oggi razionalizzato, per evitare curve inutili e pericolose. E si passava sopra un ponte medievale, noto come il ‘pontaccio’ ai sanquirichesi. Un ponte che ultimamente è crollato come ha diligentemente ricordato Fabio Pellegrini sul “Corriere di Siena” (23 marzo 2015). L’ultimo ponte propriamente medievale della Francigena sarà difficilmente recuperabile. Dalla Francigena allora, cui tanto già diamo come Lions, riceviamo probabilmente un altro compito anche. I club della Francigena dovrebbero farsi parte diligente ed esercitare una generale sorveglianza sulle emergenze architettoniche che accompagnano la strada o addirittura la sostanziano, come nel caso del ‘pontaccio’, e farsi attivi per segnalare gli opportuni interventi. Senza trascurare i tesori naturalistici come la non lontana, monumentale quercia delle Checche, ora in pericolo. Un altro modo per ‘servire’, e davvero utile, no?

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