Strade e piazze cittadine a Pisa tra medioevo ed età moderna

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Descrição do Produto

Tra città e contado Viabilità e tecnologia stradale nel Valdarno medievale

Atti della II Giornata di Studio del Museo Civico “Guicciardini” di Montopoli in Val d’Arno Montopoli in Val d’Arno - 20 maggio 2006

a cura di Monica Baldassarri e Giulio Ciampoltrini

Comune di Montopoli in Val d’Arno

Dedichiamo questo volume alla memoria di Riccardo Francovich, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana

© 2007 - Felici Editore Srl ISBN: 978-88-6019-133-5 Responsabile editoriale Fabrizio Felici Responsabile marketing Francesco Crisanti Responsabile ufficio stampa Serena Tarantino Grafica e impaginazione Claudia Benvenuti Copertina Aldo Filippi Felici Editore via Carducci, 64/C - Ghezzano 56010 - San Giuliano Terme (Pisa) tel. 050 878159 - fax 050 8755588 [email protected] www.felicieditore.it Le pp. 13-24, 91-120 sono state curate da G. Ciampoltrini; le rimanenti sezioni sono state curate da M. Baldassarri. Comune e condiviso è il progetto scientifico della Giornata di Studio e della pubblicazione degli Atti. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAII, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni per uso differente da quello personale sopracitato potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dagli aventi diritto/dall’editore.

scomparso prematuramente il 30 marzo scorso.

Strade e piazze cittadine a Pisa tra medioevo ed età moderna

Antonio Alberti, Monica Baldassarri, Gabriele Gattiglia

1. Introduzione La topografia, l’impianto urbanistico e l’architettura di Pisa nei secoli passati sono stati oggetto di diversi studi che hanno avuto le prime sintesi agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso1. A quel momento però si avevano a disposizione i dati di pochi interventi archeologici e di recuperi

da sterri2 e le ipotesi interpretative presentate si basavano essenzialmente sulla lettura dei dati archivistici, talvolta confrontati con le testimonianze materiali degli edifici in elevato, o delle strutture venute alla luce in occasione di restauri3. A partire da allora il tessuto urbano ha visto accrescere il numero e la qualità, soprattutto per

1. Planimetria di Pisa con l’indicazione dei principali scavi trattati nel testo. In particolare PP = Porta Parlascio, SA = S. Apollonia, PC = Piazza dei Cavalieri, SO = S. Omobono, PD = Piazza Dante, PV = Piazza delle Vettovaglie, VF = Via Toselli-Vicolo dei Facchini, PG = Piazza Gambacorti, PS = Palazzo Scotto.

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estensione dei depositi indagati, degli interventi archeologici. Ciò è dovuto ad un proficuo e sempre più sinergico rapporto tra le istituzioni, in modo particolare tra le locali Soprintendenze (ai Beni Architettonici e ai Beni Archeologici), il Comune di Pisa e l’Università4. Dal 1990 infatti in città sono stati effettuati 87 tra assistenze e scavi stratigrafici; di questi almeno 50 hanno interessato stratificazioni e/o strutture comprese tra il VII e il tardo XVI secolo5. Il fatto che in questi quindici anni la ricerca archeologica a Pisa si sia intensificata ha permesso di raccogliere una grande quantità di dati, una parte sola dei quali potrà in questa sede essere utilizzata e messa a confronto. Ciò deriva in parte da motivi legati alla natura stessa della stratificazione archeologica nelle città: solo in alcune zone si sono potuti raggiungere depositi non intaccati e disturbati da interventi post-deposizionali, con contesti chiusi e buone associazioni originarie. D‘altro canto il fatto che la maggior parte degli interventi sia stato effettuato non nell‘ottica di un‘archeologia urbana sistematicamente pianificata, ma come frutto, nel migliore dei casi, di tutela preventiva, se non addirittura come documentazione di emergenza, da parte di soggetti professionali diversi, ha necessariamente reso disomogenea la documentazione raccolta. Infine solo pochi scavi sono stati studiati completamente e pubblicati, mentre la maggior parte ha avuto luogo soltanto negli ultimi 5 o 6 anni e presenta perciò gradi diversi di analisi e di avanzamento dello studio dei materiali. In questo contributo quindi sono stati presi in considerazione i materiali degli interventi editi, e di quelli inediti per i quali sia stato possibile accedere alla documentazione di scavo (fig. 1). Nonostante i gradi diversi di elaborazione dei dati abbiamo cercato di avere una stessa base di valutazione e di analizzare i resti materiali secondo una griglia interpretativa comune che permettesse di delineare una prima sintesi sulla viabilità urbana e sulla tecnologia stradale impiegata a Pisa nel medioevo e in età moderna. (A.A., M.B., G.G.)

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2. La viabilità in città intorno al Mille (IXXII secolo) La lacunosità dei dati archeologici a disposizione relativi all‘assetto della città altomedievale e fino alla costruzione delle mura urbiche di XII secolo è tale da rendere difficile, allo stato della questione, una sintesi ragionata sulle tracce della viabilità cittadina anteriore al XII secolo. Se ancora in buona parte solo ipotizzabili sono i dati su cui si basano le dissertazioni riguardanti l‘esistenza o meno delle mura altomedievali della città, ancora quasi esclusivamente basate sulla fonte d‘archivio e la toponomastica medievale sono le tracce dell‘organizzazione ecclesiastica cittadina, con relativi poli di aggregazione della popolazione. Dall‘VIII secolo sono documentate le chiese di S. Cristina, S. Pietro ai Sette Pini, S. Margherita, S. Eufrasia, S. Maria Vergine6. Dal IX e durante il X secolo la città si arricchisce di edifici religiosi che assumono la cura d‘anime, costituendo nelle loro vicinanze piccole aree cimiteriali, come è testimoniato con il sepolcreto della chiesa di S. Isidoro, datato tra IX e X secolo, rintracciato durante lo scavo del Saggio II di Piazza Dante7 e con le inumazioni scavate presso S. Lorenzo in Chinzica8. Le chiese di questo periodo, inserite in un contesto cittadino probabilmente molto meno codificato rispetto all‘età comunale, assumevano natura di poli aggregativi della popolazione, dentro e fuori la città, grazie anche al fatto di essere posizionate lungo gli assi della viabilità principale interna ed esterna. L’ubicazione, quindi, alcune volte solo ipotizzabile, degli edifici religiosi altomedievali pisani concorre alla ipotetica ricostruzione dell’assetto viario cittadino prima della riorganizzazione entro le mura urbiche comunali.

2.1. Strade di accesso alla città e viabilità minore tra X e XIV secolo Alla ricca documentazione d‘archivio di XI-XII secolo, attraverso la quale è possibile ricostruire la maglia dell‘organizzazione ecclesiastica cittadina e con essa la griglia della viabilità, anche se

2. La pavimentazione stradale di XIV secolo rinvenuta nel saggio I di Piazza Dante - PD (da Bruni 1993, p. 215).

pur meno precisamente, si contrappone la scarsa documentazione materiale, derivante da scavi o recuperi di porzioni di pavimentazione stradale medievale. Lo scavo di Piazza Dante ha restituito per il momento l’unico contesto stradale in ambito urbano che la sequenza cronologica individuata colloca tra X e XII secolo. Il Saggio I9, che comprende due fronti contrapposti di case torri tra le quali corre la via che dal lungarno portava verso l’area di Cortevecchia, ha documentato una sequenza di cinque tracciati stradali sovrapposti, intervallati da rialzamenti di quota e preparazioni, compresi tra il XIV e il X secolo, ed inclusi in un deposito stratigrafico spesso un metro e mezzo circa (fig. 2). La pavimentazione stradale più recente, trecentesca, risulta costituita esclusivamente in ciottoli disposti a secco, mentre il marciapiede coevo sembra composto da pietrame e laterizi rotti legati con malta. Lo stesso esclusivo uso di pietre

è confermato per tutti gli altri piani stradali documentati. Si tratta di un livello di grossi ciottoli fluviali infissi in terreno giallastro, su una doppia preparazione di sabbia e argilla e malta e argilla, che daterebbe, in base ai materiali recuperati, tra la fine del XII e l‘inizio del XIII secolo e quindi potrebbe essere messa in relazione con la riorganizzazione dei piani stradali seguita alla costruzione della cinta comunale. Tale tratto sarebbe quindi coevo alla strada scavata sotto la Porta del Parlascio. Ad una fase ancora precedente alla costruzione della cinta muraria comunale di XII secolo sarebbero da ricondurre il lastricato stradale sottostante, anch‘esso costituito da grossi ciottoli, disposti a secco, sopra un riempimento sabbioso (XI-XII secolo); la pavimentazione in grossi basoli di forma rotondeggiante, su preparazione in argilla e pietrisco (metà X-inizi XI secolo); il piano stradale in ciottoli legati con malta, su cui sono fondate le case torri I e II, indicativamente riconducibile al Periodo VI della sequenza (VIII-X secolo). Al di sotto di questo ultimo livello sono una serie di strati di riporto e di abbandono e rasature di muri relativi a domus romane. Vista la scarsità delle fonti materiali si rende quindi necessario tentare di tracciare la viabilità interna e periurbana sulla base dell‘ubicazione delle chiese, documentate a partire dall‘VIII secolo e precedenti al XII. S. Isidoro e S. Eufrasia, ma anche S. Maria Vergine, confermerebbero il tracciato individuato in Piazza Dante, determinandone l’ambito fino all’area di Cortevecchia, per proseguire e raggiungere l’episcopio a nord. S. Cristina si colloca sulla riva sinistra dell’Arno all’imbocco della Carraia Maiore dei documenti medievali (attuale via S. Martino), che dopo la costruzione della cinta di XII secolo correrà per un breve tratto all‘interno delle mura urbiche10. Nell’area periurbana orientale le chiese di S. Piero in Vincoli e di S. Michele in Borgo tracciano il percorso della via Calcesana. Il definitivo assetto urbano che assume la città con l‘edificazione delle mura comunali costitui-

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4. Sezione ovest-est dello scavo di Porta Parlascio.

3. Pianta dell’acciottolato stradale di XII secolo nella porzione riportata in luce sotto Porta Parlascio.

sce da una parte il quadro della maglia stradale interna che ricalca per lo più la situazione attuale, tenuto conto però che al momento della progettazione e della sua costruzione le strade che già in antico entravano in città saranno state il motivo della scelta della scansione delle porte cittadine, mentre i toponimi preesistenti che fanno riferimento alla presenza di porte più antiche possono indicare le vie di accesso alla città pre-comunale. In questo ultimo caso si tratta di aree della città denominate nei documenti di fine XII e inizio XIII: Porta Sancti Felici a nord di Borgo, Porta Sancti Martini, a ovest di Borgo, Porta Aurea, sulla destra

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dell’Arno, Porta Maris, nei pressi di via S. Maria e Lungarno. Le aree indicate sono piuttosto ampie e non è facile individuare una viabilità che potesse attraversare le porte della ipotizzata cinta altomedievale la quale cingeva l‘area centrale della città a nord dell‘Arno, lasciando fuori il suburbio nord-orientale denominato Civitate vetere, cioè la città romana, l‘area occidentale (il Paludozzari) e l’area a sud dell’Arno (Chinzica). è pur vero che i toponimi, ancora usati nei documenti medievali indicano gli accessi, le porte, da cui passava la viabilità che dall‘esterno introduceva nel cuore della città.

Con la costruzione delle mura medievali questa rete stradale rimane inglobata nel nuovo perimetro urbano, ampliato e non del tutto occupato da costruzioni. Sono i borghi, prima esterni, che lungo gli assi viari di accesso alla città vanno popolandosi a partire dall‘XI e poi nel XII secolo, tanto da rendere necessario il loro inserimento nella nuova civitas. All‘incirca sulle stesse direzioni le nuove porte urbane sostituiscono quelle più antiche sulle strade di accesso e di uscita. è possibile, pur forzando la mano, interpretare la nuova Porta Parlasci come sostitutiva della precedente Porta S. Felice, posizionate all‘incirca sulle stesso asse, in uscita dalla città verso nord. Porta Calcesana potrebbe essere un’avanzata verso l’esterno di Porta Sancti Martini, Porta Maris potrebbe essere stata sostituita da Porta Degazia, inglobando all’interno della mura l’antico borgo S. Vito. L’area della Cattedrale, antico Catallo, dopo la costruzione delle mura viene indicata con la denominazione di Ponte, o Porta Pontis ad indicare il nuovo accesso nord-occidentale della cit-

tà, forse rappresentato fino a quel momento dalla vicina Porta Archiepiscopi. Gli assi principali di accesso e uscita dalla civitas sembrano essere rimasti gli stessi, solo che a partire dalla seconda metà del XII secolo essi sono in parte divenuti tracciati urbani, ed è probabilmente in questo periodo che devono essere stati ripristinati, restaurati, comunque adeguati ai nuovi livelli assunti dal centro cittadino dopo la costruzione delle mura medievali. è a questo periodo che risale la costruzione della strada riportata in luce sotto Porta del Parlascio. Il tratto relativo al Parlascio è pertinente al lotto di mura urbane costruito tra il 1157 e il 1158. Lo scavo11 ha rivelato un acciottolato, regolare, costruito con ciottoli di piccole e medie dimensioni, ben compatto, leggermente a schiena d’asino, ad una quota di circa 2,50 m rispetto al piano attuale (fig. 3). L‘accesso alla città rimane in uso almeno fino al XVI secolo, quando viene sostituito dalla vicina Porta a Lucca. L‘indagine ha poi documenta-

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5. Particolare di uno degli ammattonati stradali rinvenuti in Piazza delle Vettovaglie.

to una fase di frequentazione della strada che è costituita da numerosi ripristini dei piani stradali. In un deposito di oltre un metro si susseguono quattro rialzamenti costituiti da sedimenti misti a ghiaia, oppure a malta, i quali si alternano a livelli depositati dalle esondazioni del vicino Auser, che scorreva immediatamente a nord, fuori dalla porta (fig. 4). (A.A.)

7. La strada medievale realizzata in mattoni a “spina di pesce” emersa in Borgo Stretto.

3. Strade e piazze nell’espansione urbanistica bassomedievale (fine XII-XIV secolo) A partire dalla fine del XII secolo e più estesamente dagli inizi del XIII secolo si assiste ad una vera e propria “esplosione” della città, dove le aree incolte ed aperte si cominciano a saturare di edifici, e le zone prima considerate esterne alla civitas, come la parte di Chinzica, si arricchiscono di nuove case e di nuove vie di raccordo alle strade principale di accesso al centro urbano. È in questo periodo che entra in uso il laterizio, dapprima per costruzioni di un certo rilievo, come il campanile di S. Sisto, quindi per i perimetrali ed i piani pavimentali degli edifici dei ceti sociali più agiati, fino a diventare il materiale edile più diffuso per tutte le realizzazioni, anche infrastrutturali. A Pisa questi fenomeni appaiono per così dire quasi congiunturali: in un momento di accresciuta domanda, si risponde con l’impiego di elementi costruttivi che abbiano caratteristiche di reperibilità, trasportabilità e messa in opera più semplice rispetto alla pietra, che fino a quel momento, insieme al legno, era stata l’elemento principale delle costruzioni cittadine.

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6. Lacerti di due strade in laterizi tagliate da canalizzazioni di età moderna dallo scavo di Piazza delle Vettovaglie.

Questo vero e proprio “boom” del laterizio si ripercuote anche sulle pavimentazioni stradali: le vie ora si coprono di mattoni disposti a “spina di pesce” e soltanto in alcuni quartieri, come in Piazza Dante e al Parlascio, i selciati continuano ad essere costituiti da acciottolati, che più di frequente si trovano nelle piazze e negli slarghi. Laddove il reticolo di case e strade si dirada a partire dal Duecento si cominciano a costruire anche dei pozzi in fittili, importante complemento del vivere quotidiano in un contesto urbano che avrà un acquedotto pubblico solo nella piena età moderna.

3.1 Strade carrabili, vie pedonali e “chiassi” dalla fine del XII al XIV secolo Prendendo in esame le stratificazioni posteriori al tardo XII secolo si può disporre certamente di un numero maggiore di evidenze, che permettono di abbozzare almeno un quadro preliminare

della viabilità urbana, non tanto a livello topografico, quanto dal punto di vista della gerarchia funzionale e delle differenze tecnologiche. Dagli scavi di Piazza delle Vettovaglie ad esempio sappiamo che nel XIII e XIV secolo potevano esistere alcune diversità tra le strade carrabili e le vie prevalentemente ad uso pedonale12. Le prime infatti sono costruite in laterizi disposti di coltello parallelamente tra loro, ma ortogonalmente rispetto ai sensi di marcia; inoltre presentano dei rinforzi in pietra nelle zone di maggiore sollecitazione o usura delle ruote dei carri (tav. IVa). Le vie carrabili o pedonali invece sono realizzate da laterizi disposti in coltello a spina di pesce, con i vertici orientati verso le direttrici di percorso (figg. 5-6). In entrambi i casi i laterizi e le pietre sono tenuti fermi da sabbia di fiume molto selezionata, che fa anche da piano di posa. Sotto questa sabbia, distesa fino ad un’altezza di una quindicina di centimetri circa, talvolta si trova un sottile strato di limo, che poteva servire per regolarizzare ed impermeabilizzare leggermente il fondo stradale rispetto al terreno sottostante.

Una tecnica analoga a questa è stata riscontrata anche nei lacerti di strada dello stesso arco cronologico rinvenuti qualche tempo fa presso le Logge dei Banchi, nell’area del Giardino Scotto, ed ancora pochi anni or sono in Via Toselli-Vicolo dei Facchini e in Borgo Stretto13 (fig. 7). Il progetto di riqualificazione di Piazza delle Vettovaglie, al quale si è accompagnato il controllo archeologico, ha permesso dunque di definire una buona parte della topografia del quartiere medievale, compresi i passaggi minori, ovvero i chiassi e chiassatelli delle fonti scritte coeve. In particolare lo stretto vicolo situato tra due casetorri individuate presso il lato orientale della piazza attuale ha rivelato il suo uso come immondezzaio piuttosto che come zona di transito, in modo del tutto simile a quanto riscontrato nello scavo di Via Toselli-Vicolo dei Facchini (figg. 8-9). Si tratta di spazi stretti tra due perimetrali, per una larghezza inferiore ad un metro, che non presentano particolari coperture pavimentali, ma sono lasciati in semplice terra, senza la presenza di al-

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La pavimentazione degli spazi aperti, invece, mantiene, fin dalle prime attestazioni un aspetto in pietra, soprattutto in ciottoli, ai quali si alternano laterizi frammentati, spesso di riutilizzo. La scelta di adottare una differente tecnica costruttiva potrebbe essere legata ad una funzione maggiormente statica, di sosta, piuttosto che di transito. Gli esempi più antichi di spazi aperti vengono dal settore meridionale del saggio II di Piazza Dante17 e dallo scavo di Piazza S. Omobono18, dove è stato possibile individuare piazze databili al XII secolo. In Piazza Dante un’area adibita a spazio aperto tra le case risulta dapprima pavimentata da un semplice piano di malta con cocciopesto frantumato e panchina, poi, nel corso del XII secolo, da un piano in pietrisco misto a malta e cocciopesto, «unito a grossi basoli di pietra stondata», che sorge su una massicciata di preparazione formata da blocchetti di panchina legati con terra argillo8. Parte dello stretto vicolo rinvenuto tra i perimetrali di due case-torri in Piazza delle Vettovaglie.

tri materiali drenanti, o di particolari sistemi di impermeabilizzazione. Nella stessa indagine è stato possibile verificare come tra il XV ed il XVI secolo gli ammattonati medievali delle strade laterali maggiori fossero obliterati da depositi per il rialzamento delle quote e fossero sostituiti da terra battuta mista a pezzame di laterizio, ciottoli e grumi di malta (fig. 10). Il fondo stradale in questo caso non presentava particolari strutturazioni o soluzioni tecnologiche: l’unico accorgimento era legato alla morfologia, contrassegnata da una sezione “a schiena d’asino” per far confluire le acque piovane in due fosse appena accennate ai lati della via14. Non possiamo dire tuttavia se la situazione riscontrata in questa parte di Chinzica fosse legata ad uno scadimento di importanza dell’asse viario, o ad un impoverimento più generale dell’area in cui era collocato l’isolato, o ancora da differenti scelte di politica urbanistica locale sotto il dominio fiorentino. Non si hanno ancora notizie detta-

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gliate in merito, ma sappiamo che di recente sono stati documentati archeologicamente anche dei vicoli medievali nell’intervento preventivo di Via degli Uffizi e nell’area di Palazzo Giuli, prospiciente proprio alle case-torri di Via Toselli-Vicolo dei Facchini. I dati relativi a questi ritrovamenti potrebbero portare nuove informazioni e riflessioni in merito agli aspetti sopra esposti. (M.B.)

3.2 Le piazze tra la fine del XII ed il XIV secolo Rispetto al numero di tracciati stradali rinvenuti nel corso di indagini stratigrafiche, gli esempi riferibili a spazi aperti, slarghi, piazze di dimensioni più o meno vaste sono attestati negli scavi di Piazza Dante - saggio II, di Piazza S. Omobono, di Piazza delle Vettovaglie e di Palazzo Scotto, mentre di dubbia interpretazione risulta la pavimentazione in mattoni posti di piatto rinvenuta in Piazza dei Cavalieri15, che parrebbe piuttosto pertinente ad una pavimentazione interna o ad un cortile, e scarsi i dati pubblicati sul pozzo (con

9. Il “chiasso” sul lato occidentale delle case-torri portate in luce in Via Toselli-Vicolo dei Facchini.

antistante slargo?) rinvenuto nello scavo di Via S. Apollonia16. La piazza doveva configurarsi come spazio aperto, slargo tra edifici e raccordo tra la viabilità, luogo di incontro e vita sociale, punto nel quale inserire infrastrutture legate all’uso dell’acqua come pozzi e lavatoi. La tecnica costruttiva impiegata per pavimentare queste aree sembra distinguersi da quella dei tracciati stradali, che come abbiamo visto, con l’ingresso del mattone tendono ad un utilizzo quasi esclusivo di questo materiale.

10. Il Vicolo dei Facchini nel tardo XVI secolo.

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sa compattata e pietre di maggiori dimensioni. I piani pavimentali rinvenuti nello scavo di Piazza S. Omobono sono relativi ad uno spazio aperto adiacente alla chiesa di San Pietro in Palude, che sorgeva a nord dell’attuale piazza e i cui resti sono parzialmente visibili all’interno del civico n. 6. Le due successive pavimentazioni datate al XII secolo sono del tutto simili a quelli di Piazza Dante, in pietre e ciottoli, la prima molto compatta e legata da malta, la seconda caratterizzata da legante limo-argilloso. A differenza di quelle rinvenute in Piazza Dante, nelle pavimentazioni di Piazza S. Omobono, in particolar modo a partire dalla seconda, databile alla seconda metà del XII secolo, sono presenti frammenti di laterizi di reimpiego. La presenza di laterizi attesta un uso precoce di questo materiale, ma non si può escludere che si tratti di materiale ricavato da strutture più antiche. Frammenti di laterizi, uniti a malta, compaiono anche in una successiva pavimentazione del saggio II di Piazza Dante, su cui insiste una massicciata formata da pietrisco e ciottoli fortemente compattati; la datazione, purtroppo generica, entro il XIII secolo, non ci aiuta a comprendere se esista un precoce utilizzo di frammenti di laterizi di scarto e/o recupero per questo genere di pavimentazioni. L’utilizzo di blocchetti di panchina è attestato anche nella pavimentazione di Piazza S. Omobono (tav. VIa). A differenza di quanto riportato nello scavo del saggio II di Piazza Dante questi non vengono utilizzati come massicciata, ma come vera e propria pavimentazione, disposta solamente nella metà meridionale della piazza. Si assiste, infatti, nel corso del XII secolo, ad una netta divisione degli spazi che potrebbe coincidere con la divisione fra lo spazio di proprietà ecclesiastica e quello di proprietà privata (edificio che si trovava nell’attuale parte meridionale di Piazza S. Omobono), il rifacimento in panchina rappresenta una scelta della proprietà privata, mentre la proprietà ecclesiastica mantiene in uso il piano in ciottoli che precedentemente aveva interessato l’intera

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estensione della piazza. Tale divisione perdura fino al XVI secolo. Tra fine XII ed inizio XIII secolo viene rialzata ulteriormente la pavimentazione, che viene realizzata in ciottoli e mattoni posti di taglio, legati con malta, realizzata su una serie di strati di preparazione in sabbia. Il ritrovamento, nell’angolo sud occidentale di Piazza delle Vettovaglie, di uno spiazzo ammattonato, databile al XIII - XIV secolo, collegato ad un pozzo fittile corredato di pedana circolare (tav. Va), ricondotto in via ipotetica alla Piazza dei Porci citata nei documenti bassomedievali19, apre un interessante questione sulla tipologia e dimensione dei vari spazi aperti e sul loro rapporto con i punti di approvvigionamento idrico. A partire dal XIV secolo oltre agli esempi precedenti abbiamo lo scavo presso Palazzo Scotto20, nel quale è stata rinvenuta una vasta piazza con pozzo relativa all’area adiacente la chiesa di S. Andrea in Chinzica, ripavimentata nel secondo quarto del XIV secolo dopo un potente fenomeno esondativo che nel 1333 colpisce tutto il quartiere posto a sud dell’Arno. La pavimentazione trecentesca (tav. VIb) viene realizzata in ciottoli e mattoni posti di taglio divisa in settori orientati nordest/sudovest, delimitati da cordoli in pietra o in laterizi. Durante il XIV secolo viene realizzata una pedana anulare attorno al pozzo in mattoni posti di taglio, in pendenza dal pozzo verso l’esterno, che si conclude con una canaletta collegata, attraverso un foro quadrato munito di filtro in ferro ad una canalizzazione sotterranea unita ad una vasca utilizzata come lavatoio/abbeveratoio, collocata al centro della piazza e coperta da una lunga tettoia lignea. Ci troviamo in questo caso di fronte ad uno spazio aperto di grandi dimensioni (ca. 40 m2), che si sviluppa attorno ad un elemento infrastrutturale importante (il pozzo poi corredato da un lavatoio coperto da una tettoia). Non abbiamo confronti per Pisa, ma le fonti scritte riportano la costruzione di un pozzo con annesso lavatoio a Cecina nella seconda metà del XIV secolo21. Appare anche evidente nella realizzazione di questa pa-

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vimentazione la ricerca di un certo elemento ornamentale, il cordolo, che in parte si ritrova nella pavimentazione, databile tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, nello scavo di Piazza S. Omobono, realizzata con ciottoli, pietre parzialmente spaccate (arenaria e calcare), laterizi, tutti posti di taglio, su un vespaio coperto da strati sabbiosi. Le pietre poste lungo il suo limite meridionale, a segnare la delimitazione degli spazi, erano, invece, poste di piatto e di dimensioni maggiori. Il posizionamento degli elementi non risulta casuale si notano infatti, due linee parallele, a formare una specie di modulo nella parte orientale, e due linee ad angolo retto a formare delle specie di cateti, la cui ipotenusa è rappresentata dal cordolo settentrionale. La pavimentazione datata alla metà del XIVXV secolo nel saggio II di Piazza Dante, costituita da pietre di piccole e medie dimensioni e laterizi legati con scarsa malta posati su una preparazione sabbiosa, è stata rinvenuta lacunosa e pertanto non consente di verificare il ricorso ad elementi ornamentali. A fronte di una documentazione analitica esistono una serie di dati solo parzialmente editi che permetterebbero di delineare un quadro probabilmente molto più complesso e variegato di quello fin qui delineato: lo scavo di Via S. Apollonia ha messo in evidenza un pozzo bassomedievale con una pedana in mattoni attorno alla quale si estende quella che pare essere una pavimentazione in mattoni posti di piatto22, ma risulta difficile capire se si tratti di un piccolo spazio aperto, di uno slargo lungo la viabilità o di un semplice cortile; lo scavo presso San Michele in Borgo ha riportato una pavimentazione bassomedievale in mattoni “a coltello” pertinente un pozzo cilindrico preesistente al chiostro23, ma anche in questo caso non è possibile definire se sia una corte interna o uno spiazzo pubblico. Quale rapporto lega il sistema di approvvigionamento idrico alle piazze pubbliche? Il pozzo può essere inteso come uno degli indicatori di uno spazio aperto pubblico? O più semplicemen-

te situato in uno slargo lungo la viabilità, come sembra essere nel caso del pozzo di Piazza delle Vettovaglie? Molto interrogativi rimangono al momento aperti, speriamo che nuovi scavi assieme alla pubblicazione esaustiva di interventi passati permettano di tracciare un profilo maggiormente definito delle piazze urbane in Pisa. (G.G.)

4. Il passaggio all’età moderna (XV-XVI) Il periodo compreso tra fine XIV e seconda metà XVI secolo è caratterizzato da mutamenti edilizi, rifunzionalizzazione degli spazi, trasformazione degli orizzonti sociali, che evidenziano la fine graduale della “città medievale” e la metamorfosi in “città fiorentina” rinascimentale 24. Per quanto concerne la viabilità, questo mutamento è visibile già nel XV secolo con la chiusura di una serie di chiassi in tutta la città a seguito di ristrutturazioni edilizie che spesso comportano la congiunzione in facciata di strutture adiacenti25. Il XVI secolo segna la definitiva trasformazione urbanistica, resa maggiormente evidente dalla creazione di nuove piazze attraverso operazioni di diradamento del tessuto abitativo urbano. Intorno alla metà del XVI la Piazza dei Porci viene trasformata in Piassa del Grano (attuale Piazza delle Vettovaglie)26 e l’adiacente piazza a sud di S. Pietro in Palude viene ampliata fino alle dimensioni dell’attuale Piazza S. Omobono. Tali operazioni avvengono attraverso la demolizione delle strutture medievali, il recupero e riuso dei materiali edilizi e l’innalzamento dei nuovi piani di calpestio con i materiali residui. Anche le tecniche costruttive di questa nuova viabilità segnano un cambiamento verso una semplificazione della messa in opera dei piani pavimentali che prevede, principalmente, la realizzazione di battuti molto compatti in terra e malta rinforzati con frammenti di laterizi.

4.1. Due casi particolari Lo studio della realizzazione della Piazza del Grano da un lato mette in luce i profondi e radicali interventi di ristrutturazione urbana effettuati in età moderna, dall’altro consente di analizzare

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4.1.2. La piazza del Corpo di Guardia della Fortezza del Sangallo

il caso particolare di una piazza legata alla conservazione delle granaglie; l’analisi della Piazza del Corpo di Guardia della fortezza del Sangallo, se, sullo sfondo, permette di intravedere i grandi stravolgimenti urbanistici operati dai fiorentini, ben evidenzia come la scelta di realizzare pavimentazioni di maggior pregio fosse legata a contesti privilegiati ed usi particolari.

4.1.1. La costruzione della nuova Piazza del Grano ed il mercato delle Vettovaglie Tra il 1544 ed il 1545 il quartiere che si ergeva tra la Piazza dei Porci (attuale Piazza delle Vettovaglie) e l’attuale Borgo Stretto, dove in precedenza erano presenti case-torri di gruppi familiari aristocratici, chiese, pozzi, botteghe ed osterie, fu praticamente raso al suolo per lasciar posto alla costruzione della piazza e del loggiato attuale (Tavv. IVb e Vb), destinati ad essere la nuova sede del mercato del grano (Piassa del Grano) per volere del nuovo governo mediceo. Gli scavi hanno permesso di mettere a fuoco le dinamiche di queste operazioni di “smontaggio” delle strutture medievali: i materiali edilizi più costosi (materiale litico squadrato o sbozzato) furono recuperati per essere riusati, mentre gli altri residui delle demolizioni servirono a creare un nuovo piano di calpestio sopraelevato rispetto al precedente, sul quale venne impostata la pavimentazione rinascimentale. Negli strati di macerie relativi a questa fase sono stati rinvenuti materiali ceramici (in modo particolare maioliche di Montelupo) che non solo concordano con la datazione della documentazione archivistica per la costruzione del porticato soprastante, ma soprattutto hanno definito meglio il quadro della cultura materiale degli abitanti di questa zona tra lo scorcio del Quattrocento ed i primi decenni del secolo successivo. In particolare l’innalzamento delle quote di calpestio sembra essere stato maggiore lungo i lati ovest e sud, dove il piano di imposta medievale era più basso, scendendo verso la ripa del fiume: la realizzazione di un piano di colmata permise

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11. Imboccatura e calotta superiore di uno dei silos rinvenuti in Piazza delle Vettovaglie.

anche di isolare meglio le strutture per la conservazione del grano costruiti per l’occasione. La loro struttura è abbastanza tipica: si tratta di vani cilindrici, che nella parte sommitale terminano con una piccola cupola, al centro della quale si apre un’imboccatura tonda, sigillata con un lastrone in pietra. Sono tutti costruiti con laterizi di reimpiego e con lastre scistose inzeppate tra i giunti, tenuti insieme da argilla depurata; in par-

12. Tavola descrittiva di uno dei silos dell’Abbondanza di Firenze (da F. Borsi, La cultura dell’utile, Firenze 1984, p. 146).

individuate sei di queste “buche” per il grano solo sul lato occidentale, due soltanto delle quali sono state scavate. Sono stati recuperati così i materiali legati al loro definitivo abbandono e, in un caso, al loro uso come pozzi-cisterna dopo la risalita dell’acqua di falda (prima metà XVIII secolo), oltre ad alcuni chicchi di grano, residui della loro funzione originaria.

ticolare il loro isolamento doveva essere garanti-

Il mercato dei grani richiese vari interventi an-

to all’interno da una corda, o da altro materiale

che nei secoli successivi al suo impianto, quando

deperibile, forse impermeabilizzato con della

cominciò ad ampliare il novero delle merci tratta-

pece, e all’esterno da una camicia in sabbia sele-

te, trasformandosi pian piano nella attuale “Piaz-

zionata, che costituiva un’intercapedine rispetto

za delle Vettovaglie”. Al fine di garantire igiene e

all’umidità degli strati circostanti (fig. 11).

pulizia all’area, ad esempio, tra la fine del XVI ed

La morfologia di questi silos, oltrechè la tec-

il XVIII secolo fu organizzato un sistema articolato

nica ed i materiali impiegati, trovano stretti con-

sia per la raccolta delle acque piovane attraverso

fronti con quanto realizzato nello stesso periodo

canalette e cisterne di varie dimensioni, sia per la

in altri edifici pubblici e privati di Pisa e per l’Ab-

razionalizzazione del deflusso dei liquami trami-

bondanza di Firenze (fig. 12). In totale sono state

te “bottini” di differenti dimensioni. (A.A., M.B.)

Tra le differenti tipologie di spazi aperti evidenziate negli scavi urbani, lo scavo presso Palazzo Scotto ha fornito l’opportunità di analizzarne una particolare, non solo non legata ad uno spazio pubblico, ma addirittura interdetta all’uso civile e riservato alla sola funzione militare. Si tratta della Piazza del Corpo di Guardia interna al Baluardo della Cisterna, ridotto fortificato presso il ponte della Fortezza, parte della Cittadella eretta tra il 1509 e il 1512, in seguito alla rioccupazione fiorentina della città, nell’area già occupata dalla quattrocentesca Cittadella nuova, e abbattuto per destinare l’area ad uso civile nel 178127. La piazza, una vera e propria piazza d’armi, si configurava come un ampio spazio aperto (ca. 200 m2) circondato da edifici di servizio tra cui l’osteria con casamatta rinvenuta nel corso dello scavo, attraversato sul lato orientale, limitrofo all’osteria, da una strada che, passando per la porta carraia del Baluardo, collegava il cortile interno della fortificazione al ponte della Fortezza. Lo scavo ha permesso individuare solo alcuni frammenti della pavimentazione della piazza, mentre ho portato interamente alla luce la strada. Si trattava di una pavimentazione ammattonata (fig. 13) realizzata con mattoni posti di taglio, per file parallele, non a spina di pesce, allettati in una preparazione di malta sistemata sopra uno strato sabbioso di riporto. I pochi lacerti conservati mostrano una sostanziale continuità di utilizzo nei 270 anni di vita del Baluardo, con alcuni piccoli interventi di ripristino effettuati con la colmatura in terra delle lacune. Il tracciato viario, invece, aveva una pavimentazione costituita da un piano di malta rinforzato da laterizi sbriciolati e ciottoli di piccole dimensioni, e, sul lato orientale, era munito di un parapetto in pietre e laterizi alto 50 cm. La strada, soggetta all’usura provocata dal passaggio dei carri, presentava una continua opera di manutenzione realizzata sia con una serie di rifacimenti complessivi del piano stradale, sempre in

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13. Particolare di uno dei lacerti della pavimentazione cinquecentesca della Piazza del Corpo di Guardia. Si nota come i mattoni disposti “a coltello” siano allettati in una preparazione di malta, posta al di sopra di un riporto sabbioso.

malta con ciottoli e laterizi, sia con risarcimenti limitati di buche colmate con gettate in malta e laterizi sbriciolati. Rispetto ad altre sistemazioni pavimentali che dal XVI secolo interessano Pisa, si nota, nella pavimentazione della Piazza del Corpo di Guardia, una maggior cura, dovuta, probabilmente, alla committenza dell’opera. (G.G.)

5. Considerazioni finali Non è nostra intenzione trarre conclusioni da questo lavoro, ma alcuni spunti di riflessioni e/o linee di pensiero per future strategie di ricerca. Complessivamente i dati in nostro possesso per Pisa riguardano tutti tracciati di cronologia compresa tra il X ed il XVI secolo, mentre non abbiamo dati sulla viabilità altomedievale e scarsi su quella tardoantica28. Da un punto di vista tecnologico pietre e ciottoli vengono utilizzati soprattutto nella viabilità tra il X e il XII secolo e soppiantati dai laterizi a partire dal XIII secolo, in seguito al “boom” del mattone; al contrario gli spazi aperti, di cui abbiamo un numero minore di esempi e solo a partire dal XII secolo, vedono un perdurare dell’uso di materiali litici fino alle trasformazioni di età moderna ed una precoce introduzione del laterizio utilizzato frammentato e forse di reimpiego.

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A partire dal XIII secolo, infatti, per le coperture stradali si diffonde piuttosto rapidamente l’uso dei laterizi, disposti in taglio, fissati a “spina di pesce” da un sedimento sabbioso molto selezionato. Ugualmente in materiale fittile sono i gradini e gli slarghi intorno ai pozzi. Il passaggio all’età moderna e la trasformazione della città attuata dal governo fiorentino, oltre a comportare un generale innalzamento delle quote e vere e proprie rivoluzioni urbanistiche, sembra introdurre un aumento delle pavimentazioni stradali in materiali poveri e forse un maggior divario tecnologico tra vie principali e secondarie. Gli ormai numerosi interventi che hanno interessato la viabilità hanno messo in evidenza una certa gerarchia tra strade carraie ammattonate e più semplici chiassi con pavimentazione in terra rinforzata da elementi litici, testimoniati dallo scavo del chiasso di Vicolo Facchini e più recentemente da quello di Via degli Uffizi29. Pur avendo a disposizione un numero inferiore di casi è possibile ipotizzare la presenza di una gerarchia anche tra i diversi spazi aperti, si tratti di semplici slarghi come quello presso il pozzo di Via S. Apollonia e quello di Piazza delle Vettovaglie, di vaste piazze di “quartiere” come quella presso S. Andrea in Chinzica, di spazi divisi come

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quella di Piazza S. Omobono, o di spazi aperti tra le case come quello di Piazza Dante. Più difficile, invece, risulta la ricostruzione di una vera tipologia costruttiva di queste aree libere da edifici e la comprensione del loro legame con le infrastrutture idrauliche pubbliche. Sebbene l’uso di materiale litico sembri da collegarsi alle piazze vere e proprie, e quello del mattone piuttosto a slarghi lungo la strada e/o corti tra le case, rimane ancora difficile fare una chiara distinzione. In ultimo, viene da chiedersi se sia mai esistita una tipologia nettamente definita. In un tessuto fortemente urbanizzato come quello del centro medievale appare probabile che gli spazi aperti si configurassero come luoghi generalmente di piccole dimensioni e, in questo caso, l’ampiezza della piazza di S. Andrea di Chinzica parrebbe favorita dalla posizione marginale rispetto al centro urbano vero e proprio. Tali considerazioni sembrano trovare conferma nell’opera di diradamento del centro storico attuata in età moderna, soprattutto a partire dalla metà del XVI secolo. La città sembra, in quel periodo, dismettere il suo aspetto più propriamente medievale per abbracciare nuove concezioni urbanistiche fatte di spazi aperti di ampie dimensioni, vere e proprie piazze adatte ai più differenti scopi come avviene per la Piassa del Grano o per i diradamenti di Piazza S. Omobono, probabilmente legati al mercato, o per la nuova scenografia di Piazza dei Cavalieri. Purtroppo i dati archeologici a nostra disposizione sono ancora di numero limitato e bisognerebbe indirizzare la ricerca verso lo scavo di alcune aree come quella di Piazza dei Cavalieri e Piazza S. Caterina, per comprendere le trasformazioni dell’età moderna, ma soprattutto per sfruttare l’ampiezza planimetrica di queste aree non edificate. Solo uno scavo di grandi dimensioni può consentire di individuare una porzione di tessuto urbano sufficientemente vasta da analizzare strade e piazze. Inoltre rimane quasi completamente da esplorare archeologicamente il problema della viabilità,

maggiore e minore, di accesso alla città: si avverte quindi la necessità di interventi stratigrafici mirati anche in zone peri-urbane, o comunque esterne al centro storico strictu sensu che consentano di indagare questo aspetto (ad esempio l’area di Via S. Martino/Piazza Guerrazzi). Il recente ritrovamento di una porzione del ponte presso porta S. Gilio (scavo non ancora pubblicato presso Piazza Vittorio Emanuele II), ad esempio, mette bene in evidenza l’importanza di uno studio sulla viabilità esterna alla città e sulle relazioni con i varchi di accesso presenti nelle mura urbane. Ulteriore passo da intraprendere, infine, è quello di ragionare complessivamente su scala topografica confrontando dati archeologici, toponomastici, fonti scritte per avere un quadro più esauriente della viabilità medievale di Pisa in tutti i suoi aspetti sia archeologici, sia metarcheologici. (A.A., M.B., G.G.) Note 1 Garzella 1990, Redi 1991, Tolaini 1992a e 1992b. 2 Garzella – Redi 1980, Redi 1982, Redi et alii 1987. 3 AA. VV. 1980, AA. VV. 1982, AA. VV. 1992, Redi 1991 e 1994. 4 Bruni 1993, Gelichi – Milanese 1994, Gelichi 1997, Alberti – Baldassarri 1999, Bruni – Abela – Berti 2000, Baldassarri – Milanese 2004, Alberti – Baldassarri 2004, Alberti et alii 2006. 5 Anichini 2004-2005. 6 Garzella 1990. 7 Bruni – Minetti 1993. 8 Milanese 2005. 9 Bruni – Menchelli 1993. 10 Garzella 1990, tav. VIII, p. 67. 11 Alberti – Baldassarri – Gattiglia 2006. 12 Alberti – Baldassarri 2004. 13 Abela 2000, Gelichi 1997, p. 340, Baldassarri – Milanese 2004, pp. 21-22, 49. 14 Baldassarri 2004, pp. 49-50. 15 Abela – Bruni 2000, p. 57. 16 Corretti – Vaggioli 2003. 17 I dati sul saggio II di Piazza Dante sono desunti da Bruni – Minetti 1993, p.171 ss. 18 I dati sullo scavo di Piazza S. Omobono sono in corso di pubblicazione da parte dell’autore, i materiali cerami-

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ci provenienti dallo scavo sono analizzati da Baldassarri – Berti c.d.s., Nuovi dati sulle importazioni di ceramiche islamiche e bizantine a Pisa. 19 Alberti – Baldassarri 2004, p. 46. 20 Gattiglia 2006. 21 Si ringrazia per la segnalazione la prof.ssa Gabriella Garzella. 22 Corretti – Vaggioli 2003. 23 Redi et alii 1987, p. 349. 24 Alberti et alii 2006, p. 141. 25 Redi 1993, pp. 214-217, Baldassarri 2004, p. 48, Alberti – Baldassarri 2004.

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26 Alberti – Baldassarri 2004.

Bruni – Menchelli 1993: S. Bruni, S. Menchelli, Le stratigrafie. Saggio I, in Bruni 1993, pp. 147-170.

27 Per quanto riguarda i dati sulla fortificazione cinquecentesca si veda Gattiglia – Milanese 2006a.

Bruni – Minetti 1993: S. Bruni, A. Minetti, Le stratigrafie – Saggio II, in Bruni 1993, pp. 171-186.

28 Cfr. Alberti et alii 2006.

Corretti – Vaggioli 2003: A. Corretti, A. Vaggioli, Pisa, Via Sant’Apollonia: secoli di contatti mediterranei, in Tangheroni 2003, pp. 57-63.

29 Si ringrazia per l’informazione Francesca Anichini che con Simone Sacco ha curato il coordinamento dello scavo, svolto nell’estate 2006, sotto la Direzione Scientifica della dott.ssa Emanuela Paribeni.

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