T.De Robertis, Digrafia nel Trecento: Andrea Lancia e Francesco di ser Nardo da Barberino, «Medioevo e Rinascimento» 26, (2012), pp. 221-235

July 1, 2017 | Autor: Teresa De Robertis | Categoria: Palaeography, Filologia dantesca, Filologia Italiana, Notariato, Andrea Lancia
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MEDIOEVO E

RINASCIMENTO XXVI / n.s. XXIII 2012

FONDAZIONE

CENTRO ITALIANO DI STUDI SULL’ALTO MEDIOEVO SPOLETO

FON DAZ ION E

C E N TR O I TA LI ANO DI S TU DI S U LL’ALTO M E DIOE VO S POLE TO

SOMMARIO

ROBERTO ANGELINI, Il carme Heu, sors, quam subito vela beatis (Oxford, Bodleian Library, Rawlinson G. 109, F. 49). Edizione, commento e attribuzione a Ildeberto di Lavardin ............

pag.

1

GIOVANNI FIESOLI, La « lectio divina » cisterciense e la rilettura bessarionea (continuazione e fine) .......................................

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13

MARCO PETOLETTI, Due nuovi manoscritti di Zanobi da Strada .....

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37

PETER ROLAND SCHWERTSIK, Un commento medievale alle “Metamorfosi” d’Ovidio nella Napoli del Trecento: Boccaccio e l’invenzione di “Theodontius” ..............................................

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61

ELISABETTA GUERRIERI, La storia come vocazione: Andrea di Antonio Cambini .........................................................................

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85

GIULIANO TANTURLI, La critica del testo davanti all’autografo .......

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113

GIOVANNI FIESOLI, Uno o plurimo? Varianti d’autore e varianti di tradizione nella letteratura mediolatina ................................

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119

GIOVANNA FROSINI, La parte della lingua nell’edizione degli autografi ....................................................................................

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149

MICHELANGELO ZACCARELLO, Un prolifico copista-editore di testi utriusque linguae: Tommaso Baldinotti (1451-1511) ..............

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173

ANTONIO CORSARO - MARIA CHIARA TARSI, Riflessioni ecdotiche sugli autografi di Michelangelo ...............................................

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197

PALEOGRAFIA E CRITICA DEL TESTO DAVANTI ALL’AUTOGRAFO

SOMMARIO

VI

TERESA DE ROBERTIS, Digrafia nel Trecento: Andrea Lancia e Francesco di ser Nardo da Barberino ..................................

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221

IRENE CECCHERINI, Poligrafia nel Quattrocento: Sozomeno da Pistoia ....................................................................................

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237

LAURA REGNICOLI, Una scrittura, due mani: Antonio Sinibaldi o Alessandro da Verrazzano? ..................................................

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253

BEAT VON SCARPATETTI, La stessa mano? Casi attinti dal Catalogo dei Manoscritti Datati della Svizzera (CMD-CH) ..................

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291

DANIELE BIANCONI, « Duplici scribendi forma ». Commentare Bernard de Montfaucon .............................................................

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299

DAVID SPERANZI, « De’ libri che furono di Teodoro »: una mano, due pratiche e una biblioteca scomparsa ..............................

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319

GIULIA AMMANNATI, Proposte per la lettera di Coluccio Salutati a Manuele Crisolora ...............................................................

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357

LORENZ BÖNINGER, Il testamento di Antonio Pacini da Todi (2 settembre 1449) .......................................................................

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363

Riassunti - Abstracts ..................................................................

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371

Indice dei manoscritti e degli incunaboli ....................................

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387

Indice dei nomi .........................................................................

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DESCRIZIONE DEI MANOSCRITTI DISCUSSIONI E NOTIZIE

TERESA DE ROBERTIS

DIGRAFIA NEL TRECENTO: ANDREA LANCIA E FRANCESCO DI SER NARDO DA BARBERINO

Alle ragioni di questo seminario, già dichiarate da Tanturli, aggiungo solo che l’idea di approfondire sub specie scripturae (o scripturarum, come vedremo) è nata a margine e come complemento del 17° Congresso internazionale di Paleografia latina che si è tenuto a Lubiana esattamente un anno fa, dedicato agli autografi medievali. Si è trattato, come si vedrà dagli atti 1, di un ottimo convegno che ha fatto proprio un tema venuto o tornato, negli ultimi anni, al centro di interessi interdisciplinari, tra paleografia e filologia 2. Tuttavia, se mi è permesso un appunto, con una paradossale rimozione o quanto meno con un oggetto dato per scontato: la scrittura, sia sul versante, se si vuole banale, della sua valutazione ai fini d’expertise (metodo di analisi, elementi diacritici, indagini strumentali ecc.), sia quanto alle scelte che i copisti, tanto più se copisti-autori, compiono in rapporto alla tradizione grafica in cui sono immersi e con cui devono fare i conti.

1

Les autographes du Moyen Age / Medieval Autograph Manuscripts, Actes du XVIIe Colloque du Comité international de paléographie latine (Ljubljana, 7-10 septembre 2010), a cura di N. Golob, in corso di stampa. Alcuni dei temi trattati nel corso di questo seminario fiorentino hanno trovato una prima esposizione nel mio contributo Una mano tante scritture. Problemi di metodo nell’identificazione degli autografi, cui rinvio implicitamente. 2 Mi limito a segnalare la recente uscita del volume Il Cinquecento, I, a cura di M. Motolese e altri, Roma 2009, primo di una collana che sarà dedicata agli Autografi dei letterati italiani, destinata ad accogliere (sul modello di A. DE LA MARE, The Handwriting of Italian Humanists, Oxford, 1973) « un primo censimento degli autografi dei letterati italiani più rappresentativi della nostra tradizione dalle Origini al Cinquecento » accompagnato da « un corpus di riproduzioni utili a testimoniare la scrittura di ciascun letterato, le sue caratteristiche peculiari e, laddove possibile, le sue linee di evoluzione » (p. VII).

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TERESA DE ROBERTIS

Credo che ciò sia in parte dipeso dal fatto che, come in molte altre occasioni 3, si è tacitamente e concordemente assunto come unico possibile significato di autografo il valore che il termine ha in filologia: un testo scritto interamente o in parte dal suo autore o, per esteso, ogni testimonianza della mano di un autore, anche quando agisca come semplice copista di testi altrui (ciò che, in via di principio, non farebbe distinguere queste particolari testimonianze da ogni altro normale manoscritto) 4. Sono evidenti i rischi, dal punto di vista della paleografia, di una tale ristretta pur se legittima accezione: in primo luogo il campo d’indagine patisce una severissima riduzione, specie per le epoche più alte, cui si è tentati di rimediare innalzando al rango di autografi ‘d’autore’ testimonianze che sono la prima forma scritta di un testo o la più antica pervenuta; in secondo luogo, dato che il grado di esemplarità degli autografi ‘d’autore’ è determinato da ragioni che sono prima filologiche che paleografiche (e non è detto, salvo qualche luminosa eccezione, che ciò che è fondamentale per la filologia lo sia anche per storia della scrittura), l’analisi grafica, prevalentemente sincronica, si concentra sugli indizi e le spie del comportamento individuale, tentando cronologie spesso fondate sull’assunto indimostrato del progresso lineare di una mano (in cui non sono contemplati ripensamenti, abbandoni o riprese) e privilegiando aspetti che sono in relazione con la produzione di un testo o dell’insieme dei testi che formano la costellazione di un autore. Con Irene Ceccherini si è pensato che la sessione paleografica di questo seminario potesse essere l’occasione per una correzione di rotta almeno parziale, rispolverando – alla luce di nuove acquisizioni o di questioni vecchie, rimaste aperte – qualche arnese della nobile pratica dell’expertise, che rimane (purché non si esprima in termini divinatorî) un compito inderogabile della paleografia, non solo per l’ausilio che può fornire alle discipline del testo, ma anche perché riconoscere e distinguere – e argomentare riconoscimenti e distinzioni – sono gli esercizi di base del mestiere e la necessaria premessa per ogni tipo di indagine sulla scrittura.

3

Cito soltanto gli atti di due convegni: Gli autografi medievali. Problemi paleografici e filologici (Erice, 25 settembre – 2 ottobre 1990), a cura di P. Chiesa e L. Pinelli, Firenze 1994, e ‘Di mano propria’. Gli autografi dei letterati italiani (Forlì, 24-27 novembre 2008), a cura di G. Baldassarri e altri, Roma 2010. 4 Per un ampia rassegna del concetto di autografo prima della stampa si veda l’intervento di E. OVERGAAUW, Comment reconnaitre un autographe du Moyen Age?, in Les autographes du Moyen Age cit. (in c.d.s.)

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TERESA DE ROBERTIS

I casi finora individuati si distendono, con alcune significative polarizzazioni, lungo l’arco di poco meno di due secoli, dal secondo quarto del Trecento alla fine del Quattrocento. Altro fatto interessante e non sorprendente, la maggior parte di questi particolari autografi è dovuta alla mano di notai che affiancano a quella professionale una non occasionale attività di copia di testi letterari, per sé o per altri 7. Come ho già avuto modo di sottolineare, quello indicato è un periodo di estremo interesse per la storia della scrittura, segnato ai due estremi da eventi che incidono profondamente sulla cultura grafica italiana, ben oltre i termini indicati. Da una parte, nel secondo quarto del sec. XIV, si può dire compiuto il passaggio nel codice di scritture che sono corsive per natura o stile, in questo senso ‘bastarde’: prima (con un processo iniziato alla fine del secolo XIII) scritture notarili o di cancelleria variamente adattate al nuovo contenitore, e successivamente (dal secondo-terzo decennio del Trecento) anche mercantili; e mentre il primo è fenomeno che si registra, più o meno con la stessa cadenza cronologica, anche nel resto d’Europa, il secondo è solo italiano, anzi circoscritto alla Toscana e al Veneto. All’altro estremo, a partire dagli ultimi anni del secolo, come parte di un più ampio progetto di riforma del libro (ma, è bene ricordare, solo negli ambienti di cultura umanistica), abbiamo il recupero di una scrittura del passato, la littera antiqua del sec. XII, cui si sovrapporrà, più avanti nel secolo, quello della capitale lapidaria classica. In conseguenza di ciò il panorama grafico, inteso come concreto repertorio di scritture librarie a disposizione degli scriventi, in Italia risulta ricco come non mai. Nel corso del Trecento (ma anche nel secolo successivo, in ambienti di cultura grafica tradizionale), si potranno utilizzare nel codice: la littera textualis in tutte le sue varie declinazioni (dalle forme più calligrafiche e geometriche fino a quelle più semplificate o addirittura disgregate); scritture di matrice notarile, in forme francamente corsive e con minimi adattamenti al nuovo contesto oppure in esecuzioni di alta formalità e scritte ‘al tratto’, come il textus); infine scritture di matrice mercantesca (che normalmente conservano un maggiore tasso di corsività). Dall’inizio del Quattrocento, passata la fase dei primi esperimenti, sarà a disposizione degli scriventi più alla moda la nuova formal hand di imitazione, la littera antiqua, ben presto affiancata da corsive ‘all’antica’ (scritture, a ben guardare, di pura invenzione, senza alcun concreto modello o antece-

7 T. DE ROBERTIS, Scritture di libri, scritture di notai, « Medioevo e Rinascimento », 24/n.s. 21 (2010), pp. 1-27.

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dente storico, che, tranne che per l’innesto di qualche variante ‘antica’, rimangono profondamente ‘gotiche’ nella sostanza profonda della corsività, cioè nella dinamica delle legature). Senza escludere che qualcosa di analogo possa emergere per altre epoche 8 o in altre zone dell’Europa graficamente latina 9, è però indubitabile che il fenomeno della digrafia o addirittura, come si vedrà dall’intervento di Irene Ceccherini, della poligrafia è uno dei modi in cui si esprime la singolare ricchezza di questa stagione e di questo panorama grafico; ricchezza che a sua volta va messa in relazione con l’ampliarsi e differenziarsi delle occasioni di scrittura, e che è causa e conseguenza di un diffuso alfabetismo. Per semplificare, mi sembra di poter dire che i comportamenti adottati dai copisti individuano sostanzialmente tre situazioni, che possiamo definire come di digrafia orizzontale o sincronica, di digrafia verticale o diacronica, di digrafia insieme orizzontale e verticale (o di poligrafia). Un copista opera in regime di digrafia orizzontale quando utilizza scritture diverse dello stesso sistema grafico o ammesse in sincronia. È la situazione più attestata e al tempo stesso quella più promettente futuri riconoscimenti, visto che l’opposizione (nella funzione e nel funzionamento) tra scrittura documentaria (corsiva) e scrittura libraria, (‘al tratto’) è un dato costante della tradizione latina, pur se con periodi di maggiore o minore distanza tra i due piani. Entro il sistema delle litterae modernae o, se si preferisce, della scrittura gotica, un copista che ne abbia la competenza può scegliere, in relazione ai testi o alla committenza, la littera textualis in esecuzioni più o meno formali oppure una scrittura di matrice corsiva, anch’essa più o meno stilizzata. È questa l’esperienza, nella prima metà del Trecento, di Francesco di ser Nardo da Barberino e di Andrea Lancia (che vedremo poi in dettaglio) e, nella seconda metà del secolo, di Coluccio Salutati 10. La stessa opzione in sincronia si presenta

8

Tale possibilità è garantita, si può dire, fin dagli esordi della scrittura latina a inchiostro, ove si consideri l’esempio di PSI XI 1183 (a. 45-54 d. C., dichiarazione di cittadinanza a fini fiscali), la cui scriptio exterior (ovvero la sezione aperta del documento) è scritta per esigenze di solennità e di comunicazione in capitale, mentre nella scriptio interior (cioè nella parte chiusa del documento, riservata ad una lettura specializzata) lo stesso scriba usa una scrittura corsiva. 9 C. TRISTANO, Scrittura beneventana e scrittura carolina in manoscritti dell’Italia meridionale, « Scrittura e Civiltà », 3 (1978), pp. 89-150. 10 Si veda la rassegna degli autografi librari (compresi gli inserti minori in codici di altra mano, ma escluse le numerose annotazioni) nel mio Salutati tra scrittura gotica e littera an-

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nel corso del Quattrocento sul versante dell’antiqua, a partire dall’esempio notissimo e precoce di Niccoli, che sapeva scrivere sia un textus 11 sia una corsiva 12 modificati ‘all’antica’. Nella seconda metà del secolo, i copisti in grado di utilizzare i due registri grafici saranno moltissimi; mi basta ricordare, perché ne parlerà Laura Regnicoli, Antonio Sinibaldi. Siamo di fronte a una situazione di digrafia verticale o diacronica quando un copista usa scritture che sono diverse in quanto riconducibili a sistemi grafici successivi nel tempo. È quanto si è verificato nel momento iniziale della cosiddetta riforma umanistica per copisti che, per ragioni d’età, sono attivi a cavallo tra due epoche, avendo imparato a scrivere ed esercitato quando l’unico orizzonte possibile era quello delle litterae modernae, partecipando poi alla reinvenzione della littera antiqua. È questa l’esperienza di Niccoli, di un copista anonimo che lavora nell’orbita di

tiqua, in Coluccio Salutati e l’invenzione dell’Umanesimo, Atti del Convegno internazionale (Firenze 29-31 ottobre 2008), a cura di C. Bianca, Roma 2010, pp. 369-399; per la descrizione dei mss. ivi citati si veda il catalogo della mostra Coluccio Salutati e l’invenzione dell’Umanesimo, a cura di T.D.R., G. Tanturli, S. Zamponi, (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 2 novembre 2008-30 gennaio 2009), Firenze 2008. Aggiungo, rispetto a quanto lì indicato, una nuova voce, ovvero un breve intervento autografo al f. 1r-v del ms. Laur Edili 186, Floro, a integrazione di un passo mancante: la scrittura (di matrice notarile, come nel Magl. XXIX 199) si conforma a quella del copista. 11 Nell’elenco fornito da DE LA MARE, The Handwriting cit., pp. 57-58, le testimonianze in antiqua di Niccoli consistono in maggioranza in restauri di parti mancanti di codici più antichi. Grazie a quei primi riconoscimenti si sono aggiunti in seguito due mss. interamente autografi: il Laur. S. Marco 649, Agostino, De musica, 1400 c. (EAD., Humanistic script: the first ten years, in Das Verhältnis der Humanisten zum Buch, a cura di F. Krafft e D. Wuttke, Boppard 1977, pp. 95-96) e il Laur. S. Marco 612, Origene, Peri archon, 1400 c. (T. DE ROBERTIS, Un libro di Niccoli e tre di Poggio, in Studi in onore di Arnaldo d’Addario, a cura di L. Borgia e altri, Lecce 1995, vol. II, pp. 494-503). Qualche precisazione e nuova segnalazione si trova nel mio I primi anni della scrittura umanistica. Materiali per un aggiornamento, in Palaeography, Humanism & Manuscript Illumination in Renaissance Italy: A conference in Memory of A. C. de la Mare, (London, 17-19 November 2011) a cura di R. Black, J. Kraye e L. Nuvoloni, London (in c. d. s.) 12 I mss. nella tipica e riconoscibile corsiva niccoliana indicati da L. B. ULLMAN, The Origin and Development of Humanistic Script, Roma 1960, pp. 61-68 e poi da DE LA MARE, The Handwriting cit., pp. 56-57, risalenti tutti al terzo e quarto decennio del secolo, sono preceduti da due interessanti esperimenti: il Ricc. 136, ff. 1r-160r, Plutarco, Vitae, trad. di Leonardo Bruni, 1415-20 c. (T. DE ROBERTIS, Nuovi autografi di Niccolò Niccoli, con una proposta di revisione dei tempi e dei modi del suo contributo alla riforma grafica umanistica, « Scrittura e Civiltà », 14 [1990], pp. 105-110) e (nonostante il titolo voluto da Butrica) il coevo Naz. II.IX.125, ff. 25-34, Somnium Scipionis e Ep. Alexandri Magni et Didimi (J. L. BUTRICA, A New Fragment in Niccoli’s Formal Hand, « Scriptorium », 35 [1981], pp. 290-292).

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Salutati (per convenzione il Copista del 1397) e in misura minore dello stesso Salutati o di Luigi di ser Michele Guidi. Di Salutati ci è rimasto un solo breve e tardo esperimento di littera antiqua nella carta finale del Laur. S. Marco 284, mentre abbiamo almeno tre codici in littera textualis in gradazioni varie (l’Add. 11987, Seneca, unico firmato; il S. Marco 165, Boezio, In Topica Ciceronis; il Laur. 23 sin. 3, ff. 45v-112v) 13. Il Copista del 1397 era noto fino a non molto tempo fa solo per il codice eponimo (Vat. Palat. lat. 903, Valerio Massimo, datato Firenze 1397) 14, in una sperimentale ma inequivocabile littera antiqua. A questa stessa mano sono da attribuire altri cinque manoscritti (Naz. Conv. Soppr. J.I.25, Peckham, Perspectiva; Holkham Hall 371, Eusebio-Girolamo; Laur. 19 sin. 1, ff.171-224, integrazione a un Giuseppe Flavio del sec. XI; Laur. 48.21, Cicerone, Orationes e Laur 76.2, ff. 1-12, Cicerone, De finibus) 15: nella littera textualis dei primi tre riconosciamo la scritturamadre, il punto di partenza di un evoluzione che è in atto negli altri due codici e di cui il Vaticano rappresenta il punto d’approdo. Nel caso di Niccoli e del molto meno noto Luigi di ser Michele Guidi si ha la rara fortuna di osservare il passaggio dall’uno all’altro sistema entro il perimetro di un solo codice: nel Ricc. 264 (Lattanzio) per Niccoli 16, nel Ricc. 549 (Boezio) per Luigi di Michele Guidi 17. Se in situazione di digrafia orizzontale c’è sempre possibilità di scambio tra le scritture che rappresentano i due poli dell’esperienza grafica, nella prospettiva diacronica il passaggio dall’una all’altra può anche essere irreversibile. Ciò è vero soprattutto nella prima fase della littera antiqua e specie fra i protagonisti attivi di quella stagione, impegnati in

13 Il primo (1370 ca.) e il secondo (1375 ca.) caratterizzati dall’uso del tutto peculiare a questa altezza cronologica della legatura & per la congiunzione. Oltre che in questi mss. la littera textualis di Salutati è attestata in innumerevoli annotazioni più o meno estese o in brevi aggiunte nei codici della sua biblioteca, per i quali rinvio al Quadro riassuntivo in appendice (pp. 352-361) al catalogo Coluccio Salutati e l’invenzione dell’Umanesimo cit. 14 Segnalato per la prima volta da G. BILLANOVICH, Alle origini della scrittura umanistica: Padova 1261 e Firenze 1397, in Miscellanea Augusto Campana, Padova 1981, vol. I, pp. 125-140. 15 Con l’eccezione del Naz. Conv. Soppr. J.I.25, già nel catalogo Salutati cit., pp. 290291, tutti gli altri sono nuove attribuzioni, per le quali si rinvia a DE ROBERTIS, I primi anni della scrittura umanistica cit. 16 Per i dettagli sulla mutazione EAD., Nuovi autografi cit., pp. 111-117. 17 EAD., I percorsi dell’imitazione. Esperimenti di littera antiqua in codici fiorentini del primo Quattrocento, in I luoghi dello scrivere da Francesco Petrarca agli albori dell’età moderna, a cura di C. Tristano e altri, Spoleto 2006, pp. 109-134: pp. 119-128.

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una vera e propria opera di propaganda e di proselitismo grafico 18. Ma, come si sa, il successo della littera antiqua non ha decretato l’abbandono delle scritture tradizionali, né della littera textualis nelle sue varie declinazioni stilistiche, né delle corsive di matrice notarile o mercantesca; le scritture ‘gotiche’ continuano ad essere usate in ambienti di cultura non umanistica (ma anche all’interno degli stessi circoli umanistici) per la trascrizione di precise categorie testuali: per testi di filosofi e teologi medievali, per i testi giuridici, medici e scientifici in genere, per i libri liturgici e per una parte considerevole della letteratura volgare. Così un buon copista può avere in repertorio e alternare la littera textualis e l’antiqua 19.

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Ma, come sempre, esistono le eccezioni. Rinvio per questo all’intervento su Sozomeno da Pistoia di Irene Ceccherini. 19 Il copista Agostino ‘de Adelmariis’ da Treviso usa l’antiqua nei mss. Harley 2755 (Virgilio; www.bl.uk/catalogues/illuminatedmanuscripts, alla segnatura), Vat. Palat. lat. 1637 (ancora Virgilio; Les manuscrits classiques latins de la Bibliothèque Vaticane, a cura di E. Pellegrin et al., II, 2, Paris 1982, pp. 289-290) e Vat. Barb. lat. 606 (Lattanzio, datato 1456; I codici latini datati della Biblioteca Apostolica Vaticana, I, a cura di A. Marucchi, Città del Vaticano 1997, pp. 25-26 tav. LXIX), mentre sceglie una formalissima littera textualis, nella migliore tradizione bolognese, per una sontuosa edizione delle Clementine con glossa inquadrante di Giovanni d’Andrea (Parma, Palat. 95, datato 1463; cfr. S. SCIPIONI, ‘Nero su bianco. Gli spazi del testo nel manoscritto medievale’, « Bollettino del Museo Bodoniano di Parma », 12 [2006], pp. 49-51). La stessa digrafia funzionale è testimoniata da Girolamo Zenoni, canonico della cattedrale di Pistoia dal 1446 al 1501: in textualis di alta formalità sono i mss. Cortona, Bib. Com. 77 (Constitutiones Clementinae col commento di Giovanni d’Andrea; I manoscritti datati della provincia di Arezzo, a cura di M.C. Parigi e P. Stoppacci, Firenze 2007, pp. 46-47, tav. 20) e Pistoia, Arch. Capit, C.139 (Lectionarium festivum datato 1476; I manoscritti medievali della provincia di Pistoia, a cura di G. Murano e altri, Firenze 1998, p. 55 tav. LXXXVIII); in antiqua sono ad es. il Vat. Ross. 250 (Cipriano, del 1451; E. CALDELLI, Copisti a Roma nel Quattrocento, Roma 2006, p. 208) e il ms. Pistoia, Arch. Capit. C.54 (Agostino, del 1489; I manoscritti medievali della provincia di Pistoia cit., p. 24 tav. I). Nella seconda metà del secolo, vivono una situazione di potenziale o effettiva digrafia verticale (e funzionale) molti stranieri attivi in Italia come copisti di littera antiqua. Solo per fare qualche nome: lo spagnolo Gabriele Altadell e il tedesco Gioacchino de Gigantibus da Rottenburg che lavorano a Napoli per gli Aragona, il francese Jean d’Epinal ossia ‘Iohannes Antonii de Spinalo de Francia’ che lavora a Cesena per i Malatesta, l’olandese Pietro da Utrecht che lavora per i Montefeltro, Giovanni de Nydenna da Coblenza attivo in ambito veneto. Per tutti loro, venuti a cercare fortuna in Italia, la scrittura ‘materna’ è una delle tante stilizzazioni nazionali della littera textualis, non sostituita, ma solo affiancata (per ragioni di mercato e in relazione ai testi) dall’antiqua. Cfr. CALDELLI, Copisti a Roma cit., T. DE ROBERTIS, Aspetti dell’esperienza grafica del Quattrocento italiano attraverso i Manoscritti datati d’Italia, « Aevum », 82 (2008), pp. 521-522; N. GIOVÈ MARCHIOLI, Scriptores stranieri in Italia nel Quattrocento. Note di lettura e qualche riflessione e P. RADICIOTTI, L’apprendimento grafico dei copisti stranieri nell’Italia di età umanistica, entrambi in Alethes philia. Studi in onore di

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Ma si dirà, con ragione, che a questo punto, in pieno Quattrocento, non si è più in una prospettiva propriamente diacronica. E questo già allude alla terza e ultima situazione, che si è detta di poligrafia o, se piace di più, di multigrafia, che si realizza quando un copista dimostra di saper giocare a più livelli, utilizzando scritture al tratto e di matrice corsiva, della tradizione moderna e ‘all’antica’, non importa se con un evoluzione dall’uno altro sistema o avendo invece in repertorio scritture di sistemi diversi. Per rimanere a nomi già citati, ricordo come Salutati, accanto alla littera textualis (nell’Add. 11987) e all’antiqua (nel Laur. S. Marco 284), usi anche la cancelleresca (nel Magl. XXIX 199), ovvera la scrittura che, in una visione un po’ meccanicistica, sembrerebbe per lui più naturale, più in linea col suo profilo professionale 20; Niccoli alla fine del ’300 usa una bastarda di modulo piccolissimo (Ricc. 264) che dagli inizi del ’400 abbandona definitivamente per la littera antiqua, mentre dal terzo decennio del Quattrocento, in codici cartacei concepiti come copie intermedie in vista di edizioni definitive in pergamena, Niccoli preferisce usare la sua famosa corsiva ‘all’antica’ « with a sprinkling of gothic », secondo la felice definizione di Ulllman, scrittura che risulta alternativa ad una corsiva di matrice mercantesca, usata però al di fuori del libro 21. Alla fine del secolo, l’articolato repertorio di un buon calligrafo italiano è descritto da Giovanni Antonio Tagliente nella supplica rivolta al Doge e ai Dieci per un posto di lavoro 22, e quasi negli stes-

Giancarlo Prato, a cura di M. D’Agostino e P. Degni, Spoleto 2010, rispettivamente pp. 435-460 e 549-557. 20 A questo proposito si veda DE ROBERTIS, Scritture di libri, scritture di notai cit., in particolare pp. 11-4. Torno ad insistere sul fatto che una volta dimostrata l’inconsitenza del nesso di necessità scrittura-status sociale o professionale del copista, è la relazione scrittura-testo a crescere di valore e a dover essere valutata. 21 Il riferimento è alla lettera inviata a Michelozzo riprodotta da DE LA MARE, The Handwriting cit., tav. XIIIa. 22 La lettera (del 1491) è riprodotta da J. WARDROP, The Script of Humanism, Oxford 1963, tav. 50. « Illustrissimo et excellentissimo Principi suoque pio et glorioso Consilio, humiliter et devote exponitur pro parte sui fidelissimi servitoris et subditi Iohannis Antonii de Taientis, civi originarii. Cum sit che a persuasion de multi virtuosi zentilhomeni et cittadini el se sia reducto in questa inclita cità per propallare et insegnare el vero secreto et amaistramento de scrivere ogni varietà de litere che per homo di mondo scrivere si possi, come pallam per tuta Italia et etiam in questa terra per experientia à dimostrato, cum brevità e spexa poca, e deliberando vivere e morire nela patria sua e soto l’ombra dela Sublimità vostra e dimostarre tale secreto ali servitori e secretarii dela vostra Signoria et ad ogni altra persona che di tale virtù overo scientia se delectarà, riverentemente supplica di gratia che ala vostra illustrissima Signoria piaza provederli di qualche conveniente sallario, sì che mediante quello el

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si termini viene codificato nei trattati dei maestri di scrittura del Cinquecento. Il caso di Francesco di ser Nardo da Barberino e di Andrea Lancia rientra, come si è anticipato, tra quelli di digrafia orizzontale. La notorietà del primo è legata esclusivamente alla sua attività di copista, in specie dantesco 23; il secondo invece, della generazione tra Dante e Boccaccio, emerge sempre più come un intellettuale di prima grandezza 24 e, nel suo rapporto coi libri e con la scrittura, come un precursore di esperienze che siamo abituati ad attribuire a una stagione più avanzata. Di Francesco di ser Nardo abbiamo, interi o frammentari, cinque codici in scrittura cancelleresca (Trivulz. 1080, Dante, Commedia, firmata e datata 1337; Laur. 90 sup. 125, ff. 7r-80v, ancora la Commedia ma incompleta, sottoscritta e datata 1347, a cui è unito, ff. 83-101, uno spezzone della Consolazione di Boezio, nel volgarizzamento di Alberto della Piagentina; Ricc. 1523, ancora la Consolazione nella stessa versione, firmato ma non datato; e infine il frammento della Commedia dell’Arch. di Stato di Modena, Letterati b. 17b) e due codici trascritti in quella varietà di littera textualis (piccola, poco contrastata e tondeggiante) che distingue tante eleganti edizioni di testi volgari della prima metà del Trecento (Naz. Palat. 449, Aristotele, Meteorologia e Roma Vitt. Em. 1189, Vite dei santi Padri, nel volgarizzamento di Domenico Cavalca, entrambi firmati).

dicto possa vivere cum la sua famiglia soto l’umbra di vostra sublimità, offrendosi lui de insegnare et amaistrare el scrivere cancellaresco con le sue rason a tuti lo zoveni dedicati ala cancellaria de vostra excellentia, sine aliqua impensa ulterius ad ogni altra persona che vorà imparare a scrivere, solum per ducati du’ per ogni sorte de litera che ’l vorà, sì antiqua, cancellaresca, mercadantesca, moderna o vero bastrarda [sic]. Cuius celsitudini et gratie humiliter se comendat ». 23 Dell’abbondante bibliografa, mi limito a segnalare (sul versante paleografico e codicologico) il più recente lavoro complessivo di S. BERTELLI, I codici di Francesco di ser Nardo da Barberino’, « Rivista di studi danteschi », 3 (2003), pp. 408-421, da integrare con ID., Dentro l’officina di Francesco di ser Nardo da Barberino, « L’Alighieri », 28 (2006), pp. 77-90. 24 Rinvio (anche per la bibliografia relativa ai codici) al profilo che ne traccia L. Azzetta nell’Introduzione a ANDREA LANCIA, Chiose alla ‘Commedia’, Roma 2012, vol I, pp. 9-67, che amplia quello già allestito per il Censimento dei commenti danteschi, a cura di E. Malato e A. Mazzucchi, Roma 2011, vol. I, pp. 19-35 Da Azzetta (in collaborazione con I. Ceccherini) si attende anche la voce ‘Lancia’ nel volume dedicato al Trecento della già ricordata collana Autografi dei letterati italiani. Sulla scrittura e la cronologia degli autografi va segnalato l’intervento di I. CECCHERINI, La cultura grafica di Andrea Lancia, « Rivista si studi danteschi », 10 (2010), pp. 351-67.

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Grazie soprattutto agli studi di Luca Azzetta, il quadro degli autografi di Lancia si è grandemente ampliato arrivando a comprendere una ventina di documenti redatti (ma alcuni solo sottoscritti) tra il 1314 e il 1351 e otto codici: quattro copie della Commedia, due delle quali accompagnate da un denso corredo esegetico (Naz. II.I.39, ff. 96r-192v, con chiose dello stesso Lancia ai ff. 4r-192v; Pierpont Morgan Lib. M.676 col commento marginale dell’Ottimo in terza redazione), due col solo testo dantesco (Naz. Conv. soppr. H.8.1012, ff. I e I’, frammento; Ricc. 1033, ff. 2-89); e quattro codici contenenti suoi volgarizzamenti di Seneca (Siena, Intronati C.III.25, Epistulae ad Lucilium), Agostino e Guglielmo Peraldo (Naz. Palat. 11, Enarr. in Psalmos e Summa de vitiis) e di testi di carattere normativo (Arch. di Stato di Firenze Statuti 19, Statuto del Podestà, e Statuti 33 Ordinamenti e Provvisioni, degli anni 1355-1357). Anche il copista Lancia, come Francesco di ser Nardo, si muove su due piani, usando sia la scrittura teoricamente ‘naturale’, quella della sua professione (nei Ricc. 1033, Naz. Conv. soppr. H.8.1012, Naz. II.I.39 nella parte del testo, nel codice di Siena e in Statuti 19 e 33), sia una versione sempificata della littera textualis (ordinata, anche se mai di eccelsa qualità, nel Palat. 11 o nella sezione del testo nel ms. di New York; più libera, talora disgregata e di modulo minore nelle chiose del Naz. II.I.39 e del codice americano) 25. La doppia veste grafica di questi autografi renderebbe obbligatoria qualche riflessione quanto meno sul nesso testo-scrittura (meglio sarebbe dire, sulle ragioni dei copisti e sulle ragioni dei testi) e sulla tecnica e i limiti dell’attribuzione. Non mi soffermo sul primo aspetto, certo più interessante anche per chi non è paleografo, dispensata dal fatto che la stagione alla quale appartengono sia il Lancia sia Franceso di ser Nardo gode da qualche tempo, e proprio riguardo al problema mise en texte / mise en page / mise en écriture, dell’attenzione combinata di paleografi, codicologi e filolologi. Mi riferisco alle origini della nostra letteratura volgare, fino a Petrarca e Boccaccio, cui sono dedicati censimenti 26, indagini multidisciplinari su singoli monumenti dalla struttura testuale e materiale

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Ai codici indicati durante il seminario, si aggiunge ora il Parigino ital. 591 in cui Irene Ceccherini ha individuato la mano del Lancia, in littera textualis, fra i numerosi copisti che si alternano nel lavoro. L’articolo Andrea Lancia tra i copisti dell’Ovidio volgare. Il ms. Paris, Bibliothèque Nationale de France, italien 591, uscirà su « Italia Medioevale e Umanistica », 52 (2011). 26 Basta il rinvio ai due volumi finora usciti de I manoscritti della letteratura italiana delle Origini, a cura di S. Bertelli, I. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, II. Firenze, Bi-

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complicata in sé e quasi sempre gravata a priori da una pesante ipoteca diacronica 27, o lavori di natura codicologica e paleografica su testi (la Commedia, il Decameron) caratterizzati da complessi testimoniali straordinariamente ricchi e a forte densità cronologica, che si offrono come terreno particolarmente adatto all’individuazione di caratteri materiali e grafici ricorrenti; i quali, tanto più se combinati a dati testuali, definiscono il profilo di un’edizione 28, e contribuiscono a ricondurre entro limiti legittimi il mito, talora strumentale, dell’unicità irrepetibile del codice. Qualcosa è necessario dire, invece, riguardo al secondo problema, che in via di principio sembrerebbe riguardare il solo Lancia, di cui non abbiamo alcun codice sottoscritto 29 e non Francesco di ser Nardo che invece firma, in forma estesa o tramite la sigla FN, quasi tutti i suoi codi-

blioteca Medicea Laurenziana, Firenze 2002 e 2011, mentre è in preparazione il volume relativo alla Biblioteca Riccardiana, a cura di S. Bertelli e T. Gramigni. 27 Mi riferisco principalmente ai canzonieri V, P, L, E, Mc e R (dei quali sono state pubblicate le riproduzioni integrali accompagnate da studi filologici, codicologi e paleografici di varî nell’Edizione nazionale de I canzonieri della lirica italiana delle Origini, voll. I-VI, Firenze 2007-2009) e al ms. Vat. lat. 3195, anch’esso di recente riprodotto (Roma-Padova 2004) e accompagnato da un volume di Commentario a cura di G. Belloni, F. Brugnolo, H. W. Storey e S. Zamponi. 28 Per Dante: M. BOSCHI ROTIROTI, Codicologia trecentesca della Commedia. Entro e oltre l’antica vulgata, Roma 2004; G. POMARO, Ricerche d’archivio per il ‘copista di Parm’ e la mano principale del Cento (in margine ai “Frammenti di un discorso dantesco”), in Nuove prospettive sulla tradizione della Commedia. Una guida filologico-linguistica al poema dantesco, a cura di P. Trovato, Firenze 2007, pp. 243-279; S. BERTELLI, La Commedia ‘all’antica’, Firenze 2007 e La tradizione della Commedia dai manoscritti al testo, I. I codici trecenteschi (entro l’antica vulgata) conservati a Firenze, Firenze 2011. Per Boccaccio: M. CURSI, Il Decameron: scritture, scriventi, lettori, Roma 2007. Per Petrarca invece, mentre non mancano studi sulla scrittura e sulla struttura materiale di singoli codici (basti l’esempio del lavoro presentato al seminario dello scorso anno da C. PULSONI e M. CURSI La tradizione antica dei Rerum vulgarium fragmenta, « Medioevo e Rinascimento », 24 [2010], pp. 215-276), siamo ancora al livello di censimento e ipotesi preliminari; cfr. G. GUERRINI FERRI, “I tempi e’ luoghi e l’opere leggiadre”: La tradizione manoscritta della prevulgata e la fortuna dei Trionfi nel Quattrocento, in I luoghi dello scrivere cit. pp. 163-219. 29 Sono stati individuati per primi gli autografi ‘cancellereschi’ grazie al confronto coi documenti, dunque per via paleografica (Ricc. 1033 e Naz. II.I.39, poi, per prossimità di scrittura, Naz. Conv. soppr. H.8.1012 e Siena, Intronati C.III.25). L’autografia dei manoscritti in littera textualis (Naz. II.I.39, chiose, e Naz. Palat. 11) è invece acquisizione tutta filologica, ineccepibile alla verifica paleografica; ai due si è aggiunto di recente, per proprietà transitiva, il codice di New York PML M.676. Neppure lo Statuto del Podestà e gli Ordinamenti sono sottoscritti, ma rimangono le delibere riguardanti l’incarico al Lancia della traduzione e la cifra stanziata per la pergamena, la trascrzione e la legatura dei due volumi.

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ci, 30, in cancelleresca o in littera textualis. Ma, a parte il fatto che la presenza di una sottoscrizione non esonera da una verifica, specie davanti a scelte grafiche profondamente divergenti e ‘impreviste’, e che ogni altro indizio extragrafico, per quanto importante, deve prima o poi misurarsi con la scrittura, la questione, almeno per un paleografo, è un’altra e si pone in termini, per così dire, di deontologia professionale: di fronte ad esempi come quelli delle tavv. 1-4 può la semplice osservazione della scrittura – in assenza di sottoscrizione o di altri indizi – indurre a sospettare l’identità di mano? E poi, una volta che questo sospetto sia affiorato, che strumenti si hanno per confermare o meno quella firma o quell’ipotesi? Sono domande un po’ imbarazzanti per chi si occupa di scrittura. Alla prima mi sento di rispondere onestamente che, no, in assenza di un minimo indizio, il sospetto non è possibile. E se da una parte ci consola il fatto che, per fortuna, le cose raramente si pongono nella forma di tale inconciliabile opposizione e che gli indizi grafici ed extragrafici, se non le firme, sono più abbondanti di quanto non si pensi, dall’altra l’eventualità di comportamenti digrafici rende più incerto e complicato il giudizio di chi è chiamato a distinguere le mani. Tanto più se consideriamo che, quando una firma o ragioni extragrafiche hanno parlato in favore dell’identità di mano, un occhio appena allenato intuisce la verità anche paleografica di quella firma o di quell’ipotesi, riesce cioè a riconoscere come reale e indubitabile l’unità di mano oltre le differenze di scrittura, ad afferrare ciò che semplificando chiamiamo la personalità del copista. E così veniamo agli strumenti. Ho già ricordato come il Lezionario di Lobbes studiato da Gilissen rappresenti un caso diametralmente opposto a quelli qui proposti. In quel codice Gilissen si è trovato di fronte a grandezze, per così dire, omogenee: ovvero a venti copisti educati nel medesimo ambiente e che, l’uno accanto all’altro e all’interno di un unico codice, usano tutti la stessa scrittura, per di più con intento scopertamente emulativo, allo scopo di non far percepire le differenze di mano. A quelle grandezze omogenee Gilissen ha potuto applicare un metodo di analisi e di misurazione fondato sulle categorie di Mallon (morfologia, ductus, angolo di scrittura, modulo, peso, con l’aggiunta di un nuovo parametro, lo stile), non tutte ri-

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Non così il frammento di Modena e il Boezio ora allegato a Ga.

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sultate ugualmente funzionali 31 ai fini di una dimostrazione che mirava a porre in rilievo le differenze, separando così una mano dall’altra. Ma, se consideriamo che in una situazione di digrafia, non importa se orizzontale o verticale, sono proprio le grandezze identificabili con le categorie malloniane ad essere per definizione, si potrebbe dire per programma, disomogenee, è evidente che la dimostrazione non potrà fondarsi su di esse. Che senso può avere, ad esempio, un’analisi rivolta alla forma delle lettere, quando è prima di tutto (anche se non solo) sul paradigma morfologico che un copista costruisce la diversità di scrittura, sia che si muova all’interno del medesimo sistema grafico, sia nel passaggio dalla littera textualis alla littera antiqua? Basta osservare, come sia Francesco di ser Nardo da Barberino sia il Lancia utilizzino per le lettere a, g, d, s, f, l, h morfologie diverse secondo il genere grafico, e si comportino in modo diverso riguardo all’uso di varianti combinatorie (r tonda dopo curva) e alla disposizione spaziale del materiale grafico (in un caso la scrittura è molto più compressa dell’altra), fatto quest’ultimo non secondario per la percezione sintetica di una scrittura, per la sua immagine complessiva. E tanto meno è possibile considerare come dati utili a fini identificativi il modulo, l’angolo di scrittura e il peso: perché su di essi qualsiasi copista con un minimo di esperienza è in grado di agire consapevolmente e con grande facilità per ottenere diversi effetti, diversi risultati stilistici. Quando ci si trovi di fronte ad una situazione di sospetta digrafia, per dimostrare l’identità di mano il paleografo dovrà riuscire a identificare, in poche parole, quei caratteri peculiari, irripetibili e permanenti che distinguono un copista da tutti gli altri e ne assicurano la riconoscibilità al di là della varietà di scrittura e di stile: saranno queste le grandezze omogenee e dunque comparabili. Il problema è capire se questi caratteri peculiari, irripetibili e permanenti possano essere classificati e definiti, in tutto o in parte, in modo aprioristico, alla stregua delle categorie di Mallon, o debbano essere individuati caso per caso, in quanto connessi all’individualità del copista, alle circostanze della sua biografia, all’ambito storico e culturale in cui si trova a operare. Faccio un esempio, relativo a quest’ultimo aspetto. Fra le varie particolarità che distinguono la mano di Salutati da quella dei suoi contemporanei c’è l’uso (già all’altezza degli anni ’70 del Trecento) della legatura & e del dittongo espresso nella for-

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Non occorre ricordare, del resto, che Mallon aveva enunciato i parametri fondanti della propria analisi grafica in una prospettiva che non contemplava questioni di autografia o distinzione di mani.

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ma di e caudata (e˛): in considerazione della loro assoluta rarità, questi due usi grafici funzionano come tratti unificanti di situazioni grafiche diverse (della littera textualis dell’Add. 11987 e della cancelleresca del Magl. XXIX 199). Ma è ovvio che, quando questi due elementi diventano fatti di sistema (sono cioè condivisi da un comunità di scriventi, cosa che avviene dall’ultimo decennio del secolo), la loro semplice presenza non hanno più alcun significato per quel tipo di dimostrazione, mentre funzionano perfettamente se, al di là del contesto grafico, si caratterizzano per un’assoluta e peculiare identità morfologica (e così rientra in gioco almeno una categoria malloniana). La mia impressione è che difficilmente si potrà individuare un protocollo d’analisi valido per ogni situazione di digrafia. Tuttavia si può prevedere che la dimostrazione dell’identità di una mano, il riconoscimento del suo ‘carattere’, dovrà passare inevitabilmente per un esame che superi il livello morfologico, senza escluderlo (se non altro per quella porzione di materiale grafico che rimane comune a due livelli di scrittura), guardando ad una diversa articolazione della scrittura. Cercando tra i fatti perigrafici (sistema abbeviativo e interpuntivo) e/o ortografici (che non riguardano la scrittura in quanto tecnica, ma in quanto rappresentazione di eventi linguistici), oppure tra quegli elementi della scrittura che possiamo dire sub-liminali, che stanno a un gradino più basso del ductus. L’esperienza insegna che, per quanto sia elevato il grado di consapevolezza di un copista (cosa che non si può negare in situazione di digrafia), ci sono abitudini e tendenze che sembrano sfuggire al controllo della coscienza: perché effetto di automatismi dipendenti dall’impostazione ricevuta dal maestro, dalla postura, dalla tenuta della penna o dal profilo muscoloscheletrico del singolo scrivente; perché dovuti a cadute d’attenzione in ben individuate zone della pagina, della riga o della parola; oppure dipendenti dalla personale percezione dei rapporti fra gli elementi della scrittura nello spazio grafico. Possono rientrare tra questi comportamenti involontari e rivelatori la tendenza a interpretare e realizzare sempre allo stesso modo (ovvero con un inclinazione o con una lunghezza costante) i tratti che sono percepiti come simili, indipendentemente dalla lettera in cui sono impiegati, dal modulo, dallo strumento; il comportamento in uscita di parola, specie se a fine riga, dell’ultimo tratto delle lettere; la dislocazione del titulus rispetto al radicale alfabetico nelle parole abbreviate, o del segno diacritico rispetto a i.

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Fig. 1 - Firenze, BML, plut. 90 sup. 125, f. 80r: Francesco di ser Nardo.

Fig. 2 - Roma, BNC, Vitt. Em. 1189, f. 206v: Francesco di ser Nardo.

TAV. I

TAV. II

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Fig. 3 - Firenze, BNC, II.I.39, f. 131r: Andrea Lancia.

Fig. 4 - Firenze, BNC, Palat. 11, f. 160r: Andrea Lancia.

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