Terra d\'ombra quanto basta - Federico Bellomi Works

June 28, 2017 | Autor: Francesco Bellomi | Categoria: Art, Contemporary Art, Painting
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Descrição do Produto

FEDERICO BELLOMI TERRA D'OMBRA QUANTO BASTA Oli, tempere, guazzi, tecniche miste

a cura di Rodolfo Signorini 1

Patrocini: Regione Veneto,

Comune di Colognola ai Colli,

Accademia “G.B. Cignaroli”

In copertina: Autunno a Colognola ai Colli, 1971, olio su tavola, cm. 59,5 x 50

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FEDERICO BELLOMI TERRA D'OMBRA QUANTO BASTA Oli, tempere, guazzi, tecniche miste

a cura di Rodolfo Signorini 19 settembre - 10 ottobre 2015 Oratorio di San Nicolò - Colognola ai Colli

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“Colognola è un paese che ho sempre nel cuore”, così era solito ripetere e scrivere Federico, soprattutto durante gli ultimi anni della vita. E così il Maestro, con questa mostra,ritorna nel suo paese, come singolare testimone e interprete del suo tempo. Severo e rigoroso nell'arte come nella vita, Colognola lo ha formato nei difficili anni della giovinezza, Dante Broglio ne ha intuito le doti, ne fu guida e primo insegnante. Mons. Angelo Marangoni e il giovane curato Don Ezelino Caprini, lo introdussero alla cultura e all'arte. Federico non ne fu custode geloso e solitario, ma anzi le trasmise ai suoi studenti dell'Accademia Cignaroli e ai ragazzi di Colognola, che avevano nel cuore e nelle mani grande talento artistico, come il “fedele allievo” Francesco Menegazzi. “Di quell'età mi rimane il ricordo, di una valle tanto amata,dove l'allegria degli amici mi era compagna e soprattutto il sole, con cui ho potuto crescere e sviluppare”. L'elemento chiave di tutta l'opera di Federico è infatti la ricerca della luce, “ … cagione e frutto insieme della mia poetica”. Fu allora nel colore che la pennellata scoprì il fremito vitale. “L'Arte é un dono in sé straordinario, ma da sola non basta: l'estrinsecazione stessa del pensiero domanda una manualità e questa, a sua volta, degli strumenti e degli ingredienti che permettano l'estrinsecazione dell'idea in quanto tale, al fine di renderla percettibile all'occhio di chi opera e successivamente a quelli dello spettatore chiamato a contemplarla”. Si intuisce subito, da questo frammento di Federico, la complessità del suo lavoro, il fine delle opere, frutto di intelligenza, sensibilità e diverse esperienze, riunite nel desiderio di comunicare la bellezza e la serenità dell'arte. Nella grande produzione artistica, la sincerità e la straordinaria immediatezza espositiva si accompagnano alla meditazione sull'esistenza umana e su Federico stesso, come paradigma del viaggio dentro la storia. “I problemi che mi hanno interessato, sono sempre stati quelli umani. Ho cercato nella mia vita un neoumanesimo cristiano”. E il cammino artistico è stato incessante e continuo. “... bisogna marcire, toccare il fondo nel pozzo del dolore, dell'aridità spirituale per capire il significatop della luce. Non scavo più carbone, altri giacimenti mi attirano, nascosti in profondità nell'animo umano”. L'arte di Federico divenne quindi la dimensione umana dentro al tempo che scorre verso un fine, portando con sé un senso e pertanto plasmandosi quale storia. La mostra curata dal figlio Francesco e da Patrizia Cerpelloni e questo libro curato dal prof. Signorini intendono offrire un contributo ad una maggiore conoscenza della personalità artistica e umana di Federico Bellomi. 5

A loro, alla Regione Veneto, all'Accademia Cignaroli un sentito ringraziamento da parte della Comunità di Colognola ai Colli. Colognola ai Colli, 1 settembre 2015 Alberto Martelletto Sindaco

Giovanni Migliorini Assessore alla Cultura

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PREFAZIONE È strana la vicenda che mi ha portato a ricordare pubblicamente un artista decisamente singolare, il maestro e professore Federico Bellomi. Avevo conosciuto Federico alla Antica Locanda Mincio di Borghetto, presso Valeggio, dove avevo potuto ammirare le sue Vicende del fiume Mincio dipinte fra il 1984 e il 1985. Mi aveva inoltre suggestionato in particolare l’Incontro di Attila con il papa Leone Magno, tanto che quando, in occasione della visita a Mantova di Sua Santità Giovanni Paolo II ebbi a curare l’edizione di un libro sulle visite papali a Mantova, gli chiesi l’autorizzazione a pubblicare quell’immagine. E quella figura di Attila è così attraente, così nuova in termini di invenzione iconografica, che diverrà pure copertina dei volumi I e II del trattato di filosofia Humanisme de la liberté et philosophie de la justice di J. M. Trigeaud. Fu sùbito simpatia tra Federico e il mio modo di sentire l’arte dei classici, nella comune persuasione che l’arte debba educare alla conoscenza dell’uomo, della sua figura fisica, che è ciò che prima si vede in una persona, e poi della sua interiorità spirituale. Entrambi condividevamo l’idea di una conoscenza integrale dell’uomo e la ricerca della verità. Ci siamo incontrati nell’amore della storia. Sono venuto così via via studiando altre sue opere, compiute nella chiesa parrocchiale di Quaderni di Villafranca, dedicata a San Matteo evangelista, I l convito di Levi e i cinque affreschi sul soffitto ispirati ai Misteri del Rosario, e La gloria di San Matteo, per una superficie di 45 metri quadrati (1959-1962), e sul soffitto della farmacia Bonetto di Badia Polesine (1991), illustrazione della farmacopea e della sanità fisica attraverso la mitologia classica e i locali simboli fluviali. Pareva che la mia frequentazione di Federico dovesse terminare a quell’incontro, invece don Stefano Peretti mi offrì l’occasione di conversare con Federico a 8

Lugagnano, nella chiesa parrocchiale di Sant’Anna, in cui il maestro stava completando il grande affresco della cappella del braccio destro del transetto: l’ Arbor Redemptionis o La storia della salvezza. Fu un’esperienza indimenticabile, stupefacente, sul piano emotivo potente: il dipinto occupava l'intera parete della cappella e si sviluppava su una superficie di circa 240 metri quadrati. Contemplavo attonito pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento, e nella parte inferiore e centrale, intorno a Gesù Cristo, una folla di salvati, compresi alcuni personaggi contemporanei, circa cinquecento figure. Federico mi veniva illustrando dal vertice scendendo lungo i rami dell’Arbor mystica il senso dell’opera e intanto mi scorrevano davanti alla mente le arbores vitae che avevo ammirato durante i miei viaggi, e specialmente riandavo con la memoria a quello stupefacente, in legno dorato, che s’inerpica al di sopra dell’altare della chiesa del monastero cistercense di Stams, non lontano da Innsbruck, e al michelangiolesco trionfo di Cristo della Cappella Sistina. Percorrevo quelle pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento contemplando ad uno ad uno quei personaggi, tutti passati attraverso la spiritualità dell’artista, la bellezza dei corpi, i simboli mistici, sante e santi, e vescovi e alti prelati, pontefici e religiosi, e tutti in contemplazione estatica del Cristo gigantesco, possente motore cosmico, signore della storia, un’immagine di lottatore e trionfatore sulla morte, Alpha e Omega della storia, ragione di ogni cosa, centro dell’intera realtà universale. Lo spettacolo che si offriva ai miei occhi era esaltante. In seguito la mia riflessione si concentrò sull’artista e cercai di capire il senso del suo lavoro, frutto di una ricerca continua della verità, di un’escavazione operata da Federico dapprima in se stesso alla ricerca delle ragioni della propria arte, continuata nello studio dell’umano. E rivedevo intanto la vicenda di Federico, orfano ancora infante, studente, a 11 anni allievo di Dante Broglio, celebre maestro 9

dell’acquaforte, dell’Accademia Cignaroli di Verona, ma, dopo la scuola, bracciante, manovale, garzone di fornaio, emigrato in Francia, minatore in cave di carbone, nel pozzo Couriot, a Saint-Etienne, nel bacino minerario della Loira, nel Massiccio Centrale dall’autunno 1949 alla fine del 1952, cioè da 21 a 24 anni. Viaggiatore in Italia e per mezza Europa, studioso dell’arte altrui, dagli italiani ai francesi ai fiamminghi, bramoso d’imparare dai maestri, era stato continuamente in corsa per conseguire la coscienza della propria poetica, per affinare la propria arte, il proprio linguaggio figurativo, il proprio estro inventivo, creativo, il gesto operativo. Professore dal 1973 all’Accademia Cignaroli, membro del Comité d’honneur de la Bibliothèque de Philosophie Comparée, Federico, il lontano minatore continuava, per così dire, un altro genere di escavazione e di penetrazione nella miniera inesauribile della bellezza, che per lui si configurava nella natura. Lo rivela la configurazione dei nudi, prospetticamente studiati e resi con insistita acribìa per conseguirne la perfetta plasticità. E questa sua incessante ricerca è manifesta nella impressionante produzione pittorica, scultorea, incisoria ch’egli è venuto creando in edifici religiosi e privati. Un furor creativo che nel 2002 gli meritò da parte della Camera di Commercio Industria, Artigianato e Agricoltura di Verona la medaglia d’oro per l’intensità della sua produzione artistica e nel 2009, dal Comune di Colognola ai Colli, il premio Columna per la cultura. Tornai quindi a riflettere su l’Arbor Redemptionis di Lugagnano, così palpitante di fede religiosa, di ascesa al Trascendente. Doveva essere germinato solo in un uomo di fede un progetto tanto vertiginoso, tanto Itinerarium mentis in Deum doveva avere radici in una solida convinzione religiosa, sola, indispensabile energia per intraprendere tanta impresa, per sostenere tanta fatica, com’ebbe a scrivere JeanMarc Trigeaud:

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Mais l’œuvre essentielle de celui qui apparaissait physiquement comme une force de la nature, capable de rester des nuits entières à travailler avec ses assistants au sommet de ses échafaudages de 15 m. de haut. E quel mio pensiero trovò conferma nell’intervista rilasciata da Federico a Luigi Borghetti nella quale l’artista si rivelò cristiano persuaso: Il Verbo di Dio, assumendo la nostra natura, soffrendo e morendo in croce e poi risorgendo da morte, ci ha riscattati dalla colpa e ci ha elevati dalla condizione di condanna e di schiavitù a quella di figli, aprendo a tutti la porta della salvezza eterna. A questa meta noi tutti siamo incamminati. Viviamo nel mondo ma siamo diretti verso la realtà dell’oltre, del dopo, verso la trasfigurazione finale e la visione beatifica di Dio. Come artista non posso sottrarmi alle mie convinzioni più profonde e perciò tutto il mio sforzo, tutto il mio lavoro non può che essere l’espressione sincera di tutta questa mia visione di credente […]. Cristo Risorto è anche cibo e nutrimento per la nostra vita spirituale [...]. Cristo, Verbo di Dio, è profondamente innamorato di ogni sua creatura e offre continuamente ponti di amore per salvare tutti [...]. Scrisse Plotino filosofo greco, neoplatonico, del III secolo dopo Cristo, christianus sine Christo, nel trattatello Del bello: Coraggio, ritorna in te stesso e ossèrvati: se non vedi ancora la bellezza nella tua interiorità, fa come lo scultore di una statua che deve diventare bella. Egli scalpella il blocco di marmo, togliendone delle parti, leviga, affina il marmo finché non avrà ottenuto una statua dalle belle linee. Anche tu, allora, togli il superfluo, raddrizza ciò che è storto, lucida ciò che è 11

opaco perché sia brillante, e non cessare mai di scolpire la tua statua, finché in essa non splenda il divino splendore della virtù e alla tua vista interiore appaia la temperanza assisa sul suo sacro trono [...]. Bisogna che i tuoi occhi si rendano simili all'oggetto da vedere, e gli siano pari, perché solo così potranno fermarsi a contemplarlo. Mai un occhio vedrà il Sole senza essere divenuto simile al Sole, né un'anima contemplerà la bellezza senza essere divenuta bella. Che ciascun essere divenga simile a Dio e bello, se vuol contemplare Dio e la bellezza. Innalzandosi verso la luce, giungerà dapprima presso l'intelligenza, e qui potrà osservare che tutte le idee sono belle e si accorgerà che è lì la bellezza, proprio nelle idee. Per esse, infatti, che sono i prodotti e l'essenza stessa dell'intelligenza, esiste ogni realtà bella. Ciò che è al di là della bellezza, noi lo identifichiamo come la natura del bene, e il bello le è dinanzi. Anzi, per usare una formula d'insieme, si dirà che il primo principio è il bello, ma - per fare una distinzione tra ciò che è intellegibile - bisognerà distinguere il bello, che è il luogo delle idee, dal Bene che è al di là del bello e che ne è la sorgente e il principio. Ovvero si comincerà col fare del bello e del bene un solo e identico principio. Ma, in ogni caso, il bello è nel regno delle cose che possono essere colte con la mente. Non so se Federico conoscesse questo testo di Plotino, ma come tutti gli altri artisti che orientino il proprio genio verso la bellezza, il cristiano Federico corrispose d’istinto a quegli insegnamenti. E istintivamente corrispose anche al pensiero di Leon Battista Alberti. Il celebre umanista e speculatore delle arti scrisse che il pittore deve essere vir et bonus et doctus bonarum artium, e Federico fu un uomo buono e generoso e studioso dell’opera dei grandi maestri, da Masaccio a Michelangelo. L’Alberti scrisse ancora Amplissimum pictoris opus historia, e Federico ha seguito d’impulso 12

naturale il suggerimento albertiano, specie nell’ Arbor Redemptionis, ispirandosi per il suo capolavoro alla storia delle storie, al libro dei libri, la Bibbia. Ma Federico fu pure attento ai problemi sociali e condivise la valorizzazione della dignità femminile. Fu pure consigliere comunale dell’amministrazione veronese e con forza e determinazione sostenne le ragioni dell’accoglienza e del sostegno degli immigrati, memore della propria vita di immigrato in Francia, operaio in miniera: Or, voici bien un dernier trait caractéristique de son tempérament généreux: il y a quelques mois, il s’était exprimé publiquement d’une façon qui avait secoué l’opinion sociale et politique; invité à l’occasion d’un débat sur les lois italiennes relatives à l’immigration et sur les récentes dispositions réglementaires locales touchant les communautés arabes, roumaines et tziganes, et à la surprise embarrassée de l’auditoire, il s’était enflammé en rappelant l’élémentaire devoir chrétien de l’accueil et de l’hospitalité, et avait réclamé de l’Eglise “un document clair” sur la nécessité de protection des immigrés face à la suspicion ou à l’hypocrisie, et il aurait même lancé alors un furieux: - vous avez tous la mémoire courte! vous êtes, nous sommes tous des descendants d’immigrés! Questo è quanto ho colto nel bello del opus magnum di Lugagnano, a questo è giunta la mia riflessione sulla persona e sulla sua vita d’artista, su quell’uomo completo, spentosi a 82 anni nella sua Verona. Ma le regioni del bello sono misteriose e sterminate e perscrutabili e percorribili da tutte le menti, e altri troveranno nell’opera di Federico nuovi motivi di stupore o di edificazione spirituale, come è per tutte le opere dei veri artisti, che più si contemplano più si dilatano, più si guardano e più si vedono. 13

E specchio della sua ricerca d’artista è anche questa esposizione che il luogo natale gli dedica. Una rassegna variegata che è percorso creativo e insieme quadro di un’intera vita, trascorsa fra lavoro, affetti domestici e amicali, sguardi proiettati sulle campagne, su case solitarie, contemplazione della donna, mossa dalla bellezza sempre nota e ignota sempre del suo corpo, del privilegio della maternità. E il carnale Federico ora ascende al misticismo cristiano ora immagina il terrore del Dies irae, clangore di trombe, strida di dannati, inni di salvati dall’ «amor che move il sole e l’altre stelle». L’ultima parte della rassegna è dedicata ai luoghi natii, a Colognola ai Colli. La voce segreta della terra-madre lo invita a ricordare. E il pittore nostalgico si rivede bambino, tra fanciulle in fiore e presenze vestite di tempo. Tutto è iniziato là, quando era ancora inconsapevole dei precoci bisogni, del lavoro artigiano, della fatica del contadino e del minatore. Ma labor omnia vicit/ improbus (Virgilio, Georgiche, I 145-146) e così sono proseguiti in patria gli studi e in un’attività frenetica di artista e di docente, intensissima, senza soste, senza vuoti, e la sperata redenzione gli ha arriso alla fine e lo ha salutato con il generale plauso incondizionato per la sua arte, per aver egli ascoltato e assecondato paziente, tenace e volitivo il dèmone del suo talento, che dalle viscere della miniera lo ha fatto salire di grado in grado fin sulla parete del tempio di Lugagnano per celebrarvi il Mistero dell’universale riscatto. E a celebrazione della pittura si riportano le considerazioni di Leonardo (Trattato della Pittura, capitolo XVI - Differenza che ha la pittura con la poesia, e capitolo XVII - Che differenza è dalla pittura alla poesia): La pittura è una poesia che si vede e non si sente, e la poesia è una pittura che si sente e non si vede. Adunque queste due poesie, o vuoi dire due pitture, hanno scambiati i sensi, per i quali esse dovrebbero penetrare all’intelletto. Perché se l’una e l’altra è pittura, devono passare al senso comune per il senso 14

più nobile, cioè l’occhio, e se l’una e l’altra è poesia, esse hanno a passare per il senso meno nobile, cioè l’udito […]. La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca, e l’una e l’altra vanno imitando la natura quanto è possibile alle loro potenze, e per l’una e per l’altra si può dimostrare molti morali costumi […]. A queste note riflessioni del genio di Vinci ho pensato di aggiungere pensieri espressi da Federico Bellomi, osservazioni di suo figlio Francesco, capitoli del Trattato della Pittura (secondo il Cod. Vaticano Urbinate 1270), altre note leonardesche sul Diluvio Universale e testi poetici di diversi autori, per mettere a confronto dialettico e, quando possibile, a reciproco complemento, l’immagine e la parola ed offrire all’osservatore un duplice motivo di piacere. Rodolfo Signorini

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INTRODUZIONE Il percorso che si delinea in questa mostra è articolato in gruppi omogenei di opere suddivisi per tecnica: olî, tempere, guazzi, tecniche miste, ecc. Ognuna di queste tecniche rimanda a precisi ingredienti e a specifiche ricette. Tali ricette possono essere intese come precise indicazioni di materiali e dosaggi ma, in un senso più ampio, si possono considerare ricette anche le indicazioni sul modo di usare colori, materiali e forme nello spazio. Le immagini sono accompagnate inoltre da testi di Leonardo da Vinci, studiato molto da Federico Bellomi, e da poesie di vari autori.

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DIPINTI AD OLIO PREPARAZIONE DELLE TAVOLE GESSATE Tavola: compensato multi strato di 5-6 mm di betulla o pioppo. Colla: colla lapin (di coniglio) dose pari a due stecche su tre parti di litro d'acqua fredda; sei ore di immersione e poi sciogliere a bagnomaria. Stendere questa prima colla sulla superficie migliore della tavola con l'aggiunta di una sola manciata di gesso di Bologna. Riportare al fuoco a bagnomaria la colla, quindi aggiungere un bicchiere e mezzo d'acqua bollente e tre manciate abbondanti di gesso di Bologna. Stendere questo secondo strato con un pennello morbido curando di saturare abbondantemente la superficie. Una volta che la superficie si è asciugata rimettere al fuoco la colla e aggiungere due bicchieri di acqua bollente, quindi tante manciate di gesso di Bologna fino ad ottenere un amalgama che abbia la densità di una crema e stendere sulla superficie. Quando anche quest'ultima mano di colla si sarà asciugata sulla superficie della tavola, carteggiare mediante carta vetrata numero quattro all'inizio e numero due alla fine. Con il gesso e colla avanzati e allo stato solido (gelatinoso) mediante una spatola flessibile da stuccatore si provvederà a rasare la superficie. Annotazioni di Federico Bellomi

MEDIUM1 utilizzato da Federico Bellomi: tre parti di olio di papavero o meglio ancora di noce, una parte di trementina veneta sciolta a bagnomaria, una parte di essenza di trementina o olio essenziale di trementina, una parte di vernice mastice.

1 «Medium. Questa parola, in ambito artistico, ha il significato di: 'mezzo', 'veicolo', 'legante'», in Davide Antolini, Quattro tecniche pittoriche, 2006, Libreria editrice La Prosivendola, Verona, p.218.

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GRIGIO: IL MEDIATORE

Il grande mediatore per coloro che dipingono ad olio è il grigio, un colore che non è mai stato sufficientemente capito. Se io parlo di pittura non posso non tener conto che essa si fonda sulle tonalità, sul loro rapporto; le tonalità sono quelle che hanno ricevuto la mescolanza con il bianco ma se per avventura avessero ricevuto anche quella del nero, si otterrebbero delle tonalità ancora più sapienti, più straordinarie, piene di possibilità e di variazioni. […] L'infinita gamma dei grigi ha origine dall'elementare combinazione di bianco e di nero; nel caso della pittura ad olio un buon grigio si ottiene mescolando del bianco di titanio con del nero d'avorio. Il grigio in questione si intende coprente e cioè atto a ricevere interventi e mescolanze di vario tipo: dai rosa agli azzurri, ai violetti, ai verdi turchese e alle ocre gialle. Questo tipo di grigio chiaro può divenire un giallo di Napoli e allo stesso tempo un rosa già avviato a contenere gli interventi delle lacche di garanza e dei violetti. Altri tipi di grigio conosciuti dalla pittura di altri periodi e impropriamente attribuiti agli impressionisti, sono quelli che si ottengono con la mescolanza del bruno Van Dick, bianco di zinco, blu di cobalto e violetto oppure terra di Kassel, bianco di titanio, blu oltremare. O ancora tutti i colori della tavolozza mescolati con il bianco. La natura di questi grigi è importantissima perché dalla presenza di vari colori si può far tendere la tonalità, meglio ancora farla pesare di più verso una tonalità calda o fredda a seconda delle componenti contenute all'interno di questi grigi. Annotazioni di Federico Bellomi

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Natura morta con la testa di marmo rosa, olio su tavola, 1975, cm. 50 x 60 Ma come un'aurora che si va delineando di primo mattino sul crinale dei monti, ecco apparire in tutto il suo fulgore un'opera: Natura silente con la testa di marmo Rosa il cui linguaggio stilistico, pure emergendo da una sedimentazione di tipo classico, risulta alla fine contenutisticamente metafisico. Se l'osservazione di un'opera d'arte consente di varcare la soglia della realtà quotidiana per inoltrarci nella dimensione speculativa dello spirito umano, questo quadro è veramente una porta aperta verso l'infinito: l'affermazione non è fuori luogo e tanto meno esagerata se si pensa al mistero che quest'opera contiene in sé medesima e a quella particolare sintassi cromatica d'acquario che avvolge gli oggetti legandoli ad una condizione onirica e silenziosa. Tutta la pittura dei secoli trascorsi ha avuto, quale elemento base del linguaggio cromatico, l'abbinamento o l'opposizione del verde al rosa; sulla base di questo principio operativo, si è venuta formando una condotta tecnica così profondamente legata alla natura da sembrare talvolta l'immagine migliorata di “questa”: del resto una volta entrati nel clima di questa natura silente oltre la porta aperta sull'infinito, dobbiamo accettare le leggi di questa nuova dimensione estetica in cui le due componenti coloristiche citate: il rosa e il verde, sono compenetrate tra loro secondo il modo antico della sovrapposizione risultando, alla fine, potentemente legate ad un unico concetto di solidità e penetrabilità della materia. È necessario quindi adattare la nostra sensibilità percettiva a questo clima espressivo, a questo flusso di immagini silenti, il cui ritmo spaziale appare pietrificato per secoli oltre la barriera del sensibile, in attesa di poter nuovamente fluire verso l'osservatore.

Annotazioni di Federico Bellomi

O Nerina! e di te forse non odo questi luoghi parlar? caduta forse dal mio pensier sei tu? Dove sei gita, che qui sola di te la ricordanza trovo, dolcezza mia? Più non ti vede questa Terra natal: quella finestra, ond'eri usata favellarmi, ed onde mesto riluce delle stelle il raggio, è deserta. Ove sei, che più non odo la tua voce sonar, siccome un giorno, quando soleva ogni lontano accento del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri il passar per la terra oggi è sortito, e l'abitar questi odorati colli. Ma rapida passasti; e come un sogno fu la tua vita. Ivi danzando; in fronte la gioia ti splendea, splendea negli occhi quel confidente immaginar, quel lume

di gioventù, quando spegneali il fato, e giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna l'antico amor. Se a feste anco talvolta, se a radunanze io movo, infra me stesso dico: o Nerina, a radunanze, a feste tu non ti acconci più, tu più non movi. Se torna maggio, e ramoscelli e suoni van gli amanti recando alle fanciulle, dico: Nerina mia, per te non torna primavera giammai, non torna amore. Ogni giorno sereno, ogni fiorita piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento, dico: Nerina or più non gode; i campi, l'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno sospiro mio: passasti: e fia compagna d'ogni mio vago immaginar, di tutti i miei teneri sensi, i tristi e cari moti del cor, la rimembranza acerba. G. Leopardi, Le ricordanze, 136-173.

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Natura morta con le cuccume blu, 1973, olio su tavola, cm. 60 x 50 Avevo eseguito questo dipinto nel 1973. È un olio su tavola la cui sostanza formale e materica raggiunge la forza di un affresco: articolato nei piani, sobrio nella struttura compositiva, raggiunge il suo più alto grado qualitativo nella vigorosa macerazione dei campi tonali in cui è possibile cogliere, fino alle sue estreme conseguenze, il senso di penetrabilità della materia divenuta, per l'occasione, spazio e compattezza insieme.

Annotazioni di Federico Bellomi Se vuoi che la vinicità di un colore dia grazia all'altro che con quello confina, usa quella regola che si vede fare ai raggi del sole nella composizione dell'arco celeste, per altro nome iris, i quali colori si generano nel moto della pioggia, perché ciascuna gocciola si trasmuta nella sua discesa in ciascuno de' colori di tale arco, come sarà dimostrato al suo luogo. Ora attendi, che se tu vuoi fare un'eccellente oscurità, dàlle per paragone un'eccellente bianchezza, e così l'eccellente bianchezza farai con la massima oscurità, ed il pallido farà parere il rosso di più focosa rossezza che non parebbe per sé in paragone del paonazzo; e questa tal regola sarà più distinta al suo luogo. Resta una seconda regola, la quale non attende a fare i colori in sé di più suprema bellezza che essi naturalmente sieno, ma che la compagnia loro dia grazia l'uno all'altro, come fa il verde al rosso, e il rosso al verde, come fa il verde con l'azzurro, Ed èvvi un'altra regola generativa di disgraziata compagnia, come l'azzurro col giallo, che biancheggia, o col bianco e simili, i quali si diranno al suo luogo. L. Da Vinci, Trattato della Pittura, 186 Dell'accompagnare i colori l'uno con l'altro, in modo che l'uno dia grazia all'altro. […] Per la partita, verso ventun'ore giungeva tutto l'inclito collegio politico locale: il molto Regio Notaio, il signor Sindaco, il Dottore; ma – poiché trasognato giocatore – quei signori m'avevano in dispregio... M'era più dolce starmene in cucina tra le stoviglie a vividi colori: tu tacevi, tacevo Signorina: godevo quel silenzio e quegli odori tanto tanto per me consolatori, di basilico d'aglio di cedrina... […] G. Gozzano, La signorina Felicita ovvero la felicità, III, V. 103-114.

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Il pozzo Couriot a St. Etienne, 1975, olio su tavola, cm. 50 x 60 N e Il pozzo Couriot a St. Etienne del 1975 si avvertono segnali di una certa tensione a livello cromatico di cupa memoria. Dipinto quasi con rabbia dal ponte della strada che porta al Cantonnement du Gran Coin, in un'atmosfera di asfittici verdi, di ruggine, di gialli zolfo stesi sul Craseuse (la montagna di detriti di carbone) su cui l'erba vince faticosamente la sua battaglia. La considerazione particolare di cui gode questo dipinto è legata alla capacità evocativa di un periodo della mia vita trascorso nelle miniere del bacino della Loira, dalle quali ho potuto uscire sano e salvo, nonostante le precarie condizioni in cui dovetti lavorare, assieme a tanti altri compagni di sventura. A distanza di molti anni da quei “neri” giorni, penso che in fondo qualche cosa di quella professione deve essermi rimasta appiccicata. Non sono più un numero di matricola, destinato al settore ovest del pozzo Couriot. Non scavo più carbone. Altri giacimenti mi attirano nascosti nelle profondità dell'animo umano. St. Etienne, detta la ville noire, è ormai una lontana memoria.

Annotazioni di Federico Bellomi

Quando figuri le ombre oscure ne' i corpi ombrosi, figura sempre la causa di tale oscurità, ed il simile farai de' riflessi, perché le ombre oscure nascono da oscuri obietti ed i riflessi da obietti di piccola chiarezza, cioè da lumi diminuiti; e tal proporzione è dalla parte illuminata de' corpi alla parte rischiarata del riflesso, quale è dalla causa del lume di essi corpi alla causa di tale riflesso. L. Da Vinci, Trattato della Pittura, Parte quinta, 638, dell'ombra ne' corpi. Un tempo la mia vita era facile. La terra mi dava fiori frutti in abbondanza. Or dissodo un terreno secco e duro. La vanga urta in pietre, in sterpaglia. Scavar devo profondo, come chi cerca un tesoro. U. Saba, Lavoro.

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Avila, 1974, olio su tavola, cm. 70 x 60 «Avila terra di santi e di sassi». In piedi tra i suoi cantos ne dipingo le mura immerso tra gli aromi di una vegetazione di tipo alpestre, che il vento dissemina ovunque. Quest'opera è affidata ad una tavolozza le cui implicazioni culturali sono evidenti nel linguaggio dei gialli-arancio, nei verdeturchese, nei blu, nelle ocre rosse esaltate di garanza che insanguinano i grigi di cotto spento mediati dai Velasquez del Prado. Il sole soffoca ogni cosa anche i pensieri, in questa terra di ocre dorate, e quando finalmente il giorno se ne va correndo rapidamente dietro le lunghe ombre dei cantos, riparo con mia moglie e i miei figli accanto a una noria tirata da un mulo bendato.

Annotazioni di Federico Bellomi

Le figure dè monti, detta catena del mondo, sono generate dai corsi dè fiumi nati di piova, neve, grandine e diacci risoluti dai raggi solari della state, la quale resoluzione è generazione di acque ragunate da molti piccoli rivi concorrenti da diversi aspetti ai maggiori rivi; crescono in magnitudine, quanto essi acquistano di moto, insinché si convocano al gran mare oceano, sempre togliendo da una delle rive e rendendo all'altra, insiché ricercano la larghezza delle loro valli; e di quella non si contentano; consumano le radici de' monti laterali, i quali ruinando sopra essi fiumi chiudono le valli, e, come se si volessero vendicare, proibiscono il corso di tal fiume e lo convertono in lago, dove l'acqua con tardissimo moto pare ruimiliata, insino a tanto che la generata chiusa del ruinato monte sarà di nuovo consumata dal corso della predetta acqua. Adunque diremo che quell'acqua che di più stretto breve cammino si trova, meno consuma il luogo dove passa, e di converso più consuma dov'essa è larghissima e profonda. Seguita per questo che gli altissimi gioghi dè monti, essendo il più del tempo vestiti di neve, e le pioggie col piccolo tempo li percuotono; ed i fiumi non vi sono, insino a tanto che le poche gocciole della pioggia avanzate al sorbimento dell'arida cima cominciano a generare i minutissimi rami di tardissimo moto, i quali non hanno potenza di torbidarsi di alcuna particola di terra da loro mossa, mediante le vecchie radici delle minute erbe; per la qual cosa tali giochi de' monti hanno più eternità nelle loro superficie che nelle radici, dove i furiosi corsi delle acque ragunate al continuo, non contenenti della portata terra, essi rimuovono i colli coperti di piante insieme con i grandissimi sassi, quelli rotolando per lungo spazio infinché li ha condotti in minuta ghiaia ed all'ultimo in sottil litta. L. Da Vinci, Trattato della Pittura. Parte quinta. Delle ombrosità e chiarezze dei monti. 793. Pittura che mostra la necessaria figurazione delle alpi, monti e colli. Nada te turbe nada te espante, todo se pasa, Dios no se muda; la paciencia todo lo alcanza; quien a Dios tiene nada le falta. Solo Dios basta. s. Teresa de Jesús

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Flamenco, olio su tela, 1978, cm. 171 x 112 Esposto nel maggio del 1982 alla Gran Guardia di Verona per Arte Verona '82 e presente nel catalogo.

In questi anni amo riandare col pensiero alla Spagna, ai tempi in cui mi erano compagni il sole e il vento della sierra, quando piantavo il cavalletto nella terra arsa di Naranja, sulle colline co sparse di rosmarino. Ricordo Madrid e il Prado, la sierra de Guadarrama, Manzanares, la piazza di Valdepeñas con la fontana e la chiesa d'un tufo dorato ove, nel '74, partecipai sotto un sole ardente alla fiesta en honor de la Santissima Virgen de la cabeza, continuata poi, per lungo spazio della notte, nelle varie e pittoresche bodegas de vino. In questi luoghi ho ascoltato il canto flamenco divenuto lungo gli anni un'immagine musicale della terra e del costume spagnolo. Qui ho avuto l'idea per una tela intitolata Flamenco […]. Tutta la concezione tematica e compositiva di quest'opera é incentrata su questo pensiero che da vari anni oramai domina la mia mente: il pensiero di un lungo viaggio, di una trasmigrazione dei miei personaggi all'interno di quella regione misteriosa che ho chiamato Nuova forma. In quest'opera una cauta scomposizione dello spazio é visibile nella zona alta, nel cielo su cui convergono varie linee della complicata struttura compositiva. Più che in ogni altro lavoro é visi bile l'opposizione delle due figure geometriche: il triangolo e il cerchio, oppure la piramide e la sfe ra. E qui é presente, nella combinazione dei vari campi tonali, una complementarietà estesa e silen ziosa tesa a riscattare ogni molecola di colore ad una realtà superiore, penetrando in profondità nel significato dell'ombra e in quello della luce.

Annotazioni di Federico Bellomi Fra le cose di eguale oscurità, magnitudine, figura e distanza dall'occhio, quella si dimostrerà minore, che sarà veduta in campo di maggior splendore o bianchezza. Questo c'insegna il sole veduto dietro alle piante senza foglie, che tutte le loro ramificazioni che si trovano a riscontro del corpo solare sono tanto diminuite, che esse restano invisibili. Il simile farà un'asta interposta fra l'occhio e il corpo solare. I corpi paralleli posti per lo dritto, essendo veduti infra la nebbia, s'hanno a dimostrar più grossi da capo che da piedi. Provasi per la nona, che dice: la nebbia o l'aria grossa penetrata dai raggi solari si mostrerà tanto più bianca, quanto essa è più bassa. Le cose vedute da lontano sono sproporzionate, e questo nasce perché la parte più chiara manda all'occhio il suo simulacro con più vigoroso raggio che non fa la parte sua oscura. Ed io vidi una donna vestita di nero con panno bianco in testa, che si mostrava due tanti maggiore che la grossezza delle sue spalle, le quali erano vestite di nero.

L. da Vinci, Trattato della Pittura, Parte terza, 440, Pittura. Arbolé arbolé seco y verdé. La fanciulla dal bel viso sta cogliendo olive. Il vento, corteggiatore di torri, la prende per la cintura. Passarono quattro cavalieri sopra piccole cavalle andaluse con vesti azzurre e verdi, con lunghi mantelli scuri. «Vientene a Córdoba, ragazza». La fanciulla non li ascolta. Passarono tre piccoli toreri magri di cintola, con vesti color arancio e spade d'argento antico.

«Vientene a Siviglia,ragazza». La ragazza non li ascolta. Quando la sera si fece viola, con luce soffusa, passò un giovane che portava rose e mirti di luna. «Vientene a Granada, ragazza». E la fanciulla non lo ascolta. La fanciulla dal bel viso segue a cogliere olive, con il grigio braccio del vento intorno ai fianchi. Arbolé arbolé seco y verdé. F. G. Lorca

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TEMPERE COLLA DI CASEINA LATTICA La colla di caseina lattica appartiene al gruppo delle nucleoproteine contenute generalmente nel latte da cui si ottiene, attraverso opportuni trattamenti, un precipitato di massa giallastra, poco solubile in acqua ma molto nei sali a reazione basica o negli alcali. Gli ingredienti sono: caseina lattica in polvere

20 gr.

acqua

100 gr.

ammoniaca

10 gr.

Glicerina

0,4 gr.

Preparazione: si mescola la caseina con un cucchiaio di legno aggiungendo l'ammoniaca, agitando e mescolando fino a completa soluzione; viene successivamente aggiunta la glicerina continuando a mescolare fino a quando non si otterrà una massa omogenea e densa. La quantità d'acqua che si andrà ad aggiungere sarà tale da rendere questa colla fluida simile ad un latte intero. Come nell'affresco si usa far precedere l'intervento pittorico da un'imprimitura di latte di calce, così anche per la pittura a tempera si avrà cura di non omettere l'imprimitura con colla di caseina lattica sulla superficie già disegnata. La colla di caseina lattica che era servita per l'imprimitura riceverà un'ulteriore aggiunta di acqua ottenendo una fluidità simile al latte parzialmente scremato; con questa colla, polveri colorate, terre, ossidi ma anche pietre preziose macinate a differenti granulometrie e avendo cura di proteggere, con del nastro adesivo il metallo dei pennelli (altrimenti si innesca una reazione indesiderata), si procederà alla pittura vera e propria. La colla di caseina densa è chiamata colla madre essa può essere conservata in barattoli di vetro, in frigorifero.

Annotazioni di Federico Bellomi I pigmenti utilizzati prevalentemente da Federico Bellomi sono costituiti da terre e ossidi naturali. La lunga formazione geologica attribuisce alle terre peculiari caratteristiche coloritive e di resistenza, ulteriormente esaltate dopo le varie fasi della lavorazione, la quale, per alcune di esse, comprende anche la calcinazione. L'uso di questi materiali realizzati con tecniche antiche rende le opere murali ma anche i piccoli disegni e gli studi preparatori di Federico Bellomi, unici nel contesto contemporaneo.

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L'albero dei sogni, 1995 - VI, tempera di caseina lattica su carta da scene, cm. 80 x 124 Quando io parlo di violetto non parlo mai di tonalità o di colori puri, ma sempre di tonalità così composte: violetto+bianco magari toccato con un po' di blu oltremare e quindi più nobile. Il violetto è fatto proprio con rosso + bianco = rosa, rosso + blu = violetto e bianco. Se io comincio con un violetto la prima cosa che mi viene in mente è il turchese; il verde e il turchese che va poi verso l'azzurro. Se vado verso il turchese è evidente che il turchese mi porta verso i rosa, se apro la porta verso i rosa che cosa potrò desiderare: soltanto i gialli di Napoli non i gialli acidi e il limone, ma i gialli di Napoli che sono fatti con rosa + ocre gialle + bianco. Quindi i gialli tufacei. Se poi ho bisogno di movimentare il tutto allora andrò ad usare i colori scuri, dei grigi scurissimi fatti con terra d'ombra bruciata di Cipro più un pizzico di bianco (per diminuire l'intensità) e l'aggiunta di blu oltremare che caratterizzerà questo grigio in modo egregio.

Annotazioni di Federico Bellomi

«La donna comprende i bambini meglio che l'uomo, ma l'uomo è più infantile che la donna. Nel vero uomo si cela un bambino: vuol giocare. Suvvia, o donne, scopritemi il bambino nell'uomo». F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Parte prima, Di donnicciuole vecchie e giovani.

Donna, cuna della vita, dell'uomo in te i primi per te gli ultimi sogni. R. S.

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Nudo di ragazza dormiente, 1994 - IV, tempera di caseina lattica su cartone, cm. 70 x 50 L'uso di iniziare un dipinto con un abbozzo caldo: giallo-brunastro e conseguentemente modellato e risolto sul piano della forma ha una ragione sua propria in due momenti dell'operare: il primo momento è quello dell'abbozzo inteso a facilitare chi esegue il disegno nella definizione dei piani e nella loro intensità-tonale (quando si abbozza in toni di grigio caldo; grigi di terra d'ombra naturale e bianco si ha già una visione che pare compiuta in sé). Il secondo momento è quello inerente all'intervento cromatico e tonale vero e proprio. Momento in cui le tonalità già precedentemente elaborate sulla tavolozza: grigi freddi e caldi, rosacei formati sempre da terre rosse e bianco, raramente da cadmi e quasi mai da lacche di garanza (non si usa la garanza per le mezze paste ma per le velature), azzurri di oltremare e di cobalto, violetti di garanza e violetti oltremarini, turchesi, verdi turchesi e gialletti (gialli di Napoli) e bruni appena spenti da bianco di titanio e molte altre derivazioni da queste, mostrano l'efficacia e la trasparenza insieme di cui possono rivestirsi in virtù del modellato caldo e che da sotto influenza la massa tonale opponendosi ai freddi sovrappostigli.

Annotazioni di Federico Bellomi Il dipinto “Nudo di ragazza dormiente” è realizzato giocando sul contrasto fra le tonalità calde delle terre che dominano sul corpo e nel disegno delle forme, e le tonalità fredde degli azzurri che dominano sullo sfondo creando dei violetti nelle zone d'ombra.

La vita è un'opportunità, coglila. La vita è bellezza, ammirala. La vita è beatitudine, assaporala. La vita è un sogno, fanne una realtà. La vita è sfida, affrontala. La vita è dovere, compilo. La vita è un gioco, giocalo. La vita è preziosa, conservala. La vita è una ricchezza, conservala. La vita è amore, godine. La vita è un mistero, scoprilo.

La vita è promessa, adempila. La vita è tristezza, superala. La vita è un inno cantalo. La vita è una lotta, vivila. La vita è una gioia, gustala. La vita è una croce, abbracciala. La vita è un'avventura, rischiala. La vita è pace, costruiscila. La vita è felicità, meritala. La vita è vita, difendila. Madre Teresa di Calcutta, Inno alla vita.

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San Zeno di Verona, 1984, tempera su cartone, cm. 72,5 x 53 Io non metterò mai un giallo sotto ad un blu, un blu oltremare, perché la sua natura è quella di diventare il più possibile oltremare incamminandosi verso i violetti. Se voglio avere un azzurro oltremare, cioè se voglio ottenere un giusto rapporto tra azzurri-violetti con l'ausilio della vicinanza dei turchesi, metterò sotto delle campiture di terra rossa, non rosso cadmio o rossi primari, ma solo terre perché esse sono spente e rimangono ferme nel tempo costituendo un letto atto a ricevere tutti gli interventi successivi e a mantenerli inalterati. L'azzurro di cobalto potrebbe ospitare sotto un giallo e quindi portarmi ad avere una tendenza verso i verdi, cioè verso i turchesi.

Annotazioni di Federico Bellomi

[...] La ciesa, intanto, continua a cambiarse da color oro in bel color turchin, come un fero rovente drio a fredarse, come un fumeto bianco de camin!

Ma i putei che g’à Minico Bardassa par general, con sassi e con bastoni, dopo aver svalisà mesa la piassa, trà l’assalto a la ciesa e ai so leoni;

E le casete atorno al monumento che finalmente le se pol sveiar, buta fora una vita, in movimento, un boresso, un passegio, un ciacolar...

i la raspa, i la rompe, i la rovina sensa criterio e sensa carità, ma più che i la maltrata e i la sassina, più stramba e fina, più bela i la fa...

Torna da i borghi, torna da i mestieri i marangoni, i fabri, el murador le sartorele che no g’à pensieri schersa co l’ucia e le se ponse el cor.

E la ciesa parlando al so moroso campanil, che s’imbestia in fondo al prà, par che la diga: «No èssar geloso! Lassa che i zuga... Dopo i morirà!

Salta fora da i ussi le careghe e veci e vecie se ghe senta a pian; va le donete drento a le boteghe a far la spesa de polenta e pan.

Ho visto i pari de so pari, i noni de so noni zugar sempre così. Sta pora gente m’à magnà a boconi, ma el toco grando el t’è restado a ti.

Cioca in banco l’oton de le bilanse, Una mama la ciama el so putin... Gh’è lumini che gira par le stanse, gh’è fogheti che brusa sul camin...

E’ passado paroni con paroni, s’à cambià çento volte la çità! Vecio, no brontolar! Dormi i to soni... Pensa! Mile ani...E semo ancora quà!» B. Barbarani, San Zen che ride, 61 – 100.

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PASTELLI E VARIE TECNICHE SU CARTE TINTE La preparazione della carta si compone di alcuni ingredienti facenti parte della tecnica pittorica a tempera. La colla di caseina lattica è la più idonea. L'insieme si compone quindi di caseina lattica, bianco di titanio (ossido di titanio), terra d'ombra naturale e talvolta qualche piccola quantità di turchese (verde solex). La maggiore o minore quantità di questi componenti è in rapporto a ciò che si vuole ottenere. In certi periodi storici della storia dell'arte si sono viste delle carte tinte a tonalità fredde: colla, bianco, azzurro di cobalto e anche nero vite di Germania; altre a tonalità calda come quelle relative alla produzione grafica rinascimentale tedesca e anche italiana (scuola ferrarese o umbra) consistenti in colla, bianco, terra di Siena bruciata e talvolta un poco di terra di Siena naturale. Quando si utilizza, nel successivo disegno, la sanguigna, essa deve essere stesa delicatamente perché questa superficie necessità di un intervento ripetuto a varie riprese. Va quindi considerata l'importanza di una progressiva variazione di intensità resa possibile soltanto avendo mantenuto intatta o quasi l'abrasività della superficie. Quando l'oggetto sarà stato definito compiutamente, solo allora potremmo introdurre l'apporto del pastello iniziando dalle zone azzurrate per giungere poi alle luci mediante dei rosa chiari e dei bianchi. […] Prendiamo un foglio di carta di una certa consistenza e stendiamoci su uno strato di tempera di colla animale, ma leggera e con una piccola dose di pomice finissima a base grigiastra. Questa superficie permetterebbe (se ancora fosse in uso) l'intervento della punta d'argento, ed è anche molto valida per ospitare il pastello. Le crete infatti aderiscono in modo straordinario e mutano o si caricano di colore proprio in virtù delle asperità che questa superficie presenta. Io mi esprimo molto spesso con questa tecnica ed ho un particolare interesse per le crete su carta tinta, solitamente rossastre, dal tono cupo: esse scaldano i grigi immergendovisi. Il rapporto tra il segno e il piano della carta non è mai stridente; nel groviglio di segni di un abbozzo si può scorgere tanta armonia nel rapporto tra segno e superficie; non solo: il vigore di una linea potente si estrinseca senza mai cedere alla volgarità. La mano scorre con agilità la superficie, ripetutamente palpando, cercando la forma, inseguendo le immagini fugaci della fantasia nel difficile equilibrio delle masse, aumentando a poco a poco la

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pressione man mano che la carica emotiva aumenta sino al momento in cui l'energia creativa si scarica in un potente segno finale.

Annotazioni di Federico Bellomi

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Federico Bellomi, quando lavorava con i pastelli, era rapidissimo. Alcuni suoi lavori mostrano una gestualità violenta, una immediatezza che ricorda l'arte dell'improvvisazione. Dopo aver scelto una carta idonea per dimensioni, colore della preparazione e anche macchie opportunamente realizzate nella preparazione (ad esempio rotolando sul colore ancora fresco uno straccio spiegazzato) i primi segni del disegno erano solitamente a sanguigna o a creta. Già in questo primo abbozzo si poteva vedere il gioco dei contrasti fra le tonalità rossastre e calde delle crete e il fondo spesso giocato sui verdi o sugli azzurri. I volumi erano ottenuti attraverso il tratteggio e la giustapposizione di piccoli tratti. Lo sfumino o il dito mignolo (tradizionalmente usato dai pastellisti per sfumare) avevano un ruolo meno rilevante. Spesso, per ottenere particolari effetti, l'artista fissava una parte del pastello con un fissativo di sua preparazione a base di alcol e gommalacca, intervenendo poi ulteriormente con i colpi di luce dati dai gialli squillanti, dalla biacca e dai colori chiari in genere.

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Modella, 1973, pastello su carta tinta, cm. 50 x 70

La pratica del pastello su carte tinte si dimostra pienamente congeniale alla mia sensibilità espressiva; questo mezzo rapido, a metà strada fra il disegno e la pittura, mi permette talvolta, una resa non priva di una violenta icasticità.

Annotazioni di Federico Bellomi

Le figure di qualunque corpo ti costringono a pigliar quel lume nel quale tu fingi essere esse figure: cioè, se tu fingi tali figure in campagna, elle son cinte da gran somma di lume, non vi essendo il sole scoperto; e se il sole vede dette figure, le sue ombre saranno molto oscure rispetto alle parti illuminate, e saranno ombre di termini espediti, così le primitive come le derivative; e tali ombre saranno poco compagne de' lumi, perché da un lato illumina l'azzurro dell'aria e tinge di se quella parte ch'essa vede; e questo assai si manifesta nelle cose bianche: e quella parte ch'è illuminata dal sole si dimostra partecipe del colore del sole; e questo vedrai molto speditamente, quando il sole cala all'orizzonte, infra il rossore de' nuvoli, ch'essi nuvoli si tingono del colore che li illumina; il quale rossore de' nuvoli, insieme col rossore del sole, fa rosseggiare ciò che piglia lume da loro; e la parte de' corpi che non vede esso rossore, resta del color dell'aria; e chi vede tali corpi, giudica quelli essere di due colori; e da questo tu non puoi fuggire che, mostrando la causa di tali ombre e lumi, tu non faccia le ombre e i lumi partecipanti delle predette cause, se no l'operazione tua è vana e falsa. E se la tua figura è in casa oscura, e tu la vedi di fuori, questa tal figura ha le ombre oscure sfumate, stando tu per la linea del lume; e questa tal figura ha grazia, e fa onore al suo imitatore per esser essa di gran rilievo e le ombre dolci e sfumose, e massime in quella parte dove manco vedi l'oscurità dell'abitazione, imperroché quivi sono le ombre quasi insensibili; e la cagione sarà detta al suo luogo. L. da Vinci, Trattato della Pittura, Parte seconda. 83. Quali lumi si debbono eleggere per ritrarre le figure de' corpi.

«Donna, mistero senza fine bello!» G. Gozzano, La signorina Felicita ovvero la felicità, 289.

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Daniela, 1977, pastello su cartone, cm. 52 x 72

[…] Siete per me come un giardino chiuso, dove nessuno è penetrato mai. Di profondi invisibili rosai giunge tale un divino odore effuso che atterra ogni desìo di chi l’aspira.

Me non avvolgerà tanto mistero. Dicono che nel folto de le chiome voi abbiate una ciocca rossa come una fiamma: nel folto chiusa. È vero? Io la penso, e la veggo fiammeggiare.

Non ad altro la nostra anima aspira che a una tristezza riposata, eguale. Conosco il vostro portentoso male; e il dolore ch’è in voi forse m’attira più de la vostra bocca e dei capelli

La veggo stramente fiammeggiare come un segno fatale. - O passione arsa a quel fuoco! - Tutte le corone de la terra non possono oscurare quel segno unico. Voi siete l’Eccelsa.

vostri, dei grandi medusèi capelli bruni come foglie morte ma vivi e fien come l’angui attorte de la Górgone, io temo, se ribelli, e pieni del terribile mistero.

Voi che passate, voi siete l’Eccelsa. E passate così, per vie terrene! Chi osa? Chi vi prende? Chi vi tiene? Siete come una spada senza l’elsa, pura e lucente, e non brandita mai... G. d'Annunzio, La passeggiata, 50-80, da Poema paradisiaco.

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Studio per la parete di Lugagnano: I Dannati, 1990, matita, penna a inchiostro nero e tempera di caseina lattica su carta tinta, cm. 69,5 x 50 Opera esposta nella mostra Cartoni e studi per affreschi 16 - 30 giugno 2012, sede di San Giorgetto (Verona).

In questa tecnica mista su carta tinta si può notare ancora una volta il contrasto cromatico fra le tonalità calde del corpo in primo piano e le tonalità fredde dello sfondo. Nel dinamismo del soggetto, privo di qualsiasi punto di riferimento prospettico, il senso di profondità è dato dalla sapiente graduazione dei grigi con i quali sono realizzati i corpi fluttuanti nello spazio. Infine è da rilevare l'estrema parsimonia dei colori e l'uso sapiente delle infinite variazioni tonali dello stesso colore. I movimenti dell'uomo vogliono essere imparati dopo la cognizione delle membra e del tutto in tutti i moti delle membra e giunture, e poi con breve notazione di pochi segni vedere gli atti degli uomini ne' loro accidenti, senza ch'essi si avveggano che tu li consideri, perché, se s'avredanno di tal considerazione, avranno la mente occupata a te, la quale avrà abbandonato la ferocità del loro atto, al quale prima era tutta intenta, come quando due irati contendono insieme, e che a ciascuno pare aver ragione, i quali con gran ferocità muovono le cilia e le braccia e gli altri membri, con atti appropriati alla loro intenzione e alle loro parole, il che far non potresti, se tu gli volessi far fingere tal ira, o altro accidente, come riso, pianto, dolore, ammirazione, paura e simili: sicché per questo sii vago di portar teco un libretto di carte ingessate e con lo stile d'argento nota con brevità tali movimenti, e similmente nota gli atti de' circostanti e loro compartizione. Questo t'insegnerà a comporre le istorie; e quando avrai pieno il tuo libretto, mettilo da parte, e serbalo a' tuoi propositi, e ripigliane un altro, e fanne il simile; e questa sarà cosa utilissima al modo del tuo comporre, del quale io farò un libro particolare, che seguirà dopo la cognizione delle figure e membra in particolare; e varietà delle loro giunture. L. da Vinci, Trattato della Pittura, Parte seconda, 175, Dell'imparare i movimenti dell'uomo. Così discesi del cerchio primario giù nel secondo, che men loco cinghia, e tanto più dolor, che punge a guaio. Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l'intrata giudica e manda secondo ch'avvinghia. Dico che quando l'anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa; e quel conoscitor de le peccata

vede qual loco d'infernoè da essa; cignesi con la coda tante volte quantunque gradi vuol che giù sia messa: Sempre dinanzi a lui ne stanno molte; vanno a vicenda ciascuna al giudizio; dicono e odono, e poi son giù volte. Dante, Divina Commedia, Inferno, V, 1 – 15.

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CARTONI PER ARBOR REDEMPTIONIS Dall'idea espressa nel bozzetto sono passato al progetto togliendo o aggiungendo a seconda delle necessità che via via si presentavano. Ho poi disegnato in misura più ridotta gli episodi estrapolandoli dall'insieme. [...] la prima cosa da considerare è la dimensione della parete; realizzo tutto con l'allestimento di otto grandi cartoni di metri 6 x 6, in tutto 36 metri quadrati di superficie, gli uni accanto agli altri dall'alto in basso. [...] Salgo sul ponteggio con una cartella di studi dal vero [...] con il progetto nel suo insieme e con i piccoli particolari di ciascun episodio realizzati a matita, a penna e a tecnica mista. [...] la mia mano corre con la fusaggine sulla superficie della carta da scene cercando la forma, tenendo con la mano sinistra lo studio dal vero. La linea scivola leggera sulla superficie s'aggroviglia, diviene spazio, si impossessa della forma, ne sente e provoca la volumetrica identità. Sono finalmente entrato in quello spazio ideale che avevo sentito e intravisto fin dal principio allorché preparavo gli studi. La mia mano destra tiene la fusaggine nelle posizioni che più convengono alla realizzazione del cartone: di punta per definire le linee di contorno, di fianco e leggermente graffiata sulla superficie per un rapporto ombra luce che favorisca la volumetria dell'insieme; premuta a sufficienza laddove intendo dare forza e determinazione alle scelte di una morfologia insita ma con la mia idea espressiva ed estetica. Di tanto in tanto scendo dal ponteggio metallico, lo sposto di lato e osservo l'insieme. La visione dal basso mi rivela delle condizioni un poco diverse da quelle che vedevo da vicino. Ho la sensazione che qualche cosa debba essere modificata in senso proporzionale. In questi momenti di creatività seguo gli impulsi interiori avendo però presenti nella mente le proporzioni secondo calcoli appresi nel momento della mia formazione. [...] Ultimati i cartoni provvedo a fissarli con una vernice ad alcol e gomma lacca piuttosto allungata spruzzando con un soffietto nebulizzatore tutta la superficie della carta da scene disegnata. Questa operazione rafforza un poco il disegno e costituisce allo stesso tempo una velatura simpaticamente materica che dà all'insieme maggiore unità.

Annotazioni di Federico Bellomi

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Cartone reprobi e vegliardi, databile tra il 1990 e il 1995, fusaggine su carta da scene, cm. 200 x 340, particolare

La fusaggine o carboncino veniva preparata dall'artista, ponendo dei piccoli rametti di fusaggine o di salice (ma a questi l'artista preferiva il nocciuolo) all'interno di un contenitore metallico completamente chiuso e riempito di sabbia nelle parti rimaste vuote per togliere l'aria. Posto in un forno da ceramica e portato a elevate temperature il legno diventa un carbone particolarmente tenero e adatto al disegno.

Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto là dove molto pianto mi percuote. Io venni in loco d'ogne luce muto, che mugghia come fa mar per tempesta, se da contrari venti è combattuto. La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina; voltando e percotendo li molesta. Quando giungo davanti a la ruina, quivi le strida, il compianto, il lamento; bestemmian quivi la virtù divina. Intesi ch'a così fatto tormento enno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento. Dante, Divina Commedia, Inferno, V, 25 – 39.

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GUAZZI E STUDI PER PITTURE MURALI La tecnica da me preferita è la penna guazzata. Innanzi tutto è bene scegliere un supporto adatto come un cartoncino bianco tipo schedario di 360 gr. Questo è ideale a ricevere l'intervento della matita, della grafite in polvere, del fissaggio ad alcol e gomma lacca, della successiva guazzatura e dei due ultimi interventi: la penna e la biacca. Solitamente si inizia con un disegno a matita ben curato nella sua linearità tratteggiato e successivamente interessato da una sfumatura a base di grafite mista a bianco di titanio e talvolta anche con bianco di cobalto. In questo modo figure e caseggiati sono modellati mediante uno sfumino inteso a potenziare l'aspetto plastico. A questa fase del disegno vi è necessità di un fissaggio a base d'alcol e gomma lacca in quanto la successiva guazzatura della superficie rischierebbe di asportare parti del disegno. Il disegno così compiuto ha un rapporto luce-ombra che rispecchia una volumetria di tipo dualistico, si ha cioè una condizione di graffite (sia in polvere sia solida), quella della matita, in rapporto al bianco della carta. Successivamente si interviene con una soluzione di colla di caseina lattica abbastanza liquida mista a qualche particella di polveri colorate, per esempio della terra verde di Verona con un poco di blu di cobalto e del caffè; questo intervento ha lo scopo di unificare l'insieme togliendo la luminosità del bianco, rendendo morbidi i rapporti d'ombra e conferendo all'insieme un aspetto quasi pittorico come quello che si vede talvolta nei disegni su carta tinta del Rinascimento italiano. Quest'operazione è compiuta mediante un pennello tondo grosso di vaio [pennello costituito da peli di pelliccia invernale di scoiattolo russo e siberiano, usati generalmente per la doratura] se abbiamo un disegno che non superi la misura di un foglio A4. Diversamente, se il foglio ha dimensioni maggiori, ci si dovrà organizzare ampliando il pennello, magari piatto e morbido e si dovrà operare in velocità perché questa velatura tende a rassodarsi velocemente penetrando nella carta e impedendo l'intervento del tampone con stoffa bianca necessario a questa delicatissima fase. Dopo che l'intervento a guazzo è compiuto si può intervenire nei volumi mediante bianco di titanio per quell'operazione che è solitamente definita di rialzo. L'intervento della biacca è eseguito servendoci sempre di due pennelli, il primo per applicare il bianco, il secondo per modellarlo adattandolo alla volumetria dell'insieme. Questo intervento a biacca può richiedere un tempo abbastanza lungo e può essere ripetuto secondo le esigenze estetiche che sono in rapporto alla composizione e alla sua necessità di offrire un'idea sufficiente ed efficace di ciò che si vuol delineare nel successivo cartone e più tardi nell'affresco propriamente detto. L'ultima fase è rappresentata dall'intervento a penna. Quest'intervento ha lo scopo di perfezionare il disegno, di recuperare la freschezza del tratto, di potenziare le ombre a vantaggio di una volumetria sempre più efficace che deve corrispondere il più possibile all'idea originaria. L'intervento a guazzo può anche ripetersi dopo quest'ultima fase ma a distanza di tempo in quanto l'inchiostro di china deve essere completamente asciutto e a tale proposito le tonalità precedentemente indicate potranno variare di intensità e di gradazione.

Annotazioni di Federico Bellomi

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Studio per la parete di Lugagnano: Eva, 1995 - VIII, penna fusaggine e tempera su carta, cm. 35 x 50

Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo e ogni mormorio perfido dei vecchi valga per noi la più vile moneta. Il giorno può morire e poi risorgere, ma quando muore il nostro breve giorno, una notte infinita dormiremo. Tu dammi mille baci, e quindi cento, quindi mille continui, quindi cento. E quando poi saranno mille e mille, nasconderemo il loro vero numero, che non getti il malocchio l'invidioso per un numero di baci così alto. G. V. Catullo, Carmina, V. Traduzione di S. Quasimodo.

Vieni tu dal cielo profondo o sorgi dall'abisso, Beltà? Il tuo sguardo, infernale e divino, versa, mischiandoli, beneficio e delitto:per questo ti si può comparare al vino. Riunisci nel tuo occhio il tramonto e l'aurora, diffondi profumi come una sera di tempesta; i tuoi baci sono un filtro, la tua bocca un'anfora, che rendono audace il fanciullo, l'eroe vile. Sorgi dal nero abisso o discendi dagli astri? Il Destino incantato segue le tue gonne come un cane: tu semini a casaccio la gioia e i disastri, hai imperio su tutto, non rispondi di nulla. Cammini sopra i morti, Beltà, e ti ridi di essi, fra i tuoi gioielli l'Orrore non è il meno affascinante e il Delitto, che sta fra i tuoi gingilli più cari, sul tuo ventre orgoglioso danza amorosamente. La farfalla abbagliata vola verso di te, o candela, e crepita, fiammeggia e dice: “Benediciamo questa fiaccola!” L'innamorato palpitante chinato sulla bella sembra un morente che accarezzi la propria tomba. Venga tu dal cielo o dall'inferno, che importa, o Beltà, mostro enorme, pauroso, ingenuo; se il tuo occhio, e sorriso, se il tuo piede, aprono per me la porta d'un Infinito adorato che non ho conosciuto? Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena, che importa se tu - fata dagli occhi vellutati, profumo, luce, mia unica regina - fai l'universo meno orribile e questi istanti meno gravi? C. Baudelaire, Inno alla bellezza.

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Studio per la parete destra, chiesa di Lugagnano: Il Diluvio, matita rialzata a biacca, tempera di caseina lattica con terre e penna su carta tinta, cm. 35 x 25 Opera esposta nella mostra Cartoni e studi per affreschi 16 - 30 giugno 2012, sede di San Giorgetto (Verona).

[...] O quanti romori spaventevoli si sentiva per la scura aria, percossa dal furore de' tuoni e delle fùlgore da quelli scacciate, che per quella ruinosamente scorrevano, percotendo ciò che s'appone al su' corso! O quanti aresti veduti colle proprie mani chiudersi li orecchi per ischifare l'immensi romori fatti per la tenebrosa aria dal furore dei venti misti con pioggia, tuoni celesti e furore di saette! Altri, non bastando loro il chiuder li occhi, ma con le proprie mani ponendo quelle l'una sopra dell'altra, più se li coprivano, per non vedere il crudele strazio fatto della umana spezie dell'ira di Dio. O quanti lamenti, o quanti spaventati si gittavon dalli scogli! Vedeasi le grandi ramificazioni delle gran querce, cariche d'uomini, esser portate per l'aria dal furore delli impetuosi venti. Quante eran le barche volte sottosopra, e quale intera e quale in pezze esservi sopra gente, travagliandosi per loro scampo, con atti e movimenti dolorosi, pronosticanti di spaventevole morte. L. Da Vinci, Codice Windsor, folio 12665, v.

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Studio per la parete di Lugagnano: Il Diluvio, matita rialzata a biacca, tempera di caseina lattica con terre e penna su carta tinta, cm. 25 x 35,5 Opera esposta nella mostra Cartoni e studi per affreschi 16 - 30 giugno 2012, sede di San Giorgetto (Verona).

[…] Già la fame avea, ministra della morte, avea tolto la vita a gran parte delli animali, quando li corpi morti già levificati si levavano dal fondo delle profonde acque e surgevano in alto e infra le combattente onde, sopra le quali si sbattevan l'un nell'altro, e come palle piene di vento risaltava indirieto da sito della lor percussione. Questi si facevan basa de' predetti morti. E sopra queste maladizioni si vedea l'aria coperta di oscuri nuvoli, divisi dalli serpeggianti moti delle infuriate saette del cielo, alluminando or qua or là infra la oscurità delle tenebre. L. da Vinci, Codice Windsor, folio 12665, v.

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Studio per la parete di Lugagnano, zona della Pentecoste, 1996 - VI, matita, sanguigna rialzata a biacca, tempera di caseina lattica con terre e penna su carta tinta, cm. 35 x 50 Opera esposta nella mostra Cartoni e studi per affreschi 16 - 30 giugno 2012, sede di San Giorgetto (Verona).

Gli scritti autografi sul disegno illustrano il processo di elaborazione e la approfondita riflessione sui criteri da utilizzare nel gioco strutturale delle proporzioni e della disposizione delle masse. Come nelle ricette pittoriche, il controllo dei dosaggi e degli ingredienti, ovvero delle proporzioni degli stessi, è fondamentale per l'equilibrio visivo dell'intera opera. A questo proposito sul disegno qui riprodotto si legge: «[…] devo rivedere tutta la disposizione delle figure di questa zona e conferire loro un maggior movimento e un'altrettanto solida potenza compositiva»

Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile fra mille e mille. Il suo capo è oro, oro puro, i suoi riccioli grappoli di palma, neri come il corvo. I suoi occhi, come colombe su ruscelli di acqua; i suoi denti bagnati nel latte, posti in un castone. Le sue guance, come aiuole di balsamo, aiuole di erbe profumate; le sue labbra sono gigli, che stillano fluida mirra. Le sue mani sono anelli d'oro, incastonati di gemme di Tarsis. Il suo petto è tutto d'avorio, tempestato di zaffiri. Le sue gambe, colonne di alabastro, posate su basi d'oro puro. Il suo aspetto è quello dell'abitazione Libano, magnifico come i cedri. Dolcezza è il suo palato; egli è tutto delizie! Questo è il mio diletto, questo è il mio amico, o figlie di Gerusalemme. Cantico dei Cantici, quarto poema.

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Studio per la parete di Lugagnano: zona della Resurrezione - l'angelo e le pie donne, 1996

-VII, penna guazzata su carta, cm. 35 x 50 Disegnare non significa limitarsi a tracciare dei segni più o meno armoniosi su di una superficie, ma operare con il mezzo grafico sfruttando tutte le possibilità tecniche connesse a questa pratica monocroma. […] Non è certo un buon mezzo grafico che potrà costituire da solo un valore artistico. L'artista sa come adattare il mezzo alle proprie esigenze espressive; egli ne cerca la qualità, ne conosce la natura e quindi anche le possibilità di estensione nel campo cosiddetto materico. […] La visione monocromatica, mancando di tutti quei problemi connessi al colore, facilita nel soggetto, l'accostamento e il superamento delle diverse intensità chiaro-scurali permettendogli di capire fin da questo primo momento creativo, quali saranno più tardi nel campo del colore, le variazioni di intensità tonale.

Annotazioni di Federico Bellomi

[…] Ma poco fu tra uno e altro quando, del mio attender, dico, e del vedere lo ciel venir più e più rischiarando; e Beatrice disse: «Ecco le schiere del trïunfo di Cristo e tutto 'l frutto ricolto del girar di queste spere!». Dante, Divina Commedia, Paradiso, XXIII, 16-21.

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Studio per la parete di Lugagnano: le sette trombe - la tromba che suona a sud-ovest, 1996-VII, matita biacca e tempera di caseina lattica con terre, su carta tinta, cm 35 x 50 Sul disegno vengono riportate queste annotazioni autografe: «La posizione di questa figura è in rapporto compositivo con quanto si va delineando al centro, attorno alle gambe di Cristo, segue cioè una inclinazione corrispondente alla forma ad imbuto, formatasi al centro, grazie alla posizione del Risorto e a quelle avanguardie ebraiche dell'Esodo che gli son di lato».

Giorno d'ira, quel giorno si dissolverà il mondo nelle fiamme come predissero Davide e la Sibilla. Quando sarà il timore quando il Giudice starà per venire a giudicare ogni cosa! La tromba che sparge il suono straordinario per i sepolcri delle regioni spinge tutti davanti al trono Si stupiranno la morte e la natura quando risorgerà la creatura per rispondere a colui che giudica. Sarà annunciato il libro scritto in cui tutto è contenuto, da cui il mondo sarà giudicato. Quando siederà il Giudice, ciò che è nascosto sarà rivelato: nulla rimarrà impunito. Tommaso da Celano, (attr.) Dies irae.

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Studio per l'affresco Il novecento, 2009 - I, tecnica mista su carta, cm 25 x 35

[…] la pittura è soprattutto rapporto di tonalità, rapporto di forme, rapporto di tanti fattori che vengono ad interferire con l'animo umano. Annotazioni di Federico Bellomi

Come sei bella, amica mia, come sei bella! Gli occhi tuoi sono colombe , dietro al tuo velo. Le tue chiome sono un gregge di capre, che scendono dalle pendici di Gàlaad. I tuoi denti come un gregge di pecore tosate, che risalgono dal bagno; tutte procedendo appaiate, e nessuna è senza compagna. Come un nastro di porpora le tue labbra e la tua bocca è soffusa di grazia; come spicchio di melagrana la tua gota attraverso il tuo velo. Come la torre di Davide il tuo collo, costruita a guisa di fortezza. Mille scudi vi sono appesi, tutte armature di prodi. I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella, che pascolano fra i gigli. Prima che spiri la brezza del giorno e si allunghino le ombre, me ne andrò al monte della mirra e alla collina dell'incenso. Tutta bella tu sei, amica mia, in te nessuna macchia. Vieni con me dal libano, o sposa, con me dal Libano, vieni! Osserva dalla cima dell'Amana, dalla cima del Senìr e dell'Ermon, dalle tane dei leoni, dai monti dei leopardi. Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, con una perla sola della tua collana! Quanto sono soavi le tue carezze, sorella mia, sposa, quanto più deliziose del vino le tue carezze. L'odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi. Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa, c'è miele e latte sotto la tua lingua e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano. Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata. I tuoi germogli sono un giardino di melagrane, con i frutti più squisiti, alberi di cipro con nardo, nardo e zafferano, cannella e cinnamomo con ogni specie d'alberi da incenso; mirra e aloe con tutti i migliori aromi. Fontana che irrora i giardini, pozzo d'acque vive e ruscelli sgorganti dal Libano. Cantico dei cantici, terzo poema.

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Progetto per il soffitto Bonetto - terza fase: la ricerca compositiva, 1990 VII, penna a inchiostro nero e tempera di caseina lattica su carta, cm. 69,4 x 100,5 Opera esposta nella mostra Cartoni e studi per affreschi 16 - 30 giugno 2012, sede di San Giorgetto, Verona.

Questo soffitto è stato completato nel luglio 1991. E' situato nella Farmacia Bonetto nel centro storico di Badia Polesine (RO) si basa sui temi della Medicina e della Farmacopea visti dalla mitologia classica e su simboli fluviali del luogo: Adige, Mincio, Tartaro e Brenta.

La medicina prolunga la vita, ma non l'eterna; custodisce la vita chi custodisce la salute. Ma è prima la salute, che la cura della malattia; l'arte per prima venga in aiuto, quando più siete sani. Chi vuole prolungare la vita, fino a tarda età diventi maturo di costumi, prima che vecchio; presto vecchio, se vuoi esserlo di età. Regimen sanitatis. Flos medicinae scholae, parte I, cap. II.

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COLOGNOLA AI COLLI NELLE OPERE DI FEDERICO BELLOMI

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In questa parte della mostra sono presenti opere legate al territorio di Colognola ai Colli, alcune delle quali rappresentative dei primi anni dell'attività artistica. Il fortissimo legame con questo territorio è documentato non solo da paesaggi ma anche dai ritratti di diversi personaggi del luogo: amici e familiari. Negli anni successivi alla giovinezza Federico Bellomi tornerà più volte al paese natale per dipingerne alcuni paesaggi illustrativi della tecnica e della poetica della piena maturità. Varie opere dell'artista sono ancora visibili nel territorio: dagli affreschi sotto gronda dell'ex Villa Poli in Costafredda all'affresco all'interno del bar La Decima, al Cristo in bronzo nel cortile del municipio, al busto di don Scolari accanto alla chiesa di San Zeno di Colognola. L'interesse per questo mondo e il ricordo del paese natio rimane costante fino agli ultimi giorni della sua vita ed è testimoniato dai numerosi scritti biografici e poetici, alcuni dei quali nel dialetto arcaico di Colognola ai Colli.

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Mendicanti, 1940 (?), penna a china su carta, cm. 17,5 x 24 Sul disegno viene riportata questa annotazione autografa: «Disegno eseguito in quinta elementare» Federico Bellomi, dopo pochi mesi dalla nascita fu affidato, a causa della morte improvvisa del padre, ad una balia di San Massimo dove rimase fino all'età di quattro anni. Dai quattro ai sette anni, fino a quando non entrerà nel Collegio Civico Barbarani, venne affidato ad un'altra governante. Rientra a Colognola nel 1939 dopo il secondo matrimonio della madre e frequenta la quinta elementare all'età di 11 anni.

Gelida sta la notte cristiana su le case degli uomini, ma pura. - O tu che ne la casa tua lontana fili con dita provvide la lana de la tua greggia, sin che l'olio dura ne la lucerna, e il ceppo a tratti splende,

E tutta la freschezza del tuo latte ne le mie vene! - Una natività novella, in un candor di nevi intatte. E tutta la freschezza del tuo latte ne le mie vene, e tutta la bontà dei cieli; - e lungi queste cose orrende,

Nutrice, da cui bevvi la mia vita prima, ne le cui braccia ebbi il sopore primo!, se da la tua bocca appassita riudissi io quel canto e le tue dita vedessi, ove s'attenua il bianco fiore dei velli, e il fuso pendulo che scende,

lungi sempre da l'anima rinata e del candor natale circonfusa! Una immensa bianchezza immacolata, una forma d'amore angelicata, e per tutto l'imagine diffusa d'un Bene Sommo che quivi s'attende! -

e la fronte rugosa che s'inchina incoronata di capelli bianchi, ove la semplice anima indovina si rivela talor quasi divinamente in un raggio, e i tuoi cavi occhi stanchi ove qualche favilla pur s'accende,

Ma tu, che ne la casa tua lontana torci il fuso, non sai la mia ventura. Fili con dita provvide la lana de la tua greggia; ne sai la mia vana tristezza, in quest'azzurra notte pura. Tu torci il fuso, e il ceppo a tratti splende.

io forse piangerei ancora un pianto salùbre e forse ancora dal profondo mi sorgerebbe qualche antico e santo affetto, e mi parrebbe nel tuo canto ritrovar l'innocenza di quel biondo pargolo; - e lungi queste cose orrende!

E fili, e fili sin che l'olio dura, Nutrice; e morta la mammella pende. Natale del 1892 G. d'Annunzio, Alla nutrice, da Poema paradisiaco.

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Costa Fredda, 1941, matita su carta, cm 24 x 34

Nel disegno si nota una maggiore maturità nel tratto e nell'impostazione. Sono gli anni in cui Federico Bellomi frequenta l'incisore Dante Broglio che risiedeva a Colognola ai Colli.

Acciocchè la prosperità del corpo non guasti quella dell'ingegno, il pittore ovvero disegnatore dev'essere solitario, e massime quanto è intento alle speculazioni e considerazioni, che continuamente apparendo dinanzi agli occhi danno materia alla memoria di essere bene riservate. E se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo, e se sarai accompagnato da un solo compagno, sarai mezzo tuo, e tanto meno quanto sarà maggiore la indiscrezione della sua pratica. E se sarai con più, cadrai di più in simile inconveniente; e se tu volessi dire: io farò a mio modo, io mi ritrarrò in parte per poter meglio speculare le forme delle cose naturali, dico questo potersi mal fare perché non potresti fare che spesso non prestassi orecchio alle loro ciancie. E non si può servire a due signori; tu faresti male l'ufficio del compagno e peggio l'effetto della speculazione dell'arte. E se tu dirai: io mi trarrò tanto in parte, che le loro parole non perverranno e non mi daranno impaccio, io in questo ti dico che saresti tenuto matto, ma vedi che così facendo tu saresti pur solo? L. da Vinci, Trattato della Pittura, Parte seconda, 48, Della vita del pittore nel suo studio.

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Il mio amico Eugenio Cazzola, 1947, matita su carta, cm. 25,5 x 35,5 Testimonianza di solidarietà e di incoraggiamento mi vengono pure da alcune famiglie del luogo di ceto più elevato, frequentando le quali, la pittura dei grandi maestri del passato mi diventa stimolo per un maggiore approfondimento della materia. Tra queste ricordo volentieri i Maffei, i Faccioli, i Fano, i Cazzola, i Broglio ovviamene, i Cometti e i Sagramoso in quel d'Illasi. Dai Fano [vedi tavola Il parco di villa Fano in autunno, pubblicato in questo catalogo] ricevo le prime illustrazioni di opere di pittura olandese e fiamminga dei secoli XV e XVI. Respiro invece il classicismo italiano dai contatti con il mio maestro Broglio, con uno studioso d'arte quale Mons. Alessandro Marangoni, dalle dispute con il musicista Luigi Rocca e dalla affettuosa assidua attenzione del Cazzola. Frequento questa casa perché in essa oltre al dottore medico condotto di Colognola ai Colli Igino Cazzola e alla sua signora, sinceramente amanti dell'arte, incontro i loro due figli con i quali mi lego in amicizia. Non ho ancora un programma organico per l'apprendimento del disegno, ma, già da questi contatti, qualche cosa si va delineando. Il dottor Cazzola mi regala delle dispense di anatomia e mi parla della bellezza e dell'armonia del corpo umano; riesce infine a farmi amare questa materia e mi impartisce qualche lezione di osteologia e di miologia.

Annotazioni di Federico Bellomi

Non nascondere il segreto del tuo cuore, amico mio! Dillo a me, solo a me, in confidenza. Tu che sorridi così gentilmente, dimmelo piano, il mio cuore lo ascolterà, non le mie orecchie. La notte è profonda, la casa silenziosa, i nidi degli uccelli tacciono nel sonno. Rivelami tra le lacrime esitanti, tra sorrisi tremanti, tra dolore e dolce vergogna, il segreto del tuo cuore. R. Tagore

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Paesaggio di Colognola, 1949, china su carta, cm 21 x 25

L’arte della pittura è stata il ‘vino’ della mia vita; il nettare degli Dei per un innamorato della bellezza e della poesia, fatto con uve della mia terra di origine: la dolce Colognola; la Sangrillà dei sogni miei. Qui la vita è scandita sui cicli lunari, non corre come quella di città, i tempi sono quelli dell’aratura, della semina, del mietere e anche quelli della vendemmia, un poco prima che la terra s’addormenti.

Annotazioni di Federico Bellomi

[...] «Colognola, è un paese che mi piace, che ho tenuto sempre in mente e nel mio cuor. E’ per questo che ho pensato
di cantarlo, ma
cantarlo con
amor». Questo frammento è tratto dalla poesia di Federico Bellomi: Canzone dell'anima mia.

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Studio: Testa di vecchia, 23 - II - 1951, matita copiativa su carta, cm. 21 x 26 Il disegno è eseguito con matita copiativa. La matita copiativa è la matita che veniva usata nella compilazione delle schede elettorali. La mina è composta di colori solubili impastati di polveri di talco, argilla, gomma arabica e qualche volta anche grafite. In questo impasto i coloranti più usati furono il violetto e il blu di metile, un derivato del metano, oggi non più utilizzati perché altamente tossici. Alcune vecchiette vestite con lunghe gonne nere erano intente a sferruzzare di maglia e a raccontare di lontani giorni. Gli eventi piccoli e grandi della vita di paese entravano così nella mia mente in virtù di una tradizione orale tramandata di padre in figlio, come proverbi sul tempo e sul lavoro dei campi che ancora conservavano un tocco quasi virgiliano.

Annotazioni di Federico Bellomi

La donzelletta vien dalla campagna in su calar del sole, col fascio dell'erba; e reca in mano un mazzolin di rose e viole, onde, si come suole, ornare ella si appresta dimani, al dì di festa, il petto e il crine. Siede con le vicine su la scala a filar la vecchierella, incontro là dove si perde il giorno; e novellando vien del suo buon tempo, quando ai dì festa della festa ella si ornava, ed ancor sana e snella solea danzar la sera intra di quei ch'ebbe compagni nell'età più bella. […] G. Leopardi, Il sabato del villaggio, 1-15.

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Ritratto di ragazza, 14 - 12 - 1952, china su carta, cm. 23,5 x 32

Federico Bellomi non aveva molti mezzi, spesso i suoi disegni giovanili li troviamo eseguiti su carte riciclate da vecchi quaderni, o libri come in questo disegno. Per lo stesso motivo ci sono molti quadri giovanili dipinti su entrambi i lati della tela o della tavola. A questo si associa l'abitudine di fabbricarsi in proprio molti strumenti di lavoro: dai pennelli alla fusaggine, dalle vernici alle cere e alle colle. Una prassi inizialmente determinata dalle necessità economiche ma che poi fu mantenuta per essere certo della qualità dei materiali che utilizzava.

Io sono come quella foglia, guarda, sul nudo ramo, che un prodigio ancora tiene attaccata. Negami dunque. Non ne sia rattristata la bella età che a un'ansia ti colora, e per me a slanci infantili s'attarda. Dimmi tu addio, se a me dirlo non riesce. Morire è nulla: perderti è difficile. U. Saba, Foglia.

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Il mio amico e collega Marietto detto Titone, 1954, grafite su carta da scene, cm. 32,5 x 40,5 L'affinamento dell'osservazione richiede una volontà pari all'amore per la “cosa” [intesa come soggetto del disegno cioè quel soggetto che noi intendiamo riprodurre con qualsiasi tecnica pittorica] e i due aspetti sono interconnessi tra loro. L'amore per la “cosa” suscita in noi un desiderio di possesso nei suoi confronti. Questo sentimento basta da solo a far si che l' “insieme”, cui è rivolta la nostra attenzione si carichi di significato. In questa sorta di contemplazione, l'oggetto che sta davanti a noi comincia a far parte della nostra sfera di interessi, comincia ad appartenerci, sentiamo a poco a poco che qualche cosa dentro di noi transita in una sorta di unione con l'oggetto stesso. Vi è dunque un tempo in cui l'attività del soggetto [artista che dipinge], tesa a cogliere l'essenza di ciò che si trova sulla sua strada speculativa, cede il passo all'intuizione senza accantonare quei residui di razionalità che ne hanno spianato il cammino verso la “cosa”. A questo stadio della percezione oggettuale si può finalmente parlare in termini di manipolazione soggettiva dell' “insieme”, il che equivale all'affermazione di trasferimento della personalità del soggetto all'oggetto. (1985)

Annotazioni di Federico Bellomi

Trovare, quando la vita è al suo declino, il raggio che primo la beò: un amico. E' il bene che mi fu dato. Simile a me e dissimile, ribelle e docile. Lo sguardo a me vicino respirare come un figlio fuor d'ogni speranza nato tenera madre. In breve partirà, per la sua via andrà, dubbia e difficile. Alle angosce dei miei anni in discesa lascerà egli la casta dolcezza di un bacio. Ma, se il tempo gli orrori suoi precipita, a serena letizia oggi si è volta per lui la mente mia. U. Saba, Amico.

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Case di Colognola, 1951, olio su faesite, cm. 39 x 31

Negli edifici veduti in lunga distanza da sera o da mattina nella nebbia od aria grossa, solo si mostra la chiarezza delle loro parti illuminate dal sole, che si trova inverso l'orizzonte, e le parti de' detti edifici che non sono vedute dal sole restano quasi del colore di mediocre oscurità di nebbia. L. da Vinci, Il trattato della pittura. Parte terza. 459. Delle città ed altri edifici veduti la sera o la mattina nella nebbia.

Gèmmea l’aria, il sole così chiaro che tu ricerchi gli albicocchi in fiore, e del prunalbo l’odorino amaro senti nel cuore… Ma secco è il pruno, e le stecchite piante di nere trame segnano il sereno, e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante sembra il terreno. Silenzio, intorno: solo, alle ventate, odi lontano, da giardini ed orti, di foglie un cader fragile. È l’estate, fredda, dei morti. G. Pascoli, Novembre.

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Studio di testa - mia madre, 12 ottobre 1956, sanguigna su carta da scene, cm. 24 x 37 Ogni oggetto del mondo che mi circondava: alberi, case, animali, strumenti per il lavoro dei campi, l’uomo, erano per me motivo di interesse artistico. Mediante il disegno che di queste cose andavo delineando avvertivo il piacere di una sempre maggiore conoscenza nel campo della forma. Mia madre prestava volentieri il suo volto alla mia indagine espressiva facevo, come si suol dire, i primi passi nel mondo magico del disegno e della pittura. […] Interessandomi dell'anatomia in modo sempre più attento scopro, per la prima volta, i disegni anatomici di Leonardo della biblioteca reale di Windsor, riprodotti in modo egregio negli inserti delle dispense avute in dono. Sicché, dovendo riferire in quel modo l'arte del '500 italiano abbia incominciato ad interessarmi, debbo convenire che ciò è avvenuto, grazie a questo primo contatto con l'opera grafica del grande ricercatore. Ne sono testimonianza i numerosi disegni a sanguigna e a penna, di questo primo periodo della mia attività. Fra essi spiccano subito gli studi di testa di mia madre, molti dei quali sono ora dispersi in collezioni private e pubbliche. Questo momento della mia vita nella verde Colognola, dopo le angosce del collegio, è senz'altro uno dei più belli, agli albori di una carriera per tanti aspetti entusiasmante. La fonte leonardesca dà un'acqua buona, ne é una esauriente conferma lo studio di testa di mia madre a sanguigna del 12 ottobre 1956.

Annotazioni di Federico Bellomi Non pianger più. Torna il diletto figlio a la tua casa. È stanco di mentire. Vieni; usciamo. Tempo é di rifiorire. Troppo sei bianca: il volto è quasi un giglio.

io la riceverò da le tue dita.

Vieni; usciamo. Il giardino abbandonato serba ancóra per noi qualche sentiero. Ti dirò come sia dolce mistero che vela certe cose del passato.

[...] Sogniamo, poi ch’è tempo di sognare. Sorridiamo. È la nostra primavera, questa. A casa, più tardi, verso sera, vo’ riaprire il cembalo e sonare.

Ancóra qualche rosa è ne' rosai, ancóra qualche timida erba odora. Ne l'abbandono il caro luogo ancóra sorriderà, se tu sorriderai.

Quanto ha dormito, il cembalo! Mancava, allora, qualche corda; qualche corda ancóra manca. E l’ebano ricorda le lunghe dita ceree de l’ava.

Ti dirò come sia dolce il sorriso di certe cose che l’oblìo afflisse. Che proveresti tu se ti fiorisse la terra sotto i piedi, all’improvviso?

Mentre che fra le tende scolorate vagherà qualche odore delicato, (m’odi tu?) qualche cosa come un fiato debole di viole un po’ passate,

Tanto accadrà, ben che non sia d’aprile. Usciamo. Non coprirti il capo. È un lento sol di settembre; e ancor non vedo argento su ’l tuo capo, e la riga è ancor sottile.

sonerò qualche vecchia aria di danza, assai vecchia, assai nobile, anche un poco triste; e il suon sarà velato, fioco, quasi venisse da quell’altra stanza.

[...] Se noi andiamo verso quelle rose, io parlo piano, l’anima tua sogna.

Poi per te sola io vo’ comporre un canto che ti raccolga come in una cuna, sopra un antico metro, ma con una grazia che sia vaga e negletta alquanto.

Sogna, sogna, mia cara anima! Tutto, tutto sarà come al tempo lontano. Io metterò ne la tua pura mano tutto il mio cuore. Nulla è ancor distrutto. Sogna, sogna! Io vivrò de la tua vita. In una vita semplice e profonda io rivivrò. La lieve ostia che monda

Sogna, ché il tempo di sognare è giunto.
 Io parlo. Di’: l’anima tua m’intende?

Tutto sarà come al tempo lontano. L’anima sarà semplice com’era; e a te verrà, quando vorrai, leggera come vien l’acqua al cavo de la mano. G. d'Annunzio, Consolazione, da Poema paradisiaco.

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Incisione, prima punta secca, la data probabile di questa prima opera è da collocarsi tra il 1945 e il 1948, cioè tra i 17 e i 20 anni dell'autore, cm. 7,8 x 11

La lastra è contenuta in una busta con questa annotazione autografa a matita: «Contiene la prima punta secca della mia vita, incisa su alluminio tolto da una tasca posteriore dei pantaloni di un soldato della wehrmacht». Sullo sfondo si possono vedere gli ippocastani e le case di via Trieste.

Come un turribolo pieno di desideri, passi nella sera luminosa e chiara con la carne scura di nardo appassito e il sesso potente nel tuo sguardo. […] Sei lo specchio di un'Andalusia che soffre giganti passioni e tace, passioni, agitate da ventagli e mantiglie sulle gole che hanno tremolii di sangue e neve, e rossi graffi fatti dagli sguardi. Te ne vai nella nebbia dell'autunno, vergine come Inés, Cecilia e la dolce Clara, mentre sei una baccante che avrebbe danzato incoronata di verdi pampini e di vite. F. G. Lorca, Elegia.

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Prima acquaforte di Federico Bellomi con maschere e paesaggio di Colognola sullo sfondo, 1965, acquaforte, cm. 12,8 x 14

Ricetta autografa della cera per acquaforte.

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Il parco di villa Fano in autunno, databile 1981, olio su tavola, 75 x 60 Far pittura usando sempre in ogni colore la mescolanza del grigio da l'impressione di essere già arrivato al meglio del dipingere. È una condizione primaria indispensabile: tutti i pittori di tutti i tempi, antichi o moderni hanno usato questa mescolanza. I paesaggi sono permeati di questa mescolanza di grigio e questo non perché si debba restare nel grigiore ma è proprio la condizione per cercare la possibilità di far vibrare i colori, soprattutto quelli puri. Tanto più avrò mantenuto questa condizione alla base tanto più avrò la possibilità di violentarla con colori puri, con complementari. Così la vicinanza di un rosso e di un verde se sarà mediata sotto da un mediatore [mescolato con i grigi], il risultato sarà straordinario.

Annotazioni di Federico Bellomi

Il bel giardino in tempi assai lontani occultamente pare lontanare. Le fonti, chiare di chiaror d’opale, fan ne la calma suoni dolci e strani. Nei roseti le rose estenuate cadono, quasi non odoran più. L’Anima langue. I nostri sogni vani chiamano i tempi che non sono più. O danze, arie di tempi assai lontani, voi che in qualche dimora secolare facean su ’l virginale risonare dolentemente così bianche mani: mani di donna avida ancor d’amare, non più giovine, non amata più: e voi movete questi sogni vani, arie di tempi che non sono più! O profumi di tempi assai lontani, voi che nel fondo de le vuote fiale lasciaste la dolcezza essenziale così che par che un spirito n’emani (forse ne le segrete anime tale un sol ricordo non vanisce più):

e voi guidate i nostri sogni vani, profumi, ai tempi che non sono più! O figure di tempi assai lontani, voi che il tessuto pallido animate, ninfe su fiumi, cacciatrici armate dietro bei cervi in bei boschi pagani (Delia, taluno a notte alta, d’estate, te rimirando non dormiva più): e voi ridete in questi sogni vani come nei tempi che non sono più! E tu vissuta in tempi assai lontani, donna, come le tue danze obliate, come i profumi tuoi ne le tue fiale, donna che avevi così bianche mani, tu che moristi avida ancor d’amare, non più giovane, non amata più, oggi tu passa in questi sogni vani, morta dei tempi che non sono più! G. d'Annunzio, Hortus Larvarum, da Poema paradisiaco.

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Autunno a Colognola ai Colli, 1971, olio su tavola, cm. 59,5 x 50

I colori della mia tavolozza sono il bianco di titanio (ossido di titanio), la terra di Siena naturale (ocra gialla), il giallo di cadmio-limone, la terra di Siena bruciata (ocra rossa), la terra d'ombra di Cipro bruciata, il rosso di cadmio, il carminio, il violetto di cobalto, il blu d'oltremare (oltremarino), l'azzurro di Sèvres, il verde pappagallo, il verde solex, il verde smeraldo, il nero vite di Germania, arancio Ercolano, il verde cromo (ossido di cromo).

Annotazioni di Federico Bellomi

Sono gli orizzonti di varie distanze dall'occhio, conciossiachè quello è detto orizzonte dove la chiarezza dell'aria termina col termine della terra, ed è in tanti siti veduto di un medesimo perpendicolare sopra il centro del mondo, quante sono le altezze dell'occhio che li vede; perché l'occhio, posto alla pelle del mare quieto, vede esso orizzonte vicino un mezzo miglio o circa; e se l'uomo s'innalza coll'occhio, quant'è la sua universale altezza, l'orizzonte si vede remoto da sé, onde accade che quelli che sono nelle cime degli alti monti vicini al mare vedono il cerchio dell'orizzonte molto remoto da loro; ma quelli che sono infra terra non hanno l'orizzonte con eguale distanza, perché la superficie della terra non è egualmente distante dal centro del mondo, onde non è di perfetta sfericità, com'è la pelle dell'acqua, e quest'è causa di tal varietà di distanze infra l'occhio e l'orizzonte. Mai l'orizzonte della sfera dell'acqua sarà più alto delle piante de' piedi di colui che il vede stando in contatto con esse piante col contatto che ha il termine del mare col termine della terra scoperta dalle acque. L'orizzonte del cielo alcuna volta è molto vicino, e massime a quello che si trova a lato alle sommità de' monti, e lo vede generare nel termine di essa sommità; e voltandosi indietro all'orizzonte del mare lo vedrà remotissimo. L. Da Vinci, Il trattato della pittura, Parte ottava, 927, qual sia il vero sito dell'orizzonte.

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Bellomi o il mistero dell’essere

Ecco un pittore e scultore conosciuto, le cui opere sono presenti in diversi grandi musei del mondo, che è già stato esposto in luoghi illustri d’Europa e d’America. Ma queste opere non sono mai entrate in un mercato che aveva istintivamente bandito il loro autore; è stato necessario attendere la scomparsa dell’artista perché esse accendano oggi la strana sensazione di scoperta di un mondo totalmente inedito. Mondo inedito perché è stato finora rigorosamente rifiutato dalle leggi del mercato e dalle “agenzie di rating” che avrebbero dovuto registrare questo rarissimo fenomeno. Bellomi è stato costantemente impegnato, al di là della funzione di docente nella sua classe internazionale all’Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli di Verona, nelle opere pubbliche o private che gli venivano commissionate: qui un gigantesco affresco, là una vetrata monumentale, o ancora un insieme di tempere destinate a coprire i muri di edifici pubblici o di sale, da un Palazzo di giustizia medievale celebre (come quello non lontano da piazza delle Erbe) a una vecchia chiesa parrocchiale o alle pareti di una dimora patrizia, in Italia o in USA o in qualche regione francese. Egli è stato così guidato da leggi più naturali e tradizionali, e in sostanza più antiche: quelle dei consueti mecenati desiderosi di ottenere l’apprezzamento collettivo e pubblico, o con la vocazione culturale ed estetica a coltivare delle collezioni museali più intime. L’artista però conservò gelosamente intatta la sfera delle sue attività più intimiste di 101

pittore sui più vari supporti, senza mai cedere alle proposte di un mercato al quale si opponeva energicamente per non esserne dipendente; e, come effettivamente fece nei confronti di certi musei, per certi luoghi di culto, presso la Santa Sede o presso l’Unicef o diverse altre associazioni umanitarie o caritative, o recentemente in favore dei Sans Papiers («perché siamo tutti discendenti di immigrati» diceva), preferì il dono allo scambio come condizione dell’adesione integrale della sua opera a una ricerca appassionata ed esigente ma libera: la ricerca di un senso spirituale nell’arte. Se noi consideriamo contemporaneamente Apollinaire e Kandinskij siamo nel giusto. L’istinto integra in Bellomi le preoccupazioni e le correnti della modernità in modo tale da non cedere alle semplificazioni che essa ha talvolta adottato. Bellomi si caratterizza piuttosto per una scelta d’unità. Unità di una produzione dove non si può smembrare nulla della sua struttura vitale e che è tutta intera rivolta verso la sua meta spirituale che la distacca da tutti i compromessi d’interesse; un distacco presente in ogni tempo... «La nostra clientela vorrebbe più blu sulle vostre marine» osò dire Durand Ruel al pittore di Pont-Aven Henry Moret! E la paura che Durand Ruel ispira a Bonnard lo spinge ad applicare sulle sue tele i consigli dello stimato mercante d’arte, portavoce dei desideri triviali del mercato dell’epoca. Unità che caratterizza anche un approccio che considera fondamentale utilizzare nel lavoro creativo i migliori materiali: Bellomi ha sempre preparato di persona i supporti materiali delle sue opere ricorrendo a prodotti puri e originali, rifiutando tutte le preparazioni artificiali, studiando a fondo le colle o i pigmenti, la preparazione delle tele di lino o la granulazione degli ossidi metallici, la tenuta dei composti con colla animale o la composizione (piuttosto misteriosa) delle velature, la densità delle mine di grafite o delle fusaggini e i pennelli di pelo di bue o quelli 102

con la “piuma del pittore” ovvero la terza piccola piuma remigante anteriore dell’ala della beccaccia. Tutto ciò si accompagnava a un elemento ancora più prezioso: la volontà di trasmettere questi segreti. «Questo - mi disse un giorno, - l’ho imparato dagli olandesi, però non l’ho scritto in nessun manuale o rivelato a parole ai miei studenti provenienti dai diversi continenti, perché è, come nella pratica del disegno e dell’incisione (fu allievo dell'incisore Dante Broglio), un segreto d’atelier trasmesso con il mestiere...». Ma è ancora la ricerca e soprattutto l’unità che appare nella riflessione sulle opere esposte di quest’uomo; unità che ha giustamente messo al centro una sorta di concetto soggiacente di uomo integrale in grado di armonizzare tutte le sue facoltà. E’ necessario percepire innanzitutto l’unità di un realismo che si distingue da un semplice fenomenismo, come quello al quale prelude la riduzione kandinskiana e che noi consideriamo il punto di partenza più interessante; realismo che soddisfa in sostanza Bonnard, che Bellomi ammirava molto, ma che non è in contraddizione con la sua visione. No! la vita non è «un sogno», e tutto porta a scegliere i collegamenti che essa stabilisce simbolicamente con le realtà invisibili: a partire dalle più modeste e immediate, a cominciare dai materiali stessi. Questo realismo porta a vedere nel materiale utilizzato, come dentro la cosa dipinta, un elemento reale che prende vita precisamente dall’interno e che non è per nulla chiuso nell’opacità della sua struttura fisica evitando a fortiori di disgregarsi in atomi in un certo senso «minimalisti». La forma che anima le opere (la «Nuova Forma» di cui parla Bellomi) ne assume le contraddizioni, come il colore della pietra, che è reale, ma si arricchisce di pulsioni e sfumature che lo elevano alla particolarità o alla trasparenza di una tonalità per 103

conferirgli una natura più complessa e interconnessa di quella della terra dalla quale essa è estratta: perfino lo stesso corpo umano non teme di essere ocra o rosso, di argilla ambrata, perché esso accoglie il movimento palpitante di una materia che è propriamente «in-quieta», cinetica, fluttuante come una energia, come la luce diffusa e pervadente tutta l’area cromatica allo stesso modo in cui lo spirito dell’uomo sembra trasformare il suo aspetto fisico a causa delle pulsioni interiori che egli sente. Tutta l’arte del tormento vissuto e sublimato porta con se tutti i suoi dati sensibili, che essa assorbe per purificarli e nobilitarli2. Questo perché i sentimenti provati non sono platonici ma incarnati; e il più trasparente dei gialli nel suo vigore spirituale resta vicino alla terra d’ocra. Non è il tormento che agita segretamente la materia che viene esasperato, degenerando nella rivolta e nel rifiuto o verso una volontà di rottura e di separazione (che è la novità di Kandinskij e dei suoi successori) o verso l’amarezza di una sofferenza contenuta o di uno scetticismo rassegnato... C’è decisamente in Bellomi alla base della creazione una tale energia esistenziale da poter affrontare tutte le contraddizioni e assumerle in una unità superiore. Questa unità, che svela un legame misterioso fra la materia e la forma, si divincola dalla rappresentazione di stati puramente fenomenici e diafani, di segni ovvi e prevedibili, per caricarsi di una sostanza vivificante e organica che emerge fra gli sprazzi del cielo o del mare, fra le soffici nuvole, nel manto pomellato dei cavalli, nei campi gelati, come nel ribollire degli oceani debussiani, nei raggi luminosi che tagliano l’atmosfera o nei confini e nei muri rocciosi lungo le strade ed esposti, essi 2

Si vedano i nostri commenti ad altri aspetti dell’opera di Bellomi in Una pittura dell’attesa, Tendenze della “Nuova Forma” nell’estetica di Federico Bellomi da Quaderni all’Antica Locanda Mincio, 1987, trad. it. 2014, Blurb e-book http://store-it.blurb.com/ebooks/465390-unapittura-dell-attesa-tendenze-della-nuova-forma-nell-estetica-di-federico-bellomi

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stessi, ai cambiamenti della luce solare. Niente può rimanere nella stabilità pietrificata di uno “stato” che lo sguardo ha bisogno di fissare spazialmente, o può collocarsi in un tempo che, in una visione storicizzante della pittura, sembra rinviare a un passato, nutrito di rovine e di macerie, di frammenti di architetture e di colonne spezzate e che sembra far emergere così bene la visione ieratica di un tempo irreversibile. Bellomi diffida delle visioni retrograde e passatiste, che affondano nel nichilismo della storia o si compiacciono delle sonnolenze e dei vuoti d’identità e dalle quali nascono tendenze che, in ultima analisi, sono più delle imitazioni sterilmente riproduttrici che creazioni trasfiguranti la realtà... Quindi noi non cercheremo di ordinare le origini e gli sviluppi secondo una qualche cronologia ermeneutica: non c’è temporalità in questa unità dove tutti gli istanti sono interconnessi e che si colloca nella più classica delle acronie estetiche, quella che ha aperto la porta alla durata nella sua dimensione qualitativa, la durata della coscienza umana, al di fuori del tempo materiale e fenomenico. Tempo materiale e fenomenico che è stato a volte la trappola dove è caduta una pittura moderna che non era priva di creatività, e che, nella misura in cui essa si è lasciata inghiottire da quella che Malraux chiamava nuova “spettacolarità” o volendo fuggire dal vecchio naturalismo o condannando (più come contrapposizione, o perfino provocazione, che dialetticamente) gli accademismi o altri mortali neoclassicismi, ha finito per rimanere impigliata in un esangue formalismo. E’ dunque questa strada che porta sia l’impronta della «umanizzazione» che della «personalizzazione» dell’uomo, così come avevamo già rilevato nelle analisi degli affreschi o delle immense tempere di contenuto religioso o mitico-epico: essa obbliga ad ammettere che, se «tutto è vita», l’istante è racchiuso dentro una eternità che lo sottrae sia all’espressionismo, quando imprigiona il suo trascorrere e lo 105

sommerge, sia all’immanenza di tutte le forze, anche quella di aggiungersi al reale. Creare è aggiungere alla realtà, senza dubbio, ma è anche saperla interpretare nei suoi sviluppi, superandola, allo scopo di ritrovarla più efficacemente, e di ricondurla al suo principio, e che non può consistere in un atto vitale «puro», un atto dello spirito immobilizzato nel concetto (come ha rilevato Benedetto Croce nel suo attualismo estetico neohegheliano o ancora come lo ha pensato Michel Henry considerando che l’essenza dell’opera dipinta, quella che la fa esplodere in volumi e geometrie, è il suo rapporto con l’alterità giudicata «irreale» del mondo sensibile). * Un tardo pomeriggio d’estate del 1986, il sole stava tramontando sul lago di Garda, vicino a Malcesine, a nord est di dove noi ci trovavamo, scendendo fra le montagne del trentino, e Federico Bellomi, messa la tavola sul cavalletto in piena spiaggia, guardava questo fuoco che sprofondava fra le cime vacillanti, bruscamente flesse come alghe marine, osservava i raggi che già si ritiravano dalla superficie dell’acqua e contemplava meditativo, come noi, le ombre ordinate delle conifere che striavano il versante opposto...

Subito si avvicina un giovane austriaco

disinvolto e ironico: «wunderbar!… aber warum? es ist grün!» ... «ma è verde!» ripeteva stupefatto «perché invece mettete del viola?» ... «Perché sono un pittore!» rispose Bellomi piuttosto scocciato. E i suoi pennelli turbinavano come il fulmine su di un paesaggio praticamente frantumato sotto l’impronta di una nuova tonalità... Perché sono un «poieta», cercò alla fine di spiegare, in quanto la trasfigurazione non è la realtà (come nel mito di Dafne nella Roma augustea rappresentato nella tempera della Antica Locanda Mincio, ai bordi del fiume che attraversa, a sud di Verona, quella campagna mantovana amata da Virgilio). E da «poieta» la transizione a «poeta» giustamente, s’impone. É stato allora che ho capito come, al 106

di là dello «spettacolo», il pittore aveva convertito il verde in un violetto, attraverso una partecipazione segreta, ottenendo così quel grado di nobile tensione che tutti i paesaggi detti «belli» (senza kantismo) o «interessanti» suggeriscono quando in essi noi percepiamo l’eternità dentro al tempo, quando, come ho dovuto subito dire a Federico ricordandomi l’inizio di un romanzo di Bernanos: l’ora che si avvicina è quella della sera... quando gli animali vanno a bere, come ha detto il poeta, ... «l’ora del poeta» appunto, - e Bernanos rinviando a Paul Jean Toulet, l’autore di Contrerimes -, ... è l’ora del «grande passaggio», l’ora del presentimento di una trascendenza occulta che la natura suggerisce, e il cuore vive un senso di tragica angoscia ma anche una gioia sconosciuta, ... forse l’ora dell’acquietarsi delle passioni e l’ora dove l’animo più intimo si ricompone in attesa di un’alba futura, ... l’ora che non appartiene al chiarore e nemmeno alle tenebre, che non è giorno ma nemmeno notte: l’ora inscritta in questo paesaggio dove s'illumina improvvisamente, hic et nunc, la storia del mondo, dove ci si può interrogare sulla sua origine e sulla sua fine, dove si rivela l’uomo, e dove si rovescia il rapporto soggetto-oggetto, a dispetto di chi ha osato immaginare la «morte dell’oggetto», perché in fondo si ha bisogno di questo ritorno del soggetto nell’oggetto per poterci capire e progredire. A nostro avviso Bellomi non è influenzato dall’impressionismo cezanniano che viene portato alle stelle da tutti; egli incorpora piuttosto la «morte dell’oggetto» kandinskiana, ma senza abbracciare il fenomenismo di Bonnard o scivolare verso i découpages spaziali di Mirò o di Nicolas de Staël. Ma c’è bisogno di essere paragonati e classificati? Senza dubbio quello che appare da questa sintesi, che integra e racchiude in una unità («trascende nella forma universale» ha scritto Michelangelo), e che non è il 107

frammento di tavola, di tempera, che scatena in noi la nostalgia... ma il fatto che tale sintesi rifletta in fondo la nostalgia nascosta per la nostra propria unità perduta! Alcune opere di Bellomi lo dimostrano. Alcune opere mostrano questo aspetto caratteristico e questo colore indefinito che appare alla fine del crepuscolo o nel lucore pallido all’alba, quello della poesia di Racine musicata da Fauré; altre mostrano la particolarità di non essere sospese sulla superficie della vita e sembrano aprirsi sull’essere stesso, tracciare un cammino verso di esso, verso questo orizzonte tormentato ed evanescente che si comprende attraverso esperienze vacue che mostrano l’inevitabile insoddisfazione di non poterlo conoscere. Tutte le opere esposte sono incessantemente attraversate dalle effusioni mistiche della luce alla quale partecipa un cromatismo acceso o pacato; e questa luce non è percepibile al di fuori del riverbero infinito che offrono le apparenze; apparenze esteriorizzate in un paesaggio abitato e coltivato, o apparenze più interiorizzate che circondano oggetti prosaicamente disposti davanti a finestre chiuse. Apparenze che alternano il movimento dei grandi venti che spazzano il mondo naturale (che ricordano quell’Adamo ed Eva cacciati dal paradiso terrestre di Masaccio che inquietano già l’immaginazione del pittore con il loro alberi curvi sul crinale delle colline...) e l’improvvisa immobilità di una vita più ferma e contemplativa (come quella alla quale appartiene il maestro di Delft). Apparenze che diventano anche poco a poco, attraverso i cambiamenti e le trasformazioni delle circostanze della vita, il mistero dell’essere. A colpo sicuro, questa pittura bellomiana nell’affacciarsi supremo davanti al mistero del reale dove essa culmina ha potuto scongiurare e esorcizzare questa tendenza «a voler essere, secondo le parole di Kierkegaard, il fondo dell’essere» che 108

spinge fatalmente a tante forme ormai note caratterizzate da un delirio esibizionista e disperato della soggettività. «Creare», in effetti, non può aprirsi all’altro, cioè all’essere, che in una espansione nella quale dobbiamo rinunciare a noi stessi, e che si apparenta forse con il gesto divino, ma di una divinità luciferina e talvolta inevitabile. Jean-Marc Trigeaud Bordeaux, professeur des universités

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Modi di lavorare di Federico Bellomi Ho potuto assistere alla realizzazione di molte opere di mio padre. Per alcune di esse sono stato presente dalle primissime fasi della loro ideazione fino alla completa realizzazione. Parlare dei modi di lavorare di mio padre è per me un tuffo nella memoria e nei ricordi, ma anche un modo per mettere in luce alcuni aspetti della sua poietica, della sua personalità umana e artistica, delle tecniche adoperate e di quei misteriosi comportamenti che a volte gli artisti adottano e che hanno a che fare con i bisogni più oscuri e profondi dell'animo. Le modalità operative di Federico Bellomi erano diverse e variavano a seconda di molti fattori: la tecnica adoperata, la grandezza dell'opera, il contesto umano e ambientale nel quale essa veniva realizzata, il carattere del committente e così via. Realizzare un'opera di piccole dimensioni poteva richiedere da pochi minuti ad intere giornate. Le grandi opere murali furono invece quelle che lo impegnarono più a lungo, per settimane, mesi o anni. Per le grandi opere murali l'esecuzione spazia dalla durata di 15 anni per i 240 mq. della tempera Arbor Redemptionis (chiesa di Lugagnano di Sona VR) ai 40 giorni per Il mito di Aci e Galatea di 30 mq. circa (Abitazione Hoffman, Boise, Idaho, US). A queste variazioni di durata e di tempo si univa l'imprevedibilità degli umori del momento. Anche se molte opere di mio padre furono meditate a lungo, progettate ed eseguite con estrema meticolosità, pensate in ogni minimo dettaglio, il mio ricordo più caro e vivo è quello dei momenti di grande esaltazione e frenesia creativa, quando in pochi minuti poteva eseguire un pastello, una sanguigna o un disegno frementi di energia, con segni rapidissimi e sicuri, come un gioco acrobatico o una improvvisazione in stato di grazia. In questi lavori ritrovo il suo 110

talento, la tecnica raffinatissima, il suo lato più estroverso e trascinante. A chi gli stava vicino (allievi, amici, assistenti) veniva voglia di prendere in mano una matita, una creta, insomma qualcosa e mettersi subito a disegnare. Sapeva creare un vortice di attenzione e di energia contagiosa e la sua classe era sempre piena di studenti anche per questo motivo. Paesaggi ad olio “en plein air” Si partiva la mattina presto3. Sulla macchina il cavalletto con i colori, un cassone a scomparti contenente le tavole già dipinte e quelle ancora da dipingere 4, varie bottiglie e barattoli di vernici, solventi, olio di lino cotto e crudo, la scorta dei viveri per la giornata e l'immancabile sombrero spagnolo che, assieme ad una vecchia casacca militare, era l'abbigliamento tipico di Federico nelle sue uscite. Si cominciava a girare osservando i paesaggi e cercando quello “giusto”; raramente la ricerca durava poco, il più delle volte erano almeno due o tre ore di auto con soste ai bordi delle strade. Federico scendeva per valutare meglio, tenendo conto del giro che il sole avrebbe fatto nel corso della giornata per capire quali sarebbero state le ombre profonde, che a lui tanto interessavano, nel pomeriggio inoltrato, quando il lavoro sarebbe stato nella fase finale. Trovato il posto, aperto il cavalletto e posizionata la tavola, iniziava una prima fase di attenta osservazione del paesaggio della durata di circa mezzora. In questi minuti egli era concentratissimo e immobile, pareva essere totalmente assente a tutto il resto. Io sapevo per esperienza che distrarlo con una domanda o con altro in questa fase lo avrebbe disturbato 3 Sul retro di un paesaggio olandese Il porto di Saint Vaast la Hougue con la bassa marea si legge un'annotazione a fusaggine: «dipinto alle cinque del mattino in compagnia del mio allievo Bruno Pezzini» 4 Le tavole, solitamente di compensato multistrati di pioppo, erano state precedentemente preparate con più strati di gesso di Bologna e colla animale, secondo la metodologia degli antichi pittori rinascimentali.

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enormemente, quindi stavo da una parte in silenzio. Al termine di questa specie di trance visiva egli sembrava come risvegliarsi e tornare alla realtà, prendeva i pennelli, apriva i vasetti dell'olio e della trementina, e si preparava con grande cura alcune tonalità sulla grande tavolozza. Nel preparare queste tonalità spesso ritornava ad osservare attentamente e analiticamente i dettagli del paesaggio. In certi momenti avevo la sensazione che la fissità e l'intensità di certi sguardi fosse funzionale alla ricerca dei colori complementari, che appaiono come un debole alone dopo qualche minuto di osservazione intensa e fissa, ai bordi delle masse di colore. Aveva una estrema facilità nell'arrivare a cogliere questo effetto ottico e uno dei giochi che mio padre mi fece scoprire da bambino era proprio quello di fissare attentamente un rettangolo di carta colorata posta su di un fondo neutro (grigio): dopo qualche minuto appare ai bordi un alone e se qualcuno toglie improvvisamente il rettangolo colorato si vede per qualche secondo al suo posto un rettangolo illusorio del colore complementare. Preparati i colori iniziava una sorta di rito per «vincere la paura del bianco» come talvolta diceva: la superficie della tavola veniva cosparsa di una serie di puntini di colori diversissimi ed estremamente contrastanti che sembravano non avere nulla a che fare con il paesaggio che era davanti a noi5. Riesco ancora a sentire il ticchettio del piccolo pennello di setola dura contro la tavola nel silenzio della natura che ci circondava. Conclusa la fase preparatoria iniziava la pittura vera e propria con una sommario disegno del soggetto, nel quale erano solo accennati i volumi e le masse principali, poi passava alle campiture delle grandi masse, solitamente con tonalità molto 5 In alcune opere rimaste incomplete perché il lavoro fu interrotto per un qualche motivo e mai più ripreso, si possono vedere benissimo queste aree piene di puntini colorati che un altri punti del dipinto sono coperti da campiture più omogenee. Campiture che spesso lasciano ancora intravvedere appena alcuni di questi primi gesti pittorici.

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spente, nelle quali era sempre presente una grande parte di grigio. Si arrivava così, in un orario fra il mezzogiorno e le due del pomeriggio (ma più spesso oltre le due) a concludere una prima fase del lavoro. Era il momento di fermarci per mangiare qualcosa all'ombra di qualche albero o, alla peggio, in macchina. Innumerevoli sono le storie che potrei raccontare, degli incontri e degli episodi che popolavano queste ore di sublime silenzio: dai dialoghi con i rari passanti incuriositi dal pittore, agli attacchi di nugoli di mosche cattivissime che ci pungevano senza pietà nonostante ci fossimo passati sulla pelle uno strato di inefficace, anche se tossica, trementina; dalla commovente generosità di alcune persone che ci portavano qualcosa in regalo da bere o da mangiare, al cane randagio che rimase con noi per tutta una giornata e con il quale dividemmo il nostro cibo. Federico sapeva parlare con tutti e spesso gli incontri fortuiti di quelle giornate si trasformavano in inviti a ritrovarci, con scambi di indirizzi. La fase successiva, quella del pomeriggio era la più difficile. Era quella in cui, sulle masse già disposte e già parzialmente asciugate, il pittore interveniva con le sue tipiche pennellate nervose e veloci, che riprendevano il disegno delle cose, che giocavano con i colori complementari; dove si scatenava il cromatismo più acceso e infuocato. Qualche volta Federico ragionava ad alta voce «si... qui una staffilata di carminio su questo verde acido, si ancora, adesso un blu 'che sia più blu del blu, un rosso più rosso del rosso'6 … una lacca di garanza, ecco cosa ci vuole, una lacca di garanza, dove ho messo il tubetto della lacca...». Era come una danza, o una lotta. L'esatto contrario dell'immobilità della prima fase; si muoveva rapido, saltellante, spesso arretrando veloce per vedere l'effetto da una distanza maggiore. Sembrava voler inseguire istante per istante i fuggevoli cambiamenti della luce, e inseguiva le ombre come un segugio la sua preda prima che il movimento del sole le cambiasse 6 Era una frase che ripeteva molto e che considerava una citazione dei consigli che un celebre pittore impressionista dava al suo allievo.

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o le cancellasse. Le ombre profonde del controluce erano la sua passione, il momento magico che attraversa tutti i suoi lavori più significativi. In quell'ombra indefinibile, nell'ora in cui gli animali vanno a bere e il giorno comincia appena a cedere il suo regno alla notte, egli vedeva un pulsare e pullulare di colori dalle sfumature straordinarie, un mondo misterioso e intenso. Quello era l'appuntamento finale, gli occhi socchiusi contro il sole del tardo pomeriggio per cogliere le minime sfumature, per accedere al mistero dell'ombra. Il quadro era finito, si pulivano i pennelli, si chiudeva il cavalletto. Al quadro, appoggiato a una ruota della macchina, un ultimo sguardo terribile prima di metterlo nel cassettone a scomparti. Lo sguardo freddo e distaccato dell'analisi, del giudizio finale. Lo sguardo del «si, ho fatto un buon lavoro« oppure del «c'è qualcosa che non va». Da quello sguardo dipendeva la dose di allegria del viaggio di ritorno. E se lo sguardo era quello del si, era una festa dentro di noi anche se nessuno parlava perché il silenzio diventava quello pieno e felice di chi ha passato un intero giorno a dipingere un pezzo di mondo sapendo di esser riuscito ad imprimerlo nel proprio cuore. Un frescante in scarpe da ginnastica. Ogni volta che stava per iniziare un grande lavoro (affresco, vetrata o altro) Federico si metteva le scarpe da ginnastica. Non “delle” scarpe da ginnastica ma “quelle” scarpe da ginnastica che, dagli anni sessanta in poi lo avevano accompagnato in tutti i grandi lavori nelle chiese, nelle ville, nelle sale. Anche se ormai erano distrutte e piene di macchie di colore e di buchi, dovevano essere quelle: non altre - un rito. Alla sua morte erano ancora nel magazzino di tutte le cianfrusaglie, con gli oggetti dimenticati, i vecchi quadri e disegni assieme ai tubetti 114

di colore, agli inchiostri oramai seccati. Con quelle scarpe si arrampicava a settantanni sulle armature, con quelle scarpe era salito e sceso migliaia di volte dalla scala di legno del suo grande studio di Piazza Broilo 3 dove, sul cavalletto alto sei metri, aveva disegnato quasi tutti i cartoni delle sue grandi opere fino al 1986. Quelle scarpe da ginnastica erano per lui sinonimo di “cantiere”, di disponibilità a lavorare a qualunque costo e in qualunque situazione. Anche se non correva con i piedi, con quelle scarpe correva con la mente e con il gesto sicuro della mano sulle grandi superfici ancora pulite che ricevevano i primi segni a fusaggine. Salire sul ponteggio era per lui accedere ad un mondo sospeso fra pittura e realtà. Era il suo mondo, quello che lui amava senza riserve, dove dialogava silenziosamente con i suoi personaggi, quelli che aveva creato e che considerava la «mia tribù, il mio clan», quelli, per capirci, che popolano le varie Trasmigrazioni dei miei personaggi e che lo accompagnavano in tutti i suoi viaggi reali o immaginari nella pittura o nella vita. Chi gli fece da aiutante, come capitò al sottoscritto nei suoi anni giovanili, sa della meticolosità quasi esasperante con la quale egli preparava pennelli, colori, colle, medium, fissativi, ecc. Il lavoro non cominciava fino a quando ogni cosa non era pronta all'uso. Era sicuramente un modo per caricarsi di energia, per prepararsi a fare il difficile salto “dentro” al muro o alla tavola o alla tela. Quando anche questo non bastava veniva in soccorso la musica, la grande musica classica che ascoltava continuamente durante il lavoro e che “lo caricava”. La sua spiccata sensibilità lo aveva portato a spaziare dal repertorio sinfonico ottocentesco (negli anni '60) fino, in epoche posteriori, a Monteverdi, a Stravinsky, all'ars antiqua e perfino a Schoenberg e Cage negli ultimi anni. Ma il suo amore totale era per J.S.Bach. Quando, nelle ultime settimane di vita, gli 115

portai in ospedale la Passione secondo san Matteo, uno dei suoi pezzi preferiti, e gli misi le cuffie per fargli sentire l'attacco del primo coro, mi chiese a fatica: «che cos'è questa meraviglia?» (non l'aveva riconosciuta) gli risposi: «È la passione secondo san Matteo di J.S.Bach: il tuo pezzo preferito”. Mi guardò con un'aria pensosa, poi allargò le braccia sulla carrozzina e si mise a gridare per tutto il corridoio: “io amo Bach! Io amo la musica di Johann Sebastian Bach!» e continuò così per più di mezzora fino a quando la voce non gli si ruppe e una nebbia di confusione non gli velò gli occhi. Ricordati di salvare i bianchi! Nell'ultimo disegno che egli fece per me come per gioco, durante una nostra conversazione serale del settembre 2009, si vede un volto vagamente efebico, tracciato con la penna attraverso un tratteggio fitto ed elegantissimo nel gesto e nella trama. Mentre disegnava mi diceva “non so come spiegarlo, è come se la mano andasse da sola, mi sembra di aver finalmente capito come si fa a disegnare, è come scolpire … con questi tratti come tanti colpi di scalpello ... aveva ragione Michelangelo …” Capivo e non capivo; in quei venti minuti osservai in silenzio l'artista al lavoro con la mente in ebollizione la mano rapida e quasi nervosa ma sicura e dolcemente forte. Arrivato a casa misi il disegno nel mio cassetto senza minimamente immaginare che sarebbe stato l'ultimo suo regalo. Ho cercato molte volte di copiare questo disegno, non ci sono mai riuscito: troppo elegante e libero, non si lascia catturare da nessuna copia meticolosa se non perdendo tutta la sua freschezza e leggerezza. È un distillato di anni di esperienza e di studio ai vertici della tecnica e della poesia. È un disegno così arioso che mi riporta agli anni della mia infanzia, quando 116

disegnavo con ostinazione. Uno dei consigli immancabili arrivava quando la mia ostinazione mi faceva superare il punto nel quale il disegnatore deve fermarsi: «Ricordati di salvare i bianchi». In pratica: non coprire tutta la superficie di un fitto tratteggio, lascia dei vuoti, lascia respirare il disegno... Questa sapienza del “non finito” (che Federico amava follemente nei marmi e nei disegni dell'ultimo Michelangelo) si vede in innumerevoli suoi disegni, ma anche nei dettagli delle grandi opere. Era un modo per conservare, anche nell'opera più pensata e meditata, il senso dell'immediatezza, la dinamicità, la leggerezza e l'eleganza. La cosa è ovvia nei rapidi disegni e pastelli ma è ottenuta anche, attraverso innumerevoli velature, nelle opere dall'esecuzione lenta e accuratamente pensata, come l'inquietante Natura morta con la testa in marmo rosa del 1975 dove gli oggetti dello sfondo sono avvolti in un'ombra che li nasconde quasi interamente spingendoli sul confine fra realtà e penombra, tra essere e non essere. La misteriosa presenza della testa e dell'anfora ci parlano e ci raccontano silenziosamente, emergendo dalle ombre indefinibili, il mondo di Federico Bellomi, il mondo di un poeta.

Francesco Bellomi

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Federico Bellomi: un dono del Mistero che educa al Mistero L’opera pittorica e scultorea di Federico Bellomi costituisce un caleidoscopio di emozioni e pensieri che rendono bella la vita e agevole il trascorrerla. Non solo. La profondità dell’armonia di segni e significanti ci fa afferrare, con saldezza, la consistenza del soprannaturale, del divino, dell’eterno. Non mi riferisco solamente alle raffigurazioni sacre, ma, oserei dire in primis, in quella tenuità di colori e di forme, che fin dalla produzione adolescenziale, specie nei paesaggi, suscita in chi l’ammira. Anche il nudo, nella sua produzione, è puro; risulta una plastica armonia, quasi una melodia che dall’ἔρος, attraverso la ϕιλία, fino all’ἀγάπη, modula un pentagramma che immette chi guarda in una sinfonia tale da portarlo a contemplare. Conobbi il professor Federico Bellomi dopo la prima Santa Messa Pontificale, il 12 gennaio 1992, di Sua Eccellenza Monsignor Rino Passigato, Nunzio Apostolico allora in Burundi, a Isola della Scala. Mi colpì il suo eloquio, semplice e profondo, la bonarietà tipicamente veronese, il vasto panorama culturale ed esperienziale unito a un’indomita sete di conoscenza, la voglia di approfondire lo scibile umano per dare, con sempre nuova creatività, forma e colore alla sua produzione. M’invitò ad andare a fargli visita nel suo studio. Accettai. Incuriosito. Ne nacque un’amicizia bella e profonda, di quelle che allietano ancora il cuore, anche quando l’amico, in fattezze umane, non c’è più. Troppo presto egli ci ha lasciato su questa terra, la quale, senza la sua produzione, rimane più povera. 118

Federico, infatti, persino in ogni suo bozzetto, ci fa afferrare qualcosa del mistero di Dio, nella fedeltà adamantina ai canoni estetici della verità e dell’armonia. Il prof. Bellomi, perciò, ci lascia un’eredità importante. Quale? Quella di poter leggere, attraverso la grammatica dell’arte, la storia di un Dio che si fa solidale con le sue creature. Quella di poter formulare, attraverso le lettere dei suoi colori, la sintassi di un Dio che è Parola, comunione e comunicazione, voglia appassionata d’incontro e di reciprocità7. Federico ci ha donato, attraverso la sequenza delle emozioni che vengono dalle sue opere, una gioia profonda, una fiducia serena e contagiosa nelle attitudini sempre nuove dell’animo umano. Lo vediamo nei colori discreti e precisi, nelle sinuosità imperiose delle sculture, in una produzione, quindi, austera a volte, ma sempre serena e placida, anche nei temi più veementi. Da questo catalogo e dal “catalogo” della vita di Federico emerge, fiera e discreta, la certezza che l’amore per Dio porta alla contemplazione del bello e dona armonia al nostro terreno pellegrinaggio. Sono, pertanto, grato a Francesco, suo figlio, che mi dà l’opportunità, attraverso queste righe, di esprimere il mio affetto e la mia ammirazione per quest’uomo buono, saggio, colto, poeta, pittore, scultore, cristiano. Queste caratteristiche prendono corpo anche dalle opere riprodotte in questo catalogo. Il profumo della terra ove egli è nato e vissuto, la rete vasta di relazioni che ha nutrito il suo cuore e le sue opere, il credo che egli ha professato senza alcun imbarazzo o infingimento, ci portano a lambire, con timore e tremore, il mistero di Dio e dell’uomo e ci educano a una penetrazione ontologica dell’opera che diventa, 7 Cfr. PERETTI S., Il cammino verso il logos, Aracne, Roma 2015 119

così, conoscenza e vita. Una caratteristica costante, nelle opere di Federico, è la ricerca della Verità, non come dogmatismo tecnicista ed estrinseco alla persona umana, ma come αληθεια, cioè svelamento; vale a dire quale accoglienza di un dono che, nella propria singolarità e originalità, interpella la mia ragione e le ragioni del mio cuore e spinge il mio essere a una conoscenza che diventa ri-conoscenza. Dal silenzio apparente dei paesaggi, dei volti, dei corpi, delle ambientazioni emerge una parola. Un λόγος che si staglia sul silenzio apparente dell’opera, gli dà forma e contenuto, facendo essere così ogni tratto, linea, colore, sfumatura nella ragioneparola e quindi nella verità, di ciò che è ed evoca. Per noi cristiani, infatti, la Parola accompagna l’atto creativo di Dio, anzi ne è il ritmo8. Questo ritmo è ben chiaro nelle opere di Federico. Anzi, guardando, specialmente la “Sistina di Lugagnano” si può scorgere in quel dialogo di volti e situazioni ciò che Lévinas9 esprimeva riguardo alla dialettica del volto. L’incontro tra personaggi e dei personaggi con l’astante diventa dialogo; un colloquio che produce una realtà comunionale, in cui la cosa altra da me entra in comunione con il mio “io”; un “innervamento”, perciò, di due esistenze che non può non produrre una maturazione della struttura ontologica e cognitiva per colui che si lascia trasportare in questo dialogo. Federico Bellomi: un dono del Mistero che introduce ed educa al Mistero. Il suo essersi lasciato interpellare ed educare dello scibile umano può diventare la pedagogia del nostro incontro con le realtà sensibili ed eterne presenti nelle sue 8 Cfr. NEHER A., L’essenza del profetismo, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1984. 9 Cfr. CURCI S., Pedagogia del volto. Educare dopo Lévinas, EMI, Bologna 2002; MURA G., Emmanuel Lévinas: ermeneutica e separazione, Città Nuova, Roma 1982; ID., Senso e valore dell’etica di Lévinas, in Le filosofie del dialogo da Buber a Lévinas, Cittadella Ed., Assisi (PG) 1995.

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opere. Federico Bellomi: un signore della bellezza e dell’armonia. Un uomo distinto nel portamento, nella premura, nella discrezione, nell'affabilità, nell'accoglienza, nella limpidità del pensiero, nella proprietà e nella finezza del linguaggio; un cristiano luminoso, dalla fede schietta, dalla disarmante capacità di trasmettere, attraverso l’arguzia e l’arte, qualcosa della luce e della consolazione di Dio. Il maestro Bellomi, però, ci lascia un’eredità importante. Quale? Quella di poter leggere, attraverso la grammatica dell’arte, la storia di un Dio che si fa solidale con le sue creature. Quella di poter formulare, attraverso le lettere dei suoi colori, la sintassi di un Dio che è Parola, comunicazione, voglia appassionata d’incontro e di reciprocità. Federico ci dona, attraverso la sequenza delle emozioni che vengono dalle sue opere, una fede incrollabile, serena, contagiosa nella risurrezione di Cristo. Al termine un augurio per quanti accostano e accosteranno le sue opere: quello di diventare capaci di poter tornare a vedere l’eterno nel quotidiano, il tutto nel frammento, il bello e l’armonia in questo mondo, pur flagellato dalla caducità. Mi piace pensare che sulla riva dell’Eterna Bellezza si compia ancora il vernissage più bello, perché totale e totalizzante, per Federico. Egli ci aspetta là, nella galleria dell’amore bello, armonico, eterno, e attraverso l’esito felice e compiutamente cristiano della sua vita, ci indica il cammino, affinché la bellezza e l’armonia conducano a un esito di contemplazione divina anche la nostra esistenza. Prof. Don Stefano Peretti

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NOTA BIOGRAFICA BELLOMI FEDERICO Colognola ai Colli 13 marzo 1928 - Verona 25 aprile 2010

L'infanzia di Federico Bellomi, rimasto orfano di padre in tenerissima età, fino agli undici anni trascorre tra balie e collegio. Ritornato al paese natio nel 1939, diviene allievo dell'incisore Dante Broglio e nel 1942 inizia gli studi presso l'Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli di Verona con i maestri Guido Trentini, Antonio Nardi e lo scultore Egidio Girelli distinguendosi per le sue ottime qualità artistiche. Le condizioni di estrema miseria in cui vive la sua famiglia lo portano a cercare lavoro: bracciante nei campi e manovale dopo la scuola, poi panettiere durante l'occupazione nazista. Proprio durante la guerra porta il pane al comando della wehrmacht insediatosi presso villa Fano e qui conosce un soldato polacco interprete che, in cambio di lezioni di disegno, gli insegna il francese. Al termine del secondo conflitto mondiale, come tanti giovani, Federico Bellomi cerca lavoro e si trasferisce a Guidizzolo di Mantova per dipingere stoffe destinate all'alta moda, ma vi rimane per poco tempo. Ritornato a Colognola ai Colli, entra a bottega e lavora come aiuto del pittore Pino Casarini, noto frescante, che in quel periodo affresca le pareti della sala Boggian di Castel Vecchio in Verona. Collabora anche all'allestimento delle scenografie areniane per la Gioconda del 1947, debutto veronese di Maria Callas. L'incontro con questi maestri rafforza il desiderio di lavorare nel campo dell'arte: sono moltissime le incisioni, le sanguigne ma anche gli affreschi e i disegni di questo periodo dove spesso sono ritratti i personaggi più singolari del paese. Inoltre frequenta un medico che gli fornirà tavole di anatomia, illustrazioni con riprodotti 122

disegni dei grandi maestri, libri di letteratura e di filosofia. Decide di affiancare allo studio del disegno anche lo studio dei classici italiani e della letteratura latina e greca. Nel luglio del 1949 emigra in Francia, a Saint-Étienne, come minatore nel bacino minerario della Loira, lavorando per dieci dodici ore al giorno all'interno del pozzo Couriot; narra che per disegnare doveva immergere le mani nell'acqua calda perché il callo che si formava maneggiando il compressore gli impediva di tenere in mano la matita. Rimane ferito in un crollo molto importante del pozzo dove molti minatori morirono e che commosse tutto il mondo: il giovane artista riesce a salvarsi e viene ricoverato all'ospedale della compagnia mineraria. Il poco francese imparato durante la guerra diventa il mezzo per incontrare monsieur Paudelegue, un addetto al campo dei minatori nord africani che lo aiuterà ad inserirsi all'interno della comunità francese. A Saint-Étienne ha quindi occasione di dipingere alcune sale ed una tempera al Cafè de la Paix in Place de l'Hotel de Ville, dove si trova una stanza dedicata ai giocatori di scacchi. Gli viene anche commissionata una tela, La bella Jolanda, per una importante gara di scacchi, inaugurata il giorno stesso della competizione. L'Espoir, il giornale della regione, pubblica due articoli con foto durante la presentazione del lavoro presso l'Echecs-club-Forézien alla presenza del presidente ingegnere generale di tutte le miniere della Loira e di Marsiglia signor Bonaze e con il signor Jacasson membro del club. Questa felice esperienza aiuterà il Bellomi a non lavorare più come minatore all'interno del pozzo destinandolo a lavori di superficie. Ritorna in Italia nel 1952 e l'attività di frescante in chiese e ville del veneto diviene intensa. Frequenta assiduamente lo studio di Dante Broglio fino alla morte di quest'ultimo. 123

Partecipa alle Quadriennali di Torino dove diviene socio della società promotrice di Belle Arti della stessa città, di Ravenna e alla Iª Mostra Nazionale d'Arte di Trieste (1952) dove le sue opere ottengono critiche positive. Continua incessante lo studio dei grandi maestri frescanti in particolare di Gian Battista Tiepolo e del figlio Domenico. Inizia nel 1959 e termina nel 1962 la produzione di un ciclo di affreschi presso la chiesa di Quaderni di Villafranca di Verona: Il convitto di Levi, i cinque affreschi sul soffitto ispirati ai Misteri del rosario, e La gloria di S. Matteo, 45 metri quadrati, primo lavoro sacro di vasta portata. Nel 1962 gli viene commissionata una pala d'altare per la chiesa dello Spirito Santo di Sottomarina di Chioggia (VE) e l'inaugurazione viene notificata con un articolo pubblicato anche sul quotidiano Avvenire. Durante i primi anni sessanta la produzione artistica si fa più intensa, molti sono anche i lavori di scultura: - bassorilievo in marmo sopra la porta d’ingresso della chiesa di S. Martino a Peschiera del Garda; - Ultima cena in bronzo, per la Congregazione dei Padri Servi della Divina Provvidenza; - busto del Senatore Uberti in bronzo, ora collocato presso la Hall del Municipio di Verona; - bassorilievo in bronzo Madonna col bambino per la cappella del Mericianum di Desenzano del Garda (BS). Illustra anche copertine e interni di alcuni saggi e testi di vario genere: commedie, libri biografici, studi storici, settimanali. Fino agli anni settanta sono moltissime le opere che esegue su commissione segnalate con note critiche positive, anche per il suo intenso lavoro come frescante, 124

su quotidiani veneti e nazionali. La sua pittura si distingue dagli autori del '900 per il forte richiamo alla tecnica dei grandi Maestri Rinascimentali, ma la resa è fresca e immediata sia nella peculiarità del tratto che nei soggetti narrati. Di questi anni ricordiamo: - Crocifissione (olio su tela, cm. 400 x 300) esposta nella Basilica di S. Anastasia per un concerto con in programma la Passione di S. Matteo di J. S. Bach, eseguito dal coro del Lehrergesangverein di Norimberga, direttore Antonio de Bavier, con pubblicazione sui quotidiani Avvenire e L’Arena. Dipinto commissionatogli dai Padri Comboniani per la Igreja Matriz de Montanha E.E.S. Brazil e attualmente ivi collocato. - Una composizione a tempera con tema la celebrazione della Pasqua ebraica in una villa privata della provincia di Verona. - Scenografia (tempera su tela, cm 450 x 240) raffigurante un Cristo crocifisso e ai piedi l'evangelista Giovanni, esposta nella basilica di S. Anastasia a Verona, durante l'esecuzione della Passione secondo S. Giovanni di J. S. Bach, direttore Antonio de Bavier con il coro di Norimberga e l'orchestra della Radio Cecoslovacca. - La Madonna ed il bambino (olio su tela) per il noviziato dei Padri della Divina Provvidenza (VR). - Cristo in bronzo esposto nell'agosto del 1967 nella cappella di S. Anastasia in Verona; opera che poi andrà nella chiesa di S. Giuseppe lavoratore di Desenzano (BS). - Serie di quattro grandi vetrate istoriate raffiguranti: l'Annunciazione e I sacrifici di Abramo e di Melchisedec ed un affresco per il nuovo altare nella chiesa di Azzano (VR). - Elegia per la morte di Gesù che diventerà la copertina di un testo teatrale: Il 125

dramma dell'amore di Gilio Baschirotto, edizioni Nigrizia. - Partecipa con due acqueforti Pietà (cm 27 x 27) e Apocalisse (cm 49,5 x 35) alla 7ª Biennale d'Arte sacra contemporanea, F. Motta Editore. - Per la Giornata Mondiale dei lebbrosi dell'anno 1966 a cura di Raul Follereau, gli viene commissionato un lavoro a tempera riprodotto su francobolli, cartoline e manifesti. - Nel 1969 esegue un'opera ad encausto per la nuova sede dei vigili del fuoco della città di Verona. Questo lavoro, di circa dieci metri quadrati, racconta il generoso intervento dei vigili del fuoco veronesi nelle zone terremotate della Sicilia. Nota critica riportata sul Il Gazzettino. Negli anni settanta iniziano i viaggi e le prime esposizioni. Parallelamente agli affreschi, alla scultura e all'incisione, inizia una grande produzione di paesaggi a cavalletto en plein air. Queste opere sono dei veri propri taccuini di viaggio di paesi come Olanda, Spagna, Germania, Normandia e Bretagna. I paesaggi hanno un nuovo sapore coloristico: quelli olandesi sono avvolti da una luce diafana tra i vapori di una terra umida, con una prospettiva essenziale, quelli spagnoli sono ricchi di materia cromatica che gioca moltissimo sull'uso dei complementari e del controluce. Nascono tele di notevole tecnica e freschezza espressiva: Fiori della Mancia, Scogliere della Bretagna, Saint Vaast la Hougue con la bassa marea, Piana di Salobreña, Algeciras, Il pozzo Couriot, Dintorni di Monaco. Tra le mostre personali più importanti degli anni settanta ricordiamo: - Verona: presso la Galleria Ghelfi alla presenza del senatore Dal Falco con note critiche di Luigi Ceolari e articoli sul Gazzettino e su L’Arena; - Benevento: presso l'Ente Provinciale per il Turismo (1971), con note critiche sul 126

catalogo del prof. Mario Rotili e articoli su il Mattino, Roma, Verona Fedele, Messaggio d'oggi. - Una rassegna dedicata alla Spagna, presso l'Istituto Culturale spagnolo di Napoli (1979) con note critiche di Licisco Magagnato e alla presenza del console generale di Spagna Carlos de la Presilla. Un suo quadro, La mia gente, viene acquistato e collocato nella sala di lettura del Museo del Sannio di Benevento, dove si trova attualmente. É presente all'esposizione del 1976: Grafica veronese del '900 con l'acquaforteacquatinta Il vitello d'oro, presso la Gran Guardia di Verona. Nel 1973 diviene professore della prima cattedra di pittura presso l'Accademia di Belle Arti G. B. Cignaroli di Verona e, un paio d'anni dopo, membro accademico. Inizia a collaborare come insegnante, presso la casa dei Buoni Fanciulli dell'Istituto Don Calabria dove avvia una serie di attività che vanno dalla ceramica, con modellazione e cottura, all'incisione e alle più svariate tecniche pittoriche, per i ragazzi che frequentano l'istituto. Produrrà anche per le riviste L'Amico e Noi Economi una serie di articoli di carattere estetico. Di questi anni sono: - un manifesto per l'Anno Zenoniano; - due affreschi di grandi dimensioni presso una villa privata nella provincia di Verona: Bacco e Arianna e i Riti vendemmiali. La tecnica usata è quella degli affreschi antichi lisciata a marmorino con esecuzione totale della sinopia direttamente sull'arricciato, 1974; - esecuzione di un busto in bronzo dell'avvocato Arturo Frinzi per la Società Autostrade Serenissima, 1972; - esecuzione di un affresco nella villa Calabrese in provincia di Verona dal tema Il mercato arabo (m. 4 x 2), di una testa di leone per la fontana del giardino e di un 127

camino artistico scolpiti in marmo rosa del Portogallo sempre per la stessa villa, 1974. Oltre ai paesaggi, in questi anni Bellomi dipinge molte tele e tavole raffiguranti nature morte e ritratti dove appare preminente la ricerca di un approfondimento della propria poetica artistica. Si ricordano Ritratto del conte Gaspari nella collezione Bonetto e ritratto La contessa nella collezione Bryan & Scott Colorado USA, pieni di drammaticità nel segno e di penetrante scavo psicologico. Tematiche come le sofferenze umane causate dalla disuguaglianza sociale e dalle guerre diventano motivo conduttore di opere come Ballata tragica un olio su carta incollata su cartoncino, di grande impatto emotivo, dove il cromatismo è deciso dai toni grigi e blu, pubblicata nei cataloghi degli artisti del Veneto per le edizioni Arti Grafiche Ve-Ma-Milano1973 e anche ed. Editrice Tacc – Roma, 1974. Nello stesso periodo vi è una grande produzione di pastelli su carte tinte preparate da lui stesso. Questo mezzo rapido, a metà strada tra il disegno e la pittura, gli permette una resa non priva di una violenta icasticità. La grande tela a olio Flamenco (cm. 170 x 110) del 1978, esposta alla Gran Guardia di Verona nel 1982, rappresenta la sintesi del tema Trasmigrazione dei miei personaggi. Giocolieri, cantastorie, uomini semplici e cavalieri, sono i protagonisti di questo filone che nel corso degli anni si arricchirà di figure tra il mitologico e il biblico in un viaggio immaginario fra le vicende più significative della vita dell'autore; tema che riapparirà in alcuni momenti della produzione bellomiana intersecandosi con l'altro tema della “Nuova Forma”. Importante diventa anche l'attività di incisore: Maternità (acquaforte, 1975) e Cavalli (acquaforte, 1976) sono presenti nelle ed. Fiorini, in libri d'arte a tiratura limitata per collezionisti. Un'altra opera: Il fuoco dei nomadi (cm. 50 x 70, 1974), acquaforte di notevole 128

sensibilità è un capitolo significativo del tema “Trasmigrazione dei miei personaggi” e l’acquaforte Madonna della pace del 1979 è oggi proprietà del Vaticano. Nel 1980 la casa tedesca di prodotti cosmetici Wella produrrà una serie di piatti a tiratura limitata di 5000 esemplari per l'Europa: Il fascino dell'acconciatura nei secoli, dipinti da Federico Bellomi. Gli anni '80 lo vedono impegnato in una notevole produzione frescale anche se mantiene viva l'opera a cavalletto en plein air durante i viaggi in Italia, Francia e Portogallo. Esporrà, nella rassegna Arte Verona 1982: Flamenco (cm. 170 x 110), e la tavola La casa rossa, (cm. 90 x 70) un paesaggio della provincia di Ravenna giocato sul contrasto cromatico fra il frastagliato primo piano di un campo di mais e la tonalità piatta e intensa del muro rosso della casa (collezione Bonetto). Inizia anche una nuova produzione grafica dove gli studi per le opere di grandi dimensioni si arricchiscono di una tecnica particolarissima e raffinata: accanto al segno tracciato con il pennino a inchiostro e alla tempera di caseina lattica, l'artista utilizza la biacca, le terre e, per alcune particolari tonalità e geometrie, caffè e vino. Questa nuova tecnica tra pittura e disegno, di notevole impatto, si prolungherà fino alle sue ultime opere. Nel maggio del 1981 elabora una cartella di otto litografie a uno o più colori, a mano, in occasione del 30° di Fondazione dell'Opera don Calabria di Milano; di tale cartella sono state stampate 240 copie numerate e firmate dall'autore. Nello stesso mese tiene una serie di lezioni specifiche agli allievi dei corsi per Periti in Arti Grafiche. Inoltre questo istituto scolastico gli commissiona una Pietà in bronzo collocata poi, in sede. L’artista conduce, dal 1980 al 1982, una serie di puntate per l'emittente televisiva 129

Telepace intitolate Dal disegno alla pittura. Per il Comune di Verona realizza il manifesto per il Grande Gioco 1982, tempera su cartone. Esegue per l'abitazione Bonetto di Badia Polesine, due tempere di caseina lattica Il pittore e la modella, La lettura (cm. 70 x 70 ciascuno) 1983, con pubblicazione in Le pitture murali, l'edilizia civile a Lendinara e Badia Polesine, ed. Marsilio, Venezia, 1999. Per la chiesa parrocchiale di Quaderni (Villafranca - VR) compone due nuovi affreschi Cristo nuovo Adamo e Promessa eucaristica a Cafarnao nelle pareti laterali ante presbiterio e ridipinge interamente il catino absidale dal tema Gloria di S. Matteo (eseguito nel 1960) senza l'uso dei cartoni preparatori, ma direttamente in parete come vent'anni prima. Nel 1984 - 1985 presso la Antica Locanda Mincio a Borghetto di Valeggio sul Mincio (VR), dove Bellomi aveva già eseguito nella sala dei velieri alcuni affreschi negli anni '60, dipingerà il Polittico Bertaiola. I temi sono: L'incontro di Attila con il Papa Leone Magno, Le vicende del fiume Mincio e, sulla parete opposta, il Mito di Margherita. Nelle vesti di Virgilio poserà il giornalista Indro Montanelli. Questo lavoro viene documentato nel 1985 con servizi della RAI: Rai 1 e Rai 3 Lombardia. Un breve e sintetico catalogo della University of Santa Clara-California (docenza di filologia romanza) riproduce nel 1985 e 1986 un particolare di questo Polittico. Tiene all'Institut International d'Etudes Européennes Antonio Rosmini (BZ) un intervento su Soggettività ed oggettività dell'arte pubblicato negli atti del volume Correnti filosofiche ed esperienze nell'arte di oggi; in questa sede avviene l'incontro con il filosofo francese Jean Marc Trigeaud che diverrà narratore estetico delle opere di Quaderni e Borghetto citandole nel saggio De l'universalité de la justice en 130

Europe. Un particolare del Polittico Bertaiola, Attila, diverrà la copertina dei volumi I e II del trattato di filosofia Humanisme de la liberté et philosophie de la justice, di J. M. Trigeaud ed. Biere Francia. Diviene membro della Commissione di Arte Sacra della diocesi di Verona dagli anni '80 fino al 2010. Di questi anni '80 sono anche: - 14 rosoni di vetrate istoriate a fuoco per la chiesa di S. Maria Maddalena, Dossobuono (VR); - vetrata Casa Perez, Ospedale dell'Opera don Calabria Negrar (VR); - Resurrezione, tempera su tavola, cappella dell'Ospedale don Calabria, Negrar (VR); - Andiamo alla casa di Jahvè, tempera su tavola, collezione Pecchiol, Villafranca (VR); - Migrazione dei miei personaggi, tempera su tavola cm. 365 x 130, collezione Dolci, Verona; - serie di tempere per la chiesa di S. Pietro Incarnario (VR); - due vetrate istoriate a fuoco e lavorate a piombo Vita agreste e Il pittore e la modella, presso la propria abitazione. Nel 1991 dipinge, per la farmacia Bonetto di Badia Polesine (RO), un soffitto basato su temi della farmacopea narrati attraverso la mitologia classica e i simboli fluviali del luogo; quest'opera caratterizza e definisce una svolta estetica di grande impegno. Pubblicata su: Pitture murali l'edilizia civile a Lendinara e Badia Polesine ed. Marsilio, 1999, Venezia. Continua la produzione di grandi vetrate istoriate a fuoco e lavorate a piombo: - trittico Caserma Duca di Verona con le figure di S. Cristoforo, S. Martino di Tours 131

e S. Barbara; - cappella della casa di riposo di Oppeano (VR), tre vetrate raffiguranti La carità, S. Marcello, La colomba dello Spirito Santo; - chiesa parrocchiale di Quinzano d'Oglio (BS) nove vetrate raffiguranti: Natività, Nozze di Cana, Lavanda dei piedi, Cena di Emmaus, Pietà, Resurrezione, Pentecoste, Giudizio finale, Cristo Pantocràtor, con pubblicazione sul libro La chiesa parrocchiale dei Santi Faustino e Giovita - Quinzano d'Oglio ed. CSG, Bagnolo Mella (BS). Sono di questi primi anni novanta innumerevoli studi preparatori e progetti eseguiti a sanguigna, guazzo, penna e tempera per la sua opera monumentale Arbor Redemptionis, lavoro che inizia nel 1995 sulla grande parete. Inoltre, sempre in questi anni, decora il soffitto di villa Angelina di proprietà Mazzi (VR) ed esegue una tempera su pannelli telati, presso la villa Ferri Negrar (VR), dal tema Vita agreste e giochi della fanciullezza. Nel 1995 esegue un monumento in bronzo in cui viene ritratto don Adolfo Scolari collocato nel piazzale antistante la chiesa di S. Zeno di Colognola ai Colli (VR). In concomitanza con i corsi di affresco tenuti presso l'Accademia G. B. Cignaroli di Verona, tiene stage di affresco nel 1996 e nel 1997 all'Ecole d'Arte Chrétien Maison Saint-Jean le Bourg, Cenves, Macon in Francia. In quell'occasione conosce Padre Marie-Dominique Philippe fondatore della Communauté Saint-Jean (Francia), dove terrà nel 1997 un insegnamento artistico ad indirizzo sacro destinato agli allievi del convento. Nel maggio 1998 la ditta di colori Dolci organizza a Verona quattro giornate di studio con l'associazione francese Terres et Couleurs con relativo catalogo nel quale sono presenti alcune opere scultoree di Federico Bellomi e riportate le prime notizie relative all'opera di 240 mq. Arbor Redemptionis. 132

Durante gli anni di esecuzione della grande tempera di caseina lattica Arbor Redemptionis si susseguono le visite di molti studiosi e artisti, tra questi il prof. J. Lacroix del Centre Culturel de Waterloo di Bruxelles che terrà una lezione sull'opera con pubblicazione dell'evento sul quotidiano L'Arena. Nell'estate del 2000 Federico Bellomi si reca negli USA, a Boise (Idaho) per uno stage di affresco destinato a un gruppo di trenta artisti americani. Durante lo stage viene realizzata un'opera in parete tratta dalle Metamorfosi di Ovidio avente come tema il mito di Aci e Galatea (cm. 540 x 400) presso la casa del regista americano Michael Hoffman. Sempre in questo anno esegue una Crocifissione, tempera di caseina lattica su tavola (cm. 122 x 179) per la biblioteca Capitolare di Verona. Nel 2001 continuano gli stage in Francia, Svizzera e Italia di affresco che termineranno nel 2009 pochi mesi prima della sua morte avvenuta nell'aprile del 2010. Arbor Redemptionis iniziata in parete nel 1995 rimane la sua maggiore opera monumentale, essa è collocata nel transetto laterale destro della chiesa di Sant'Anna di Lugagnano di Sona (VR), opera documentata con servizi realizzati da Rai Tre, Telepace e Chaine trois di Parigi e con numerosi articoli sui quotidiani Osservatore Romano, L'Arena e sul settimanale Avvenire. Per il 30° anniversario dell’associazione Veronesi nel Mondo, eseguirà il nuovo logo. Notevole è anche il lavoro svolto come esperto nell’analisi di opere storiche, realizzando numerose expertise per enti privati e pubblici, come membro di varie commissioni tecnico artistiche, come critico d’arte e saggista. Nel 2002 Federico Bellomi riceve dalla Camera di Commercio Industria, Artigianato e Agricoltura di Verona la medaglia d'oro per la sua intensa attività 133

artistica e nel 2009 il comune di Colognola ai Colli gli conferirà il premio Columna per la cultura. Da grande esperto e studioso delle tecniche degli antichi ha eseguito le sue opere usando materiali naturali: terre, ossidi, colle, vernici, allo scopo di produrre lavori di alta qualità destinati a durare nel tempo.

MOSTRE POSTUME Galleria Incorniciarte, Verona Lo sguardo di un pittore: appunti di bellezza 17 marzo - 14 aprile 2012. Con il patrocinio dei comuni di: Verona, Colognola ai Colli, Villafranca, Sona. Sede Museale di San Giorgetto - Verona Cartoni e studi per affreschi 16 - 30 giugno 2012. Con il patrocinio del comune di Verona. Galleria Arianna Sartori - Mantova Antologica: dipinti, sculture e grafica 1 - 20 settembre 2012. Comune di Colognola ai Colli (VR), sala consigliare Amor senza confini: opere sacre e studi per dipinti monumentali sacri 17 - 20 maggio 2013. Con il patrocinio del comune di Colognola ai Colli. Galleria d'Arte BCM - Barcellona (Spagna) Mostra Internazionale d'Arte Contemporanea Art Barcellona 2013. ARTECAPRI 2013 - Galleria Anacapri, via S. Nicola 4 Anacapri (Na), 3 - 10 134

settembre 2013. XVIII Concorso d’Arte Nazionale Saturarte 2013 - Genova - Palazzo Stella, 14 - 28 settembre 2013. L’Arte a MACEF - Fiera di Milano-Rho, 12 - 15 settembre 2013, padiglione 13, modulo M01. ARTEPADOVA - PADOVAFIERE - 24ª Mostra Mercato d’Arte Moderna e Contemporanea, 15 - 18 novembre 2013. Casa Museo Sartori Donna fonte ispiratrice d'arte, 9 marzo - 13 aprile 2014. Castel d'Ario (MN). Chiesa inferiore di San Fermo maggiore Verona, 29 aprile 2014, Federico Bellomi pittura murale conferenza a più voci relatori: prof. Rodolfo Signorini - storico e conservatore del museo di palazzo d'Arco (MN); prof. Giovanni Migliorini assessore alla cultura del comune di Colognola ai Colli (VR). Con il patrocinio del comune di Verona. Abbazia di Santa Maria della Vangadizza, sala Soffiantini, Badia Polesine (RO), Esterno/Interno 27 - 29 giugno 2014. Con il patrocinio del comune di Badia Polesine (RO). Casa Museo Sartori L'arte italiana dalla terra alla tavola, 19 aprile - 31 maggio 2015. Castel d'Ario (MN). Sala civica comune di Lazise (VR), Federico Bellomi, Impressioni di un'artista, 31 luglio - 6 agosto 2015. Con il patrocinio del comune di Lazise (VR).

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BIBLIOGRAFIA su FEDERICO BELLOMI AA.VV., Arbor Redemptionis – ovvero La Storia della Salvezza, il grande affresco di Federico Bellomi a Lugagnano, Edizioni il Baco da Seta, 2005. BELLOMI Federico, Oggettività e soggettività nell'arte, in AA.VV., correnti filosofiche ed esperienze nell'arte di oggi - rencontre 1983 - Institut Interbational d'Etudes Europeennes "Antonio Rosmini" Bolzano, 1983 pp. 73-80. BELLOMI Federico, La vetrata di casa Perez, Stamperia Valdonega, verona, 1988. BELLOMI Francesco e CERPELLONI Patrizia, (a cura di) Lo sguardo di un pittore, appunti di bellezza, Verona, 2012. ASSOCIAZIONE FEDERICO BELLOMI ARTISTA, (a cura di) Esterno/Interno, Badia Polesine, 2014. MESSALI Bruno, (a cura di) La chiesa parrocchiale di san Faustino e Giovita – Quinzano d'Oglio, GGS, Bagnolo Mella (BS), aprile 200, pp. 98-111. OCCHI Francesco e GARAU Paolo, Sona – Appunti di storia, CereaBanca1897, 2009, p. 112. REALI Roberta, le pitture murali. L'edilizia civile a Lendinara e Badia Polesine, Venezia, Marsilio, 1999, pp. 191-196 SARTORI Arianna, (a cura di) Catalogo Sartori d'arte moderna e contemporanea, Archivio Sartori Editore, Mantova, 2013. SARTORI Arianna, (a cura di) Catalogo Sartori d'arte moderna e contemporanea, Archivio Sartori Editore, Mantova, 2014. SARTORI Arianna, (a cura di) Donna, fonte ispiratrice d'arte, Archivio Sartori Editore, Mantova, 2014. SARTORI Arianna, (a cura di) L'arte Italiana dalla terra alla tavola, Archivio Sartori Editore, Mantova, 2015. SIGNORINI Rodolfo, Procumbe viator. Papi nel mantovano e a Mantova e la disputa sul "Preziosissimo Lateral Sangue di N. S. G. C.", in Storia e arte religiosa a Mantova. Visite di Pontefici e la reliquia del Preziosissimo Sangue. Palazzo

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Ducale, 9 giugno-21 luglio 1991. Casa del Mantegna, Mantova, in collaborazione con la Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno e Ancona, Tip. Commerciale Coop., p.15, fig. 8: Federico Bellomi, L'incontro fra Attila e Leone I (cm 216x251. Borghetto di Valeggio sul Mincio (Verona), "Antica Locanda Mincio" ). TRIGEAUD Jean-Marc, Una pittura dell'attesa – tendenze della “nuova forma” nell'estetica di Federico Bellomi da Quaderni alla Antica Locanda Mincio, Blurb, 2014.

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SITOGRAFIA WIKIPEDIA: http://it.wikipedia.org/wiki/Federico_Bellomi ACADEMIA.EDU: https://independent.academia.edu/FedericoBellomiPittoreScultore SITO WEB 1:https://sites.google.com/site/federicobellomipittorescultore/ SITO WEB 2: https://sites.google.com/site/federicobellomicatalogoopere/ FACEBOOK: https://www.facebook.com/federico.bellomipittorescultore FOTO DI OPERE 1: https://picasaweb.google.com/113329101060291120240 FOTO DI OPERE 2: https://picasaweb.google.com/115773125058091486538 FOTO DI OPERE 3: https://picasaweb.google.com/110500200349787129026 FOTO DI OPERE 4: https://picasaweb.google.com/115838467336115394622 YOUTUBE 1: https://www.youtube.com/user/federicobellomi/videos YOUTUBE 2: https://www.youtube.com/user/vexations1960 VISITA GUIDATA ALLE OPERE dI Lugagnano, Quaderni, Borghetto: http://veronacityguide.it/travel/in-ricordo-di-federico-bellomi/ COMUNE DI SONA (VR): http://www.comune.sona.vr.it/zf/index.php/serviziaggiuntivi/index/index/idservizio/20053/idtesto/557 ART & DOSSIER: http://www.artonline.it/info.php?vvu=50&pud=5309 DOLCICOLOR: http://www.dolcicolor.it/gallery.asp?idCat=153&viewLevel=1

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INDICE Saluto del Sindaco e Assessore

pag. 5

Prefazione di Rodolfo Signorini

pag. 8

Dipinti a olio

pag. 18

Tempere

pag. 32

Pastelli e varie tecniche su carte tinte

pag. 40

Cartoni per Arbor Redemptionis

pag. 50

Guazzi e studi per pitture murali

pag. 54

Colognola ai colli nelle opere di Federico Bellomi

pag. 72

Bellomi o il mistero dell'essere di Jean-Marc Trigeaud

pag. 101

Modi di lavorare di Federico Bellomi di Francesco Bellomi

pag. 110

Federico Bellomi: un dono del Mistero che educa al Mistero di Stefano Peretti

pag. 118

Nota biografica e storica a cura di Patrizia Cerpelloni

pag. 122

Mostre postume a cura di Patrizia Cerpelloni

pag. 134

Bibliografia a cura di Patrizia Cerpelloni

pag. 136

Sitografia a cura di Patrizia Cerpelloni

pag. 138

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