To believe or not to believe: la credenza a confronto tra C.S. Peirce e B.Russell

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE STORICHE E DEI BENI CULTURALI

Corso di laurea in Studi Umanistici

TO BELIEVE OR NOT TO BELIEVE: LA CREDENZA A CONFRONTO TRA C.S.PEIRCE E B.RUSSELL

Relatore Ch.mo Prof. Giuseppe Varnier

Candidata Chiara Corona Matricola 034094

Anno Accademico 2013/2014

Ad Adolfina, che in questi mesi mi ha insegnato che i gatti non sono quello che sembrano.

‘’Viens, mon beau chat, sur mon coeur amoureux; retiens les griffes de ta patte, et laisse-moi plonger dans tes beaux yeux, mêlés de métal et d'agate.’’ Charles Baudelaire – Le Chat

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Indice INTRODUZIONE ............................................................................................................................ 3 CAPITOLO 1 CREDENZA E PRAGMATISMO NEL PENSIERO DI C.S. PEIRCE ...................................... 7 1.LA CRITICA DELL’INTUIZIONE. ...................................................................................................... 7 1.1Peirce punta il dito contro i cartesiani. ......................................................................................... 7 1.2 ‘’You know my method’’: Peirce vs Sherlock Holmes. ............................................................... 13

2. IL VALORE DELL’INDICALITÀ NELLA REALTÀ PEIRCIANA. ........................................................ 16 2.1 Definizioni di indice: la New List, On the Algebra of Logic e i Prolegomena. .......................... 16 2.2 L’indicalità in rapporto alle categorie. ...................................................................................... 22 2.3 L’indicalità in rapporto alla proposizione e alla realtà. ............................................................ 25 2.4 L’interazione indice-icona-simbolo con l’oggetto...................................................................... 27

3.THE FIXATION OF BELIEF: L’ABITO E LA CREDENZA.................................................................. 32 3.1 Contro il soggettivismo, il dogmatismo, e l’apriorismo. ............................................................ 32 3.2 Metodo scientifico e realismo si implicano vicendevolmente ..................................................... 34 3.3 La sinfonia della vita intellettuale: l’abito e la massima pragmatica. ....................................... 36 3.4 La natura dell’abito: l’interpretante logico................................................................................ 39

CAPITOLO 2 BERTRAND RUSSELL: UN’ANALISI DELLA CREDENZA................................................. 41 1.L’ACQUAINTANCE E IL PROBLEMA DEI NOMI LOGICAMENTE PROPRI. ....................................... 41 1.1 Il concetto di acquaintance......................................................................................................... 41 1.2 Acquaintance con particolari e universali.................................................................................. 43 1.3I nomi logicamente propri: un’indicalità radicalizzata............................................................... 45

2.LA CREDENZA NEI PROBLEMS E I PROBLEMI CON L’INDUZIONE. ............................................... 46 2.1 Things should be what they seem: la teoria della credenza nei Problems.................................. 46 2.2 Un ‘’cervello da gallina’’........................................................................................................... 51 2.3 I problemi col mondo esterno. .................................................................................................... 52

3. IL MONDO ESTERNO E LA MENTE................................................................................................. 55 2.1 La costruzione logica della materia. .......................................................................................... 55 2.2 Il neutral staff. ............................................................................................................................ 56 3.3 Sensazione, immagine e credenza............................................................................................... 58 CONCLUSIONE ............................................................................................................................ 61 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI .............................................................................................. 64 2

Introduzione

Avere delle credenze ferme, che ci consentono di affrontare la vita quotidiana senza cadere nella “paranoia” o nello stato di dubbio continuo, credenze che si son radicate talmente in noi che spesso non ci accorgiamo neppure di averle, è un qualcosa di perfettamente naturale. Credere fermamente nel fatto che non possiamo attraversare la parete di una stanza e che invece dobbiamo passare attraverso la soglia della porta per spostarci da un interno della nostra casa all’altro ci consente di svolgere una vita sgombra dall’esistenza di demoni ingannatori, per non parlare dei probabili dolori fisici che ci causerebbero i tentativi di attraversare le pareti. Una di queste credenze naturali – forse istintive, reazioni sistematiche analoghe si trovano anche negli animali - sembra essere la convinzione che esista un mondo esterno. Uno scettico ci risponderebbe che non siamo giustificati a credere nel mondo esterno, o meglio, che non abbiamo una giustificazione razionale per essere certi di non essere dei cervelli in tinozza (la versione del demone ingannatore di Hilary Putnam, descritta nel libro del 1981 Reason, Truth and History).1 Avere delle credenze naturali è estremamente ragionevole, a meno che non ne venga provata l’inutilità. Il problema è delicato, dato che l’atteggiamento istintivo di non sbattere contro le cose solide è utile, la tesi filosofica forse no. Dal momento che noi siamo animali linguistici, istintivamente parliamo e pensiamo, e sembra proprio naturale che chiunque da sempre dica ‘’ci sono le cose solide e non ci si può passare attraverso’’ e forse anche ‘’la realtà esterna esiste’’. Allora se è naturale più che filosofico, sembra inutile sottolinearlo, a meno che tutti noi esseri umani non siamo almeno epistemologi in erba. Ma, dato che questo genere di credenze ci aiuta a muoverci nell’ambiente odierno e facilita la comunicazione con gli altri individui, appare totalmente irragionevole dubitarne costantemente a causa del dubbio iperbolico, in quanto porterebbe appunto a una sorta di “paranoia” o delirio, e all’impossibilità di fare affidamento su ciascuna cosa che ci circonda. La sfida maggiore per coloro che vogliono garantire la possibilità di 1

VASSALLO, Teoria della conoscenza pp.98-103 3

conoscenza del mondo esterno e che di conseguenza vogliono sostenere lo stabilirsi delle nostre credenze quotidiane come valido anche in filosofia, se non proprio fondamentale è rappresentata probabilmente dallo stabilire che cosa costituisca una ragione positiva di dubbio, e in che modo invece si debba e possa dubitare. Alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento, la corrente pragmatica e quella analitica hanno cercato di dare forti risposte in merito a questi problemi e i lavori di Charles Sanders Peirce e Bertrand Russell si collocano rispettivamente nella prima e nella seconda, anche se Peirce per il suo pensiero parlerà in seguito di ‘pragmaticismo’ proprio per distinguerlo dalla versione vulgata degli altri pragmatisti. Se da un lato Peirce è riconosciuto come uno dei padri fondatori della semiologia e della logica, d’altra parte bisogna considerare che all’interno dei suoi scritti principali si discutono molti problemi epistemologici, tra i quali spiccano il problema della filosofia cartesiana e l’analisi dello stabilirsi delle nostre credenze. L’opera di Bertrand Russell si colloca all’interno della corrente della filosofia analitica, alla quale ha dato grandissima propulsione e di cui è riconosciuto come uno dei padri fondatori con G.E.Moore. I suoi scritti hanno dato avvio a un modo completamente nuovo di rapportarci ai problemi filosofici e anche alla questione della credenza. Tale questione aveva preso una piega nuova in filosofia sostanzialmente a partire da Descartes. Il metodo del dubbio da lui introdotto infatti sembra aver operato in modo da distruggere gran parte delle nostre conoscenze, poiché se da un lato i nostri sensi talvolta ci ingannano, d’altra parte sembra che un soggetto cognitivo non possa eliminare neppure l’ipotesi del sogno e di conseguenza sia costretto a mettere in dubbio ogni conoscenza del mondo esterno. Se da Descartes in poi ciò che la filosofia sembrava mostrare era un conflitto tra senso comune e credenze su cui si può realmente far affidamento (in particolare nella scienza), Peirce e Russell si occupano di dare forte impulso all’utilizzo del metodo scientifico in filosofia, per far si che si costruisca un apparato di conoscenze rigoroso. Russell stesso riconosce la robustezza delle ipotesi scettiche, e nei Problems of Philosophy dirà che è plausibile, o meglio logicamente possibile, pensare che il mondo esista da cinque minuti o che potremmo effettivamente essere vittime dell’ipotesi del sogno. La forza dello scetticismo infatti risiede nel saperci presentare mondi doxasticamente identici a quello reale. Se, ad esempio, 4

fossimo dei cervelli in una vasca, potremmo avere le stesse identiche credenze che possediamo tutt’ora. Per lo scettico, per sapere che il mondo esterno esiste non basta vedere che sto sollevando una delle mie mani e dirlo nel frattempo, poiché non basta sapere che sto sollevando una mano, devo anche essere consapevole di non essere un cervello in una vasca. Sostanzialmente ciò che fa lo scettico è far leva sul principio di chiusura della conoscenza e modificare lo standard epistemico, alzandolo, senza fare una differenza tra contesto quotidiano e contesto filosofico. Analizzare la conoscenza dal punto di vista della definizione classica di essa significa doverlo fare in termini di credenza vera e giustificata. Nel 1963, Edmund Gettier ha mostrato quali problemi può portare una definizione di questo tipo, dato che questa sembra mostrare le condizioni necessarie, ma non sufficienti per poter dire che un soggetto conosce la verità di una proposizione.2 Dunque se la definizione classica resta incompleta, d’altra parte cercare di comprendere cosa sia una credenza vera e giustificata, o meglio quand’è che una credenza possa definirsi tale, ha permesso di fare grandi passi avanti nella teoria della conoscenza, e molti dei temi che sono tutt’ora fulcro di accesi dibattiti sono stati toccati da Peirce e Russell in un periodo di tempo molto ravvicinato, proprio nel tentativo di capire in che rapporto stiano le nostre credenze col mondo esterno. Charles Sanders Peirce nasce il 10 settembre del 1839 a Cambridge (Massachusetts), ed ha una formazione chimico-matematica. Nel 1868 pubblica sul Journal of Speculative Philosophy tre articoli sulla teoria della conoscenza. Appena quattro anni dopo fonda a Cambridge il Club Metafisico, circolo filosofico che vedeva tra i suoi partecipanti personaggi del calibro di William James e John Dewey. Probabilmente fu proprio questo circolo a dare alla luce il termine ‘pragmatismo’ anche se l’esperienza sarà di breve durata. Dopo aver insegnato e tenuto conferenze in varie università, nel 1884 Peirce venne espulso dalla Johns Hopkins University, per motivi ancora non del tutto chiariti. Da qui in poi riuscirà a guadagnarsi da vivere soprattutto grazie ad alcune conferenze e pubblicazioni procurategli dall’amico William James. Morirà pressoché dimenticato nel 1914.3 Nello stesso anno in cui Peirce fondava il Club Metafisico, in un piccolo centro del Galles nasceva Bertrand Arthur William Russell, la cui carriera è sicuramente ben più nota, ma del quale è qui funzionale ricordare l’episodio 2 3

GETTIER, Is Justified True Belief Knowledge? http://fitelson.org/proseminar/gettier.pdf R.F.LEO, Introduzione a Peirce 5

dell’incontro con la filosofia di William James, che nel 1904 aveva pubblicato gli articoli Does Counsciousness Exist? e A World of pure experience. Russell venne a contatto con questi articoli, e con la posizione di James nota come ‘monismo neutrale’ alla quale farà direttamente riferimento in particolare nella pubblicazione del 1921 The Analysis of Mind, dopo la svolta dall’epistemologia e verso il naturalismo del 1919-1920.4 Sebbene da un lato William James rappresenti un punto di contatto tra l’operato di Peirce e quello di Russell, sembrerebbe proprio che i due filosofi non si siano mai conosciuti direttamente né abbiano preso spunto l’uno dal pensiero dell’altro. Accostare i loro pensieri può tuttavia essere molto utile nel tentativo di comprendere in che modo si debba affrontare il problema del rapporto tra le nostre credenze e la realtà. Entrambi trattano alcuni problemi attraverso cui l’analisi filosofica deve necessariamente passare per cercare di salvare quanto più possibile delle nostre credenze sul mondo esterno, e tentano di far fronte ai problemi posti dalla filosofia cartesiana e dal dubbio. L’intento del mio elaborato è mettere in rilievo come il loro pensiero abbia dei punti in comune, e si sia rivelato fondamentale nel cambiare il metodo di approccio alle credenze, e dare alcune nuove risposte ai problemi posti dalla filosofia cartesiana all’origine del pensiero moderno.

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DI FRANCESCO, Introduzione a Russell 6

Capitolo 1 Credenza e pragmatismo nel pensiero di C.S. Peirce. 1.

La critica dell’intuizione.

1.1

Peirce punta il dito contro i cartesiani.

Tra il 1868 e il 1869, un Charles Sanders Peirce appena ventinovenne pubblicava tre saggi sul . I titoli di questi saggi erano: Questions Concerning Certain Faculties Claimed for Man, Some Consequences of Four Incapacities e Grounds of Validity of the Laws of Logic. I tre saggi vengono definiti come ‘’anti-cartesiani’’ in quanto in questi il filosofo Americano si proponeva di muovere delle forti critiche all’intuizionismo. Le domande che Peirce si poneva erano di questo genere ‘’si da possibilità di intuizione? Vi è qualcosa come un oggetto esterno alla coscienza, direttamente percepibile? Si danno impressioni immediate? Si da una facoltà di apprensione intuitiva del sé?’’5 (Russell, fino al 1916-17, crederà che si dia un’introspezione diretta del self.) Le risposte, come le preannunciamo qui, riguardano il fatto che non abbiamo alcun potere di introspezione, bensì tutta la conoscenza ci deriva per ragionamento ipotetico dai fatti esterni; che non abbiamo alcuna capacità di intuizione ma ogni cognizione ci deriva da cognizioni precedenti; che non abbiamo alcuna capacità di pensare senza i segni e che non abbiamo alcuna nozione dell’assolutamente inconoscibile. Vedremo ora in che modo Peirce le raggiunge andando ad analizzare le Questions e le Consequences6. Questions Concerning Certain Faculties Claimed for Man è articolato in sette domande, in una forma espositiva che, come fa notare Sini, ‘’ricalca quella degli scritti scolastici’’7. Come abbiamo accennato sopra, il primo punto riguarda il non avere potere di introspezione, conclusione a cui si arriva tramite un’analisi dell’intuizione. Il problema dell’intuizione viene posto da Peirce secondo due 5

R.F.LEO, Introduzione a Peirce, pag. 14 Per spiegare la struttura di questi due saggi ho trovato opportuno fare riferimento all’analisi di C.SINI, Il Pragmatismo Americano, Laterza, Bari, 1972 pp.139-150 7 Ivi pag 139 6

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aspetti: il primo aspetto riguarda strettamente il problema dell’avere un’intuizione, il secondo riguarda il rendersi conto intuitivamente di aver avuto un’intuizione, o meglio, posto anche che possiamo effettivamente avere delle intuizioni in senso cartesiano, l’averle avute è conosciuto tramite intuizione o tramite inferenza? Se noi rispondiamo affermativamente alla domanda circa l’intuitività, dice Peirce, è solo perché ci sembra di possedere tale ipotetico potere. Infatti, è vero che se lo possediamo i filosofi non perderebbero tutt’ora tempo a disputare in maniera accanita su cosa costituisca un’intuizione e cosa no. Scrive Peirce:

Ma non c’è nessuna prova che abbiamo questa facoltà, eccetto che ci sembra di sentire di averla. Tuttavia il peso di questa testimonianza dipende interamente dal fatto che si suppone che abbiamo il potere di distinguere in questo sentire se esso sia il risultato di educazione, vecchie associazioni, etc. […] Questo modo di sentire è infallibile? E questo giudizio che lo riguarda è infallibile?8

Peirce va avanti apportando alcuni esempi di conoscenze che si danno come intuitive in maniera scontata, ma che di fatto non lo sono. Un bambino difficilmente ci saprà dire come ha appreso qualcosa, ci risponderà sempre di averlo saputo, sicuramente non saprà distinguere tra una conoscenza appresa per intuizione e una conoscenza appresa grazie ai genitori. E ancora, prima che Berkeley nel 1709 dimostrasse la sua nuova visione, tutti pensavano che la terza dimensione dello spazio fosse intuita. Dopo questi due, Peirce riporta un terzo esempio che può essere verificato in qualsiasi momento:

Il lettore sa che sulla retina c’è il punto cieco? Prenda un fascicolo di questa rivista, giri la copertina in modo da avere davanti la pagina bianca, ponga il fascicolo di lato sul tavolo e metta sul foglio due monete: una vicino al margine sinistro e l’altra vicino al destro. Copra l’occhio sinistro con la mano sinistra, e tenga ben fisso l’occhio destro sulla moneta di sinistra. Poi con la mano destra muova la moneta di destra (che ora è facilmente visibile) verso sinistra. La moneta, quando sarà vicina a metà pagina, sparirà: il lettore non potrà vederla senza girare l’occhio. La porti più vicino all’altra moneta o più lontano e riapparirà; ma in quel punto particolare non la potrà vedere. E dunque c’è un punto cieco nel mezzo di qualsiasi retina; e ciò è confermato dall’anatomia. 9

8

C.P. 5.214, i C.P. cui faccio riferimento sono alcuni dei Collected Papers of Charles Sanders Peirce tradotti in C.S.Peirce, Opere, a cura di M.Bonfantini, Bompiani, Milano, 2003 9 C.P. 5.220 8

Un semplice esperimento, insomma, mostra che sulla nostra retina c’è un punto cieco a cui non corrisponde però un ‘’buco’’ nel campo visivo, in quanto il nostro cervello integra i dati sensoriali. Peirce fornisce anche altri esempi più strettamente scientifici per mostrare come gli uomini scambino le intuizioni per ciò che non sono, dimenticando i gradi di formazione di una conoscenza, e inoltre scambino ciò che è ‘’familiare’’ con ciò che è ‘’intuitivo’’. Dopo aver apportato vari esempi di questo tipo, Peirce sposta l’attenzione su un caso in cui sembra si possa parlare di conoscenza intuitiva vera e propria, ed è il caso dell’autocoscienza, della conoscenza di noi stessi. Il problema che si pone è: come arriviamo a questa conoscenza? In maniera immediata, e cioè intuitiva, o in virtù di conoscenze precedenti, e cioè in modo mediato? Peirce risponde che anche questo è un tipo di conoscenza mediata da altre conoscenze, e cita in proposito un esempio dalla psicologia infantile:

Bisogna innanzitutto osservare che nei bambini molto piccoli non c’è cioè autoconsapevolezza. E’ già stato osservato da Kant che l’uso tardivo della comunissima parola indica nei bambini un’autocoscienza imperfetta […] D’altronde i bambini manifestano capacità di pensiero molto prima di dire […] La complicata trigonometria della visione, e i

delicati

aggiustamenti

di

movimento

coordinato,

sono

chiaramente

padroneggiati

prestissimo.[…] Capita spesso di vedere bambini che osservano il proprio corpo […] solo ciò che toccano ha un senso reale e presente. Si sa bene che un bambino quando avverte un suono, non pensa a se stesso che ascolta, ma alla campana o a quel che suona. 10

Dunque, un po’ per volta, il bambino acquisisce consapevolezza di ciò che lo circonda. Cosa avviene in seguito? Successivamente, avviene che ‘’il bambino impara a comprendere il linguaggio; cioè stabilisce nella sua mente una connessione tra certi suoni e certi fatti’’ 11. Sostanzialmente, attraverso l’apprendimento del linguaggio si ha un salto, in quanto l’infante apprende che il suo corpo si chiama con un determinato nome. Con vari sforzi, che gli consentono dapprima di emettere soltanto dei suoni, egli impara a comunicare, e a questo punto avviene un’importante punto di svolta poiché egli apprende che ‘’ciò che gli viene detto costituisce l’evidenza migliore, più alta rispetto ai fatti’’12. Il bambino apprende ciò in una maniera

10

C.P. 5.227-5.230 C.P. 5.232 12 C.SINI, Il pragmatismo americano, pag.141 11

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abbastanza determinante, ovvero andando incontro a vari errori. Un bambino sente dire che la stufa è calda, ma non ci crede, allora tocca la stufa e scopre, in maniera dolorosa che la testimonianza riportatagli è confermata. Peirce mostra che in questo modo il bambino diventa consapevole dell’ignoranza, ed è necessario supporre un sé (self) fallibile per capire questo. E’ proprio questo prender nozione della propria ignoranza che costituisce la prima apparizione di ciò che chiamiamo ‘’autocoscienza’’:

Così egli giunge alla concezione dell’apparenza come attualizzazione del fatto, la concezione dell’apparenza come qualcosa di privato e di valido solo per un corpo. Insomma compare l’errore, ed esso può essere spiegato solo supponendo che un io sia fallibile. L’ignoranza e l’errore sono tutto ciò che distingue i nostri io privati dall’ego assoluto dell’appercezione pura. […] sappiamo che i bambini, giunti alla fase dell’autocoscienza, sono consapevoli dell’ignoranza e dell’errore; e sappiamo che a quell’età posseggono capacità di comprensione sufficienti a metterli in grado di inferire dall’ignoranza e dall’errore la loro propria esistenza. Così troviamo che facoltà note, quando agiscono in condizioni note, portano all’autoconsapevolezza’

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Ciò che Peirce è disposto a concedere ai cartesiani è che è vero che siamo più certi della nostra esistenza che di qualsiasi altro fatto, ma d’altra parte è falso che dai fatti non possa essere inferita la nozione di autocoscienza. Un fatto attestato, acquista maggiore attendibilità se si va oltre la mera testimonianza soggettiva. Per sostenere ciò egli apporta come esempio il caso che ci siano una dozzina di persone che testimonino un certo evento. In questo caso, la condizione di veridicità in noi sarebbe sempre più forte che se rapportata ad ogni singola testimonianza. Il fatto attestato, infatti, diventa più attendibile di uno degli uomini qualsiasi presi singolarmente. Peirce mette in parallelo questo esempio con ciò che avviene per la nostra coscienza di sé:

Allo stesso modo, per la mente umana sviluppata, la sua propria esistenza è attestata da ogni altro fatto ed è, perciò, incomparabilmente più vasta di uno qualsiasi di quei fatti preso singolarmente. 14

Dunque, se l’autocoscienza può essere inferita, non ci sono motivi di supporre un’autocoscienza intuitiva. Russell, nel libro del 1912, The Problems of

13 14

C.P. 5.234 – 5.236 C.P 5.237 10

Philosophy, suppone che l’inferenza alla spiegazione migliore, o per usare un termine di Peirce, l’abduzione, circa gli oggetti fisici, avvenga istintivamente, come un modo per spiegare il divario tra l’aspetto teorico della realtà fisica e le nostre inclinazione immediate ed apprese. Russell spiega ciò in termini di filosofia del linguaggio: agli oggetti di questo genere non ci riferiamo direttamente, ma tramite descrizioni. Dal ’14 in poi ricorrerà all’idea di Whitehead di costruzione logica: gli oggetti sono conosciuti realmente, ma inferiti nella loro realtà indirettamente, e la certezza circa il self la spiegherà ancora più tardi, adottando anche per quanto riguarda quest’ultimo l’idea di costruzione logica. Ora, un’ altra distinzione importante in Peirce è quella tra ‘’fatti esterni’’ (reali e oggettivi) e ‘’fatti interni’’ (completamente soggettivi). Infatti, ciò che gli preme analizzare in questo saggio è in che modo viene conosciuto ciò che è interno. Appurato che per Peirce l’intuizione non è una forma di conoscenza valida, se abbiamo nella nostra mente la nozione di ‘’rosso’’, ce l’abbiamo poiché il rosso è il predicato di qualcosa che è esterno alla mente, e dunque è dall’esterno che ricavo la nozione di rosso, non dall’introspezione. E’ la nozione di rosso che è ‘’causa’’ della costituzione della mente umana, e non viceversa. Passo successivo è andare ad analizzare gli stati d’animo, in questi casi infatti sembra assurdo sostenere che vengano dall’esterno, ma prendendo l’esempio di un uomo adirato Peirce mostra che, comunque, questi non dirà mai ‘’sono adirato’’ ma dirà cose del tipo ‘’questa cosa è orribile, quest’altra è vile’’ e così via, inferendo poi che è adirato. Sostanzialmente, l’emozione (il feeling) si differenzia dalla sensazione di rosso, poiché attraverso questa ci riferiamo sempre alle cose esterne, ma attraverso il particolare stato di un uomo. Infine, all’interno del saggio Peirce distingue tra la ‘’volizione’’ e il ‘’desiderio’’. La volizione è la capacità di concentrare l’attenzione ed astrarre dalle circostanze immediate, dunque non è necessario supporre una particolare capacità introspettiva per spiegarne il senso, bensì ‘’la conoscenza della capacità di astrarre può essere inferita da oggetti astratti, così come la conoscenza della capacità di vedere è inferita da oggetti colorati’’ 15 In conclusione, le ultime tre Questions si concentrano sul tema del ‘’pensiero’’ (thought). Anche questo viene colto tramite il segno, ovvero la sua manifestazione esterna: il pensiero è segno. Questa concezione solleva il problema 15

C.P. 5.248 11

della ‘’semiosi illimitata’’, poiché se ogni pensiero è segno rimanda inevitabilmente sempre a un altro pensiero prima di sé e uno dopo di sé, ed allora non si può mai risalire ad un primum (a meno che non si consideri la stessa capacità di abduzione come una sorta di primum). Sini spiega bene come venga risolto questo problema in Peirce:

Sapere per intuizione qualcosa significa per noi saperlo subito, senza sforzo, senza bisogno di riflettervi sopra e calcolare, paragonare, ragionare, ecc. Ma un conto è la e valutazione soggettiva che accompagna l’atto del pensiero che sa qualcosa senza apparente sforzo o inferenza16, un conto è il reale processo oggettivo mediante il quale il pensiero è giunto originariamente a sapere quel qualcosa.

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La questione dunque, come Peirce ben smaschera, era semplicemente un falso problema, perché parlare di intuizione – se per intuizione intendiamo una cognizione non determinata da alcuna cognizione precedente all’oggetto esterno, e perciò derivata da qualcosa di interno - significava dare l’avvio a una modalità erronea di porre il problema. Dunque Peirce arriva alla conclusione che ogni pensiero rimanda ad un altro pensiero, e questo è coerente con il suo sistema gnoseologico-semiotico in quanto, come dirà più volte nei suo scritti, un segno (un dato o un universale, nei termini di Russell), in quanto tale, ha tre riferimenti. Primo, è un segno rivolto a qualche pensiero che lo interpreta; secondo, è un segno per qualche oggetto al quale il pensiero è equivalente; terzo, è un segno in qualche rispetto o qualità, che lo pone in connessione con il suo oggetto.18 Il principio della semiosi illimitata dunque è espresso nell’affermazione che un segno è sempre rivolto a un qualche pensiero che lo interpreta. Non esiste insomma alcun contenuto di conoscenza che non sia determinato da qualche cognizione precedente e, concluderà Peirce quindi, se qualcuno pensa che un qualcosa come il ‘’rosso’’ sia un contenuto non determinato da cognizioni precedenti allora il rosso non è un contenuto di coscienza. Spiega poi meglio che ‘’rosso’’ e ‘’blu’’ sono termini che classificano l’esperienza, ma che d’altra parte non esprimono quello che è il contenuto effettivo

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Ricordiamoci la distinzione tra conoscenze ‘’che ci sembrano intuite’’ e conoscenze che semplicemente ci si presentano in una maniera per una questione di ‘’familiarità’’. 17 C.SINI, Il pragmatismo americano, pag.146 18 C.S.PEIRCE, Writings 2:223, in R.F.LEO, Introduzione a Peirce 12

della conoscenza. L’identificazione di un tale segno rimanda sempre ad altre precedenti identificazioni del vedere e a cognizioni acquisite precedentemente. Dal momento che l’intuizione non è un metodo plausibile nella gnoseologia peirciana, la domanda che sorge in diretta conseguenza è: in che modo l’essere umano ‘’afferra’’ una conoscenza?

1.2 ‘’You know my method’’: Peirce vs Sherlock Holmes. Già in Some Consequences of four Incapacities Peirce aveva chiaramente imposto la sua opinione contraria al cartesianesimo, ed ora riassumiamo le quattro incapacità e ciò a cui Peirce era pervenuto in questo saggio, per capire meglio il suo metodo gnoseologico: 1) Non abbiamo alcun potere di introspezione, ma tutta la conoscenza del mondo esterno è ricavata mediante ragionamento ipotetico dalla nostra conoscenza del mondo esterno; 2) noi non abbiamo alcun potere di intuizione, ma ogni cognizione è determinata logicamente da cognizioni precedenti; 3) noi non abbiamo alcuna capacità di pensare senza segni; 4) noi non abbiamo alcun concetto dell’assolutamente inconoscibile.19 Nelle Consequences Peirce aveva già reso esplicito che, secondo il suo modo di pensare, la filosofia, così come la scienza, doveva aspirare al consenso fra la comunità dei filosofi come suo ultimo criterio di verità. Perché sia una verità non può restare chiusa nel solipsismo, e in una lettera a James Peirce scriverà infatti . La sua educazione scientifica, e i molti anni trascorsi in laboratorio, gli avevano insegnato che la filosofia doveva appoggiarsi al metodo della scienza, evitando quel pregiudizio della certezza che aveva fatto la fortuna del metodo cartesiano, la filosofia deve mirare alla ‘’molteplicità e varietà dei suoi argomenti e deve cioè procedere per via ipotetica ricercando il confronto con le diverse opinioni e con i fatti, senza lasciarsi irretire dal miraggio dell’assoluta certezza.’’20 Allora, in base a questo, si può notare che, nel saggio, la prima conseguenza delle nostre incapacità riguarda la ‘’mental action’’ intesa come il ragionamento. In accordo col metodo scientifico, Peirce vuole che la filosofia, e il metodo stesso con cui raggiungiamo le nostre credenze, si basino sul metodo dell’ipotesi, o per dirla con un termine da lui creato, sul metodo dell’abduzione, dell’inferenza alla spiegazione, anche pubblica, migliore. Per seguire il 19 20

R.F.LEO, Introduzione a Peirce, pag.14 C.SINI, Il pragmatismo Americano pag. 152 13

ragionamento da detenction di Peirce facciamo riferimento al saggio di T.A. Sebeok ’’You know my method’’, a Juxtaposition of Charles S.Peirce and Sherlock Holmes 21. L’abduzione, in quanto interpretazione dei segni in maniera inferenziale costituisce un anello di congiunzione tra epistemologia e semiotica in Peirce, ergo il saggio di Sebeok parte con una storiella che vede il filosofo americano costretto ad indagare a causa del furto del suo orologio e che era stata pubblica postuma, nel 1929 sulla rivista Hound and Horn sotto il titolo ‘’Guessing’’. Sebeok riporta alcune parti della storia, qui direi che è sufficiente citarne l’incipit e costruire poi un’analisi del metodo:

I went from one end of the row to the other, and talked a little to each one, in as degage a manner as I could, about whatever he could talk about with interest, but would least expect me to bring forward, hoping that I might seem such a fool that I should be able to detect some symptom of his being the thief. When I had gone through the row I turned and walked from them, though not avail and said to myself, "Not the least scintilla of light have I got to go upon." But thereupon my other self (for our communings are always in dialogues) said to me, "But you simply must put your finger on the man. No matter if you have no reason, you must say whom you will think to be the thief." I made a little loop in my walk, which had not taken a minute and as I turned toward them, all shadow of doubt had vanished. There was no self-criticism. All that was out of place.

Il focus dell’attenzione cade sicuramente su una frase della storiella, che ben sintetizza il metodo gnoseologico peirciano, e che, tuttavia va spiegato a scanso di scambiarlo con quelle intuizioni contro cui si era tanto accanito. Peirce scrive una frase molto importante, che certamente è sintesi delle teorie elaborate nelle varie fasi del suo pensiero, che traduciamo qui:

Ma proprio in quel mentre un altro mio io [...] salto su a dirmi:.

E’ necessario dare alcuni chiarimenti sul fatto che ‘’all shadow of doubt had vanished’’. Dal racconto posto in questa maniera, sembra quasi che Peirce abbia avuto una di quelle famose illuminazioni così simili alle intuizioni contro cui 21

http://www.jstor.org/discover/10.2307/2184529?uid=3738296&uid=2485398703&uid=2134&uid=2&uid=70&uid=3& uid=60&sid=21104892418567, tradotto e analizzato in U.ECO, T.A.SEBEOK, Il segno dei tre, Holmes, Dupin, Peirce, Bompiani, 2003 14

si era palesemente scagliato, ma il guessing, il ‘’tirare ad indovinare’’ del filosofodetective non deve essere ricondotto ad un’intuizione magica, bensì ad un ragionamento ipotetico semiconscio, ormai interiorizzato. Fintanto che era rimasto in uno stato per così dire ‘’passivo’’, mentre recepiva i brevi racconti dei camerieri, Peirce non era riuscito a cavare un ragno dal buco, ma nel momento esatto in cui si era per così dire ‘’costretto’’ ad effettuare una scelta, si era reso conto che il ladro doveva necessariamente aver fatto trasparire qualche indizio e che lui a sua volta doveva averlo percepito, anche se in maniera inconsapevole, doveva aver effettuato, come egli stesso sostiene in ‘’Guessing’’, una discriminazione che prima non aveva riconosciuto come giudizio vero. Nella storia di Peirce sono uniti inestricabilmente due punti: in primo luogo una forte critica alla concezione positivista. Infatti, come dice Sebeok nel confrontare il metodo di detection di Peirce e Holmes: By the middle of the nineteenth century, science had become a solid part of English thinking at all levels, and there was generally a dominant tone of positivist rationality

Il secondo punto invece, riguarda l’utilizzo della tecnica dell’abduzione a scapito di quella dell’induzione. Secondo Peirce infatti, i positivisti, come Holmes, non avrebbero mai trovato il colpevole del furto, perché con le loro concezioni fin troppo caute e registrative, non si sarebbero mai azzardati a compiere un’ipotesi audace. In mancanza di indizi forti e perfettamente accertati, probabilmente Holmes avrebbe ricercato tra i precedenti degli indagati. I positivisti non comprendevano che il vero successo della scienza non stava nell’accumulo passivo di dati, bensì in un’osservazione attiva, in cui il principio di verificazione doveva saggiare delle teorie, mettere alla prova delle proposizioni generali assunte per via ipotetica in casi particolari.

I positivisti non comprendono che la sola funzione dell’induzione è quella di saggiare sperimentalmente una teoria per misurare il grado di concordanza della teoria in questione coi fatti. L’induzione non può mai dare luogo a una nuova idea. E neppure la deduzione. Tutte le idee della scienza vengono alla scienza attraverso la via dell’Abduzione. L’Abduzione consiste nello studio dei fatti e nell’escogitazione di una teoria per spiegarli. 22

22

C.P. (5.145) 15

Vediamo dunque, nel pratico, in cosa consiste l’abduzione secondo Peirce. Mentre la deduzione inferisce da principi generali casi particolari (ad es. ‘’Tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo, Socrate è mortale’’) e l’induzione da proposizioni particolari (ad es.:‘’I corvi in Italia sono neri, i corvi in Inghilterra sono neri, i corvi ovunque sono neri’’), l’abduzione è un tipo di inferenza che muove dalle conseguenze e formula delle ipotesi per spiegarle. Con questo tipo di ragionamento si muove da una circostanza particolare, passando attraverso un principio generale, per arrivare a spiegare un’altra circostanza particolare. L’ abduzione è un argomento che presenta nella sua premessa fatti che presentano una similarità

con il fatto asserito nella conclusione, ma che

potrebbero benissimo essere veri senza che la conclusione sia vera, e anzi, senza che essa sia neppure riconosciuta. Dunque non siamo portati ad affermare con sicurezza la conclusione, ma siamo soltanto disposti ad ammetterla come rappresentante un fatto di cui i fatti della premessa costituiscono un’icona. Secondo Peirce l’abduzione è il metodo di inferenza fondamentale perché è l’unico genere di argomento che dà origine ad una nuova idea.23 Se però la maggior parte delle nostre conoscenze ci derivano da ipotesi, e possono dunque essere fallaci, come accade che queste si formino? Perché dovremmo accettare un tal modo di raggiungere una conoscenza? Questi sono gli interrogativi che hanno spinto Peirce a portare avanti la sua analisi epistemologica, e vedremo le risposte andando ad analizzare il suo sistema semiotico-cognitivo nei prossimi paragrafi.

2. Il valore dell’indicalità nella realtà peirciana. 2.1 Definizioni di indice: la New List, On the Algebra of Logic e i Prolegomena. All’interno del sistema semiotico-epistemologico di Charles Sanders Peirce l’indicalità riveste un ruolo di primo piano. Il padre del pragmatismo infatti, si è preoccupato più volte all’interno delle sue speculazioni di dare una definizione di quel tipo particolare di segno che sono gli indici, gli unici “nomi logicamente propri” per il Russell dell’atomismo logico e del descrittivismo. E’ opportuno procedere in maniera cronologica. Nel 1867 pubblica sul Journal of Speculative 23

C.P. (2.96) 16

Philosophy il saggio ‘’On a new List of Categories’’24, nel quale, come dichiarato dallo stesso Peirce, egli esplica la sua teoria della funzione dei concetti, che, come ‘’already estabilished da Kant’’ 25, era quella di ridurre a unità la molteplicità delle impressioni sensoriali. I concetti realizzano la sintesi nell’unità della proposizione, la quale consiste nella connessione di soggetto e predicato. Nel saggio Peirce individua la presenza di due categorie estreme: l’ Essere (Being) e la Sostanza (It), fra le quali pone tre categorie intermedie: Qualità, Relazione e Rappresentazione, costruendo una nuova tavola categoriale che R. Fabbrichesi Leo riporta così schematizzata:

ESSERE Qualità (riferimento ad un ground) Relazione (riferimento ad un correlato) Rappresentazione (riferimento ad un Interpretante)26 SOSTANZA

col proseguire della sua analisi, poi, Peirce suddivide ulteriormente la Rappresentazione in ‘’somiglianze’’, ‘’indici’’ e ‘’simboli’’ 27. Troviamo dunque, all’interno della New List, una prima definizione di ‘’Indice’’, che è così inteso:

le rappresentazioni la cui relazione con i loro oggetti consiste in una corrispondenza di fatto, e queste rappresentazioni possono essere chiamate indici o segni. 28

Nella definizione, Peirce per ‘’corrispondenza di fatto’’ intende che il riferimento degli indici al ground è una qualità imprescindibile o relativa. Interpretando (su suggerimento di R.Fabbrichesi Leo29) il ground come la superficie, il terreno, l’area, lo sfondo su cui si basano ragioni e rispetti 24

R.F.LEO, Introduzione a Peirce, pag. 8 ‘’This paper is based upon the theory already established, that the function of conceptions is to reduce the manifold of sensuous impressions to unity, and that the validity of a conception consists in the impossibility of reducing the content of consciousness to unity without the introduction of it.’’, C.S.PEIRCE, Writings, sec.1 (http://www.peirce.org/writings/p32.html) 26 R.F.LEO, Introduzione a Peirce pag.11 27 ‘’It follows that there are three kinds of representations.First. Those whose relation to their objects is a mere community in some quality, and these representations may be termed Likenesses.Second. Those whose relation to their objects consists in a correspondence in fact, and these may be termed Indices or Signs.Third. Those the ground of whose relation to their objects is an imputed character, which are the same as general signs, and these may be termed Symbols.’’ C.S.PEIRCE, Writings, sec.14 (http://www.peirce.org/writings/p32.html) 28 C.S.PEIRCE, Semiotica, testi scelti e introdotti da Massimo A. Bonfantini, Letizia Grassi, Roberto Grazia, pag.30 29 R.F.LEO, Introduzione a Peirce pag 10 25

17

interpretativi, avremo che l’indice fa da soggetto della proposizione e indica (direttamente) l’oggetto. Di fondamentale importanza, nel lavoro di questo periodo di Peirce, è l’incontro con l’operato di De Morgan, poiché la scoperta della logica delle relazioni mette in crisi la logica delle proposizioni soggetto-predicato su cui aveva impostato i primi lavori (e la scoperta è simile a quelle del giovane Russell). L’Essere e la Sostanza erano chiare derivazioni di una logica soggetto-predicato infatti, ma ora Peirce è costretto a farle decadere e a tentare di trovare una nuova soluzione per applicare le categorie al molteplice.30 Sulla prima definizione dell’indice il filosofo americano tornerà molti anni più tardi, per la precisione nel 1895, anno di svolta nella sua vita in quanto era stato appena allontanato dalla Johns Hopkins University. In questi anni Peirce opera per l’appunto una revisione della nozione di indice, come si può riscontrare nel saggio On the algebra of Logic: a contribution to the Philosophy of Notation dello stesso 1895

31

. Da questo momento, infatti, l’indice viene inteso come un

segno che ci mette direttamente, fisicamente, in contatto con l’oggetto, e viene così descritto da Peirce:

[..] the relation of the sign to its object does not lie in a mental association, there must be a direct dual relation of the sign to its object independent of the mind using the sign. In the second of the three cases just spoken of, this dual relation in is not degenerate, and the sign signifies its object solely by virtue of being really connected with it. Of this nature are all natural signs and physical symptoms. I call such a sign an index, a pointing finger being the type of the class. The index asserts nothing; it only says ‘’There !’’ It takes hold of our eyes, as it were, and forcibly directs them to a particular object, and there it stops. 32

E, dunque, si può parafrasare in questo modo: la relazione del segno al suo oggetto non viene istituita per mezzo di un’associazione mentale, deve esistere una relazione diadica diretta del segno con il suo oggetto, indipendente dalla mente che si serve del segno. Tale relazione diadica non è degenere, e il segno significa il suo oggetto soltanto in virtù del suo essere realmente connesso con questo. Tutti i segni naturali e i sintomi fisici sono segni di questo tipo, ovvero indici. L’indice 30

C.SINI, Il pragmatismo Americano pag.186 A.FUMAGALLI, Il reale nel linguaggio, pag.136 32 C.S.PEIRCE On the Algebra of Logic, http://www.jstor.org/stable/pdfplus/2369451.pdf?acceptTC=true&jpdConfirm=true 31

18

non asserisce nulla; esso dice soltanto >. Come sostiene Peirce si impadronisce dei nostri occhi, cattura la nostra attenzione e la costringe a dirigersi verso un oggetto particolare. Sembra opportuno focalizzare dunque l’attenzione su un concetto fondamentale espresso da Peirce, che riemergerà nella filosofia analitica del linguaggio, già in Russell, e nella semiotica negli anni successivi. Si può meglio comprendere la rilevanza di questo tema in Peirce quando si va a vedere in che modo definisca gli indicali anche a livello grammaticale:

Demonstrative and relative pronouns are nearly pure indices, because they denote things without describing them; so are the letters on a geometrical diagram, and the subscript numbers which in algebra distinguish one value from another without saying what those values are 33

Dal punto di vista grammaticale, i pronomi dimostrativi e relativi sono in certo senso dei puri indici, in quanto denotano gli oggetti senza descriverli. Questi costituiscono l’equivalente di ciò che sono le lettere in un diagramma geometrico, o dei numeri deponenti, che in algebra distinguono un valore da un altro senza dire quali siano i valori in questione. In questo scritto Peirce voleva proporre un’algebra adeguata alla trattazione di tutti i problemi di logica deduttiva, indicando quali tipi di segni (fra icone, indici e simboli) è necessario utilizzare ad ogni stadio di sviluppo della notazione simbolica. Infatti secondo Peirce l’espressione degli enunciati generali, che costituiscono una parte fondamentale del ragionamento, richiede sia l’uso dei simboli, che servono per esprimere la generalità del giudizio, sia l’uso degli indici, necessari ad esprimere il soggetto (logico-grammaticale) del giudizio. Dunque con l’impiego di indici e simboli si può esprimere qualsiasi proposizione. Tuttavia, affinché una proposizione possa essere utilizzata in una sequenza deduttiva o, più generalmente perché un enunciato risulti intelligibile, è necessario che la sua espressione mostri in forma iconica la relazione (logica) tra le parole. Inoltre, l’esecuzione di un qualsiasi tipo di inferenza deduttiva comporta l’osservazione di qualche diagramma, che può essere iscritto su un foglio o semplicemente immaginato.34 33

C.S.PEIRCE, On the Algebra of Logic: a contribution to the philosophy of notation http://www.jstor.org/stable/pdfplus/2369451.pdf?acceptTC=true&jpdConfirm=true 34 C.S.PEIRCE, Opere a cura di M.Bonfantini pag. 881 * (nota di Peirce) Studies in Logic, by members of the Johns Hopkins University. Boston: Little & Brown, 1883. 19

Va qui delineandosi chiaramente non solo una nuova concezione di indice, ma anche quel sistema che sarà alla base della concezione dei Grafi Esistenziali, e del sistema semiotico peirciano più in generale. Facendo ora riferimento diretto alle parole di Peirce si può ben capire quale sia la rilevanza dell’indice all’interno di un tale sistema:

But tokens alone do not state what is the subject of discourse; and this can, in fact, not be described in general terms; it can only be indicated. The actual world cannot be distinguished from a world of imagination by any description. Hence the need of pronoun and indices, and the more complicated the subject the greater the need of them. The introduction of indices into the algebra of logic is the greatest merit of Mr. Mitchell's system.* He writes F1 to mean that the proposition F is true of every object in the universe, and Fv, to mean that the same is true of some object. This distinction can only be made in some such way as this. Indices are also required to show in what manner other signs are connected together 35

In queste righe, troviamo l’elaborazione di un concetto molto importante all’interno del sistema di Peirce. Egli sostiene infatti che il mondo reale non possa venir distinto mediante nessuna descrizione dal mondo dell’immaginazione. Di qui la necessità di utilizzare pronomi e indici, e quanto più il soggetto è complicato tanto è maggiore la necessità di usarli. Gli indici inoltre sono necessari per vedere come gli altri segni sono connessi tra loro. Rispetto alla definizione data nella New List, insomma, ci troviamo già davanti ad una concezione molto più matura e strutturata, che sembrava andare verso la ricerca di quelli che verranno definiti e studiati tra i nomi logicamente propri, o genuini, in Russell, e poi come strumento principe di riferimento diretto, ed esperienziale. L’indice fornisce infatti un’indispensabile aggancio alla realtà, realtà che era stata analizzata da Peirce negli anni precedenti con i suoi rispettivi risvolti semiotici ed epistemologici. Nell’ Algebra of Logic, infatti, Peirce va oltre la triade icona-indice-simbolo già elaborata nella New List per prendere in considerazione la triade Segno – Oggetto – Mente che si realizza in modi differenti nei segni diversi. L’indice costituirebbe una relazione in cui il segno ‘’collassa’’36 con l’oggetto, e si stabilisce una relazione diretta della mente dell’essere umano 35

C.S.PEIRCE, On the Algebra of Logic: a contribution to the philosophy of notation http://www.jstor.org/stable/pdfplus/2369451.pdf?acceptTC=true&jpdConfirm=true 36 A.KEIDAN, Deissi, Arbitrarietà, Disambiguazione, pag.6 https://www.fupress.com%2Farchivio%2Fpdf%2F2975.pdf&ei=5hFFVPDiC8Td7Qah4IGAAQ&usg=AFQjCNF84lNs L0Qfdk9MfdS5Ezc2AoNHNA&sig2=AfyylyA8_Jzsjw-FT-mjHw&bvm=bv.77880786,d.ZGU 20

con la realtà. Come abbiamo detto in precedenza, per l’appunto, l’indice è un tipo di segno che significa il suo oggetto soltanto in virtù del suo essere realmente connesso con questo. (Russell parla anche di “particolari egocentrici”.) Un’ulteriore rivisitazione del concetto di indice la si trova ancora qualche anno più tardi, in un articolo pubblicato per la prima volta in , vol.16, pp 492-546, con il titolo di Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, e che faceva parte - insieme What Pragmatism Is e Issues of Pragmaticism - di una serie di quattro articoli, di cui furono pubblicati solo questi tre in quanto il quarto non fu mai preparato in modo compiuto37. L’obiettivo di Peirce in questo saggio era quello di effettuare una 38, fornire una sorta di strumento di analisi logica. Il termine ‘’pragmaticismo’’ utilizzato nel titolo dell’articolo lascia intuire che ci troviamo nel periodo di rottura rispetto alle interpretazioni pragmatiste date da James e Schiller, dato che Peirce adotta questo termine in quanto gli sembra un’espressione . Nel periodo dei grafi esistenziali Peirce entra (per definirla con un’espressione della Fabbrichesi) in una che lo condannò a riproporre infinite versioni della suddivisione dei segni, spinto dalla ricerca di un possibile elenco completo.39 All’interno di questo articolo Peirce definisce il segno come:

qualsiasi cosa che, determinata da un oggetto determina un’interpretazione determinata, attraverso il segno stesso, dal medesimo oggetto. […] ogni segno è determinato dal suo oggetto

e in particolare l’indice in questa maniera: quando chiamo il segno Indice, essendo realmente e nella sua esistenza individuale connesso con l’oggetto individuale.[…] Gli indici, d’altra parte, ci danno positiva assicurazione della realtà e della vicinanza dei loro Oggetti.

40

37

C.S.PEIRCE, Semiotica, a cura di M.Bonfantini, L.Grassi, R.Grazia, pag. 213 ‘’Come on, my Reader, and let us construct a diagram to illustrate the general course of thought; I mean a System of diagrammatization by means of which any course of thought can be represented with exactitude.’’ C.S.PEIRCE, Prolegomena to an Apology for Pragmaticism, http://www.jstor.org/stable/pdfplus/27899680.pdf?&acceptTC=true&jpdConfirm=true 39 R.F.LEO, Introduzione a Peirce pag. 83 40 C.S.PEIRCE, Semiotica, a cura di M.Bonfantini, L.Grassi, R.Grazia, pp. 220 - 221 38

21

In questa nuova elaborazione della definizione di indice si può ben cogliere come Peirce abbia focalizzato ancora meglio la funzione degli elementi indicali: essi . Ora, pare abbastanza evidente che il tema ha occupato una grossa parte del lavoro del padre del pragmatismo, ed è stato fortemente presente sia dal punto di vista logico, che epistemologico che semiotico. È dunque opportuno ora lasciare i grafi esistenziali e le varie definizioni ricorse nel suo pensiero, per dare un’occhiata al rapporto sussistente degli indici con la scienza generale dei segni.

2.2 L’indicalità in rapporto alle categorie. La teoria dei segni di Charles Sanders Peirce viene definita una ‘’semiotica cognitiva’’: si fonda su una teoria della conoscenza che a sua volta contribuisce a corroborare. Il principio cardine della gnoseologia e della semiotica di Peirce consiste in una concezione radicalmente nuova, rispetto alla tradizione sia razionalista sia empirista, del rapporto fra rappresentazione conoscitiva e oggettività conosciuta.41 Per comprendere il ruolo dell’indice all’interno della semiotica peirciana è necessario costruire un quadro generale del suo pensiero semiotico di cui si può trovare

una

ricostruzione

abbastanza

esaustiva

nel

testo

‘’Grammatica

Speculativa’’ titolo conferito al II libro del II volume dei Collected Papers,42 di cui, ai fini di comprensione dell’intento dello studio dei segni peirciano, si riporta qui l’incipit:

Logica, nel suo senso generale, è, come credo di aver dimostrato, solo un altro nome per semiotica (σηµειωτική): la quasi necessaria, o formale, dottrina dei segni. Descrivendo la dottrina come , o formale, intendo che osserviamo i caratteri di tali segni quali li conosciamo, e da tale osservazione, attraverso un processo che non esito a chiamare Astrazione, siamo portati a giudizi eminentemente fallibili, e quindi, in un certo senso, niente affatto necessari, su quelli che devono essere i caratteri di tutti i segni usati da una intelligenza , cioè da un’intelligenza capace di apprendere attraverso l’esperienza. […] Attraverso un tale processo di astrazione, che è infondo assai simile al ragionamento matematico, possiamo raggiungere conclusioni su cosa sarebbe vero dei segni in tutti i casi, nella misura in cui l’intelligenza che li usa fosse scientifica. Sono qui fuori questione i modi di pensiero di Dio, che 41

C.S.PEIRCE, Semiotica, testi scelti e introdotti da Massimo A. Bonfantini, Letizia Grassi, Roberto Grazia, pag. XXII I curatori dei CP hanno riunito in questo testo 76 paragrafi tratti da ben 8 fonti diverse. La versione della Speculative Grammar a cui io faccio riferimento è quella curata da M.BONFANTINI in C.S.PEIRCE, Opere, pp. 137-175

42

22

dovrebbe possedere un’onniscenza intuitiva sostitutiva della ragione. Ora, l’intero processo di sviluppo nella comunità degli studiosi di quelle formulazioni di verità, ottenute attraverso l’osservazione astrattiva e il ragionamento, che devono essere validi per tutti i segni usati da un’intelligenza scientifica, è una scienza basata sull’osservazione. Come tale essa è simile a ogni altra scienza positiva, nonostante il forte contrasto con tutte le scienze specifiche, che sorge dalla sua aspirazione a scoprire che cosa dev’essere e non meramente che cosa è nel mondo effettivo.

L’incipit corrisponde al frammento 2.227 dei CP, risalente al 1897 e dunque al periodo appena successivo alla scrittura dell’articolo ‘’On the Algebra of Logic’’ (pubblicato, come abbiamo già visto, nel 1895), e alla pubblicazione dei saggi anti-cartesiani e pragmatisti. Si può ben vedere come l’impostazione sia nettamente formalista ed astrattiva, chiarirà infatti Peirce qualche riga più avanti che il compito della Grammatica speculativa è quello di accertare che cosa deve essere vero dei “rapresentamen” utilizzati da ogni intelletto scientifico affinché essi siano adatti a veicolare qualsiasi significato

43

. La grammatica speculativa è

una delle branche del trivio semiotico peirciano. Per capire come funzioni, non solo questa ma anche la logica in senso stretto e la retorica pura, bisogna ora fare riferimento ora alla nozione di segno: Secondo Peirce un segno, o rapresentamen, è qualcosa che sta a qualcuno sotto qualche rispetto o capacità. Si rivolge a qualcuno, cioè crea nella mente di quella persona un segno equivalente, o un segno più sviluppato. Questo segno che esso crea bisogna definirlo interpretante del primo segno. Il segno poi sta per qualcosa abbiamo detto, ovvero per il suo oggetto. Sta per quell’oggetto non sotto tutti i rispetti, ma in riferimento a una sorta di idea che talvolta Peirce definisce la base del rapresentamen. Dunque, base, oggetto e interpretante sono relazioni del rapresentamen quindi la scienza che studia i segni avrà le tre branche già dette sopra. Il segno ha carattere rappresentativo, dunque ha sia valore di ‘’stare al posto di’’ sia quello di ‘’stare in relazione con’’. In particolare, quando un segno rappresenta un oggetto mette in moto il processo semiotico, poiché se un segno è altro dal suo oggetto, allora richiede una spiegazione, la spiegazione e il segno andranno a formare un altro segno e così via, verso quel processo che Peirce definisce di ‘’semiosi illimitata’’.44 43

CP 2.229 in M.BONFANTINI, C.S. PEIRCE, Opere, pag. 148 Vedi anche CP 2.92 la definizione del 1902, in cui è presente il concetto di ‘’ad infinitum’’ ovvero una semiosi illimitata. 44

23

Come abbiamo visto, fin dalla ‘’New List’’ Peirce è preso dalla volontà ferrea di stabilire delle nuove categorie che aiutino nell’analisi di ogni esperienza. Questa volontà resterà persistente per tutto l’arco di tempo che riguarda lo sviluppo del suo pensiero, fino ad arrivare ad una formulazione più definitiva nei primi del ‘900. Dal 1904, infatti, si può iniziare a parlare di un nuovo tipo di categorie, dette ‘’’faneroscopiche’’45 poiché sono categorie attraverso cui si organizza la nostra attività conoscitiva, ma anche quella della stessa realtà. Queste dunque sono in stretta connessione con la natura triadica della relazione semiotica (tra segno/rapresentamen, oggetto e interpretante) e da lui vengono chiamate ‘’Firstness’’, ‘’Secondness’’ e ‘’Thirdness’’. Alla categoria di primità fa riferimento la possibilità, la pura qualità; come categoria dell’esperienza è un feeling, un quale, un semplice carattere positivo, ma non ancora individuato come appartenente ad un esistente. È il puro dato nella sua originarietà: la qualità non è dipendente dalla attualità. Semanticamente l’idea di primo veicola le nozioni di ‘’present, immediate, fresh, new, iniziative, original, spontaneus, free, vivid, conscious and evanescent”. La Secondità è la categoria dell’esistenza, di ciò che accade, di ciò che è esterno, che si oppone al soggetto come dato costruttivo con l’ irruzione del fatto nella coscienza: la secondità implica lotta, forza. La Terzità è la categoria della necessità, della legge, della mediazione, del significato, dell’interpretazione, della ragione. È sintesi di qualità e fatto, ma non è riducibile

ad

essi.

Come

la

Primità

è

la

categoria

del

presente,

dell’immediatamente dato e la Secondità è la categoria del passato, la Terzità è la categoria del futuro, della finalità che influisce sull’azione attraverso la mediazione della coscienza. 46 Ora, stabilite le categorie e la natura triadica, Peirce prosegue ‘’declinando’’ il segno secondo le 3 categorie di Primità, Secondità e Terzità. Dunque il segno può essere considerato o in sé stesso, o in rapporto con l’interpretante o con l’oggetto, e si realizzerà secondo le 3 modalità delle categorie

45

‘’La faneroscopia è la descrizione del faneron e per faneron io intendo la totalità collettiva di ciò che in qualche modo o in qualche senso è presente alla mente, senza riguardo alcuno se ciò corrisponda a una cosa reale o no. Se voi chiedete in quale presente e a quale mente, rispondo che lascio tali questioni senza risposta, non avendo mai avuto motivo di dubitare che quelle strutture del faneron che ho trovato nella mia mente siano presenti in tutti i tempi e per tutte le menti. Fin dove io ho sviluppato questa scienza della faneroscopia’’ C.P 1.284 in C.SINI, Il pragmatismo americano, Laterza, Bari, 1972 pag. 230 46 FUMAGALLI, http://www.actaphilosophica.it/sites/default/files/pdf/fumagalli-19932.pdf 24

che sono la possibilità, la fattualità e la legge. Riporto qui una schematizzazione dal Fumagalli 47:

segno in sé

segno in rapporto con l’oggetto

Possibilità

qualisegno

segno in rapporto con l’interpretante

icona

rema

sinsegno

indice

dicisegno

legisegno

simbolo

argomento

(Primità)

Fattualità (Secondità)

Legge (Terzità)

Ora, per spiegare come funzionano gli elementi delle tricotomie è opportuno fare diretto riferimento alle parole di Peirce: Un Qualisegno è una qualità che è un segno. Essa non può effettivamente avere la funzione di segno finché non viene messa in atto. Un Sinsegno (dove la sillaba ‘’sin’’ è intesa a significare come in singolo, semplice) è una cosa o un evento effettivamente esistente che è un segno. Dunque il sinsegno implica un qualisegno, o piuttosto svariati qualisegni. Ma questi qualisegni sono di una specie particolare e formano un segno soltanto per il fatto di essere effettivamente messi in atto. Un Legisegno è una legge che è un Segno. Questa legge è di solito stabilita dagli uomini. Ogni segno convenzionale è un legisegno. È un tipo (type) generale che è significante in base a quanto convenuto. Ogni legisegno significa quando è applicato in una occorrenza (token), che può anche essere detta Replica. La Replica è un sinsegno, così ogni Legisegno richiede Sinsegni.

48

2.3 L’indicalità in rapporto alla proposizione e alla realtà. Dunque, andiamo ora a vedere in che rapporto stanno le proposizioni con i ‘’type’’ e i ‘’token’’. Il type è una proposizione tipo, che può applicarsi a diversi token, ovvero a diverse istanze, occorrenze del tipo. Dunque la proposizione ‘’type’’ è una potenzialità reale, ‘’è il would be’’ che si attualizza nelle sue ” 49. Ora, la proposizione è un segno che presa nel senso del contenuto proposizionale possiede di per se stessa uno statuto semiotico, indipendentemente dall’asserzione o no che può aggiungersi ad essa. La proposizione asserita ha la funzione di mettere in rapporto segni di natura differente con uno stesso oggetto. 47

FUMAGALLI, http://www.actaphilosophica.it/sites/default/files/pdf/fumagalli-19932.pdf C.S.PEIRCE, Opere, a cura di M.BONFATINI, pp. 152-153 49 C.Chauviré, Indexicalitè et assertion chez Peirce 48

25

Questi segni eterogenei sono l’icona, la quale conferisce alla proposizione la sua natura rappresentativa, e l’indice, il quale rapporta la proposizione ad un elemento del reale. La proposizione, presa in una determinata situazione di discorso, implica un certo ruolo del locutore, il quale vuole produrre determinati effetti sull’ascoltatore. Vuole testimoniare ciò che crede e imporre certe credenze all’ascoltatore. All’interno di questa prospettiva l’indice riveste un ruolo fondamentale perché deve portare l’auditore a condividere l’esperienza del locutore, mostrandogli ciò di cui si parla. Solo l’indice può distinguere il mondo reale dal mondo fittizio e in generale designare all’interno del mondo reale. L’indice designa un elemento circostanziale saliente del quale il locutore vuol condividere l’esperienza con l’auditore, tramite la coercizione. 50 L’indice infatti agisce direttamente sull’attenzione del locutore e la dirige verso una circostanza specifica o un oggetto specifico. L’icona da sola non possiede tale forza, la sua idea non si impone sulla mente e anzi spesso dev’essere evocata con uno sforzo. L’icona non riesce a dimostrare il dove e il quando di un’esperienza particolare. Dunque un linguaggio che deve parlare di realtà (intesa come Secondità, e dunque come qualcosa di coercitivo, qualcosa che ci scuote inevitabilmente, così come l’esperienza percettiva è all’interno del suo sistema inevitabile) non può fare a meno degli indici. Alcune categorie di parole avrebbero dunque, secondo Peirce, un’azione diretta sul sistema nervoso e forzerebbero l’ascoltatore ad occuparsi di loro, questo genere di parole sono gli indici, i quali, essendo inscindibilmente legati all’atto di enunciazione, alla situazione di discorso, se sono verbali non possono mai essere degli indici puri. Infatti, se da una parte il contesto di enunciazione è sempre particolare, dall’altra gli indici grammaticali sono termini generali (come ‘’questo’’ ‘’quello’’) e dunque un enunciato può avere significato di per sé, ma ha senso solo all’interno di un contesto enunciativo particolare, singolare. L’indice è legato ad una situazione di discorso e cambia dunque ad ogni situazione51. L’indice può essere nascosto, per questo Peirce è un fermo sostenitore dello studio della forma logica delle proposizioni, così come i filosofi analitici, a partire da Russell del 1905, egli si accorge che la forma grammaticale può non coincidere

50 51

C.Chauvirè, Indexicalitè et assertion chez Peirce Sostanzialmente è Peirce a dare una prima idea della regola dell’occorrenza – riflessiva 26

con la struttura logica della proposizione, e può dunque mascherare la sua articolazione reale. Se ritorniamo un attimo alla nostra tabella dei segni possiamo ben capire come si collochi il segno in rapporto con l’interpretante significato, e quali ruolo vi svolga il segno indicale. In rapporto all’interpretante il segno poteva essere: un Rema, un Dicente o un Argomento, che per Peirce corrisponde alla tradizionale divisione ‘’Termine, Proposizione, Argomento’’52. Dunque la proposizione è un segno dicente:

un dicente non è un’asserzione, ma un segno capace di essere asserito. […] secondo il mio attuale punto di vista, l’atto di asserzione non è un puro atto di significazione. È un’esibizione del fatto che ci assoggettiamo alle pene previste per un bugiardo se la proposizione asserita non è vera. Un atto di giudizio è l’autoriconoscimento di una credenza;e una credenza consiste nell’accettazione deliberata di una proposizione come base di condotta. […] Definisco un dicente come un segno rappresentato nel suo interpretante significato come se fosse in un Rapporto Reale con il suo Oggetto – o meglio come se fosse così quando viene asserito. 53

Peirce insomma, dà avvio ad una pragmatica dell’asserzione, in cui teoria del linguaggio (o meglio dire del segno) e teoria dell’azione risultano intrinsecamente legati e le parole si comportano come degli atti che hanno degli effetti, o cercano di averli sugli ascoltatori.

2.4 L’interazione indice-icona-simbolo con l’oggetto. Ogni tappa dell’analisi di Peirce dunque, presuppone le precedenti. Ora, come si può notare, la triade icona-indice-simbolo compare nel rapporto del segno con l’oggetto. Dunque per comprendere come funzioni e che ruolo svolga l’indice all’interno della triade mi sembra opportuno per prima cosa dare una definizione di Oggetto. Come già detto il segno è determinato dall’oggetto e determina l’interpretante. L’oggetto dunque sarà ciò che determina il segno. La nozione di oggetto è articolata in Peirce, a partire da un certo momento,

54

in due nozioni

distinte: l’oggetto dinamico e l’oggetto immediato. L’oggetto dinamico è l’oggetto in sé (‘’the Object as it is’’), quale esso è, che esiste nella realtà esterna, 52

C.P. 8.337 Ivi 54 Lettera del 1903 a Lady Welby CP 8.343 53

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indipendentemente dal fatto che qualcuno lo pensi, mentre l’oggetto immediato (‘’the Object as the Sign itself represents it’’) è un’entità concettuale, o rappresentazione mentale che è il modo in cui conosciamo l’Oggetto dinamico mediato dalla rappresentazione dei segni che di volta in volta ne mettono in luce determinate proprietà. L’oggetto immediato dunque è sostanzialmente parte del segno, il quale viene ad assumere una natura composita di relazione tra rapresentamen, che costituirebbe in altri termini il significante e l’oggetto immediato, ovvero il significato.55 La natura dell’Oggetto Dinamico è quella che Peirce chiama ‘’permanenza esterna’’, ovvero, citando le sue parole da The Fixation of Belief:

Perciò, per soddisfare i nostri dubbi è necessario trovare un metodo in base al quale le nostre credenze siano determinate da niente di umano, bensì da qualche permanenza esterna – da qualcosa sopra cui il nostro pensiero non abbia alcun effetto.[…] La permanenza esterna non sarebbe propriamente esterna, nell’accezione in cui sto usando il termine, se limitasse la sua influenza a un solo individuo, tale permanenza esterna dev’essere qualcosa che esercita la sua effettualità, o che potrebbe esercitare la sua effettualità su tutti gli uomini. 56

Come ben fa notare Bonfantini,

57

dunque, l’Oggetto Dinamico fa parte

della realtà obbiettiva, sottoposta alla realtà semiotica ‘’dell’uomo facitore di segni’’ dell’uomo-segno di cui Peirce parla in Some Consequences of Four Incapacities58. Compresa l’essenza dell’oggetto dinamico, si può cominciare a comprendere la rilevanza dell’indicalità all’interno della teoria epistemologicosemiotica di Peirce e del suo realismo. Per chiarirla meglio prendiamo ora in esame l’Oggetto Immediato. L’Oggetto Immediato, è indicalmente il riflesso, l’effetto dell’oggetto dinamico; mentre dal punto di vista della comunicazione simbolica è un meaning socialmente determinato; tuttavia la sua sostanza attiva sta nel suo aspetto di ground, di base iconica, di immagine o complesso ordinato di immagini che nella sua esistenza in atto non può che essere immagine o complesso ordinato di immagini di qualcuno: base personale.59 (Anche qui vi sono analogie con Russell anche prima della svolta naturalistica cui abbiamo accennato sopra.) 55

MANETTI-FABRIS, Comunicazione, pp. 66-67 C.P. 5.384 57 C.S.PEIRCE, Opere, a cura di M.Bonfantini, pag 1273 58 Pubblicato nel 1868 nel Journal of Speculative Philosophy, vol.2 pp 140-157 59 Questa è l’interpretazione che ne da Bonfantini in C.S.PEIRCE, Opere, pag. 1274 56

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Dunque, se rievochiamo la nostra triade icona-indice-simbolo, troveremo che l’icona, da una parte, è importante per il suo carattere ‘’personale’’, poiché se il segno sta per qualcosa, questo qualcosa come abbiamo già detto è il suo oggetto. E il segno sta per quell’oggetto non sotto tutti i rispetti, ma in riferimento ad una sorta di idea che Peirce chiama, come abbiamo già detto, ‘base’ del rapresentamen. E’ necessario, per non distruggere la coerenza del sistema di Peirce, attribuire un carattere personale e variabile della base, perché se il ground non è frutto di un’intuizione dell’oggetto dinamico, e non può essere nel pensiero radicalmente anticartesiano di Peirce un’intuizione, allora deve essere frutto di un’inferenza ipotetica fallibile e modificabile – inferenza che risulta compiuta in un modo o nell’altro a seconda della prospettiva personale, prospettiva a sua volta inferenzialmente costituitasi e sedimentata a partire dalle varie esperienze. L’indice, d’altra parte, ha una funzione altrettanto importante, in quanto come abbiamo già ricordato nelle varie definizioni sopraesposte, quando connotiamo un segno come indice, questo ci conferisce ‘’positiva assicurazione della realtà”, e della vicinanza degli Oggetti - Russell direbbe forse conoscenza per acquaintance. Esso è caratterizzato da una connessione fisica diretta con l’Oggetto, e dunque è il tramite tra il linguaggio verbale e la realtà. Il linguaggio verbale infatti, secondo Peirce, è composto da simboli (ultimo elemento della triade del Segno in rapporto con l’Oggetto) il cui tratto peculiare è di ‘’essere una regola che determinerà il suo Interpretante. Tutte le parole, frasi, libri e altri segni convenzionali sono simboli. Noi parliamo ‘’come se scrivessimo o pronunciassimo la parola ”, ma quella che pronunciamo o scriviamo è solo una Replica, o messa in atto della parola: la parola in sé stessa non ha alcuna esistenza, sebbene essa sia reale, in quanto consiste nel fatto che le entità esistenti devono conformarsi ad essa. Si tratta di un modo generale di successione di quattro suoni o representamen di suoni, che diviene un segno solo perché un abito, o legge acquisita, provocherà repliche di esso destinate ad essere interpretate come significanti un uomo.’’60 Stabilito che il simbolo, la parola, è convenzionale, Peirce nelle successive righe della sua Speculative Grammar ci permette di capire quale sia la rilevanza degli indici all’interno del suo sistema di segni apportando un esempio: suggerisce 60

CP 2.292 ‘’Grammatica speculativa’’, in C.S.PEIRCE, Semiotica a cura di Bonfantini, Grassi, Grazia, pp. 166-167 29

di prendere la parola ‘’ama’’ e di farla occorrere in un enunciato del tipo ‘’Ezechiele ama Huldah’’. Peirce sostiene che ‘’Ezehiele’’ e ‘’Huldah’’ debbano essere o contenere indici, dal momento che senza indici è impossibile designare ciò di cui si parla. Aggiunge poi ‘’così l’enunciato equivale a . Qui è un indice selettivo universale, è un simbolo, è un indice selettivo particolare, e è anche un simbolo.’’61 Per chiarire cosa intenda Peirce per gli indici selettivi universali e particolari è opportuno fare riferimento a qualche paragrafo più indietro (C.P. 2.283 – 2.290) in cui l’autore, innanzitutto porta qualche esempio di indice. Vedere un uomo dall’andatura dondolante è una probabile indicazione che si tratti di un marinaio, una meridiana indica l’ora del giorno, un colpo bussato alla porta è un indice,

ogni cosa che focalizza l’attenzione è un indice. Ogni cosa che ci fa trasalire è un indice, in quanto segna giunzione tra due porzioni di esperienza: così un tremendo rombo indica che qualcosa di considerevole è capitato, sebbene non possiamo sapere con precisione che cosa sia stato l’evento.

Ma veniamo alle parole. Peirce ci porta una situazione immaginaria in cui troviamo due uomini in una strada di campagna e uno dice all’altro:. L’altro si guarda intorno e vede una casa con gli scuri verdi e una veranda, con un camino che fuma. Prosegue nel suo cammino, incontra un altro uomo e gli dice la stessa frase, al che l’altro uomo risponde: e l’uomo che passeggia replica:, allora il tizio chiede:. Quest’ultima domanda fa emergere l’esigenza di un indice, che connetta la sua apprensione con la casa in questione, le semplici descrizioni da sole non sono sufficienti, infatti. Peirce sostiene che a questo punto intervengano le espressioni indicali per l’appunto, i pronomi dimostrativi e , che invitano l’ascoltatore ad utilizzare le sue facoltà di osservazione, e a stabilire in tal modo una connessione reale tra la sua mente e l’oggetto.

61

CP 2.296 30

Dunque i pronomi assolvono alla funzione di indice. E tra questi pronomi troviamo anche quelli che Peirce propone di chiamare selettivi, perché essi informano chi ascolta sul modo di scegliere uno degli oggetti intesi. Il filosofo sostiene che all’interno dei selettivi due varietà siano particolarmente importanti in logica: i selettivi universali come ‘’qualsiasi, ogni, tutti, nessuno, qualsiasi cosa, chiunque, ognuno, alcuno’’ - cioè i quantificatori universali - che permettono a colui che ascolta la libertà di scegliere un qualunque esemplare a piacere all’interno dei limiti espressi o sottointesi. Abbiamo poi i selettivi particolari come ‘’qualche, qualcosa, qualcuno, un, un certo, ecc’’. Come si può ben vedere dunque, il problema dell’indicalità è fortemente sentito, come in tutta la prima filosofia analitica, nel pensiero di Peirce, non solo per l’appunto in quanto gli indici ci conferiscono sostanzialmente la connessione oltre che con l’oggetto immediato che è il riflesso indicale dell’oggetto dinamico, ovvero l’oggetto preso in sé stesso - con la realtà, ma anche perché solleva svariati problemi riguardanti la struttura di una proposizione, e proprio in anni molto vicini ai lavori di Gottlob Frege e di Bertrand Russell. A conclusione della Grammar, infatti, Peirce si ritroverà per le mani proprio problemi di natura linguistica, per l’appunto, e dirà che noi pensiamo solamente attraverso i segni, segni mentali di natura mista, le cui parti simbolo vengono chiamati concetti, ed infine che i simboli sono connessi con i loro oggetti in virtù della mente che li utilizza, senza la quale tale connessione non esisterebbe neppure. E infatti:

puoi scrivere la parola , ma ciò non fa di te il creatore della parola, e neppure se la cancelli l’avrai distrutta. La parola vive nella mente di coloro che la usano. Anche se essi sono tutti addormentati, essa esiste nella loro memoria. 62

Sostanzialmente, sembra che il rapresentamen sia un segno puramente potenziale, ovvero che sia la qualità materiale del segno che attenda di essere messa in atto dall’interpretante. L’interpretante ha ancora un ruolo chiave sia nella teoria semiotica che in quella epistemologica, e dunque, per chiudere il paragrafo è opportuno dare una schematica definizione dei tre momenti dell’interpretazione. Questi si articolano in tre diversi interpretanti: l’interpretante immediato, l’interpretante dinamico e l’interpretante logico-finale. 62

CP 2.301, Ivi 31

L’interpretante immediato è lo stadio in cui il segno viene correttamente interpretato dall’interprete, che lo prende secondo le regole socialmente determinate e tradizionalmente acquisite. A questo stadio la tensione abduttiva fa formulare una serie di domande utili all’interpretazione e attiva la rete dei possibili abiti. Il secondo stadio è quello dell’interpretante dinamico, in cui l’interprete non si accontenta del significato acquisito e lo confronta sia con le proprie esigenze di comprensione sia con l’oggettività, scatenando ulteriori tensioni interpretative. Il terzo e ultimo stadio è quello dell’interpretante logico-finale, in cui si giunge ad un abito interpretativo che soddisfa le esigenze conoscitive coordinate all’azione.63 Secondo Peirce, padre della filosofia pragmatica, lo scopo pratico per l’appunto delimita quel processo di semiosi illimitata e di fuga degli interpretanti potenzialmente infinito, e stabilisce il punto oltre il quale non valga la pena inoltrarsi.

3.The Fixation of Belief: l’abito e la credenza. 3.1 Contro il soggettivismo, il dogmatismo, e l’apriorismo. Tra la fine del 1877 e l’inizio del 1888 appaiono sul Popular Science monthly64 due saggi di Peirce divenuti tra le sue opere più conosciute: The Fixation of Belief’ e How to Make Our Ideas Clear’. Nei due saggi, la creazione della massima pragmatista si lega indissolubilmente al tema delle credenze e del loro instaurarsi in rapporto al dubbio. In The Fixation of Belief Peirce, assodato che qualsiasi credenza si genera dopo uno stato di irritazione creato dal dubbio, si occupa di dichiarare la superiorità del metodo scientifico rispetto ad altri tre metodi: il metodo della tenacia, il metodo dell’autorità e il metodo a priori. Questi infatti, sono secondo lui i principali metodi in base ai quali una credenza può stabilirsi.65 Peirce ci introduce al metodo della tenacia con un esempio:

Ricordo che una volta un mio amico mi chiese di non leggere un certo giornale, per paura che potesse cambiare la mia opinione sul libero scambio. fu l’esatta espressione. disse il mio amico
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