Totemismo e mondo classico (I)

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INTRODUZIONE

Alla metà del XIX secolo, il concetto di evoluzione emerge e si impone come principio orientativo per l’interpretazione dei dati provenienti da aree geografiche esterne all’Europa, raccolti da etnografi «residenti»1, funzionari delle organizzazioni coloniali, agenti delle compagnie di navigazione e religiosi impegnati nell’opera di evangelizzazione. Alla costruzione del paradigma evoluzionista apportarono un contributo decisivo i risultati scientifici conseguiti in vari settori del sapere. In quegli anni, infatti, grazie alle scoperte fatte dall’archeologia preistorica, entrò in crisi la convinzione fino ad allora incontrastata che la comparsa dell’uomo sulla terra risalisse a pochi millenni prima di Cristo (per la precisione al 4004 a.C.)2. Jacques Boucher de Crèvecoeur de Perthes (1788-1868) espose nella sua opera in tre volumi Antiquités Celtiques et Antédiluviennes le prove che avvaloravano l’ipotesi che la presenza dell’uomo sulla terra rimontasse ad un’epoca assai remota, condensando la sua scoperta nella frase ‘Dio è eterno, ma l’uomo è molto vecchio’3, ma già almeno un decennio prima il problema dell’evoluzione dell’umanità era stato posto da questo stesso studioso, a livello induttivo4; le sue

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Fabietti 19982, p. 15. Nel 1650 James Ussher, arcivesco di Armagh, basandosi su di un attento esame delle Scritture, arrivò a calcolare che il mondo era stato creato il 23 Ottobre 4004 a.C., cfr. Spears 1996, pp. 343-358. 3 Boucher de Crèvecoeur de Perthes 1847, vol. I, p. 12. 4 Lowie 1937, p. 7; cfr. Mercier 1972, p. 43. 2

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Introduzione

conclusioni, oltre a influenzare in maniera decisiva il pensiero di C. Darwin, con cui fu in rapporto epistolare, realizzavano una completa convergenza con quanto andava in quello stesso periodo dimostrando il geologo scozzese Charles Lyell. Quest’ultimo ebbe modo di visitare gli scavi effettuati da Jacques Boucher de Perthes ad Abbeville, in Francia, e vi trovò ulteriore conferma del fatto che i mutamenti avvenuti a livello geologico sulla Terra, contrariamente a quanto affermava la Chiesa, si erano prodotti nel corso di un lunghissimo arco di tempo5. L’apporto dell’archeologia preistorica non si limitò, tuttavia, all’ambito teorico. Le ricerche condotte principalmente nei siti della Francia, della Scandinavia, della Danimarca e della Svizzera portarono alla luce una grande quantità di prodotti della cultura materiale delle popolazioni preistoriche che furono immediatamente messi a confronto con i dati presenti nei resoconti etnografici. L’ipotesi che le condizioni di vita degli antichissimi abitanti dell’Europa potessero essere assimilate a quelle delle popolazioni che vivevano allo stato ‘selvaggio’, esposta per la prima volta da J. Lubbock6, venne perfezionata e divenne così uno dei fondamenti teorici della nascente scienza antropologica. Scrive a tal proposito E. B. Tylor: «Confrontando i vari stadi della civiltà tra le razze storicamente note, con l’aiuto dell’inferenza archeologica degli avanzi di tribù preistoriche, sembra possibile stabilire in modo approssimativo la prima condizione generale dell’uomo, che dal nostro punto di vista dev’essere considerata come la condizione primitiva, qualsiasi stato più remoto possa averla in realtà preceduta. Questa ipotetica condizione primitiva corrisponde in misura considerevole a quella delle tribù selvagge dei nostri giorni, le quali, nonostante la loro differenza e la distanza che le separa, hanno in comune certi elementi di civiltà che sembrano le vestigia di uno stato iniziale della razza umana in generale»7. Veniva in questo modo affermata l’equivalenza tra primordiale e primitivo; un’affermazione densa di

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Lyell 1830-1837. Lubbock 1865. Tylor 1970, p. 26.

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conseguenze negli sviluppi successivi degli studi non solo di Antropologia, ma anche dell’Antichità Classica. In forza di ciò, la storia dell’uomo poteva essere concepita come un progresso continuo «cumulativo e irreversibile» e rappresentata come una scala ascendente, sulla quale ogni prodotto della cultura materiale e immateriale poteva essere collocato su uno specifico gradino e attribuito ad un corrispettivo stadio evolutivo. Si pongono così, nell’Inghilterra vittoriana, in un’epoca di grande fermento culturale, in concomitanza con l’affermarsi dell’evoluzionismo, le premesse per la nascita dell’antropologia scientifica. Assunta la società europea e, più in generale, occidentale del XIX secolo come punto d’arrivo di questo processo, la principale ambizione dell’antropologo dell’età vittoriana consisteva nell’ordinare in successione tutti i fatti culturali noti, dal più semplice al più complesso o, che era lo stesso, dal più primitivo al più progredito. Per quanto riguarda i fatti religiosi, conformandosi sul modello della Storia naturale, che in quel periodo stava conseguendo risultati di alto valore, si puntava a ricostruire la linea di «continuità che percorre[va] lo sviluppo della religione, nelle sue forme più rozze fino ad una situazione di cristianesimo illuminato».8 Si assiste quindi ad un forte interesse «verso il reperimento di quegli “stadi iniziali” di pratiche, di istituzioni e di credenze dalle quali partire per erigere le “sequenze di sviluppo storico” che restano l’obiettivo di massima del progetto antropologico evoluzionista»9. In una prospettiva che non appariva interessata a distinguere tra prodotti culturali materiali e prodotti culturali immateriali o spirituali e che di fatto valutava, in una dimensione totalmente etnocentrica, il grado di evoluzione assumendo come unico indicatore il livello di progresso in ambito tecnologico, gli «stadi iniziali» venivano ricercati in quelle civiltà che presentavano i sistemi di produzione meno elaborati e le forme più elementari di organizzazione sociale. Le popolazioni native dell’America Settentrionale e gli aborigeni australiani, in tale ottica, offrivano

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Tylor 1970, p. 28. Fabietti 19982, p. 37.

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Introduzione

buone credenziali e si candidavano come rappresentanti dello stadio originario non solo della civiltà, ma anche della cultura. Proprio partendo dall’esame di dati relativi alle tribù nordamericane e australiane l’avvocato scozzese John Ferguson McLennan pubblicò sulla rivista «Fortnightly Review», tra il 1869 e il 1870, due brevi articoli dal titolo The Worship of Animals and Plants10. L’osservazione di alcuni fenomeni sociali e di varie manifestazioni rituali nelle aree ritenute le più arretrate del globo lo portò alla formulazione dell’esistenza di una forma primitiva di religione, il totemismo, legato ad una fase ancestrale e primordiale di cultura. Tale fase, in accordo con i principi del pensiero scientifico dell’epoca, poteva (e doveva) essere collocata in un punto preciso della linea evolutiva dell’umanità. Secondo McLennan, il totemismo rappresentava uno sviluppo del feticismo, sviluppo determinato dalla naturale inclinazione dell’uomo verso l’antropomorfizzazione11. Si ponevano così le basi per una discussione teorica che avrebbe impegnato diverse generazioni di antropologi. Dal momento che l’origine della religione era ancora una questione antropologica fondamentale12, tutti gli studiosi dell’epoca presero posizione a riguardo: E. B. Tylor rigettò l’ipotesi di McLennan, e interpretò il totemismo come una manifestazione dell’animismo13, ossia della credenza nell’esistenza delle anime e degli altri esseri spirituali, che per questo studioso rappresenta il primo stadio dell’esperienza religiosa14; J. G. Frazer ne approfondì l’aspetto documentario e ne tracciò una possibile linea “evolutiva”, dalla forma più semplice a quelle via via più complesse15; A. Lang, in una prospettiva nominalista, valorizzò l’apporto del mito e dei riti nella costruzione del totemismo16;

10 McLennan 1869, pp. 407-427; McLennan 1870, pp. 562-584; i due articoli furono ripubblicati in appendice del volume McLennan 1896, pp. 491589; sono stati parzialmente tradotti in italiano in Fabietti 19982, pp. 269-296. 11 McLennan 1869-1870, p. 290. 12 Ciattini 1997, p. 186. 13 Tylor 1899, pp. 138-148. 14 Tylor 1970, pp. 27-28. 15 Frazer 1867 (tr. it. Frazer 1971); Frazer 1899; Frazer 1905; Frazer 1910. 16 Lang 1905.

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É. Durkheim sottopose ad un’attenta analisi il materiale documentario relativo all’Australia, come testimonianza di una delle forme elementari della vita religiosa17; A. van Gennep cercò di tracciare un bilancio complessivo delle varie tesi correnti, diverse e talora divergenti18. Si levarono anche voci discordi, di studiosi che tendevano a negare la consistenza del fenomeno del totemismo, come F. Boas19, o a ridimensionarne la portata, come A.A. Goldenweiser20. Ma il totemismo nel frattempo aveva varcato il ristretto ambito della ricerca e della speculazione antropologica. Nel 1913 Sigmund Freud pubblicò Totem und tabu21, un testo in cui si ricostruiva in forma ipotetica il dramma dell’uomo primitivo, in continua tensione tra dovere e volere, tra necessità e libertà. Grazie soprattutto alla mediazione di J. G. Frazer, illustre antropologo, ma anche apprezzato classicista22 e grande divulgatore, il totemismo approdò anche negli studi di antichistica. L’Altertumswissenschaft lo recepì nella sua forma più ampia e perciò meno scientifica e se ne servì come di un comodo schema ermeneutico, che permetteva di interpretare in forma di ‘sopravvivenze’ istituti culturali, manifestazioni rituali e racconti mitologici dai caratteri più disparati. A subirne le conseguenze furono all’inizio la religione egizia, per la presenza di divinità teriomorfe, l’area semita il cui sacrificio venne interpretato in chiave totemica da un affermato studioso, W. Robertson Smith23, e la religione greca per i miti che hanno come protagonisti dei, eroi e animali. Lo stretto rapporto che legava, nel mito e/o nel rito, una divinità ad un animale diventava il segnale di una preesistente fase religiosa totemista, mantenutasi dopo l’affermazione del politeismo

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Durkheim 1912. van Gennep 1920. 19 Boas 1916. 20 Goldenweiser 1910. 21 Freud 1913 (tr. it. Freud 20057). 22 In campo classicista, Frazer ha legato il suo nome all’edizione critica dell’opera di Pausania, corredata di un dottissimo commento, Frazer 1898; ha altresì curato un commento ai Fasti di Ovidio, Frazer 1929. 23 Robertson Smith 1889. 18

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Introduzione

in forma di sopravvivenza24. Anche il teatro, istituzione religiosa caratteristica della Grecia del V sec. a.C., fu considerato l’evoluzione di un precedente stadio totemico, in cui l’arcaica società greca era organizzata in gene-clan25. Ben presto, il totemismo attirò anche l’attenzione degli studiosi di Roma antica. Quest’ultima, con le sue leggende dai contenuti all’apparenza ingenui, con i suoi riti dall’aspetto decisamente primitivo (rispetto, naturalmente, al paradigma rappresentato dalla religione greca), con l’importantissimo ruolo politico rappresentato dai gruppi gentilizi (gentes) sembrava offrire una notevole quantità di dati disponibili per un’interpretazione in chiave totemica. Una volta affermato il livello primitivo del sistema religioso romano, qualsiasi elemento zoomorfo presente in una qualsiasi espressione cultuale e rituale poteva essere interpretato come un survival totemico26. Si trattò di un pregiudizio, è chiaro, ma di un pregiudizio che pesò per molto tempo, impedendo, o quanto meno ostacolando, il reale riconoscimento del carattere di compiuto e maturo politeismo della religione romana. Mentre, infatti, a partire dagli anni Venti, l’importanza del totemismo nel dibattito antropologico appare fortemente ridimensionata27, ed il totemismo quasi scompare nelle opere dedicate alla Grecia antica, a parte i lavori di Thomson, nel campo degli studi di romanistica proprio in quegli anni uscirono alcuni dei più importanti contributi all’interpretazione in chiave totemica di alcuni istituti giuridici e religiosi di Roma antica. La divaricazione tra i due ambiti di studio era destinata nel tempo ad accentuarsi ulteriormente. All’inizio degli anni ‘60, il totemismo fu sottoposto ad una serrata critica in ambito antropologico da parte di C. Lévi-Strauss28, che sviluppando delle idee già formulate da Tylor29e da Radcliffe-

24 Cfr. in van Gennep 1920, pp. 179-321, la parte dedicata alle sopravvivenze del totemismo in Egitto e in Africa, nell’area egeo-cretese e in Grecia. 25 Thomson 19492. 26 Cfr. l’interpretazione totemica della lupa del Campidoglio in Rayet 1884. 27 Tanto che quel decennio è stato assunto come il termine dell’epoca d’oro del totemismo, cfr. Rosa 2003. 28 Lévi-Strauss 1962a (tr. it. Lévi-Strauss 2010a). 29 Tylor 1899.

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Brown30, giunse alla totale liquidazione dell’“illusione totemica”, tanto come forma di religione quanto come stadio primordiale attraversato da tutta l’umanità; negli stessi anni, lo storico Santo Mazzarino, in una fondamentale opera sul pensiero storiografico antico, proponeva un’esegesi della leggenda delle origini di Roma totalmente orientata in senso totemico31. Accreditato dai lavori di tanti insigni studiosi, negli studi di archeologia, di storia e di diritto romano, il totemismo, come chiave interpretativa, mantenne a lungo una sua vitalità e ancora riaffiora in alcune opere dedicate a Roma antica32..

30 Radcliffe-Brown 1952 (tr. it. Radcliffe-Brown 1968, pp. 129-143); Radcliffe-Brown 1951 (tr. it. Radcliffe-Brown 1973). 31 Mazzarino, 19903, pp. 309 e Mazzarino 19744, n. 555, pp. 412-461. 32 Cfr. ad es. Grandazzi 1991 (tr. it. 1993, pp. 196 e 200); Fraschetti 2002, p. 8; pp. 124-126; Carandini 2002.

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Introduzione

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PARTE PRIMA

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CAPITOLO I Le origini del totemismo

Il totemismo fu, insieme all’animismo teorizzato da Tylor, una delle prime macrocategorie religiose elaborate in ambito antropologico. Nella definizione di J. G. Frazer, il totem, ossia l’oggetto di questa forma di religione è: «una classe di oggetti materiali che il selvaggio riguarda con rispetto superstizioso, credendo che tra sé e ogni membro della classe esista una relazione intima e del tutto speciale» 1. Partendo dall’oggetto così definito e procedendo per progressive generalizzazioni fino al livello massimo di astrazione concettuale, il totem ha fornito la base per l’elaborazione della macrocategoria totemismo, che sta ad indicare non più un prodotto culturale specifico e locale (come era il totem), bensì una forma di religione primordiale e «universale» centrata sul culto degli animali 2 o più in generale sull’adorazione della natura 3. Una volta raggiunto lo statuto di nozione teorica, il totemismo si contese a lungo con l’animismo il posto sul primo gradino della scala evolutiva, quello cioè spettante alla forma originaria, ‘minima’ direbbe Marett 4, di religione. Il totemismo esercitò un grande fascino sugli studiosi dell’epoca anche perché, al contrario dell’animismo di Tylor, si ricollegava ad un termine derivato da una lingua indigena, il cui significato era da

1 Frazer 1867, p. 2: «A totem is a class of material objects which a savage regards with superstitious respect, believing that there exists between him and every member of the class an intimate and altogether special relation». 2 McLennan 19982, pp. 269-296. 3 Lubbock 20012; cfr. Sabbatucci 1970, p 10. 4 Marett 1909a.

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Totemismo e mondo classico

ricercarsi nella viva esperienza di alcune tra le popolazioni più arretrate della terra. Il termine totem, infatti, deriva, come è noto, dall’adattamento di un’espressione della lingua degli Ojibwa, una popolazione del gruppo algonkino, stanziata nell’America Settentrionale a nord dei Grandi Laghi. Presso questa popolazione si registra l’espressione ototeman, che si può tradurre approssimativamente: “egli è della mia parentela” 5. Tale formula, riadattata nella forma totam, compare per la prima volta, verso la fine del Settecento, nel libro pubblicato da un mercante inglese, John Long: nel suo resoconto Voyages and Travels of an Indian Interpreter and Trader, egli illustra le informazioni etnografiche raccolte nel corso di una lunga permanenza presso le popolazioni degli Indiani del Nord America. Long ha così modo di osservare come «una parte della superstizione religiosa dei selvaggi, consiste nel fatto che ciascuno di essi ha il suo totam, o spirito preferito, che crede vegli su di lui. Il totam che essi concepiscono assume la forma di un animale o altro, e perciò essi non uccidono, non cacciano e non mangiano mai l’animale del quale pensano che il loro totam porti la forma» 6. La validità delle notizie riferite da Long verrà radicalmente ridimensionata a seguito di analisi supportate da una migliore conoscenza della lingua indigena (v. infra pp. 92-94) ed emergerà in questo modo l’equivoco del quale l’autore si rese responsabile, confondendo il sistema di denominazione collettiva che associava ogni clan ad una specie per lo più animale, con lo Spirito Guardiano (Guardian Spirit) con il quale un singolo individuo del clan stabiliva una relazione esclusiva di guida

5 Lévi-Strauss 2010a, pp. 20; l’espressione si compone dei seguenti elementi: o – prefisso di terza persona singolare; – t – epentetico; – ote – morfema che esprime parentela tra il soggetto e un elemento appartenente allo stesso gruppo esogamico; – m – morfema possessivo di prima persona singolare; – an suffisso di terza persona singolare, Lévi-Strauss ibid. 6 Long 1791, p. 86: «One part of the religious superstition of the Savages, consists in each of them having his totam, or favourite spirit, which he believes watches over him. This totem they conceive assumes the shape of some beast or other, and therefore they never kill, hunt, or eat the animal whose form they think the totem bears».

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e protezione 7. All’epoca della sua pubblicazione, tuttavia, non vi era alcuna possibilità di rilevare tale inesattezza e le osservazioni riferite dall’intraprendente mercante furono accolte in modo assai positivo e ricevettero un largo credito. Nel frattempo, dopo diverse oscillazioni grafiche 8, ad opera di H. R. Schoolcraft, si impose e venne universalmente adottata la trascrizione di ototeman nella forma totem 9. La somiglianza con quanto descritto da Long fu colta, alcuni decenni dopo, da sir George Grey, diplomatico inglese, Governatore dell’Australia Meridionale e per due volte della Nuova Zelanda. Nel suo diario, un intero capitolo è dedicato alle norme che presso gli aborigeni da lui visitati nelle terre occidentali e nord-occidentali dell’Australia regolavano le relazioni tra i gruppi familiari, il matrimonio e l’eredità 10. I nativi erano divisi in un certo numero di ‘grandi famiglie’ (great families), i cui principali rami erano sette (Ballaroke, Tdondarup, Ngotak, Nagarnook, Nogonyuk, Mongalung, Narrangur), a loro volta distinti nei distretti territoriali in sottogruppi locali 11. Le due norme che regolavano il matrimonio presso i nativi erano: trasmissione del nome di famiglia per via materna e divieto di contrarre matrimonio all’interno di un gruppo avente lo stesso nome di famiglia 12. Grey rilevò una coincidenza tra questo costume e quello descritto per le tribù degli Indiani d’America; ma la somiglianza si spingeva oltre. I nativi, interrogati riguardo alle origini di questi nomi, rispondevano spesso che essi erano derivati da un animale o da un vegetale che era molto diffuso nel distretto dove abitava la famiglia 13. Tra ogni gruppo familiare e il suo cimiero 7

Benedict 1923; Lévi-Strauss 2010a, pp. 20-21; Vecsey 1983. Cfr. Frazer 1971, pp. 25-26. 9 Schoolcraft 1834, p. 146. 10 Grey 1841. 11 Grey 1841, pp. 225-226; i nomi più comuni erano: Didaroke, Gwerrinjoke, Maleoke, Waddaroke, Djekoke, Kotejumeno, Namyungo, Yungaree. 12 Grey 1841, p. 226: «These family names are perpetuated and spread through the country by the operation of two remarkable laws: 1. that children of either sex always take the family name of their mother; 2. that a man cannot marry a woman of his own family name». 13 Grey 1841, p. 228: «The origin of these family names is attributed by the 8

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(crest) o la sua insegna (sign), che gli indigeni indicavano con il termine kobong, esisteva una sorta di misterioso legame: un appartenente ad una famiglia, di norma, non poteva uccidere un esemplare appartenente alla stessa specie animale del suo kobong, e se proprio era costretto a farlo, gli lasciava comunque una via di fuga 14. Una condotta simile veniva adottata anche nel caso che il kobong della famiglia fosse rappresentato da una specie vegetale 15. Cinquant’anni intercorrono tra il resoconto di Long e quello di Grey, eppure la prospettiva non è minimamente cambiata. Il lavoro di Grey presenta una maggiore articolazione rispetto a quello di Long, conseguenza anche della diversa sensibilità tra i due autori 16, ma la dimensione entro cui si muovono entrambi è ancora prettamente descrittiva. L’etnografo che riporta i costumi delle popolazioni australiane è in grado di cogliere le analogie, che egli definisce ‘coincidenze’ 17, con le usanze testimoniate per le tribù nord-ameri-

natives to different causes, but I think that enough is not yet known on the subject to enable us to form an accurate opinion on this point. One origin frequently assigned by the natives is that they were derived from some vegetable or animal being very common in the district which the family inhabited, and that hence the name of this animal or vegetable became applied to the family. I have in my published vocabulary of the native language, under each family name, given its derivations as far as I could collect them from the statements of the natives.» 14 ibid.: «A certain mysterious connection exists between a family and its kobong, so that a member of the family will never kill an animal of the species to which his kobong belongs, should he find it asleep; indeed he always kills it reluctantly, and never without affording it a chance to escape». 15 Grey 1841, pp. 228-229: «Similarly a native who has a vegetable for his kobong may not gather it under certain circumstances and at a particular period of the year». 16 Sir George Grey fu tra i primi a comprendere l’importanza della conoscenza non solo della lingua ma anche della mitologia locale per rendere realmente efficace la comunicazione con gli aborigeni in generale e con i capi in particolare; si applicò allo studio dei dialetti australiani e pubblicò un dizionario degli idiomi locali, Grey 1840; in seguito si dedicò per otto anni alla minuziosa raccolta di miti, racconti tradizionali e proverbi, che riunì nel volume Grey 1854. 17 Grey 1841, pp. 226-227.

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cane, ma non arriva a rielaborarle in forma di sistema teorico. Il lavoro si esaurisce nella giustapposizione di una serie di dati, ordinati secondo un criterio tematico. La fase teorica del totemismo come «stadio» evolutivo non solo sociale, ma anche e soprattutto religioso attraversato da tutta l’umanità viene fissata dallo studioso britannico John Ferguson Mc Lennan in due articoli dal titolo The Worship of Animals and Plants, ospitati sulle pagine del «Forthnightly Review» nel 1869 e nel 1870 18. Oggetto della sua ricerca sono «i totem e gli dei totem o, più in generale, gli dei animali e vegetali» 19 e, nel testo, l’indagine si articola in tre momenti: innanzitutto, l’a. illustra la natura del totem; in seguito si sofferma a delineare, nei limiti del possibile, «la condizione intellettuale dell’uomo durante (…) lo stadio totemico dello sviluppo» 20; infine espone gli argomenti che avvalorerebbero l’ipotesi che nel corso della preistoria e prima della venerazione di divinità antropomorfe, «le nazioni antiche» avrebbero conosciuto uno stadio totemico «avendo come dei piante, animali e corpi celesti concepiti come animali» 21. Come si può osservare, la ricerca di McLennan si avvia già condizionata da pesanti preconcetti: la natura religiosa del totem non è dimostrata, ma affermata senza l’apporto di alcuna argomentazione a sostegno; «lo stadio totemico dello sviluppo» viene associato ad «una condizione intellettuale dell’uomo» come se si trattasse della conseguenza naturale di una

18 «Fortnightly Review» fu una delle più influenti e innovative riviste inglesi dell’Ottocento; fondata da nove soci nel 1865, iniziò le pubblicazioni a cadenza quindicinale, come è nella testata stessa della rivista, il 15 Maggio dello stesso anno; dal 1866, le uscite divennero mensili; la rivista si fece promotrice di grandi battaglie di carattere sociale come l’emancipazione femminile e promosse in generale una visione meno dogmatica e più critica del sapere, intervenendo nei settori più importanti del dibattito scientifico dell’epoca; sulle sue pagine apparvero anche racconti e poesie di autori dell’Ottocento e del Novecento come J. Joyce, W. B. Yeats ed Ezra Pound; cessò le pubblicazioni nel 1934; per il contributo di questa rivista al rinnovamento della cultura in Inghilterra, cfr. Everett 19712. 19 McLennan 19982, p. 288. 20 ibid. 21 McLennan 19982, p. 289.

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Totemismo e mondo classico

particolare «mentalità» 22 e non di un prodotto culturale; infine lo stadio totemico, la cui esistenza è, come abbiamo detto, piuttosto presupposta che dimostrata, viene collocato cronologicamente nella fase che precede il politeismo, inteso come culto di figure divine antropomorfe. I dati di partenza sono quelli a cui abbiamo fatto riferimento in precedenza, ossia i resoconti del Governatore George Grey relativi al kobong australiano 23, integrati con ulteriori informazioni derivate dal vocabolario indigeno raccolto e redatto dallo stesso Governatore 24. Emerge così per almeno otto famiglie delle comunità studiate da Grey l’attribuzione di un nome coincidente con quello di una specie animale: 1. Ballaroke (con diverse varianti grafiche): specie di opossum; 2. Djin-be-nong-era: specie di anitra; 3. Karbunga: anitra di montagna; 4. Kij-jin-broon: specie di uccello di palude; 5. Koo-la-ma: specie di uccello di palude; 6. Kul-jak: varietà di cigno; 7. Nag-Karm: genere di pesce; 8. Nam-yun-go: varietà di emù. 25

Il nome di famiglia si trasmetteva per via materna e per tutti questi gruppi vigeva un divieto di matrimonio all’interno del gruppo di appartenenza 26. Si tratta di una base documentaria certamente limitata, ma che McLennan giudica sufficiente per l’elaborazione di un paradigma da sottoporre al confronto con i dati relativi al Nord America. In questa 22

Sabbatucci 2003, pp. 119-153. McLennan 19982, pp. 290-91. 24 Grey 1840. 25 McLennan 19982, pp. 291-92; l’approssimazione con cui si procedette all’identificazione delle specie e delle varietà in questione da parte degli europei contrasta con l’estrema precisione delle tassonomie indigene; per questo diverso orientamento culturale, cfr. C. Lévi-Strauss 2010b. 26 McLennan 19982, p. 290. 23

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area geografica, meglio conosciuta all’epoca rispetto all’Australia grazie a specifici progetti in gran parte confluiti nell’opera Archaeologia Americana, gli esempi di tribù (o clan) che recavano nomi di animali o di piante erano assai numerosi. Tutti i principali gruppi etnici nordamericani risultavano suddivisi in clan, spesso organizzati su modello gerarchico, che erano contraddistinti dal nome di una specie animale o vegetale. Così gli Uroni, nell’epoca a cui si riferisce Gallatin 27, fonte di McLennan, risultavano divisi in tre gruppi: Orso (preminente), Lupo e Tartaruga. Anche presso gli Omaha, appartenenti ai Sioux, esisteva una ripartizione in cinque clan dei quali il più antico era quello del Mais rosso, mentre il più potente era quello del Cervo (Wase-iohte). Analoghe situazioni sarebbero state testimoniate presso i Cherokee, i Creek, i Natche, i Chippewa, e altri gruppi; presso i Delaware, al contrario, si sarebbe riscontrata la presenza di un solo clan, quello del Lupo (Minsi) 28. Al termine dell’esposizione dei dati relativi alle comunità nordamericane appaiono censiti ben quarantotto gruppi umani identificati dal nome di un elemento naturale, non solo nomi di animali o di piante, ma anche di un insieme o di una parte di esse (Bosco, Sottobosco, Corteccia di betulla, Radice, Foglia), di oggetti inorganici (Acqua, Sabbia, Roccia), di astri (Sole, Sole nascente), di un fenomeno meteorologico (Neve grigia). Anche presso gli Indiani d’America, McLennan riscontra l’esistenza degli stessi principi regolatori dei rapporti all’interno e all’esterno del gruppo umano: la trasmissione del nome per via materna (con eccezione dei Chippewa) e l’esogamia 29. La relativa corrispondenza tra le notizie riferite alle popolazioni aborigene dell’Australia e indigene del Nord America si scontrava, tuttavia, con la grande distanza delle due aree geografiche; perciò lo studio-

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Gallatin 1836, p. 109. Lévi-Strauss 2010b ha studiato alcuni processi che possono determinare la riduzione ad un unico clan di un sistema sociale in origine più articolato. 29 Per la definizione di esogamia, cfr. Frazer 1971, p. 95: «Esogamia. Le persone dello stesso totem non possono sposarsi o avere rapporti sessuali tra di loro» (Frazer 1867, p. 58: «Exogamy.-Persons of the same totem may not marry or have sexual intercorse with each other»). 28

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so britannico si preoccupa di uniformare, per così dire, il totem, integrando la documentazione attraverso l’esame di tradizioni relative all’Asia, in forma di sopravvivenze 30. A volte, le sue “prove a conferma”, nonostante tutte le cautele con cui McLennan le presenti, appaiono poco più che delle suggestioni. Un esempio ci sembra particolarmente interessante, in quanto chiama in causa una notizia riportata da una fonte antica. Un certo capitano Montgomerie, in una riunione della Geographical Society, avrebbe riferito che nella zona del Kashmir e dell’Himalaya, sarebbe stata rilevata la presenza di tribù identificate con nomi di animali. Sulla base di questo dato (in verità poco provato), il capitano ritenne di poter sostenere l’ipotesi dell’esistenza nel Kashmir del Nord di una tribù «Formica», e avvalorò la sua ipotesi facendo riferimento ad un passo di Erodoto secondo il quale – nell’interpretazione di Montgomerie – i campi di quella regione erano lavorati dalle formiche. Conclude per tanto McLennan: «Se ciò è vero, possiamo legittimamente presumere che una ricerca rivelerà l’esistenza, in quella regione, di parecchie tribù ancora allo stato totemico» 31. In realtà, Erodoto, nella sua descrizione del territorio e delle popolazioni dell’India, riporta una notizia secondo cui nel deserto della Battriana (attuale Afghanistan) sarebbero vissute delle grosse formiche, che scavandosi la tana sottoterra avrebbero portato in superficie una sabbia aurifera (Her. III, 102). Come si può osservare, non c’è nulla nel testo di Erodoto che avvalori un’interpretazione di queste straordinarie formiche come animali totemici. Esaminando i dati relativi all’Oceania, McLennan si imbatte, tra l’altro, anche in tipi di esseri mitici che in studi posteriori saranno classificati come dema 32. McLennan riferisce a proposito il mito di

30

McLennan 19982, pp. 302-303. McLennan 19982, p. 303. 32 Il dema come tema mitico, ancor prima che come tipologia di esseri extraumani puramente mitici, fu studiato da A.E. Jensen, un pastore protestante, cui si deve anche l’introduzione del termine nel lessico scientifico etnologico, Jensen 1948; nei miti di tipo dema, un essere viene ucciso, smembrato e sepolto; dal suo corpo, in seguito, ha origine una pianta che diviene l’alimento di base della collettività; per una definizione del dema, cfr. Brelich 31

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origine della stirpe reale di Tahiti: il primo re fu Owatea che ebbe da sua moglie Papa (=«madre delle isole») un figlio deforme; Owatea e Papa lo seppellirono e dal suo corpo ebbe origine la pianta del taro; Owatea e Papa, allora, diedero al loro erede il nome Haloa, che nella lingua del posto designa anche lo stelo della pianta del taro 33. Per McLennan questo mito «deve essere considerato come un esempio delle leggende che si sono costituite prima della comparsa del totemismo a spiegazione delle sue origini e di ciò che ne è rimasto» 34. La comune discendenza mitica da una coppia regale e dalla pianta che nell’isola rappresenta la base alimentare della comunità è dunque interpretata come una fase aurorale del totemismo; in realtà sembra che all’a. sia sufficiente riscontrare in una determinata area la presenza di nomi di esseri extraumani riconducibili a specie vegetali o animali, per ipotizzare l’esistenza di una fase anticipatrice o residuale di totemismo. Rilevata in questo modo l’estrema diffusione geografica del totem, McLennan passa ad esaminare la relazione che intercorre tra quest’ultimo ed il corrispondente gruppo umano; dal momento che le fonti, in realtà, non sembrano molto perspicue riguardo all’identità di stirpe tra totem e gruppo umano, lo studioso deve utilizzare materiale di vario genere a sostegno della sua tesi. Nel caso delle popolazioni degli Indiani d’America, vengono utilizzate come documento anche le pagine del celebre romanzo d’avventura di James Fenimore Cooper, The Last of the Mohicans 35, in cui un guerriero del clan del Castoro, essendosi imbattuto in una colonia di castori, si ferma a salutarli chiamandoli “cugini” 36. Il ricorso ad un testo letterario come se si trattasse di una fonte etnografica appare ai nostri occhi come un ingenuo espediente; inoltre, gli argomenti apportati a sostegno della tesi sono labili e niente affatto cogenti, ma evidentemente lo studioso non ne era consapevole.

1966, p. 17; questa categoria è stata sottoposta a revisione critica da Sabbatucci 1986. 33 McLennan 19982, p. 293. 34 McLennan, ibid.; lo studioso utilizza come fonte il repertorio mitologico polinesiano redatto da Grey 1854. 35 Fenimore Cooper 1826, pp. 131-132. 36 McLennan 19982, pp. 301-02.

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L’ultimo elemento che restava da dimostrare era il culto tributato al totem da parte della tribù corrispondente; ricordiamo che per McLennan l’affermazione del carattere religioso del totem costituiva un dato di partenza, e dunque, la sua ricerca, in questa fase, era tesa al reperimento di argomenti che potessero avallare questa visione. La ricerca si indirizza verso gli esempi di venerazione di divinità, o meglio di figure extra-umane con ricettacolo animale. Non gli è difficile quindi rinvenire casi di popolazioni che indirizzavano riti e invocazioni, in sintesi che tributavano un culto, ad esseri extra-umani rappresentati in forme animali. McLennan si sofferma in particolare sulla religione degli abitanti delle isole Fiji, trovandovi numerosi esempi di “divinità” che si credeva si presentassero attraverso ierofanie animali (il serpente, il falco, l’anguilla, il granchio di terra…) 37. Lo studioso dà per acquisito, senza peraltro dimostrarlo, che queste figure posseggano le caratteristiche del totem (già individuate). Al termine di questa raccolta di dati, McLennan perviene alla definizione di totemismo, come 38 «il feticismo più alcune peculiarità. Queste peculiarità sono, (1) l’attribuzione di uno speciale feticcio alla tribù, (2) la sua trasmissione ereditaria per via materna, (3) il suo collegamento con il diritto che regola i matrimoni» 39. McLennan invoca l’equivalenza feticcio-totem proprio per richiamare in forma più complessa qualcosa di già accreditato presso gli studiosi. Il feticismo come forma di religione incentrata sul culto tributato ad oggetti inanimati detti ‘feticci’ (dal portoghese feitiçio= sortilegio, fattura) e/o ad animali, infatti, venne teorizzato per la prima volta da Charles de Brosses nel ‘700, sulla base dell’osservazione delle

37

McLennan 19982, p. 306-7. McLennan 1896, p. 512: «Fetichism plus certain peculiarities. These peculiarities are, (1) the appropriation of a special Fetich to the tribe, (2) its hereditary transmission through mothers, and (3) its connection with the jus connubii» (tr. d. r.). 39 McLennan, ibid.: «It has been called Fetichism; which, according to the common accounts of it, ascribes a life and personality resembling our own, not only to animals and plants, but to rocks, mountains, streams, winds, the heavenly bodies, the earth itself, and even the heavens». 38

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pratiche rituali dei popoli dell’Africa Occidentale 40. Successivamente, esso venne proposto come forma di religione originaria, anteriore tanto al politeismo, quanto al monoteismo, da A. Comte 41; Tylor ridimensionò la portata del feticismo, riducendolo ad una forma secondaria dell’animismo, ossia della credenza negli spiriti, che costituirebbe, per questo studioso, la forma più antica di religione 42. Quanto alla matrilinearità e all’esogamia, lo studio dei sistemi di parentela era un argomento di grande interesse all’epoca. Il primo a ricercare un legame tra sistemi sociali e forme religiose era stato Johan J. Bachofen con il fortunatissimo saggio Das Mutterrecht, nel quale, basandosi su una documentazione completamente desunta dalla classicità, era giunto a formulare l’ipotesi dell’esistenza di una fase arcaica caratterizzata dalla discendenza matrilineare, solidale con il culto della Terra-Madre, successivamente sostituita dal sistema di discendenza patrilineare, solidale con la religione degli dei Olimpici 43. Lo stesso McLennan si era già interessato al tema nell’opera Primitive Marriage, coniando tra l’altro i termini endogamia e esogamia 44. A distanza di qualche anno L. H. Morgan in Ancient Society proporrà un quadro completo e articolato della sequenza evolutiva dei sistemi di parentela, collegandoli con caratteristiche economiche, sociali e religiose 45, un quadro destinato a fornire la base della speculazione della scuola marxiana sulla famiglia 46. McLennan non conosceva l’opera di Bachofen 47, ma al pari di questo autore, era portato a supporre l’esistenza di una fase originaria caratterizzata da una totale promiscuità sessuale; questa fase, non documentata, era la conseguenza del principio evoluzionistico che supponeva sempre il passaggio dall’indi40

de Brosses 1756; de Brosses 1760 (tr. it. de Brosses 2000). Gli stadi della religione sono trattati soprattutto nel V volume del Cours de Philosophie Positive, Comte 1830-1846. 42 Tylor 1870, p. 502. 43 Bachofen 1861. 44 I termini endogamia (ingl. Endogamy) e esogamia (ingl. Exogamy) furono introdotti proprio da J.F. McLennan in McLennan 1865, pp. 48-49 nota. 45 Morgan 1877. 46 Engels 1884 (tr. it. 1970). 47 Fabietti 19982, p. 40. 41

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stinto al distinto, dalla forma più semplice alla più complessa. Da questa forma si sarebbe poi passati alla discendenza per via femminile ed infine alla discendenza per via maschile, fino a giungere alla famiglia monogamica della civiltà occidentale, ultimo stadio della linea evolutiva. Nella prospettiva di McLennan, discendenza matrilineare ed esogamia potevano quindi essere assunti come indicatori di uno stadio primitivo di civiltà. Fissando pertanto il totemismo come risultato di tre componenti, feticismo + matrilinearità + esogamia, McLennan riesce a riscontrare istituti totemici in ogni zona della terra: in Africa, dove si veneravano oggetti ritenuti “potenti” (i feticci rilevati presso le popolazioni del Golfo di Guinea), in Asia (dove i clan erano esogamici e alcune tribù erano spesso chiamate con nomi di animali). Allo stesso modo, sopravvivenze totemiche potevano essere rintracciate in ognuna delle culture superiori note, per dimostrare che nella loro fase preistorica avevano conosciuto questa forma di religione e che quindi il totemismo era uno stadio di sviluppo attraversato da tutta l’umanità. A tale scopo, McLennan accumula materiale assai eterogeneo e per nulla univoco: persino l’idea della trasmigrazione delle anime, presente secondo lui in Egitto e in India, fornirebbe la prova di una preesistente fase totemica 48. L’idea che l’anima, dopo la morte, possa trasmigrare in un animale (o nel caso dell’India, in uno shudra, un fuori casta) o, se meritevoli, in un essere celeste, non è per McLennan tanto una dottrina escatologica, quanto la conferma sperimentale della trasformazione dell’istituto totemico in culture superiori 49. Altri argomenti addotti a riprova dell’esistenza di uno stadio totemico presso le civiltà superiori antiche sono desunti dai nomi delle costellazioni presenti nello Zodiaco 50. I continui richiami al mondo animale (Scorpione, Leone, Orsa, Toro, Cane, Cigno, Ariete, ecc.) non sarebbero altro, per lo studioso, che il ricordo della fase totemica nella quale furono classificate e denominate le costellazioni (v. infra pp. 107-109).

48 49 50

44

McLennan 19982, pp. 310-311. McLennan19982, p. 291 e p. 293. McLennan 1896, p. 520 ss.

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È proprio l’estrema disinvoltura nell’esame dei dati e l’eccessiva fluidità dello «schema», che non si presenta quasi mai nella sua forma «pura», a costituire uno dei maggiori limiti scientifici della teoria del totemismo elaborata da McLennan. Se infatti la sua definizione di totemismo appare condensabile nella formula: feticismo più esogamia e filiazione matrilineare, bisogna riconoscere che, come ebbe già a osservare F. Boas, la grande variabilità dei dati etnologici induce a dubitare della reale consistenza di un totemismo inteso come unità di un insieme di fenomeni culturali 51. *** Sir James G. Frazer fu spinto ad occuparsi della questione, allorché gli venne affidata la redazione della voce Totemism per la nuova edizione dell’Encyclopaedia Britannica (1886); l’enorme mole di dati documentari raccolti dall’autore gli suggerì di operare una selezione e di pubblicare separatamente i risultati della sua ricerca. Nel 1887, ad Edimburgo, uscì il saggio Totemism 52, che in seguito confluì, come introduzione nella grandiosa opera Totemism and Exogamy 53, una completa rassegna dei dati a disposizione, accompagnata da una serie di notazioni critiche e problematiche. Frazer continuò ad approfondire l’argomento pubblicando i risultati delle sue indagini in vari articoli 54; fondamentale per l’elaborazione in forma definitiva della teoria di Frazer sul totemismo fu la lettura del volume di B. Gillen Spencer e F.J. Gillen, Native Tribes of Central

51 Boas 1916, pp. 319-326: «I do not believe that all totemic phenomena can be derived from the same psychological or historical sources»; «The fundamental principle of classification as manifested in the mental life of man shows that the basis of classification must always be founded on the same fundamental concepts». 52 Frazer 1867; di questo saggio esiste un’edizione italiana, curata da D. Sabbatucci, Frazer 1971, pp. 23-141. 53 Frazer 1910. 54 Due di questi, Frazer 1899 e Frazer 1905 sono pubblicati in edizione italiana in Frazer 1971 (a cura di Sabbatucci), pp. 143-204 e pp. 205-245.

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Australia 55. Studiando attentamente la cultura degli Aborigeni dell’Australia Centrale, sia pure a tavolino attraverso l’accurata monografia di Spencer e Gillen, Frazer propose diverse successive formulazioni della sua teoria del totemismo, fino a giungere al cd. totemismo concezionale che costituisce l’approdo del suo lunghissimo percorso di ricerca 56. Grande rilievo, nell’analisi di Frazer, viene dato alle caratteristiche geografiche dell’Australia: questa porzione di terra emersa è la più piccola e la più isolata del globo. Assumendo come presupposto il principio per cui nella lotta per la sopravvivenza, struggle for life, il progresso dipenda principalmente dalla competizione, e, di conseguenza, che l’evoluzione sia tanto più veloce quanto più numerosi sono i competitori e quanto più accanita è la lotta 57, si giunge alla conclusione che i nativi, gli aborigeni del centro dell’Australia, oltre ad essere fra i più primitivi del mondo, sono anche tra i meno capaci di evolversi per l’assenza di competizione e per le difficoltà di comunicazione dovute alla natura del territorio 58. Essi rappresentano, perciò, il modello più attendibile di primitivo-primordiale. A proposito Frazer, attingendo dalla monografia di Spencer e Gillen, nota che l’idea di coprirsi con le pellicce degli animali cacciati non li aveva mai sfiorati, nonostante essi patissero molto il freddo nelle loro regioni; inoltre, aggiunge Frazer, gli aborigeni non mostravano alcuna consapevolezza del fatto che l’unione dei sessi fosse alla base della riproduzione dell’uomo, e anzi, rigettavano con fermezza l’idea che vi fosse un qualche rapporto tra i due atti 59. Proprio in quanto ignari dei processi naturali più elementari, gli aborigeni australiani potevano essere collocati sul gradino più basso della scala dei selvaggi 60. Ciò porta Frazer a concludere che «una completa e accurata registrazione dei pensieri e delle usanze di un popolo

55

Spencer-Gillen 1899. Frazer 1971, p. 232: «In esso, dopo anni di sondaggi, i nostri scandagli sembrano infine aver toccato il fondo». 57 Frazer 1971, p. 147 58 ibid.. 59 Frazer 1971, p. 148. 60 ibid.. 56

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tanto in basso nella scala dell’umanità deve presentare il massimo interesse scientifico: perché ora è generalmente ammesso che tutte le razze umane civilizzate sono passate un tempo attraverso uno stato selvaggio e che, a un esame più attento, i semi della maggior parte delle istituzioni di cui andiamo fieri possono essere scoperti, ancora parzialmente o completamente allo stato embrionale, nei costumi delle tribù primitive» 61. Si può cogliere, nelle parole di Frazer, anche una sfumatura di compassione nei confronti delle popolazioni studiate: esse appaiono ai suoi occhi come «i corridori perdenti e morenti nella corsa della vita», sul punto di scomparire, a causa della loro estinzione demografica e/o della loro assimilazione culturale. Non solo essi scompariranno, ma anche «il loro antico mondo sarà irrecuperabilmente perduto» 62. Esaminando i dati a disposizione, molto più numerosi di quelli che aveva a disposizione McLennan, Frazer apporta delle sostanziali correzioni allo schema totemico proposto dallo studioso scozzese. Innanzi tutto, puntualizza la connotazione che differenzia il feticcio dal totem: nel primo caso si tratta di un singolo elemento, nel secondo di una classe di elementi. «In quanto distinto da un feticcio, esso [scl. il totem] non è mai un individuo isolato, ma sempre una classe di oggetti, in generale una specie di animali o di piante, più raramente una classe di oggetti naturali inanimati, molto raramente una classe di oggetti artificiali» 63. Frazer propone una nozione più tecnica e perciò più restrittiva di feticcio e conseguentemente anche del feticismo, che riguadagna così la sua autonomia. A fronte di ciò, il legame che intercorre tra uomo e totem viene espresso in termini più ampi e meno rigidi. Si giunge così alla definizione «classica», accettata e ripresa da tutti gli studiosi:

61

Frazer 1971, p. 149. Frazer 1971, p. 150. 63 Frazer 1867 p. 2: «As distinguished from a fetich, a totem is never an isolated individual, but always a class of objects, generally a species of animals or of plants, more rarely a class of inanimate natural objects, very rarely a class of artificial objects». 62

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«A totem is a class of material objects which a savage regards with superstitious respect, believing that there exists between him and every member of the class an intimate and altogether special relation» 64.

Quanto al rapporto con l’uomo, Frazer distingue tre diversi tipi di totem: quello del clan, che accomuna l’intero gruppo e si trasmette per via ereditaria (non necessariamente per discendenza matrilineare); quello del sesso, che appartiene a tutti gli esponenti dello stesso sesso; infine quello individuale, che è proprio di un unico appartenente al clan e che pertanto non può essere trasmesso per via ereditaria 65. Lo studioso riprende dalla sua fonte l’equivoco circa il totem individuale, e tuttavia è consapevole del fatto, che, sotto tutti i punti di vista, il totem del clan è certamente quello più importante. Anche l’individuazione della connessione che unisce il gruppo umano ed il totem tende a farsi più complessa, in quanto Frazer ha ben presente il fatto che non tutti i totem sono riconducibili a specie animali o vegetali, dal momento che a volte essi sono rappresentati da oggetti inanimati 66 o da colori 67, o anche da oggetti artificiali 68. In questi casi, risulta assai arduo rilevare un comune rapporto generativo che colleghi il gruppo umano al suo totem. Le riserve più forti vengono tuttavia espresse da Frazer nei confronti del divieto cibarsi del proprio totem animale o vegetale, se commestibile, divieto che McLennan aveva presentato come assoluto ed esclusivo. A tale proposito, Frazer approfondisce la funzione rituale delle cerimonie intichiuma, celebrate dalle popolazioni dell’Australia Centrale: in questi rituali, assai complessi ed articolati, lo scopo principale consisteva nel garantire la moltiplicazione della specie che rappresentava il totem del gruppo. Frazer ne descrive alcuni esempi: nella cerimonia avente come scopo la moltiplicazione degli emù, gli uomini del totem Emù si praticavano delle ferite

64 65 66 67 68

48

ibid (tr. a p. 33). Frazer 1971, p. 26. Frazer 1971, pp. 54-55. Frazer 1971, p. 55. Frazer 1971, p. 56.

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sul braccio, al fine di far sgorgare il sangue che doveva impregnare una porzione di terreno predisposta a questo scopo 69. Quando il sangue rappreso aveva formato uno strato solido, su di esso gli uomini del totem Emù rappresentavano le varie parti dell’animale (grasso, uova, piume e intestini), mentre alcuni di loro si legavano intorno alla testa il churinga (bastone sacro) ornato con le penne dell’animale e ne imitavano le movenze e lo sguardo 70. È ben vero, osserva lo studioso, che ogni clan è escluso dal consumo degli esemplari della specie totemica cui è associato o, se vi è ammesso, di solito ne consuma solo una parte assai limitata; ma è anche altrettanto vero, che eseguendo quella determinata cerimonia ogni clan si impegna per assicurare all’intera comunità cui appartiene l’incremento delle risorse alimentari disponibili 71. «Nel rivolgere la nostra attenzione sul divieto di mangiare il totem, – conclude Frazer – abbiamo finora osservato una sola faccia della medaglia, e quella meno importante» 72. Il totemismo si rivela dunque ai suoi occhi come un sistema di cooperazione magica: ogni clan opera i propri «incantesimi» a beneficio della propria tribù e, a sua volta, gode dei benefici degli «incantesimi» operati dagli altri clan 73. È evidente che, definito in questo modo il totemismo, l’aspetto religioso o più precisamente magico viene a precedere l’aspetto sociale dell’istituto (che si intende sopraggiunto in un secondo momento) ed essendo, inoltre, nel costrutto frazeriano la fase magica antecedente alla fase religiosa, il sistema totemico si accredita come il prodotto di uno stadio di cultura antichissimo. Esso, dunque, rivelerebbe una finalità essenzialmente pratico-economica, facendo dissolvere così la nebbia metafisica, in cui era precedentemente avvolto: ogni aspetto della realtà, avente rilievo per la tribù, sarebbe stato affidato alla cura di un clan, per assicurarne i vantaggi, in caso di elemento positivo, o evitarne i danni, in caso di elemento negativo. L’aspetto sociale del totemismo, ed in particolare la regola dell’eso69 70 71 72 73

Frazer ibid.. Frazer Frazer Frazer

1971, p. 164. 1971, p. 167. 1971, p. 177. 1971, p. 167.

49

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gamia, non sarebbe, secondo Frazer un tratto originario, ma sarebbe il risultato di una fase successiva rispetto alle origini. Successivamente, anche dietro lo stimolo delle osservazioni di Tylor, Frazer rivide questa formulazione, pervenendo alla convinzione che nella sua forma originaria il totemismo avesse un carattere concezionale, ovvero fornisse un quadro di riferimento per spiegare il meccanismo della generazione. Come abbiamo già notato, Frazer diede molto rilievo alla notizia riferita da Spencer e Gillen secondo cui gli aborigeni dell’Australia Centrale sarebbero stati del tutto ignari della fisiologia della procreazione (v. supra p. 46), e avrebbero attribuito la responsabilità della gravidanza all’intervento degli spiriti degli antenati che sarebbero entrati nel corpo della donna, al suo passaggio in determinati centri totemici, luoghi isolati fuori del villaggio dimora abituale di questi spiriti ancestrali. Alla fine, Frazer ritiene di aver trovato nelle tradizioni relative alla Melanesia, quella che gli appare la testimonianza dello strato più antico del totemismo: presso i Banks della Melanesia, si credeva che ogni nuovo nato fosse l’incarnazione di un animale che la madre avrebbe mangiato o da cui sarebbe rimasta impressionata o colpita 74. Questa credenza, anteriore allo stabilirsi di centri totemici ed alla divisione della società in clan, rispecchierebbe la forma arcaica e originale del totemismo; ad essa seguirebbe la fase rappresentata dalle tribù dell’Australia Centrale, e in particolare dagli Aranda con la fissazione di alcuni centri totemici 75 e la celebrazione delle cerimonie intichiuma; un ulteriore strato sarebbe testimoniato dalle popolazioni australiane della costa che avevano adottato la patrilinearità, dando vita a clan totemici ereditari e non più locali; l’ultima e più evoluta

74

Frazer 1910, pp. 76-81. Decisivi argomenti contro la teoria concezionale di Frazer furono apportati dalle ricerche di T. Strehlow, che rilevò la presenza di due tipi di totem presso gli Aranda: uno locale, l’altro patrilineare. Ogni clan patrilineare esercitava il controllo su una porzione di territorio, dove sorgevano un centro totemico principale ed altri centri secondari; poiché alle donne era consentito l’accesso esclusivamente a questi centri secondari, la patrilocalità poneva le condizioni perché i concepimenti avvenissero solo nel territorio del clan patrilineare, Strehlow 1947. 75

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forma del totemismo consisterebbe nel sistema delle metà e delle sezioni, testimoniato tra le popolazioni dell’America del Nord, con un corpus di precise regole a disciplinare i matrimoni 76. Negli studi di Frazer, il totemismo si intreccia costantemente con il tema dell’esogamia; come abbiamo visto, esso era un ingrediente fondamentale della formula di McLennan (v. supra p. 42). Frazer, in modo molto più corretto, rileva la solidarietà che esiste in molti contesti culturali tra pratica totemica e matrimonio esogamico, ma, avendo ben presente anche i tanti terreni di resistenza che impedivano la generalizzazione di tale legame di solidarietà e la sua trasformazione in sistema, sottolinea spesso che i due fenomeni, anche se di frequente associati, sono in realtà indipendenti. Quanto all’origine dell’esogamia, Frazer, con grande onestà, dichiara di non possedere elementi sufficienti per pronunciarsi a proposito: essa deve risiedere in «una superstizione primitiva della quale abbiamo perduto la chiave» 77. L’autorità di Frazer, studioso assai stimato tanto nel campo degli studi antropologici quanto negli studi classicistici, contribuì in maniera decisiva alla diffusione e alla fortuna del totemismo, che fino ad allora era rimasto un tema di discussione presente quasi esclusivamente nell’ambiente anglosassone. Fu soprattutto attraverso la sua opera che il totemismo fu recepito da parte degli studiosi delle antichità greche e romane; gli storici, ma anche i giuristi, cercarono una risposta ai tanti problemi sollevati soprattutto dal periodo delle origini, e destinati a rimanere senza soluzione a causa della scarsità dei dati a disposizione. Il riferimento ai cd. primitivi consentiva di superare i limiti di una documentazione lacunosa, frammentaria e spesso oscura; dava l’illusione di poter illuminare i secoli bui delle origini della nostra cultura, saldando presente e passato in un unico grande quadro di sintesi. ***

76 77

ibid.. Frazer 1971, p. 237.

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Totemismo e mondo classico

Le obiezioni più valide contro la teoria del totemismo classico proposta da McLennan e da Frazer vennero mosse, a nostro giudizio, da E. B. Tylor. Innanzi tutto, lo studioso rileva il fatto che McLennan, pur avendo derivato il termine totem dalla lingua degli Ojibwa non ne abbia assolutamente studiato il sistema né religioso né sociale; inoltre Tylor richiama l’attenzione sul fatto che oggetto di rispetto e di venerazione presso quella popolazione fosse piuttosto lo ‘Spirito guardiano’, un essere extra-umano con il quale l’individuo, al raggiungimento della pubertà, stabiliva un intimo rapporto di attenzione rituale beneficiando così della sua protezione 78. Analoghe riserve Tylor esprime sull’uso della documentazione proveniente dalle isole Fiji, dove l’esistenza di totem e/o di clan totemici non risultava avvalorata da alcuna tradizione 79. Come abbiamo già visto, infatti, il mito riferito da McLennan andrebbe piuttosto ascritto alla categoria dei miti dema. A giudizio di Tylor, Frazer si sarebbe spinto ancora oltre, generalizzando ulteriormente il paradigma senza sottoporlo a verifica 80. Ribadita la differenza tra animali-totem e animali-ricettacoli di divinità e la necessità di tenere distinti i due tipi, Tylor suggerisce di riportarli entrambi entro la più ampia teoria del culto animale, evitando di operare semplicistiche assimilazioni 81. Analoga cautela viene suggerita anche a proposito della ricostruzione dello sviluppo dell’idea di divinità nelle religioni arcaiche: essa sembra il risultato di diverse e complesse cause, tra le quali un posto di rilievo sarebbe occupato, a giudizio di Tylor, dalla «tendenza dell’uomo a classificare l’universo, supponendo che ogni classe di oggetti o azioni sia posto sotto la protezione di un essere mitico di rango adeguato, suo antenato, creatore, gestore, sovrano» 82. Tylor, quindi, da una parte ritiene opportuno ridimensionare l’importanza del totemismo all’interno del quadro della religione arcaica, riducendolo ad un side-issue della storia del diritto, dall’altra propone il riesame di alcuni feno78 79 80 81 82

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Tylor Tylor Tylor Tylor Tylor

1899, 1899, 1899, 1899, 1899,

p. p. p. p. p.

140. 141. 142. 142-143. 143.

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Claudia Santi

meni che troppo superficialmente erano stati assegnati al totemismo e che al contrario, ad un esame più approfondito, si rivelerebbero prodotti dell’animismo. In particolare, lo studioso si sofferma sul caso del mito di trasmissione del nome presso la popolazione degli Arunta. Alle origini, gli antenati vivevano nei gruppi Canguro ed Emù; ad un certo punto scesero sottoterra e si trasformarono in churinga; ogni volta che una donna passa per uno di quei luoghi dove dimorano gli spiriti, uno di essi entra nel corpo della donna e dà origine ad una nuova vita 83. Commenta Tylor: «Non si è mai forse conosciuto uno schema animistico più straordinario, tuttavia persino qui è evidente il trasferimento di anime tra una discendenza umana e una discendenza animale» 84. Sulla base anche di queste osservazioni, Frazer fu indotto a rivedere la sua teoria sulle origini del totemismo riformulandola e ponendo a fondamento di essa l’ipotesi concezionalista (v. supra p. 50). Infine, per quanto riguarda i sistemi autenticamente totemici nei quali costante si presenta l’associazione tra totem ed esogamia, Tylor suggerisce di considerare l’aspetto sociale come prevalente su quello religioso 85. Le notazioni di Tylor si muovevano troppo controcorrente e rimasero perciò per molto tempo inosservate; dovevano trascorrere oltre sessant’anni, perché esse fossero riprese e fornissero l’impulso iniziale a Lévi-Strauss per una revisione critica globale del tema del totemismo.

83

Tylor 1899, p. 148. ibid.: «A more extraordinary animistic scheme was perhaps never known, yet even here the transference of souls between the man-line and beast-line is evident». (tr.d.r). 85 ibid.. 84

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