Varia epigraphica da Carsulae

June 28, 2017 | Autor: Elena Roscini | Categoria: Roman Religion, Latin Epigraphy
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ATTI  DELLA  PONTIFICIA PONTIFICIA  ACCADEMIA ACCADEMIA ROMANA ROMANA DI DIARCHEOLOGIA   ARCHEOLOGIA (SERIE (SERIEIII) III)

RENDICONTI RENDICONTI VOLUME VOLUMELXXXIV   LXXXV ANNO ANNOACCADEMICO ACCADEMICO 2011-2012 2012-2013

TIPOGRAFIAVATICANA VATICANA TIPOGRAFIA

2013 2012

COMITATO DI REDAZIONE Marco Buonocore, Elisa Lissi Caronna, Letizia Pani Ermini, Paolo Liverani, Federico Guidobaldi, Maria Pia Muzzioli, Gian Luca Gregori, Maria Letizia Lazzarini, Margherita Bonanno Aravantinos. Curatore delle stampe: Giuseppina Pisani Sartorio Le comunicazioni scientifiche sono sottoposte a peer-review.

ISSN 1019-9500 © Città del Vaticano 2013 - Pontificia Accademia Romana di Archeologia Via della Conciliazione, 5 - 00193 - Roma - tel. 06 85358444 [email protected] - www.pont-ara.org

INDICE

Elenco degli Accademici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . V Consiglio Accademico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . XIII Verbali delle adunanze pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . XV

COMUNICAZIONI SCIENTIFICHE G. De Tommaso, Alla ricerca di Alessandria: vetri dipinti . . . . . . . 3 O. Diliberto, Celio Calcagnini: umanista del Sedicesimo secolo e giurista ‘dimenticato’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 M. Gras, H. Duday, La necropoli meridionale di Megara Hyblaea. Storiografia, archeologia, antropologia biologica . . . . . . . . . . . 27 A. Guidi, Dai rituali ctonii alla religione di stato: evoluzione delle manifestazioni del culto nell’Italia centrale protostorica . . . . . . . 63 S. Orlandi, C. Conti, Sui travertini del Colosseo tra restauro ed epigrafia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

71

A. Esch, Spolia minora. Il reimpiego dell’antico lungo le strade romane nell’Italia centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

89

J. Remesal Rodríguez, El Monte Testaccio: de vertedero a archivo . . 111 M. Piranomonte, Nuovi ritrovamenti sulla via Flaminia . . . . . . . 129 M. Aoyagi, C. Angelelli, La c.d. Villa di Augusto a Somma Vesuviana (NA). Nuove ipotesi di lettura sulla base delle più recenti ricerche archeologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171

P. Zander, La necropoli di San Pietro in Vaticano alla luce degli ultimi restauri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203 E. Ceccaroni, F. Galadini, C. Evers, N. Massar, C. Letta, Recenti scoperte archeologiche nella città romana di Alba Fucens I. E. Ceccaroni, Alba Fucens: gli interventi della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo nell’isolato di via del Miliario e nel piazzale del santuario di Ercole . . . . . . . . . . . . . . . . . 245 II. F. Galadini, Il piano della civita pre-Alba Fucens. Indicazioni da sondaggi geognostici nel settore meridionale dell’area archeologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 279 III. C. Evers, N. Massar, Découvertes archéologiques récentes à Alba Fucens. La zone sud-occidentale du forum . . . . . . . . . 295 IV. C. Letta, Prime osservazioni sui Fasti Albenses . . . . . . . . . 315 L. Ambrosini, Le divinità dei pocola deorum: un nuovo pocolom di Voluptas del Volcani group . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 337 M. Massaro, L’impaginazione delle iscrizioni latine metriche e affettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 365 F. Paolucci, La statua di Elena seduta della Galleria degli Uffizi alla luce dei recenti restauri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 415 E. Roscini, Varia epigraphica da Carsulae (Umbria) . . . . . . . . . . 433 R. Marchionni, La tradizione non solo manoscritta del ‘carmen epigraphicum’: Patris opus munusque suum (CIL VI 1163). I segreti dell’obelisco lateranense . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 455

COMMEMORAZIONI H. Patterson, Chr. Smith, David Whitehouse (1941-2013) . . . . . . 475

VARIA EPIGRAPHICA DA CARSULÆ (UMBRIA)* 1

DI ELENA ROSCINI ______

L’articolo presenta quattro epigrafi inedite dal municipio di Carsulae (Regio VI - Umbria). La prima, una dedica posta da T. Calvisius Verus a Nemesi in scioglimento di un voto, rappresenta l’unica attestazione diretta della dea nei municipi dell’Italia centrale e consente di affermare l’esistenza di un luogo di culto a Nemesi nell’ambito del locale anfiteatro. I restanti documenti sono di carattere funerario. Due di essi, databili tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C., consistono in un blocco pertinente ad un monumento sepolcrale e in un ‘cippo carsulano’, tipologia di segnacolo funerario tipica del territorio di Carsulae. Il terzo è una stele posta nella media età imperiale da uno schiavo pubblico, che svolgeva il mestiere di saltuarius alle dipendenze del municipio. Parole chiave: Carsulae, Nemesis, Calvisii, anfiteatro, via Flaminia, cippo carsulano, saltuarius. This paper examines four unpublished inscriptions from the municipium of Carsulae (Regio VI – Umbria). The first one, a dedication to Nemesis placed by T. Calvisius Verus to fulfill a vow, is the only direct evidence of Nemesis in the municipia of central Italy and shows the presence of a shrine to the goddess in the context of the local amphitheater. The remaining inscriptions are funerary: two of them consist of a block of a tomb and of a ‘cippo carsulano’, a class of funerary cippus typical of this territory, and are dated between the first century B.C. and the first century A.D.; the last one is a stele raised by a public slave that was a saltuarius of the municipium in the middle imperial age. Keywords: Carsulae, Nemesis, Calvisii, anfiteatro, via Flaminia, cippo carsulano, saltuarius.

*  Nota presentata dal socio effettivo Gian Luca Gregori. [email protected]

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Il recente allestimento di un magazzino visitabile all’interno dell’area archeologica di Carsulae (Terni) ha consentito di presentare al pubblico alcuni documenti epigrafici inediti.1 Le iscrizioni scelte per l’esposizione appartengono a diverse classi e concernono aspetti sia pubblici sia privati della vita della città romana. Si tratta di tituli pertinenti a edifici pubblici, epigrafi relative ad opere edilizie, iscrizioni sacre, testi funerari su diversi supporti (cippi, stele, monumenti sepolcrali). L’arco cronologico rappresentato, dalla tarda età repubblicana (fine del I sec. a.C.) alla media età imperiale (II-III sec. d.C.), corrisponde al periodo di maggior prosperità dell’insediamento. Dal momento che questi nuovi reperti iscritti costituiscono un nucleo importante del patrimonio epigrafico del municipio, è stato deciso di anticiparne la pubblicazione, in attesa del contributo dedicato a Carsulae, che apparirà in un prossimo fascicolo dei Supplementa Italica. Le epigrafi oggetto di questo studio sono state recuperate durante le ricerche archeologiche condotte nell’area della città antica fra il 1951 e il 1972.2 Solo alcune, contrassegnate da un numero d’inventario, sono state rintracciate negli elenchi dei materiali redatti in quegli anni. La ricognizione sistematica dei registri e della restante documentazione d’archivio consentirà di verificare il contesto di recupero e, forse, d’individuare gli spazi e le strutture di pertinenza nell’ambito del municipio, la cui conoscenza sotto il profilo topografico, oltre che storico-amministrativo, è tuttora condizionata dalla mancata edizione scientifica degli scavi.3 Delle epigrafi esposte nel magazzino sono presentate in queste pagine una dedica sacra e tre iscrizioni funerarie.4 1   La struttura, inaugurata nell’aprile 2012 su iniziativa del dott. Paolo Bruschetti, funzionario della Soprintendenza responsabile della zona, è stata concepita come magazzino aperto ai visitatori e aula didattica, per un’esposizione a rotazione dei ritrovamenti sia dei vecchi scavi che delle più recenti ricerche archeologiche. Le iscrizioni, così come il restante materiale, sono state illustrate in un opuscolo dagli intenti divulgativi: Carsulae. La città romana. Strumenti di visita e studio: il magazzino visitabile, Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Umbria, Perugia 2012 (testi di P. Bruschetti, G. Rocca, E. Roscini), pp. 5-7. Desidero ringraziare il Prof. Gian Luca Gregori e la Prof.ssa Silvia Orlandi, con i quali ho avuto modo di confrontarmi sui vari problemi presentati dai testi epigrafici pubblicati in questa sede. 2   Dei risultati di queste campagne archeologiche, condotte da U. Ciotti, è stato dato soltanto un resoconto preliminare (Ciotti 1976). Sugli scavi Ciotti, cfr. Bruschetti 1995, pp. 16-17. 3   La documentazione relativa agli scavi Ciotti è in corso di sistemazione e studio da parte del Dott. P. Bruschetti. 4   Le restanti, di carattere pubblico, sono edite in: Roscini 2014.

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1. Lastra

in marmo bianco venato (fig.

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1)

Ricomposta da quattordici frammenti contigui, cui va aggiunto un quindicesimo frammento, non unito agli altri, la lastra è mutila lungo i lati destro e sinistro e intorno agli angoli inferiori. Presenta una lacuna nella parte centrale, scheggiature lungo i bordi e le giunzioni dei frammenti e alcune scalfitture interne ad essi. Il retro è liscio, lo spessore aumenta leggermente verso il basso. Si conservano altezza e spessore, rispettivamente di 34,2 e 2,6-3,8 cm, e una larghezza massima di 51,4 cm, di pochi millimetri inferiore a quella originaria.5 I frammenti sono stati rinvenuti nel 1955 nell’area a sudovest dell’anfiteatro, in prossimità dell’edificio.6 La superficie frontale, ben levigata, è occupata interamente dall’iscrizione, incisa all’interno di uno specchio epigrafico di 28,5 x 46,5 cm, delimitato da un solco che forma una semplice cornice a listello piatto dello spessore di 3 cm.7 Malgrado le lacune, si legge quasi interamente l’epigrafe, impaginata su cinque righe. L’altezza delle lettere è progressivamente decrescente (4,6-4,2-3,83,4-3 cm). L’interlinea, di 1,3 cm, diminuisce a 0,9 cm fra r. 4 e r. 5.

Nemesi sacrum. T(itus) Calvịsius T(iti) f(ilius) Cḷ[u(stumina tribu)] Verus ṿotum soḷṿ[it]. 5 L(ocus) d(atus) d(ecreto) [d(ecurionum)].   Il frammento non riunito alla lastra misura 5,8 x 2,6 x 3 cm. Alt. max. lett. 1,7 cm.   N. inv. 15/55. Archivio storico SBAU, Registri scavi Ciotti, reg. 1, p. 167; neg. a-72-468283. Nei registri è segnalato il rinvenimento di un numero complessivo di soli undici frammenti. 7   La tipologia del supporto trova confronto in alcuni esempi di lastre marmoree dai municipi limitrofi, per le quali non si esclude una provenienza urbana: cfr. D. Manacorda, in Manacorda, Mancini 2012, pp. 207-209, nr. 31, da Narni, datata tra la fine del I e l’inizio del II sec. d.C. (CIL XI 4128) e cfr. anche, da Amelia, G. Asdrubali Pentiti, in Matteini Chiari, Stopponi 1996, pp. 61-62, nrr. 31-32 (AE 1996, 626-627), di I secolo inoltrato. 5 6

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L’iscrizione si contraddistingue per il ductus elegante: le lettere sono incise con un profondo solco a sezione triangolare modulato e i segni d’interpunzione, a spina di rosa, sono sormontati costantemente da apici. L’impaginazione è accurata, con l’ultima riga centrata rispetto alle precedenti e variazione della distanza fra i caratteri ben calibrata sul numero degli stessi all’interno delle linee. Alcune imprecisioni nell’ordinatio si notano tuttavia nella seconda parte, dove la terza e soprattutto la quarta riga, che insieme alla quinta tende a risalire verso destra, sono allineate a sinistra. La disposizione del testo è stata ottenuta tramite coppie di linee guida graffite ad una distanza corrispondente all’altezza dei caratteri.8 A fine r. 2, della lettera che seguiva la C rimane, lungo il margine di rottura, l’attacco di una graffia, pertinente all’estremità superiore di un’asta. La stringa corrisponde ad una parola abbreviata posta tra filiazione e cognome, come è proprio dell’indicazione di tribù. Considerando che lo spazio interposto tra la graffia e la cornice è sufficiente per una sola altra lettera, non può essere accolta un’integrazione Cḷ[u(stumina tribu)] se non ammettendo che la V fosse iscritta nella L, in modo da riuscire a concentrare in un’unica riga la parte principale della formula onomastica, escluso il cognome, senza ricorrere ad una drastica riduzione del modulo e della spaziatura delle lettere.9 In r. 4, della prima e dell’ultima lettera in frattura, entrambe sicuramente identificabili con V grazie al contesto, rimangono soltanto, rispettivamente, la graffia superiore destra e quella superiore sinistra. Il piccolo frammento non ricongiunto, che presenta il vertice di una V con linea guida alla base, è da attribuire alla lacuna centrale della r. 2. L’epigrafe dichiara che la lastra fu dedicata da T. Calvisius T. f. Verus alla dea Nemesi in scioglimento di un voto e in uno spazio concesso per decreto del senato locale. Il dedicante è esponente di una gens ben nota nell’Umbria meridionale 10 e che figura tra la classe dirigente carsulana del II secolo. In età antonina il locale   Alle rr. 3 e 5 la linea guida di base è stata tracciata due volte.   Per inserire nello spazio tra la graffia e la cornice, di 3,5 cm, una sequenza LV, che, come si può misurare nella medesima riga, occupa 5 cm, avrebbe dovuto essere molto ridotta la larghezza dei caratteri. Meno probabile un’abbreviazione Cḷ(ustumina tribu), che manterrebbe costante il modulo delle lettere ma risulta del tutto episodica rispetto al normale uso epigrafico. Sembra da escludere anche C(ai) ṇ(epos), sia perché il tratto di graffia visibile è inciso a pochi millimetri dalla C, impedendo così la presenza di un segno d’interpunzione, sia perché l’avonimico è poco frequente nella piena età imperiale. 10 Si pensi al ramo dei Calvisii Sabini, ritenuto di origine spoletina (da ultimo Kavanagh 2009, p. 88 ss.), che ebbe un ruolo di primo piano a Roma tra la tarda Repubblica e il primo Impero, quando raggiunse il rango senatorio (PIR² C 352-354). Oltre che a Spoleto (CIL XI 4772 = ILS 925 = EDR123464 del 14-01-2013, M. Ribecco, CIL XI 7870, 7872 = AE 1986, 228, CIL XI 7883), nella Regio VI il gentilizio è attestato nel territorio fra Narni e Amelia (CIL XI 6689, 60). Sull’origo della gens, presente in aree limitrofe della Sabina e dell’Etruria meridionale interna, rinvio alla documentazione raccolta da M. Silvestrini, in Chelotti, Morizio, Silvestrini 1990, pp. 24-26, nr. 20, con bibl. prec. 8 9

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collegium Iuvenum eresse infatti una statua, in uno spazio concesso dai decurioni, ad un omonimo T. Calvisius T. f. Verus, che percorse tutta la carriera politica locale, arrivando al quattuorvirato, e che fu patrono del municipio, augure e seviro Augustale e procurator del collegio degli Iuvenes.11 Il Calvisio Vero dell’ex voto a Nemesi potrebbe identificarsi con il procurator Iuvenum o con un suo vicino antenato, più difficilmente con un suo discendente. Il ritrovamento di questa nuova dedica a Nemesi riveste una notevole importanza per la conoscenza della vita religiosa di Carsulae, quasi del tutto ignota a causa dell’esiguo numero di iscrizioni sacre di cui si ha notizia, prive per di più del contesto di provenienza, dimostrando l’effettiva presenza del culto di Nemesi, già desumibile dalla lettura di un’epigrafe reimpiegata nel vicino borgo medievale di San Gemini, in cui è menzionata una tabula Nemesis.12 Ma l’interesse del documento trascende l’ambito locale in quanto rappresenta l’unica testimonianza diretta di questo culto nei municipi della Regio VI e in tutta l’Italia centrale. A fronte dell’ampia documentazione restituita dalla parte nordoccidentale dell’Impero e specialmente dalle province balcanico-danubiane e dalla Spagna, in Italia Nemesi è ben attestata per via epigrafica soltanto nelle regioni nordorientali, con una maggiore concentrazione di testimonianze in Istria, fra Aquileia, Trieste e Pola, mentre altre sono localizzate nei maggiori centri ubicati lungo la via Postumia, Vicenza, Verona e Brescia.13 Sporadiche sono le presenze nel resto della penisola, distribuite fra il Lazio meridionale e la Campania, ad Ostia, Venafro, Capua.14 La quasi totalità delle epigrafi, circa 11   CIL XI 4579 = ILS 6633, base di statua rotta in due parti, conservata all’interno dell’ex chiesa di Sant’Angelo di Cesi. Sul cognome Verus, assai comune fra gli ingenui, vd. Kajanto 1965, pp. 20, 68, 133, 253. 12   CIL XI 4593. L’iscrizione, contenente un testamento, suggerisce anche l’esistenza di un luogo di culto di Silvano, attraverso il toponimo “ad Silvanum”. Le restanti iscrizioni sacre note, soltanto tre, consistono in un’epigrafe relativa ad un santuario di Mitra, reimpiegata a San Gemini (Ciotti 1978, pp. 233-239), una dedica votiva a Silvano su tabella bronzea di I-II sec. d.C., presso il Museo Archeologico di Spoleto (Costamagna 2003, p. 34) e una base con dedica a Giove Ottimo Massimo, conservata a Palazzo Cesi di Acquasparta (AE 2005, 465, su cui Roscini 2012). 13  Trieste: I.It. X, 3, 35 = EDR007332 del 16-01-2003, F. Mainardis. Aquileia: CIL V 812 = Brusin 1991, nr. 320 (IV sec. d.C.); CIL V 813 = Brusin 1991, nr. 325 (II sec. d.C.), CIL V 8241 = Brusin 1991, nr. 324 (IV sec. d.C.), Brusin 1991, nr. 321 (fra II e III sec. d.C.), Brusin 1991, nr. 322 (I-II sec. d.C.), Brusin 1991, nr. 323 (IV sec. d.C.) = EDR116888, 16889, 117014, 17137-17139 del 28-02-2011, F. Mainardis; AE 1961, 213 = Brusin 1991, nr. 182 = AE 1996, 684 (bilingue greco-latina del 256 d.C.). Pola: CIL V 17 = I.It. X, 1, 20 = EAOR II, nr. 77 (fine II-III sec. d.C.); CIL V 8134; CIL V 8135 = I.It. X, 1, 595 = ILS 3747a (età severiana); I.It. X, 1, 18 e 19. Brescia: I.It. X, 5, 65 = AE 1952, 139 = EDR073878 del 19-01-2006, G. Migliorati. Verona: CIL V 3466 = ILS 5121 = EAOR II, nr. 47 (fine II-III sec. d.C.). Vicenza: CIL V 3105. 14  Capua: CIL X 3812 = CLE 867 = ILS 3737 = EDR100041 del 15-03-2015, L. Chioffi (M. Foglia), II sec. d.C. Venafro: CIL X 1408 = 4845 = EDR107836 del 09-02-2011, G. Camodeca, I-II

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venti, è costituita da semplici ex voto dallo schema analogo al nostro, distribuiti fra II e III sec. d.C., soprattutto a cavallo dei due secoli, con i primi esempi ricadenti nell’ambito del I e alcune tarde iscrizioni di IV. Se è isolata nel quadro dell’epigrafia dell’Italia centrale, questa dedica a Nemesi, divinità che nell’Occidente romano è presente costantemente in contesti gladiatori,15 ben si inserisce invece nella panoramica dell’epigrafia anfiteatrale di Carsulae, centro che ha restituito i riferimenti più antichi all’organizzazione di munera nella Regio VI.16 L’iniziativa di T. Calvisius Verus conferma che si rivolgevano alla dea pubblicamente anche i rappresentanti delle élites locali, magistrati, decurioni, patroni, esponenti di collegi e sacerdoti del culto imperiale.17 Anche se l’omaggio a Nemesi nell’ambito di un luogo di culto anfiteatrale non implica di necessità un collegamento con gli spettacoli, è possibile che Calvisio Vero sciogliesse il voto in un momento saliente della sua carriera, offrendo alla cittadinanza degli spettacoli in veste di editor, in occasione della nomina ad una magistratura o ad una funzione nell’ambito di un collegio locale.18 Nel caso si accetti l’identificazione con il Calvisius Verus onorato dal collegium Iuvenum, si può pensare che il personaggio avesse organizzato dei munera esercitando il quattuorvirato o in veste di procurator iuvenum, tanto più che è ben testimoniato a Carsulae lo svolgimento di Iuvenalia, giochi e competizioni organizzati dalla gioventù municipale, che ben si inquadrano nel contesto degli spettacoli anfiteatrali.19 sec. d.C. Ostia: CIL XIV 34 = ILS 4111, inizi III sec. d.C. Le testimonianze urbane in latino sono CIL VI 531 = ILS 3739, CIL VI 533 = ILS 2088 e CIL VI 2821 = 32551 = ILS 2096 = Suppl.It. Imagines, Roma 1, nr. 2190 = EDR121731 del 12-06-2012, G. Crimi, del 246 d.C., cui si aggiunge la bilingue CIL VI 532 = ILS 3738 = CIG 5972b = IG XIV 1012. Palermo: CIL X 7268, di I sec. d.C. 15   Sul culto di Nemesi in Occidente le principali opere rimangono Hornum 1993 e Fortea López 1994. Per la bibliografia precedente rinvio a Fortea López 1992 e EAOR II, p. 66. Cfr. Rausa 1992 e, di recente, Ceballos Hornero 2004, pp. 539-540 e 577-581, EAOR VII, p. 181, Legrottaglie 2008, p. 143 ss., Pastor 2010 = Id. 2011. 16   L’iscrizione di inizio età augustea CIL XI 4575 = ILS 1901 = EAOR II, nr. 12, ricorda il primo allestimento di un munus gladiatorium, da confrontare con il riferimento a ludi contenuto in AE 2005, 465, contemporanea. 17   Riguardo alle categorie sociali coinvolte nel culto, non soltanto persone legate allo svolgimento dei giochi, come gladiatori e venatores, ma anche uomini liberi, sia semplici civili che magistrati, cfr. Hornum 1993, pp. 70-74 e passim; Fortea López 1994, pp. 188-210. Cfr. già Canto 1984, p. 188 ss. e Bouley 1990, pp. 242-243; da ultimo, Pastor 2010, pp. 212218 = Id. 2011, pp. 76-80. 18   Come quello degli Augustales o degli Iuvenes, entrambi ampiamente attestati (CIL XI 4573, 4579 = ILS 6633, CIL XI 4580 = ILS 6634, CIL XI 4581-4584, 4586, 4589 = ILS 6636, CIL XI 7852 = ILS 6635, AE 1996, 647; AE 2000, 531-533 = AE 2005, 463-464; iscrizioni inedite citate in Ciotti 1976, p. 23, nt. 80). Cfr. Fortea López 1994, pp. 197-200 sull’editio munerum come occasione principale dell’incontro delle élites municipali con Nemesi nell’anfiteatro. 19   CIL XI 4580, 7852 citt. a nota 18 = EAOR II, nrr. 33, 39. Vd. Ville 1981, p. 216 ss.

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La rilevanza del culto nella vita municipale è suggerita, oltre che dallo status sociale del dedicante, dall’accuratezza stessa del monumento e dalla sua collocazione in uno spazio pubblico, come si evince dalla concessione del locus da parte del senato locale.20 Una delle questioni più interessanti concernenti l’epigrafe è proprio la possibilità di affermare con certezza l’esistenza di un luogo di culto riservato alla divinità nell’ambito del locale anfiteatro.21 Stando alle notizie sul ritrovamento della lastra e a quanto si conosce sullo scavo di strutture minori presso gli edifici di spettacolo carsulani, si può ipotizzare che il santuario si trovasse nell’area in corrispondenza dell’ingresso occidentale, quello principale, ma, per il momento, non è possibile stabilire se fosse collocato all’interno o all’esterno dell’anfiteatro e quale fosse la sua configurazione. Dal consistente dossier di area danubiana e ispanica, con numerosi ex voto e rilievi rinvenuti all’interno di ambienti destinati al culto, sappiamo che i Nemeseia non ripetono una tipologia costante: possono essere sacelli interni all’anfiteatro, ricavati in un ambiente preesistente situato ad una delle estremità degli assi dell’edificio, strutture esterne e indipendenti, comunque adiacenti all’entrata principale, oppure, semplicemente, spazi utilizzati per il posizionamento di altari e di ex voto lungo le gallerie.22 La lastra poteva essere collocata, fissata su una parete o sulla fronte di un altare, dentro un ambiente dell’anfiteatro o in una struttura autonoma dall’edificio situata presso l’ingresso principale, oppure poteva essere affissa direttamente alla muratura di una delle gallerie d’accesso all’arena.23 Concludendo con l’inquadramento cronologico dell’epigrafe, se la costruzione dell’anfiteatro di Carsulae può indicare come generico terminus post quem la metà del I sec. d.C.,24 gli elementi prosopografici e i dati cronologici sulla diffusione del culto in Italia e sull’allestimento di giochi gladiatori in   Sulla formula di concessione/autorizzazione LDDD o LDDS nelle dediche sacre dei municipi d’Italia, cfr., di recente, Granino Cecere, Mennella 2008. 21   Una generica provenienza dai pressi dell’anfiteatro è nota per l’ex voto di Venafro e per alcuni di quelli da Aquileia e Pola, dove l’ara CIL V 17 è stata rinvenuta vicino all’ingresso sud (EAOR II, nr. 77; Gregori 2011, p. 133). 22   Cfr., in sintesi, Golvin 1988, pp. 337-340 e Legrottaglie 2008, p. 100 ss. Cfr. Hornum 1993, p. 56 ss. Sui Nemeseia delle province balcanico-danubiane, cfr. Le Glay 1990, pp. 220223 e, da ultimo, Pastor 2010, pp. 211-212 = Id. 2011, pp. 75-76; per gli anfiteatri spagnoli, la documentazione contenuta in EAOR VII, nrr. 58, 59, 60-69, 71-73. 23   Per la localizzazione dello spazio riservato al culto di Nemesi si rivela fondamentale l’esame completo della documentazione degli scavi Ciotti, che potrebbe indicare un’area da sottoporre ad indagine archeologica. 24   Le datazioni proposte per la costruzione dell’edificio sono oscillanti ma comprese tra la metà e la fine del I sec. d.C.: Ciotti 1976, p. 37 ss.; Golvin 1988, pp. 112, 146, nr. 80; Bruschetti 1995, p. 45 ss.; Morigi 1997, p. 54 ss.; Angelelli 1998, p. 45 ss.; Sisani 2006, pp. 186-187. Tra l’età augustea e l’età flavia si colloca in Umbria la costruzione degli anfiteatri, di qualche decennio successiva a quella dei teatri (Gregori 2011, pp. 57-66 e 67-82). 20

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ambito regionale, insieme alla tipologia del monumento e alle caratteristiche interne dell’iscrizione, inducono a collocare l’ex voto nel pieno II sec. d.C., in età antonina, se è giusta l’identificazione del personaggio con l’omonimo IIIIvir e procurator Iuvenum, o comunque nei decenni centrali dello stesso secolo, non risultando probabile la sua attribuzione ad un momento successivo. 2. Blocco

in marmo bianco

(fig. 2)

Ricomposto da due elementi contigui, è rotto a destra, lungo il margine inferiore e intorno all’angolo superiore sinistro, mentre risulta intatto sui lati rimanenti, per un’altezza e larghezza massime rispettivamente di 19 e 82,7 cm e una profondità di 35,3 cm. Sulla superficie laterale sinistra, su quella superiore e sulla fronte rimangono i segni della lavorazione a gradina, mentre il retro è sbozzato. Sul piano superiore sono ricavate alcune cavità per grappe. Le superfici, soprattutto quelle del blocco destro, sono rivestite da incrostazioni; quella frontale, che ospita l’epigrafe, presenta, oltre alla rottura centrale, scheggiature marginali e scalfitture interne. Riguardo al ritrovamento, sono state trovate informazioni soltanto per il blocco sinistro, recuperato nel 1959 nell’area a sudovest della basilica, a circa 10 m ad est della via Flaminia.25 Dell’iscrizione rimane la parte centrale. L’altezza delle lettere, conservata per 5,7 cm, è ricostruibile in 9 cm circa.

[-] [- - -]ṃịnịọ C̣(ai) f(ilio) C̣ḷu(stumina tribu) C̣ẹ[- - -] ̣ - - - - - - ? La prima lettera può essere identificata grazie ad un breve segmento di asta obliqua visibile lungo il margine sinistro. I caratteri, di buona fattura e di forma costante, sono incisi con un sottile solco a sezione triangolare poco ombreggiato, che si allarga leggermente alle estremità. L’interpunzione è a forma di virgola. Si conserva a tratti la linea guida orizzontale superiore.   N. inv. 34/59. Archivio storico SBAU, Registri scavi Ciotti, reg. 2, pp. 117-118.

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L’epigrafe consiste nella semplice formula onomastica di un ingenuo, della quale mancano il prenome e la prima parte del gentilizio, a sinistra, e buona parte del cognome, a destra. Si tratta di un cittadino iscritto alla tribù Clustumina, alla quale erano assegnati gli abitanti di Carsulae.26 Mentre per il cognome sono ammissibili diverse integrazioni, per il gentilizio può essere proposto Flaminius. La gens Flaminia è infatti nota in ambiente carsulano a partire dall’ultima età repubblicana e compare tra le famiglie di spicco durante l’epoca imperiale.27 Le caratteristiche tipologiche e dimensionali del marmo e il modulo delle lettere affiancano il reperto ad una classe di epigrafi funerarie monumentali ben nota nell’Umbria meridionale in epoca tardorepubblicana e fino all’età augustea. Si tratta di blocchi e di lastre di notevole spessore che costituivano la parte iscritta del rivestimento di edifici sepolcrali. L’iscrizione contiene il nome del defunto, di solito al nominativo, meno frequentemente al dativo, a volte con l’indicazione delle tappe fondamentali del cursus honorum; nel caso di tombe collettive, è composta dai nomi dei membri della famiglia in successione.28 Tale categoria di iscrizioni funerarie è documentata anche a Carsulae, da tre esemplari attribuibili a sepolcri familiari di notevoli dimensioni costruiti tra la fine dell’età repubblicana e l’età augustea, che dovevano elevarsi lungo la via Flaminia.29   CIL XI, p. 665.  Vd. CIL XI 4582, relativa agli onori tributati a T. Flaminius Maius, seviro Augustale, autore di varie iniziative a favore della cittadinanza, tra cui il restauro dell’acquedotto, finanziato in occasione della nomina a quattuorviro del figlio. La più antica attestazione del Flaminii a Carsulae risulta l’epigrafe cit. infra, a nota 34, le restanti sono CIL XI 4581, 4612. Altri gentilizi locali integrabili nella lacuna sono Geminius e Cominius, ricorrenti rispettivamente in CIL XI 4602 e CIL XI 4606-4607. 28   Numerosi esempi di questo tipo di iscrizioni funerarie caratterizzano la via Flaminia fra Terni e Narni: CIL XI 4179, 4183, 4190 = ILS 6628, CIL XI 4191, 4192 = IX 4760, CIL XI 4253, 4273 = I² 3373, CIL XI 4277, 4312, 4317 (S. Sisani in Coarelli, Sisani 2008, pp. 111-112, nr. 76, p. 116, nr. 81, p. 118, nr. 85, p. 119, nr. 86, p. 120, nr. 88, p. 132, nr. 112, p. 135, nr. 121, pp. 136-137, nr. 124, pp. 129-130, nr. 107, p. 146, nr. 142, con foto), Andreani, Fora 2002, pp. 116-117, nr. 22 = AE 2002, 436; CIL XI 4120, 4122 (appartenente ad un sepolcro a tamburo sito lungo il tratto di Flaminia che univa Narni a Carsulae), 4136 (D. Manacorda in Manacorda, Mancini 2012, pp. 200-202, nrr. 26-27, pp. 212-214, nr. 35, con foto = EDR122287-88, 122298 del 30-07-2012, G. Cenerini). 29   Ad un sepolcro familiare dei Laberii Peccii appartiene un blocco parallelepipedo in travertino (57 x 120 x 26 cm) con un’iscrizione contenente i nomi dei membri della famiglia al nominativo, databile ad età tardorepubblicana (CIL XI 4615). Alla prima età augustea risalgono le altre due epigrafi, incise rispettivamente su di un blocco parallelepipedo in travertino (58,5 x 142 x 46 cm) e su di una lastra marmorea (1,08 x 1,70 cm), entrambi dal profilo curvilineo, perché posti in opera su monumenti a tamburo. L’iscrizione del blocco ricorda la costruzione della tomba per i propri familiari da parte di un personaggio che fu 26 27

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Sulla base di questi confronti, l’epigrafe, distribuita su una sola riga, di almeno 140-150 cm considerando i soli dati onomastici, oppure su più righe di altezza variabile, conteneva il nome ed eventuali cariche civili e religiose di uno o diversi personaggi della famiglia, a seconda che si trattasse di una tomba individuale o collettiva.30 Siccome il margine sinistro del marmo risulta integro, correva su più blocchi, perché evidentemente incisa dopo il montaggio degli stessi. Dall’altezza delle lettere si desume che l’iscrizione era posizionata in alto rispetto ai passanti, nella parte superiore del basamento quadrangolare dell’edificio sepolcrale, o in una struttura ad esso sovrapposta.31 Il blocco poteva far parte di un mausoleo a tamburo, a torre o ad edicola, tipologie monumentali note a Carsulae nei tre edifici sepolcrali costruiti tra la tarda età repubblicana e l’età augustea ancora esistenti presso l’ingresso settentrionale dell’abitato, lungo la via Flaminia.32 Sebbene le conoscenze attuali sull’urbanistica di Carsulae e quanto è edito relativamente alle scoperte degli scavi statali del secolo scorso non consentano di attribuire il blocco a nessuno dei monumenti funerari conservati, né ad altri di cui sia nota l’esistenza per via documentaria, tuttavia si può pensare al paramento di un monumento sepolcrale di rilievo posto a lato della via Flaminia, probabilmente nell’immediato suburbio meridionale.33 I confronti tipologici e paleografici locali, insieme all’uso del marmo, inducono a collocare l’epigrafe fra gli ultimi decenni del I sec. a.C. e i primi del secolo successivo. IIvir i.d. (CIL XI 4575), mentre sulla lastra marmorea, la cui epigrafe è molto vicina a questa dal punto di vista paleografico, è segnalata l’appartenenza del sepolcro alla prestigiosa famiglia dei Furii Tirones (CIL XI 4572). Vd. Bruschetti, Pastura 2005, pp. 477-480, nrr. 3-5, con foto. 30   Se pertinente ad una tomba familiare, potrebbe aver contenuto, oltre ai nomi dei vari personaggi al dativo, con l’indicazione dei gradi di parentela, il nome del committente, accompagnato da eventuali titoli, espresso al nominativo. 31   Esempi in Hesberg 1994, pp. 113 ss., 144 ss. 32   Al maggiore di essi, un grande monumento costituito da un basamento quadrato sormontato da un tamburo decorato da merli, è attribuita l’epigrafe CIL XI 4572. A pochi metri di distanza si trovano due tombe di dimensioni minori, una del tipo a torre, con zoccolo quadrato su cui poggia un alto corpo cilindrico con coronamento a cuspide, l’altra, forse, del tipo ad edicola (Ciotti 1976, pp. 33-35; Bruschetti 1995, pp. 60-63; Morigi 1997, pp. 70-72; Angelelli 1998, pp. 35-36; Sisani 2006, p. 183). 33  Anche se il fatto che il blocco destro non sia stato rinvenuto insieme all’altro fa sospettare che l’iscrizione, come molte altre carsulane, fosse stata rotta in età postantica e che le sue parti fossero state disperse, la localizzazione del recupero a sudovest della basilica e allo stesso tempo ad est della Flaminia è compatibile con l’area posta a destra del tratto della via consolare che entra da sud all’interno del municipio, caratterizzato da un andamento sud-ovest/nord-est.

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3. Cippo

carsulano

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(fig. 3)

Blocco parallelepipedo in travertino di 64,5 x 58,5 x 32 cm. È rotto sul fianco destro e nella parte superiore, che aveva la forma di un coronamento a doppio spiovente disposto nel senso della profondità, come si deduce dalla conservazione di un tratto dello spiovente sinistro; è scheggiato lungo i margini destro e inferiore del lato frontale. Il retro non è lavorato, la fronte è rifinita a martellina e lisciata in corrispondenza dell’epigrafe. Scanalature con tracce di piombatura, destinate all’alloggiamento di grappe per il fissaggio al suolo del cippo, sono visibili alla base dei lati sinistro e posteriore. Le superfici sono percorse da linee di frattura, coincidenti con le numerose venature della pietra. I fianchi e la fronte sono inquadrati da due larghe lesene a bassorilievo su basamento (alt. 35,5-36 cm), con base modanata e capitelli a sofà. Quest’ultimi, decorati da due volute laterali dai margini rilevati comprendenti una foglia centrale, sorreggono un listello a mo’ di epistilio (alt. 6,5 cm), sul quale poggiava il coronamento. Non si conosce la provenienza del blocco che, come i restanti reperti conservati all’interno dell’area archeologica, deve essere stato recuperato nell’ambito o nei pressi dell’area stessa. È verosimile che il cippo fosse collocato in una delle necropoli suburbane.

[- c. 3 -]ịennae ((mulieris)) l(ibertae) Atticạ[e], C(aius) Aviatius C(ai) l(ibertus) Eros fecit.

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L’epigrafe è disposta su tre linee, la prima delle quali corre lungo il listello, centrata nel suo spessore, mentre le restanti sono incise sulla specchiatura fra i capitelli. L’altezza delle lettere oscilla all’interno delle singole righe, soprattutto in r. 1 (3,5-4,2 cm) e in r. 2 (3,5-4 cm, con andamento decrescente da sinistra a destra), ed è maggiore in r. 3 (4,3-4,5 cm). L’interlinea misura 1,8-2,3 cm fra le rr. 1 e 2, 0,4-0,6 cm fra le rr. 2 e 3. In r. 1, della I rimane la parte inferiore, della A in posizione finale parte dell’asta sinistra. Le lettere, incise con un solco marcato a sezione triangolare non netta, sono poco omogenee fra loro e contraddistinte da una certa rigidità: si noti la E con i bracci della stessa lunghezza, la C dalla curvatura molto accentuata, la S e la N notevolmente inclinate a destra. Le graffie consistono in un semplice allargamento del solco, mentre i segni d’interpunzione sono a triangolo con vertice rivolto verso il basso. Abbastanza precisa è l’impaginazione, con la terza riga centrata, anche se non perfettamente. L’epigrafe dichiara che il cippo fu posto ad una donna da C. Aviatius Eros. I due personaggi, di condizione libertina, portano cognomi molto comuni in ambito servile, dei quali Atticus è già noto in ambiente locale.34 Di difficile individuazione è il gentilizio della defunta. Potrebbe trattarsi di un nome di formazione etrusca, che sarebbe però isolato nell’area, o di una variante riconducibile al gruppo dei nomina centroitalici terminanti in -enus, ben documentati nell’Umbria meridionale.35 Nel secondo caso, tenendo conto dell’estensione della lacuna e delle attestazioni dai centri vicini, potrebbero essere presi in considerazione, in via del tutto ipotetica, i gentilizi Avienus, Vetienus e Titienus.36 Assai raro è il gentilizio del dedicante, Aviatius, che compare soltanto in un’epigrafe urbana di età antonina, in relazione ad un militare originario di Arezzo.37 Il cippo ne restituisce quindi la più antica testimonianza.   Diebner 2009, p. 171 ss., nr. 5 = EDR123657 del 29-01-2013, E. Roscini. Sui cognomi: Solin 1996, pp. 40, 284 ss. 35   A Carsulae sono noti Larenus, Primenus, Comienus, Vetulenus (CIL XI 4616, 7852 = ILS 6635, ep. cit a nota 34). Si tratterebbe di un fenomeno analogo a quello che si riscontra ad Assisi per l’unicum Passennus (CIL XI 5405 = ILS 2925, CIL XI 8027), variante locale delle forme Passenus, Passienus, Passenius (Asdrubali Pentiti, Spadoni, Zuddas 2007, p. 286, ad n. Cfr. Schulze 1966, pp. 80, 213-214). Cfr. anche CIL XI 5164, da Urvinum Hortense, di seconda metà I sec. a.C., su cui Zuddas 2013, pp. 144-145, nr. 3. 36   CIL XI 4383-4384, 4495, 7837a, 7961, AE 1996, 599, CIL XI 5287, più difficilmente, per mancanza di spazio, Tittienus/Tettienus, Lartienus, Muttienus, Mattienus (CIL XI 4114, 4277, 4988 = I² 2104 = ILLRP 1273, CIL XI 4990, 4264, 7813, 7863). Numerosi altre le possibilità d’integrazione di un gentilizio [- - -]ienus in Solin, Salomies 1994, pp. 279-280. Cercando fra i gentilizi terminanti in -ennius/-enius (Ibid., pp. 246 ss., 253 ss.), meno frequenti in ambito regionale, vd. Veienius (AE 1999, 610, repubblicana, dall’agro tuderte) confrontabile con Veienus (CIL XI 4807, 4935, Spoletium), e Vibennius (CIL XI 4669, Tuder), tuttavia non integrabili nella lacuna. 37   CIL VI 2379 = 32520 = AE 1968, 26 = Suppl.It. Imagines, Roma 3, nr. 3892A = 34

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Il reperto rientra in una classe di segnacoli funerari di epoca tardorepubblicana tipica del territorio di Carsulae, i cosiddetti ‘cippi carsulani’: blocchi monolitici in travertino di forma parallelepipeda con superfici frontale e laterali scompartite da colonne e lesene e decorate da bassorilievi e coronamento a doppio spiovente. L’iscrizione, che si trova sulla fronte, al di sotto del coronamento, è costituita di solito dalla semplice formula onomastica del defunto.38 Quest’esemplare è confrontabile con un altro, anch’esso esposto all’interno del magazzino, caratterizzato da una medesima articolazione di superfici, anche se più elaborato e dal più marcato sviluppo in verticale.39 Entrambi sono relativi a personaggi di condizione libertina. I due cippi possono essere attribuiti ad un momento avanzato della produzione di questi manufatti funerari, inquadrabile per tipologia ed elementi decorativi e in base all’iscrizione (testo più complesso e caratteristiche paleografiche) tra gli ultimi decenni del I sec. a.C. e i primi del secolo successivo.40 4. Stele

centinata in travertino (figg.

4-6)

Lacunosa intorno all’angolo destro, misura 89 x 34,3 x 14 cm. All’interno della centina (alt. 18,5 cm), che è separata dal corpo della stele mediante una scanalatura, presenta il tipico motivo della corona d’alloro vittata, con nastro ondulato dalle estremità simmetriche che si allungano verso gli angoli, non ben centrata nello spazio. Le superfici sono abrase e mostrano numerose cavità di varie dimensioni, anche profonde, soprattutto nella metà superiore della stele, mentre nella parte inferiore, che era interrata, sono meno deteriorate e conservano i segni della lavorazione a gradina. Non rimangono notizie riguardo all’occasione e al luogo di ritrovamento della stele che, come il cippo carsulano (nr. 3), può essere attribuita ad un’area di necropoli del municipio. L’epigrafe, disposta in campo aperto su sei righe (alt. campo epigrafico 29 cm circa), è incisa con caratteri di altezza oscillante all’interno delle singole linee e maggiore in prima ed ultima riga (4-4,6 cm) rispetto alla parte centrale EDR126679 del 04-01-2013, G. Crimi, 159-161 d.C. Sul gentilizio Schulze 1966, p. 348. 38   Sui cosiddetti ‘cippi carsulani’, vd. Diebner 1986-1987; Ead. 2009. Cfr. Ciotti 1976, pp. 36-37. 39  Vd. supra, nota 34. Il cippo è di tre liberti, due uomini, C. Vetulenus Amphio e C. Flaminius Atticus, e una donna, Vitidia Nymphe. 40   La lavorazione della fronte, per tipi decorativi e suddivisione della superficie, trova un parallelo in alcuni esemplari della coeva produzione artigianale delle urne cinerarie amerine, vicine anche per il formulario delle rispettive iscrizioni e anch’esse pertinenti a liberti (S. Stopponi in Matteini Chiari, Stopponi 1996, pp. 178-181). Rimando ad alcuni confronti: Monacchi 19992000, pp. 120-124, nr. 4 (CIL XI 4466 = EDR025195 del 06-07-2005, G. Asdrubali Pentiti), pp. 124-126, nr. 5 (AE 1999, 607 = EDR025069 del 14-02-2005, E. Zuddas) e pp. 143-145, nr. 17 (CIL XI 4454 = EDR025184 del 06-07-2005, E. Zuddas), datate a cavallo fra il I sec. a.C. e il I d.C.

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del testo (2,3-3,2 cm). Variabile è anche l’interlinea, che passa da 0,5-1 cm a 1,5-2 cm fra penultima ed ultima riga. La consunzione della superficie rende difficile la lettura dell’epigrafe, soprattutto alle rr. 4 e 5. Nondimeno, anche grazie all’effettuazione di un calco, il testo può essere trascritto con un buon grado di certezza come segue:

D(is) M(anibus). Primiti(v)us, p(ublicus) saltuarius Car(sulanorum), Q̣ uịṇt(ae) R[e]stitu= 5 taẹ, Car(sulanorum scil. servae), b(ene) m(erenti).

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L’iscrizione, incisa con caratteri di forma poco costante, è impaginata in maniera approssimativa: soltanto le ultime due righe sono centrate mentre le prime quattro sono spostate a destra, con le lettere che tendono a rimpicciolirsi ed ammassarsi a fine r. 3 e necessità di ricorrere all’accapo fra le rr. 4 e 5. Inoltre la r. 2 tende a salire verso destra, determinando, insieme alle variazioni nell’altezza delle lettere, con conseguenti oscillazioni di misura nell’interlinea, linee non ben parallele fra loro. Nelle intenzioni dello scalpellino le formule di inizio e chiusura del testo dovevano risaltare con il loro modulo nettamente maggiore, effetto non pienamente ottenuto per la mancata centratura della r. 1. Dell’interpunzione, usata in modo non costante, potrebbe rimanere traccia alle rr. 1, 2 e 5; forse in prima riga assumeva la forma di una grande virgola. La caratteristica più evidente del testo epigrafico è il frequente ricorso alle abbreviazioni, utilizzate non soltanto, come di consueto, per le formule funerarie ma, a causa di errori nel calcolo dello spazio, anche per gli elementi nominali, come si può vedere alle rr. 4-5, dove dei due nomi della defunta, l’uno, Quinta,41 viene abbreviato, l’altro, Restituta, è diviso fra due righe. L’interpretazione della lettera a fine r. 2 come abbreviazione dell’aggettivo publicus è conforme alla condizione di schiavo pubblico del dedicante che si desume dalla r. 3: 42 come Carsulanorum va infatti sciolta a fine riga la sigla CAR.,43 che ricorre anche in r. 5, in riferimento alla defunta, anch’essa quindi schiava pubblica.44 La stele è posta ad una donna, Quinta Restituta, da Primitivus, che è saltuarius del municipio di Carsulae. I due personaggi portano nomi comuni in ambito servile.45 41  Non è accettabile uno scioglimento con il gentilizio Quint(iae). Una donna di condizione libertina e appartenente al municipio, se si accetta la lettura Car(sulanorum) della sigla che segue il nome, porterebbe altro gentilizio (es. Publicia). Cfr. infra, nota 44. 42  Questa soluzione è preferibile ad un’integrazione p(osuit), che pure è verbo di dedica canonico in questa classe di epigrafi funerarie, dove peraltro è spesso abbreviato, perché il verbo sarebbe inserito stranamente dopo il nome del dedicante, Primiti(v)us, fra quest’ultimo e l’indicazione del mestiere, saltuarius. 43   La parola è di solito abbreviata come CARS.: CIL XI 4586 = EDR123631 del 12-112012, E. Roscini; AE 2000, 531 = 2005, 463; AE 2000, 534 = EDR123300 del 13-11-2012, E. Roscini. Singole ricorrenze presentano le sigle CARSVL., CARSVLANOR. e C.: AE 2000, 532, CIL XI 4593 e AE 2000, 535, bollo r(es) p(ublica) C(arsulanorum). 44  Non può essere ammesso l’alternativo scioglimento come car(issimae), sebbene la posizione coincida con quella occupata solitamente dall’aggettivo, tra il nome della defunta e l’espressione finale b(ene) m(erenti). Oltre al fatto che nel normale uso epigrafico carissimus è inciso per esteso mentre di rado è abbreviato, inoltre quasi mai in questo modo, la parola segue di norma la specificazione del rapporto di parentela, che manca in quest’epigrafe. È da respingere anche una lettura Car(sulis), come indicazione dell’origo, che di solito specifica un incarico. 45   Solin 1996, pp. 5, 147-149, 177-178. Cfr. Kajanto 1965, pp. 76-77, 92 ss., 290.

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Primiti(v)us è omogeneamente diffuso nella Regio VI nella media età imperiale, sia come nome unico di schiavo che come cognome di liberto.46 Quinta è invece poco frequente in ambito regionale,47 mentre il cognome Restitutus, -a è ben attestato in Umbria, quasi esclusivamente al femminile.48

  Nell’area il nome è attestato fra Ameria e Tuder: CIL XI 4427 = EDR025157 del 2306-2005, E. Zuddas e AE 2008, 492, menzionanti uno schiavo addetto alla gestione dei fondi amerini di Commodo, CIL XI 7844, 7846, 7848 = EDR 025309, 025311, 025313 del 21-102005, E. Zuddas, AE 2000, 511 = EDR025029 del 14-04-2005, E. Zuddas; CIL XI 4658, 4670, 4676. È usato come gentilizio soltanto ad Interamna Nahars (CIL XI 4301), dove ricorre anche come cognome di liberti (CIL XI 4292, 7823). 47   È attestato solamente in CIL XI 5780 = EDR 016266 del 10-02-2007, F. Branchesi e in AE 2008, 506, di schiave; in CIL XI 7899, di liberta. 48   Nell’Umbria meridionale ricorre in CIL XI 4372 = EDR025105 del 15-06-2005, E. Zuddas, CIL XI 5495 = EDR 025443 del 20-03-2006, G. Asdrubali Pentiti, AE 1991, 641, CIL XI 5217, tutte relative a liberte, CIL XI 5335 = CLE 1813, di schiava; al maschile, soltanto in CIL XI 4644a. 46

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Il dato più rilevante dell’epigrafe è la menzione del mestiere di saltuarius, sorta di guardaboschi, addetto alla sorveglianza di fondi lasciati prevalentemente a incolto, a bosco e a pascolo (saltus).49 Compito di Primitivus, schiavo pubblico, era di custodire terreni di proprietà del municipio. La nuova epigrafe si aggiunge alle circa trenta testimonianze epigrafiche sui saltuarii, distribuite soprattutto in Italia, con diciotto casi, ma anche nel nord Africa e nelle province danubiane, in un periodo compreso fra il II e il III sec. d.C., con alcuni esempi più antichi, di I sec. d.C. La maggior parte dei documenti rinvenuti in Italia proviene dalle Regiones X e XI, 50 mentre oltre quest’area aveva finora restituito iscrizioni la parte centromeridionale della penisola (Regiones I, II e IV), con più presenze in Apulia e una particolare concentrazione nell’agro ostiense.51 La stele contiene così la prima menzione di un saltuarius per la Regio VI e per l’Italia centrale, al di fuori del suburbio di Roma e del Lazio. La presenza di questo mestiere a Carsulae non stupisce, considerate le caratteristiche morfologiche del territorio, esteso alle pendici sudoccidentali dei Monti Martani. Le colline circostanti il pianoro su cui sorge l’insediamento erano sfruttate in età antica per colture intensive specializzate, come quella della vite, ma dovevano comprendere ampie zone a bosco e a pascolo, collegate dai percorsi della transumanza che attraversavano la zona, così come in anni recenti.52 49   Sulla figura del saltuarius la trattazione più completa è in Carslen 1996, con bibl. prec. Vd. anche Ramilli 1975; Roffia 2004, p. 118 ss., Dondin-Payre, Chew, Mille 2010, p. 79 ss., con catalogo epigrafico a pp. 88-94. 50   AE 1999, 700 (Pupillo 1999, pp. 167-168, nr. 3), I sec. d.C. e CIL V 2383 = ILS 3524, II sec. d.C. (Pupillo 1999, pp. 141-142, ad n.), dall’agro di Ferrara; I.It. X, 5, 1124 (riletta in Valvo 2010, pp. 297-298, nr. 109bis), I sec. d.C., e I.It. X, 5, 806 = AE 1957, 131 = 1975, 426 = EDR074133 del 12-01-2007, G. Migliorati, II-III sec. d.C, dal territorio bresciano; CIL V 5702 = ILS 982, I sec. d.C., da Valle Guidino (Brianza, Regio XI); CIL V 5548 = EDR124583 del 16-01-2013, S. Zoia (G. Fremusa), I-II sec. d.C., da Somma Lombardo (Regio XI). 51   CIL X 1085, da Nuceria; CIL X 1409 = ILS 3522, da Ercolano; CIL IX 3386 = ILS 5542, da Aufinum; CIL IX 3421, da Peltuinum Vestinum; AE 1983, 242, II-III sec. d.C., da Luceria; CIL IX 706, da Teanum Apulum; AE 1995, 248 = EDR031415 del 08-10-2008, R. Marchesini, II sec. d.C., da Ostia; AE 1920, 122 = 2003, 287, II sec. d.C., dal vicus Augustanus (Castelporziano) (Crea 2003, pp. 607-614); Eph. Ep. VII, 1249 = AE 2006, 264, fine I-II sec. d.C., stele, perduta, dalla necropoli di schiavi della villa imperiale dell’Albanum (Castel Gandolfo), complesso epigrafico di recente analizzato in Crea 2006, secondo cui potrebbe appartenere ad un saltuarius anche la stele Eph.Ep. VII, 1251. Al medesimo contesto è stato ricondotto il saltuarius imperiale menzionato in una stele della stessa tipologia trovata in reimpiego a Roma, AE 2009, 162 = EDR029005 del 10-07-2008, C. Ferro, su cui vd. Bertinetti 2008. A saltuarii impiegati in praedia suburbani vanno attribuite le restanti attestazioni recuperate a Roma: CIL VI 9874 e AE 1959, 299, di età neroniana. 52  Cfr. Bruschetti 1995, pp. 18-20, 65 ss. Si noti che, coerentemente con il tipo di professione, tra le iscrizioni di saltuarii numerosi sono gli ex voto a Silvano (CIL V 2383,

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Questa nuova attestazione sui saltuarii è utile per definire meglio la stessa figura professionale. Dalla documentazione epigrafica si ricava che in tale occupazione erano impegnati personaggi di estrazione servile, liberti e soprattutto schiavi, che potevano associarsi in collegi. Sono noti sia schiavi di privati che servi imperiali, quest’ultimi in Africa e in Italia, in zone dove esistevano fondi di proprietà della famiglia imperiale, come il Lazio e l’Apulia. L’iscrizione di Carsulae conferma che il saltuarius poteva lavorare alle dipendenze non solo di privati proprietari terrieri o dell’imperatore ma anche di comunità, come già suggeriva il caso bresciano di un liberto ed ex schiavo pubblico dallo stesso nome, Ti. Publicius Primitivos, che svolgeva le funzioni di saltuarius per il pagus Venerius.53 Per quanto riguarda la cronologia dell’epigrafe, la stele centinata con il motivo della corona rientra in una tipologia diffusa tra il pieno I sec. d.C. ed un momento imprecisato del III sec. d.C.54 Le formule funerarie abbreviate in apertura e in chiusura forniscono come terminus post quem la fine del I sec. d.C., mentre i confronti paleografici locali si distribuiscono tra la fine del I e il III sec. d.C.55 Allo stesso arco temporale rimandano le attestazioni di saltuarii. Le evidenti irregolarità nell’impaginazione e nella redazione del testo fanno propendere per una datazione al II-III sec. d.C.

5548, CIL IX 3421, CIL X 1409, AE 1938, 168 = 1994, 1397, forse CIL VI 9874), divinità ben attestata a Carsulae (vd. supra, nota 12). 53   I.It. X, 5, 1124. Vd. anche CIL V 715 = ILS 6682 = I.It. X, 4, 340, in cui il liberto pubblico P. Publicius Ursio fa ricordare sul monumento funerario della propria famiglia di curare dei saltus publici. Al di fuori della sfera privata si inquadra anche l’attività di C. Ingenuvus Helius, operante nel Ferrarese, che si definisce saltuarius Virtutis (CIL V 2383): il liberto custodiva un saltus di proprietà di un santuario o che aveva preso il nome da un tempio della dea che esisteva nel suo ambito (così Ramilli 1975, p. 80, Carslen 1996, p. 248, Pupillo 1999, p. 142, ad n. e, da ultimo, Ortalli 2007; al saltuarius di una comunità pensano invece Dondin-Payre, Chew, Mille 2010, p. 91, nr. 12). 54   Per la categoria di stele in questione vd. I. Di Stefano Manzella in Suppl.It. Imagines, Roma 2, p. 28 ss. con catalogo, nr. 2395 ss.. Cfr. Suppl.It. Imagines, Roma 1, nrr. 315-326; Giuliano 1984, pp. 114 ss., 158 ss. 55  Vd. AE 2005, 466 e 467 (foto in Bruschetti, Pastura 2005, pp. 482-483, nr. 7, 484-485, nr. 9). Cfr., da Ameria, AE 1996, 617 e CIL XI 4519 = EDR025032 del 03-022005, EDR025061 del 14-02-2005, E. Zuddas, con foto; da Interamna Nahars, AE 2002, 425 (foto in Andreani, Fora 2002, pp. 106-107, nr. 9); da Asisium, CIL XI 5548 = EDR025495 del 21-04-2006, G. Asdrubali Pentiti, con foto.

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