Verso una teologia positiva. Suàrez e Descartes a confronto

August 12, 2017 | Autor: Damiano Simoncelli | Categoria: René Descartes, Francisco Suárez, The Existence of God
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Elaborato per il corso di Storia della filosofia nei secoli XVII-XVIII sp. Damiano Simoncelli – matr. 850546

Verso una teologia positiva Suárez e Descartes a confronto Il presente elaborato si propone di analizzare il ruolo che la teologia filosofica di Francisco Suárez svolge nella teologia cartesiana delle Meditationes de prima philosophia, soprattutto al fine di mettere in luce il contributo del gesuita spagnolo al delinearsi del carattere marcatamente positivo che in Descartes assume il discorso filosofico su Dio. La pertinenza dell’accostamento appare giustificata dal fatto che le opere del gesuita di Granada sono state tra le fonti che hanno avuto maggior peso in ordine allo sviluppo del pensiero filosofico cartesiano1.

I La prova dell’esistenza di Dio nella Disputatio XXIX di Francisco Suárez

La prova dell’esistenza di Dio è presentata da Francisco Suárez nella ventinovesima delle sue Disputationes Metaphysicae2: con essa il gesuita spagnolo entra nel vivo della trattazione sull’ente infinito, che, assieme all’ente finito, fa parte degli inferiora in cui si contrae3 il concetto di ente4. È interessante notare che le dispute sull’ente infinito (XXIX-XXX) precedono quelle sull’ente finito (XXXI e segg.), scelta che si pone in rottura con i metaphysicae doctrinae tractatores e che Suárez giustifica richiamandosi al suo intento sistematico, di cui il servare

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Scrive Costantino Esposito nel saggio introduttivo all’edizione italiana delle Disputationes Metaphysicae: «le Disputazioni hanno continuato ad essere lette e a lasciare la loro impronta (e il loro linguaggio), passando per così dire illese anche attraverso la rottura di quel nesso con la teologia cattolica da cui pure avevano tratto la loro origine. Ma si potrebbe anche dire che proprio esse hanno costituito uno dei canali attraverso cui questa tradizione teologica è stata trasmessa, in modo naturalizzato o secolarizzato - appunto come «ontologia» -, nella filosofia moderna. Descartes [...] studia quest’opera al Collegio gesuitico di La Flèche, e l’utilizzerà nelle sue Meditationes» (C. ESPOSITO, Introduzione, in F. SUÀREZ, Disputazioni metafisiche, a c. di C. ESPOSITO, Bompiani, Milano 2007, p. 26); più netto è Benedetto Ippolito:« Si può [...] affermare che le Meditazioni Metafisiche di Cartesio di fatto sono delle Meditazioni sulle Disputazioni Metafisiche di Suárez, e quindi non un’opera che nasca soltanto dalla libera genialità dell’autore» (B. IPPOLITO, Analogia dell’Essere. La metafisica di Suárez tra onto-teologia medievale e filosofia moderna, FrancoAngeli, Milano 2005, p. 83). 2 Sebbene il titolo originario dell’opera, pubblicata a Salamanca nel 1597, sia Metaphysicarum disputationum in quibus et universa naturalis theologia ordinate traditur, et quaestiones ad omnes duodecim Aristotelis libros pertinentes, accurate disputantur, Tomus prior et Tomus posterior, noi tuttavia ci riferiremo ad essa con il titolo comunemente adoperato e, in sede di citazione o rimando, l’abbrevieremo con la sigla DM. Tradurremo inoltre disputatio e disputationes con la forma italiana “disputa” e “dispute”, evitando la forma desueta “disputazione”/”disputazioni”, sebbene ormai d’uso anche in autorevoli pubblicazioni; cfr. S. BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, Utet, Torino 19711, s.v. Disputa e Disputazione. 3 Questo termine in Suárez si riferisce all’inclusione della ratio entis univoca nelle differenze. 4 Cfr. F. SUÁREZ, DM, XXVIII.

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ordinem doctrinae costituisce uno dei capisaldi5. Metodo e ordine all’interno dell’indagine su Dio rimangono, invece, in una situazione di maggiore prossimità alla tradizione scolastica precedente, ovverosia, quanto al metodo, si procede secondo la ragione naturale, quanto all’ordine, la questione an Deus sit precede quella del quid Deus sit6. In sede di avvio d’indagine, Suárez risolve in poche battute l’interrogativo circa la possibilità di dimostrare l’esistenza di Dio – vi risponde in maniera affermativa, riassumendo quanto concluso nella Disputa XXVIII7 – per dedicare maggior spazio alla questione sulla natura del medium (o ratio) dimostrativo: è fisico8 o metafisico? A quale di queste due discipline compete la dimostrazione? Dopo aver presentato diverse opinioni in merito, il Doctor Eximius dichiara di concordare con quella che, sulla linea di Avicenna, affida tale compito alla metafisica. A sostegno di questa scelta, egli invoca una logica sperimentale: si provi a dimostrare l’esistenza di Dio partendo da ciascuno dei due media e si veda quale riesca nell’intento9. Anzitutto vengono considerati gli argomenti di filosofia della natura (le rationes physicae). Il primo di essi è preso dal moto eterno del cielo10, mentre il secondo dalle operazioni e dall’essenza dell’anima umana11. Ambedue rivelano tuttavia la loro inconcludenza. Nel caso del moto eterno del cielo, dal quale si vorrebbe pervenire ad un primo motore immobile, si presentano due difficoltà: la prima riguarda l’estensione del principio omne quod movetur, ab alio movetur, il quale non pare concernere ogni specie di moto12, mentre la seconda – ammessa e non concessa la validità del principio nel caso dei cieli – riguarda ciò che si riuscirebbe realmente a dimostrare. A tal riguardo si giungerebbe a mettere in luce la sola virtus movendi del motore, mentre le domande circa la perseità di tale virtus, circa l’unicità del motore e la sua natura increata e immateriale, rimarrebbero senza risposta13. Nel caso dell’anima, dalla considerazione natural-filosofica delle sole sue operazioni e della sua sostanza non è possibile giungere ad un suo supremo autore nel quale si ritrovino eminentemente. Per arrivare a ciò è necessario far intervenire la metafisica14.

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Cfr. DM, XXIX, 1; Circa il metodo dell’indagine suáreziana v. DM, Ratio et discursus totius operis ad lectorem; B. IPPOLITO, Analogia dell’Essere. La metafisica di Suárez tra onto-teologia medievale e filosofia moderna, cit., p. 24; C. ESPOSITO, Introduzione in F. SUÁREZ, Disputazioni metafisiche, cit., pp. 9-11. 6 Circa la prima questione cfr. DM, XXIX, 2. Circa la seconda basti osservare i titoli delle due dispute (tuttavia più avanti dovremo prendere atto di un inizio di svolta a tal proposito). 7 Cfr. DM, XXIX, sect. I, 1. 8 Per fisica qui s’intende, aristotelicamente, la filosofia della natura. 9 Cfr. ivi, sect. I, 6. 10 Cfr. ivi, sect. I, 7. 11 Cfr. ivi, sect. I, 18. 12 Cfr. ivi, sect. I, 7. 13 Cfr. ivi, sect. I, 16. 14 Cfr. ivi, sect. I, 18.

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Appurata

l’inconcludenza

degli

argomenti

natural-filosofici,

Suárez

prende

in

considerazione le rationes metaphysicae. La lunga trattazione, che occupa la seconda parte della prima sezione della presente disputa, può essere sintetizzata in tre momenti: a) Anzitutto il principio. Al posto dell’omne quod movetur, ab alio movetur interviene il più evidente omne quod fit, ab alio fit, il quale esprime l’impossibilità che una cosa si causi da sé. Di qui la possibilità della diversa formulazione omne quod producitur, ab alio producitur15; b) Posto il principio, segue la dimostrazione: «Omne ens aut est factum, aut non factum, seu increatum; sed non possunt omnia entia, quae sunt in universo, esse facta; ergo necessarium est esse aliquod ens non factum, seu increatum»16. È dunque impossibile che l’intera latitudo entium sia dipendente, ovverosia creata, donde la necessità che non tutti gli enti siano creati. In merito a ciò il gesuita spagnolo procede a confutare l’ipotesi del circulus17 e del processus in infinitum18; c) Dal punto precedente seguono due corollari. Il primo afferma la sostanzialità dell’ente increato: è necessario difatti affermare che l’ente increato è una sostanza: non può essere un accidente, dal momento che questo inerisce a quella. La priorità della sostanza sull’accidente riguarda ogni ente, a fortiori quindi riguarderà l’ens increatum19. Il secondo dichiara l’impossibilità che l’ente increato sia composto della materia delle cose generabili e corruttibili: tutto ciò che è composto da tale materia richiede una causa efficiente che causi l’intero composto. Dal momento che, dunque, ogni ente composto da quella materia è causato, si conclude che l’ente che non ha causa efficiente non sia nemmeno composto da quella materia20.

A questo punto Suárez vede confermata la propria opzione in favore del medium metaphysicum21. Nondimeno la dimostrazione dell’esistenza di Dio non può dirsi conclusa: si è dimostrato che tale indagine non può che essere svolta dalla metafisica e che non tutti gli enti sono creati, non che l’ente increato è uno ed è causa di tutti gli altri enti22. Solo dopo aver provato

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Cfr. ivi, sect. I, 20. Ivi, sect. I, 21. 17 Esemplificazione del circulus: x è causata da y, la quale a sua volta è causata da x; v. ivi, sect. I, 22. 18 Cfr. ivi, sect. I, 25-38. In questi luoghi si mostra come il processus in infinitum , in qualsiasi ordine di cause si presenti, porti al venir meno della stessa causalità. 19 Cfr. ivi, sect. I, 39. 20 Cfr. ivi, sect. I, 40. 21 Cfr. ivi, sect. I, 41. 22 Cfr. ivi, sect. II, 1. 16

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l’unicità dell’ente increato si potrà dire di aver dimostrato l’esistenza di Dio23. In vista di ciò il gesuita propone due argomenti: il primo a posteriori, mentre il secondo a priori24. La via a posteriori prende abbrivio dalla considerazione della bellezza e dell’ordine del cosmo: «Totius universi pulchritudo, omniumque rerum, quae in eo sunt, mirabilis connexio et ordo, satis declarant esse unum primum ens, a quo omnia gubernantur et originem ducunt»25. Una pluralità di principî infatti, secondo Suárez, ripugnerebbe sia all’ordine del cosmo, sia al suo perfetto governo26. Questa via porta a concludere che questo sia stato creato da un unico artefice. Non esclude tuttavia che possa esistere un altro universo, diverso da quello che conosciamo, creato da un altro artefice increato, come affermava la quarta obiezione27: «Fateor tamen ex hac et praecedente objectione convinci, discursum factum ad probandum tantum esse unum ens improductum, et reliqua omnia entia ab illo facta esse, non concludere absolute de omnibus entibus, sed de illis tantum quae in humanam cognitionem per discursum seu philosophiam naturalem cadere possunt»28. La risposta a tale obiezione necessita di una prova che dia conclusioni universalmente valide: «Et ideo ut ratio universe concludat necessario adhibenda est ostensio a priori»29. All’inizio della sezione seconda, il Doctor Eximius aveva qualificato la prova a priori come proxime a priori, remote a posteriori, rimandandone la spiegazione ad un momento successivo30. Ora ne chiarisce il senso: non si tratta di dimostrare che Dio esiste partendo dalla sua causa – ammesso e non concesso che la possieda, essa non sarebbe comunque conoscibile, dal momento che l’uomo non può conoscere in modo esaustivo (exacte et perfecte) l’essenza di Dio –, ma di ricavare a priori un attributo divino da un altro attributo, precedentemente guadagnato a posteriori31. L’itinerario da percorrere viene dunque così riassunto: «Dicendum est, demonstrato a posteriori Deum esse ens necessarium et a se, ex hoc attributo posse a priori demonstrari, praeter illud non posse esse aliud ens necessarium et a se, et consequenter demonstrari Deum esse»32. Suárez si mostra tuttavia consapevole che tale asserzione potrebbe contrastare con l’auctoritas di Tommaso, il quale aveva affermato che la questione quid Deus sit suppone quella an Deus sit. Qui invece il 23

Cfr. ivi, sect. II, 5. Cfr. ivi, sect. II, 7. Quanto all’argomento a priori, si osservi che Suárez lo definisce proxime a priori, remote a posteriori. Vedremo più sotto il senso di tale precisazione. 25 Ibidem; v. anche ivi, sect. II, 14. 26 Cfr. ivi, sect. II, 9-39. 27 «Quarta objectio erat, quia praeter hoc universum existimari potest esse aliud factum ab alio primo ente non facto» (ivi, sect. II, 37). 28 Infra. 29 Ibidem. 30 Cfr. ivi, sect. II, 7. 31 Cfr. ivi, sect. III, 1. 32 Ivi, sect. III, 2. 24

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percorso pare inverso: si dimostra anzitutto che l’ens a se è unico, poi che Dio esiste, quindi si conoscerebbe la quiddità divina e successivamente se ne affermerebbe l’esistenza. Circa la conoscenza della quiddità divina Suárez chiarisce che non si tratta dell’essenza divina ut sic, ma di un suo attributo (l’aseitas) – il quale comunque è reipsa essentia Dei, non un semplice nomen33 – dal quale se ne ricava un altro; circa invece l’inversione di percorso, il gesuita spagnolo, è convinto di aver in qualche modo salvaguardato la precedenza dell’an est sul quid est: fin qui infatti s’è provato che (a) esiste un ente necessario, muovendo dai suoi effetti e dalla negazione del processus in infinitum (questione an est); (b) esso è l’unico ente necessario (questione quid est), dunque è Dio. Ciononostante si premura di sottolineare la non problematicità di un’eventuale inversione, dal momento che essere ed essenza in Dio coincidono34. Nella quarta ratio Suárez espone l’argomento maggiormente probante35: «Quia ubicunque ratio communis est multiplicabilis secundum diversas naturas singulares, esto non sit necesse singularitatem in re ipsa distingui a natura communi, oportet tamen, ut aliquo modo sit extra essentiam illius naturae; nam si esset illi essentialis, revera talis natura non esset multiplicabilis [...] in ente autem improducto intelligi non potest, quod singularitas sit extra essentiam naturae ejus; ergo impossibile est, ut talis natura sit multiplicabilis»36. Così possiamo sintetizzare il ragionamento: a) Punti di partenza: (1) Principio della singolarità dell’esistenza (esse in actu includit esse singulare) e (2) indistinzione di essere ed esistenza in Dio; b) La singolarità è in qualche modo esterna all’essenza comune, pena l’impossibilità di una molteplicità di enti d’una medesima natura; c) L’esistenza è sempre di una cosa singolare. Esse in actu includit esse singulare; d) Nel caso dell’ente necessario, l’esistenza appartiene all’essenza, pertanto anche la singolarità appartiene all’essenza. Non può essere esterna all’essenza; e) Quindi l’ente necessario non può essere che uno.

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Cfr. anche l’inizio di DM, XXX. Si noti la distanza da Tommaso d’Aquino. La svolta compiuta dal Doctor Eximius circa l’accessibilità da parte della ragione umana all’essenza di Dio è messa bene in luce da Emanuela Scribano in EAD., L’esistenza di Dio. Storia della prova ontologica da Descartes a Kant, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. 97-111. 34 Cfr. DM, XXIX, sect. III, 2. 35 In questa sezione sono difatti presentati cinque argomenti, di cui solo gli ultimi tre si rivelano efficaci. Di questi tre il principale – e prediletto da Suárez – è il primo, ovverosia la ratio quarta, i cui principî verranno richiamati anche nella ratio seguente. Questa ci fa inoltre conoscere Dio come ens perfectione summum, infinitum e ad agendum potentissimum (cfr. ivi, sect. III, 24). Il sesto ed ultimo argomento parte dalla considerazione di Dio, ens perfectissimum, come fine ultimo per concludere che è anche primum principium efficiens reliquorum (cfr. ivi, sect. III, 27-31). 36 Ivi, sect. III, 11.

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Corollario della conclusione è che «non posse convenire esse alicui enti, nisi per effectivam dimanationem a primo ente improducto»37, ove per effectiva dimanatio s’intende la causalità efficiente38. Suárez è così riuscito nell’intento di dimostrare l’esistenza di Dio, l’unico ente necessario e fonte di tutto l’essere, da cui dipendono tutti gli enti creati39. Egli inoltre riconosce che questa è una verità non per sé nota, ma che tuttavia mostra una particolare consentaneità all’intelletto, tanto da poter essere ignorata a fatica40. Consentaneità che garantisce ad essa, chiariti i suoi termini, un facile assenso anche da parte di coloro che non sono in grado di arrivarvi tramite la dimostrazione: molti fattori, fisici, morali, esterni ed interni inclinano l’homo non omnino prave affectus a riconoscere che «indigere se superiori natura, a qua ducat originem, et a qua regatur et gubernetur»41.

II Le prove dell’esistenza di Dio nelle Meditationes de prima philosophia di Descartes Le prove dell’esistenza di Dio che Descartes elabora nel contesto delle Meditationes de prima philosophia sono accomunate dalla centralità del ruolo che in esse riveste l’idea di Dio. Pertanto, prima dell’analisi delle prove, mette conto trattare di quest’ultima. I luoghi cartesiani che possono illuminarci a tal proposito si trovano nella terza e nella quinta meditazione. Nella prima parte della terza meditazione il filosofo de La Haye chiarisce cosa intenda per idee e tratta della loro natura, classificazione ed origine. Descartes definisce propriamente ideae, quei pensieri (cogitationes) che «tanquam rerum imagines sunt [...] ut cum hominem, vel chimaeram, vel coelum, vel angelum, vel Deum cogito»42. In senso lato, ma qui secondario, designano altri eventi mentali, che al contenuto rappresentativo uniscono altro, come volizioni, affetti e giudizi43. La definizione precipua di idea ne fa trasparire anche la duplice natura. In ogni idea difatti il filosofo francese distingue un aspetto formale, la realtà in sé dell’idea in quanto modus cogitandi, da un aspetto oggettivo, ovvero il suo contenuto rappresentativo. Mentre per l’aspetto formale non sussiste tra le idee alcuna differenza, accade diversamente per l’aspetto oggettivo: ne è semplice testimonianza la varietà dei loro contenuti, i quali si ordinano per gradi di

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Ivi, sect. III, 14. Cfr. infra. 39 Cfr. ivi, sect. II, 5. Nelle due successive rationes sono presentate altre due prove, che omettiamo per ragioni di spazio 40 Cfr. ivi, sect. III, 35. 41 Ivi, sect. III, 36. 42 R. DES CARTES, Meditationes de prima philosophia, III, 36. In seguito ci si riferirà all’opera con la sigla MPP. 43 Cfr. infra. 38

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realitas objectiva44. Quanto all’origine e alla classificazione – la prima è la base della seconda – Descartes distingue le idee in innate, la cui origine è ipsamet mea natura, avventizie, provenienti a rebus extra me existentibus, e fattizie, i cui contenuti a me ipso finguntur45. L’idea di Dio secondo Descartes appartiene al primo gruppo, è quindi innata. Va anzitutto bene inteso il suo carattere d’innatezza, riguardo al quale possono venirci in aiuto le pagine dell’ultima parte di questa meditazione. Lungi dal significare un’originaria infusione da parte di Dio dell’idea di lui stesso, essa piuttosto mette in luce la stessa apertura dell’io a poterlo intendere (ovvero a poterlo attingere cogitatione, toccare col pensiero): in tal senso va il dettato cartesiano allorquando avverte che quest’idea è «tamquam nota artificis operi suo impressa; nec etiam opus est ut nota illa sit aliqua res ab opere illo diversa»46. Nel momento in cui l’io si percepisce, si percepisce come ente avente in sé il marchio (nota) del proprio artefice: sembra opportuno dire, con Emanuela Scribano, che l’io «non tanto [...] ha l’idea di Dio, ma che l’io è l’idea di Dio»47. Quanto al contenuto, essa rappresenta una «substantiam quandam infinitam, independentem, summe intelligentem, summe potentem, et a qua tum ego ipse tum aliud omne (si quid aliud extat) quodcumque extat, est creatum»48. L’infinito, cifra comune di tutte queste perfezioni, non è inteso dall’io tantum per negationem finiti – non è qui prevista alcuna dionisiana via eminentiae e quindi alcuna conoscenza in obliquo – ma per veram idaeam, la quale precede e rende possibile il pensiero del finito49. È importante sottolineare il fatto che il filosofo de La Haye non parla, anzi rifiuta come contrario alla ratio infiniti, di comprensione dell’infinito da parte dell’io finito; ma piuttosto di un “intendere”, nel significato sopra esposto di quocunque modo attingere cogitatione50. Le ultime caratteristiche da mettere in luce sono la chiarezza e distinzione e il carattere concettuale del suo contenuto rappresentativo. Per quanto riguarda la prima, Descartes attribuisce all’idea di Dio la chiarezza e la distinzione maxime, in quanto sintesi – in grado eminente – di tutto

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Cfr. ivi, III, 40-41. La realitas objectiva «indica il tipo di realtà che compete ad un ente in quanto è oggetto del pensiero» (E. SCRIBANO, Guida alla lettura delle “Meditazioni metafisiche” di Descartes, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 71); v.anche il saggio introduttivo di S. LANDUCCI in R. DESCARTES, Meditazioni metafisiche, Laterza, Roma-Bari 201110, pp. XXXV-XXXVI; T.J. CRONIN S.J., Objective being in Descartes and in Suarez, Gregorian University Press, Roma 1966, pp. 89-96. 45 Cfr. ivi, III, 37. Sia le idee innate che le fattizie – quanto al loro contenuto – trovano la propria origine nel soggetto. Si distinguono per: a) la posizione di quest’ultimo nei loro confronti: attiva, nel caso delle seconde (termini dell’attivo fingere del soggetto), passiva nel caso delle prime (come “dati” sui quali il soggetto non ha alcun potere); b) la loro fecondità euristica: tratto caratteristico delle prime, assente nelle seconde. Cfr. ivi, V, 76-77. 46 Ivi, 57. 47 E. SCRIBANO, Guida alla lettura delle “Meditazioni metafisiche” di Descartes, cit., p. 93; v. anche S. LANDUCCI, Introduzione, in R. DESCARTES, Meditazioni metafisiche, cit., p. XXXVIII, nota 18; i debiti di questa concezione nei confronti dell’angelologia tommasiana sono evidenziati da E. SCRIBANO, Gli angeli di Cartesio, in EAD., Angeli e beati. Modelli di conoscenza da Tommaso a Spinoza, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 128-129;. 48 R. DES CARTES, MPP, 48. 49 Cfr. ivi, III, 48-49. 50 Cfr. ivi, III, 58.

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ciò che si concepisce come reale, vero e avente una qualche perfezione51. Arrivando infine al carattere concettuale del suo contenuto rappresentativo, esso esclude una conoscenza di Dio per modum visionis. L’aspetto oggettivo dell’idea di Dio non fa “vedere” Dio come esistente alla mente umana, ma le fornisce un concetto dal quale dimostrare, o meglio dedurre – come in un teorema geometrico – la sua esistenza52. Le due prove che Descartes presenta nella terza meditazione sono prove a posteriori, in cui – come si è detto – viene a svolgere un ruolo centrale l’idea di Dio. Viste sopra le caratteristiche di questa, tra le quali particolarmente degna di nota il fatto di garantire positivamente l’accesso all’essenza divina, si potrebbe escludere in partenza una dimostrazione a posteriori: la ragione per cui, infatti, Tommaso d’Aquino aveva elaborato argomenti quia (e non propter quid) per dimostrare che Dio esiste, consisteva nella non conoscenza, da parte dell’uomo, dell’essenza divina53. Nel caso della prima prova, fondamentale è il grande presupposto della gnoseologia cartesiana, ovverosia la separazione del piano noetico (essere oggettivo) e del piano ontologico (essere formale)54. All’interno di tale divaricazione, Cartesio pone una relazione di causalità efficiente del secondo sul primo55. Finché si tratta di prendere in esame idee il cui contenuto rappresentativo possiede una realtà oggettiva causabile – formalmente o eminentemente – dall’io, si può ricondurre a questo la causa di quelle. Quando invece si consideri l’idea di Dio, tale riconduzione appare impossibile: un’idea che rappresenti l’infinito non può avere come propria origine un ente finito, qual è l’io. Dunque deve esistere una infinita substantia che abbia causato nell’io quell’idea56. La seconda prova considera l’idea di Dio in quanto è posseduta dall’io ed è più articolata. Essa ruota attorno alla domanda sulla possibilità dell’esistenza dell’io in possesso dell’idea di Dio, nel caso quest’ultimo non esistesse57. La ricostruiamo per punti, in modo da facilitare l’intelligenza del barocco dettato cartesiano: 1) Esiste l’io in possesso dell’idea di Dio; 2) Supponiamo che Dio non esista. Quale l’origine dell’io?

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Cfr. ivi, III, 50. Cfr. E. SCRIBANO, Gli angeli di Cartesio, in EAD., Angeli e beati. Modelli di conoscenza da Tommaso a Spinoza, cit., p.124. 53 Cfr. THOMAS DE AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 2, a. 2, co; cfr. E. SCRIBANO, L’esistenza di Dio. Storia della prova ontologica da Descartes a Kant, cit., p. 74. 54 Per un’analisi teoretica, v. G. BONTADINI, Il fenomenismo cartesiano, in ID., Studi di filosofia moderna, Vita e Pensiero, Milano 1996, pp. 38-42. 55 Cfr. R. DES CARTES, MPP, 40-44. Tale relazione di causalità è resa possibile anche dal fatto che per il filosofo de La Haye l’essere oggettivo – seppur in un modo d’essere più imperfetto rispetto all’essere formale – è ontologicamente consistente. Sulla consistenza ontologica dell’essere oggettivo, v. T.J. CRONIN S.J., Objective being in Descartes and in Suarez, cit., pp. 94-96. 56 Cfr. R. DES CARTES, MPP, III, 48. 57 Cfr. ivi, III, 52. 52

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a. Non può essere l’io stesso, altrimenti si sarebbe dato tutte le perfezioni di cui ha un’idea, e quindi sarebbe Dio. Ciò è smentito dalle diverse forme di mancanza sperimentate dall’io; b. Si ipotizza un’esistenza da sempre. Tale durata è però divisibile in infinite parti, tra loro irrelate, che richiedono una causa che conservi l’io in ciascuna di esse. Tra il conservare e il creare tuttavia intercorre solo una distinzione di ragione – attesta il lume naturale –, dunque la causa che conserva dovrà essere una causa che crea in ogni momento l’io. Quest’ultimo, dal momento che è una cosa pensante, se avesse in sé tale forza, ne sarebbe consapevole. Dal momento che non lo è, non ha in sé la forza per conservarsi. Dunque dipende da un ente diverso da sé; c. Non può dipendere da Dio ed essere stato prodotto da una causa meno perfetta di Dio. In ogni causa dev’esserci almeno tanta realtà quanta nell’effetto: causa di un ente pensante con l’idea di Dio dev’essere perlomeno un altro ente pensante con l’idea di Dio. L’interrogativo quindi si sposta su questo secondo: è a se o da altro? i. Se è a se dovrebbe essere Dio, per le ragioni precedentemente esposte; ii. Se invece è da altro, si ripresenterebbe il problema dell’origine di quest’altro, finché non si giunga ad una prima causa, cioè a Dio. Descartes esclude difatti il regressus in infinitum per la causa che conserva nel presente. d. Non si può ammettere il concorso di più cause parziali, da ognuna delle quali venga l’idea di una perfezione. Ciò ripugna all’unità, o semplicità, divina, che è una delle principali perfezioni di Dio; e. Non possono essere i genitori, dal momento che – ammesso pure che abbiano generato il corpo – l’io da loro non può dipendere, in quanto res cogitans. 3) Dunque per il fatto che l’io esiste ed ha l’idea di Dio, Dio esiste58.

È interessante notare, in questa prova, l’adombramento della nozione positiva di causa sui, rifiutata dalla scolastica come contraddittoria. Tale concetto verrà esplicitato e perfezionato da Cartesio nelle risposte alle obiezioni, fino a configurarsi non come autocausalità efficiente – della 58

Cfr. ivi, III, 52-56.

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quale, con la scolastica precedente Descartes riconosce l’insostenibilità –, ma come autocausalità formale59. In seguito a ciò, «la necessità causale con cui Dio produce la propria esistenza si trasforma in una implicazione logica della esistenza nell’essenza, e l’essenza stessa diviene la premessa – il medio – da cui l’esistenza è deducibile»60. Dati questi sviluppi e tenuta presente la premessa – l’io ha accesso all’essenza di Dio –, la prova a priori della quinta meditazione sembra appieno giustificata. In questo luogo l’idea di Dio è assimilata alle idee delle figure geometriche e dei numeri. Come tutto ciò che si vede appartenere chiaramente e distintamente a queste idee, appartiene di necessità ai corrispondenti figure e numeri, così, dal momento che all’idea dell’ente sommamente perfetto appartiene ut semper existat, segue che Dio esista. Scrive il filosofo francese: «Jam vero, si ex eo solo quod alicujus rei ideam possim ex cogitatione mea depromere sequitur ea omnia, quae ad illam rem pertinere clare et distincte percipio, revera ad illam pertinere, nunquid inde haberi etiam potest argumentum quo Dei existentiam probetur? Certe ejus ideam, nempe entis summe perfecti, non minus apud me invenio quam ideam cujusvis figurae aut numeri, nec minus clare et distincte intelligo ad ejus naturam pertinere ut semper existat quam id quod de aliqua figura aut numero demonstro ad ejus figurae aut numeri naturam pertinere»61.

III Confronto

Dopo aver ricostruito il pensiero dei due autori, si tratta di operare un confronto, guidati dal criterio esposto in sede introduttiva, ovvero mettere in luce debiti e sviluppi della teologia filosofica cartesiana nei confronti di Suárez.

1. Una teologia ‘positiva’

Tratto peculiare della teologia di Descartes è il suo carattere positivo, che la pone non certo in continuità con le auctoritates della scolastica precedente. Fedeli alle conclusioni dionisiane, né Anselmo, né Tommaso, né Scoto avevano ammesso la possibilità, in hoc statu viae, di affermare qualcosa direttamente e positivamente su Dio. In questo la posizione di Cartesio è agli antipodi, in quanto l’accesso alla quiddità divina, abbiamo visto, diviene addirittura il punto di partenza di tutto 59

Cfr. ID., Responsio ad quartas objectiones, Responsio ad alteram partem, de Deo, 329-344. E. SCRIBANO, L’esistenza di Dio. Storia della prova ontologica da Descartes a Kant, cit., p. 86. 61 R. DES CARTES, MPP, V, 78-79. 60

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il suo discorso teologico. Sarebbe tuttavia riduttivo attribuire al filosofo de La Haye l’esclusiva di tale inversione, la quale, in sede di confronto critico, sembra piuttosto già ritrovabile in Suárez. Ricordiamo che questi, nel risolvere la questione circa la possibilità di provare a priori aliquo modo l’esistenza di Dio, aveva bensì escluso la conoscenza della quiddità divina ut sic, nondimeno aveva ammesso che l’attributo di partenza fosse realmente l’essenza di Dio (reipsa est essentia Dei). Da esso aveva prima dimostrato l’unicità dell’ente increato – e quindi l’esistenza di Dio – poi, nella disputa trentesima, aveva dedotto tutte le perfezioni divine. Riguardo alla conoscenza della quiddità divina, ciò che separa i due autori non è la sua possibilità o meno, ma il modo in cui essa si attua: mediato, nel caso del Doctor Eximius, immediato nel caso di Descartes. Tutte le caute mediazioni del gesuita passano sotto il “rasoio” cartesiano: nell’idea innata di Dio «continetur quid sit Deus, saltem quatenus a me potest intelligi»62. La svolta positiva in teologia, pienamente consolidata in Descartes, si trova già nel contesto – apparentemente – negativo di Suárez. 2. La causa sui Si è inoltre visto il delinearsi – a partire dalla seconda prova della terza meditazione e attraverso il successivo dibattito – della nozione positiva di causa sui. Il dettato suáreziano ci aiuta anche in quest’occasione a ridimensionare l’aspetto rivoluzionario della conclusione cui Cartesio perviene nel confronto con gli obiettori. Leggendo con attenzione il principio della sezione terza della disputa ventinovesima, si nota che la non ammissione di una prova a priori simpliciter non si motiva dal solo fatto che Dio non ha causa. È bensì vero che il gesuita non ammette, in Dio, una causa del suo essere, tuttavia tale esclusione non avviene in modo perentorio ed assoluto. Scrive difatti: «Ut de altero modo probandi propositam veritatem dicamus, supponendum est simpliciter loquendo, non posse demonstrari a priori Deum esse, quia neque Deus habet causam sui esse, per quam a priori demonstretur, neque si haberet, ita exacte et perfecte a nobis cognoscitur Deus, ut ex propriis principiis (ut sic dicam) illum assequamur»63. La concessione all’ipotesi dell’autocausalità dell’essere di Dio, mostra che per Suárez tale concetto è incontraddittorio: se fosse diversamente, non se ne vedrebbe il motivo, dal momento che ciò che è contraddittorio, essendo impensabile, non sarebbe nemmeno ipotizzabile. A chiudere l’indagine circa tale ipotesi non è quindi l’autocontraddittorietà del concetto positivo di causa sui, ma la nostra mancata conoscenza exacte et perfecte dell’essenza di Dio, condizione per poterne conoscere i “principi propri. Il passo avanti di Cartesio, alla luce di questo luogo, si mostra certamente audace, tuttavia non può vantare una assoluta imprevedibilità: se, quanto alla soluzione di tale problema è per lui fondamentale il 62 63

R. DESCARTES, Responsio authoris ad primas objectiones, 141 F. SUÁREZ, DM, XXIX, sect. III, 1. Corsivo mio.

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pensiero di Enrico di Gand64, quanto invece alla possibilità di percorrere questa strada può aver svolto un qualche ruolo la sua non assoluta esclusione da parte di Suárez.

3. L’io e l’idea di Dio

Abbiamo visto il peculiare statuto dell’idea di Dio nell’io, che fa assumere a quest’ultimo dei tratti riservati, in Tommaso d’Aquino, alle nature angeliche. L’idea di Dio in Cartesio, coincidendo con l’io stesso, gli è connaturale al massimo grado: essa fa sì che questi sia rimandato al proprio artefice nel momento in cui rifletta su di sé. L’io infatti acquisisce la consapevolezza della propria dipendenza da altro, della sua mancata completezza e della propria aspirazione al compimento e al contempo la consapevolezza che tutto ciò di cui manca è realizzato in misura eminente in Dio. Anche riguardo alla connaturalità all’io dell’idea di Dio, possiamo trovare un antecedente suáreziano. Il gesuita, al termine della disputa ventinovesima, pur non ritenendo l’esistenza di Dio una verità per se nota quoad nos, tuttavia ne mostra i tratti di consentaneità con l’intelletto umano. Ricordiamo che essa è definita «adeo consentaneam naturali lumini [...] ut vix possit ab aliquo ignorari»65 e «per se consentaneam rationi»66, nonché avente una tale proportio con la natura umana, che «proposita hac veritate et explicatis terminis [...] facillime persuadetur homini non omnino prave affecto»67. Sembra che la connaturalità-identificazione cartesiana si presenti come l’estrema conseguenza di tale proportio, forse enfatizzata da Suárez in chiave antiprotestante68. Venendo infine all’autoriflessione dell’io in cui si scopre incompleto e dipendente, pure di questa dinamica possiamo rinvenire un’ascendenza suáreziana. Il luogo è sempre la conclusione della disputa sopraccitata, in cui vengono esposte le rationes morales externae ed internae che portano (inclinant) ad assentire alla verità dell’esistenza di Dio. Scrive il Doctor Eximius: «Nam si homo in seipsum reflectatur cognoscit se non esse a se, neque sibi sufficere ad suam perfectionem, nec creaturas omnes, quas experitur, sibi satisfacere; imo agnoscit in se naturam excellentiorem illis, quanquam in suo gradu imperfectam, quia tam in cognoscendo verum, quam in amando bonum, sese cognoscit imbecillem et infirmum. Unde facillimo negotio homo sibi persuadet indigere se superiori natura, a qua ducat originem, et a qua regatur et gubernetur»69. Si tratta di una 64

v. E. SCRIBANO, L’esistenza di Dio. Storia della prova ontologica da Descartes a Kant, cit. pp. 87-88. F. SUÁREZ, DM, XXIX, sect. III, 35. 66 Ivi, sect. III, 36. 67 Infra. 68 Le Disputationes metaphysicae volevanoinfatti presentarsi come solida base filosofica in ordine allo sviluppo della scienza teologica, v. DM, Ratio et discursus totius operis ad lectorem. 69 DM, XXIX, sect. III, 36. 65

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dinamica d’esperienza che Cartesio poi modula in maniera differente, dal momento che qui il limite esperito è legato allo stato di natura lapsa proprio dell’uomo, caratteristica non ritrovabile nel testo del filosofo francese, il quale opta per la percezione di un limite meramente ontologico.

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